Cassazione Penale, Sez. 4, 08 giugno 2021, n. 22265 - Crollo del terreno sul lavoratore. Mancanza di armature di protezione della zona di scavo
Presidente: DI SALVO EMANUELE
Relatore: PEZZELLA VINCENZO
Data Udienza: 11/05/2021
Fatto
1. La Corte di Appello di Torino, pronunciando nei confronti dell'odierno ricorrente P.P., con sentenza del 23/4/2019, confermava la sentenza emessa in data 26/10/2017 dal Tribunale di Torino che, in uno con il coimputato F.S., lo aveva condannato, riconosciute ad entrambi le circostanze attenuanti generiche e quella di cui all'art. 62 n. 6 cod. pen. prevalenti sulla contestata aggravante alla pena di mesi otto di reclusione, con i doppi benefici per il delitto p. e p. dagli artt. 113 e 589, co. 1 e 2 cod. pen. perché, in cooperazione colposa fra loro, P.P. in qualità di legale rappresentante della società Impresa Edile Geometra P.P. s.r.l, con sede in Osasco, via Viassa n. 8, incaricata dall'appaltante Comune di La Cassa dei lavori di scavo e posa della fognatura in regione Mattodera, ed in qualità di datore di lavoro del dipendente G.A. e F. S. in qualità di direttore tecnico del cantiere e dirigente di fatto circa il cantiere stesso, per colpa, consistita in negligenza, imprudenza ed imperizia, nonché in violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, avendo tutti omesso, in violazione dell'art. 2087 C.c., di adottare, con riferimento ai lavori di scavo e posa citati e nonostante il 23 agosto 2014 l'arca della Regione Mattodera sia stata interessata da pioggia intensa (precipitazione di 32 mm di acqua) e nonostante, in relazione ad analoghe operazioni di intubazione dei canali, allargamento dei marciapiedi, realizzazione di strada interna e di area adibita a parcheggio e correlativo scavo, operazione effettuata dalla società del P.P. per conto di privati in arca finitima, fossero previsti nei relativi POS e PSC armature di protezione della zona di scavo e posa di tubature, ogni misura tecnico organizzativa (quali armature o simili) idonea ad assicurare l'incolumità fisica dei lavoratori dipendenti in relazione alle condizioni di lavoro (scavo in trincea profondo più di cm. 150 in assenza di garanzie di stabilità del terreno e dello scavo stesso), avendo omesso entrambi inoltre, in violazione dell'art. 119 - co. 1 T.U. n. 81/2008, di dotare la zona di scavo di idonea armatura, avendo inoltre P.P. omesso di adottare il PSS previsto dall'art. 131 - co. 2 lett. b) - D.Ivo n. 163/06 cd avendo pertanto omesso di valutare specificamente il rischio di frana o crollo o cedimento del terreno durante lo scavo e la posa della fognatura, cagionavano entrambi la morte del lavoratore dipendente G.A. per politrauma cranica toracico ed addominale, conseguente al fatto che il terreno circostante crollava addosso al G.A., mentre effettuava (all'interno di uno scavo profondo circa 2 m, lungo circa 6 m e largo 90 cm) la posa degli ultimi sei metri della fognatura bianca.
In La Cassa (TO), in data 25 agosto 2014
2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, il P.P., deducendo, quale unico motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come di sposto dall'art. 173, co. 1, disp. att., cod. proc. pen. vizio motivazionale in relazione alla causa materiale dell'evento lesivo, ovvero al fattore che determinò il distacco del blocco di terreno.
Si premette che ai fini del necessario giudizio controfattuale, occorre l'accertamento della causa materiale dell'evento, non essendo altrimenti possibile l'analisi della condotta omissiva colposa. Ed invece la sentenza impugnata, pur prendendo atto che l'appello dell'imputato era volto all'individuazione della causa materiale dell'evento, non avrebbe compiuto l'accertamento richiesto, limitandosi a delineare un percorso alternativo.
Il ricorrente lamenta che la Corte territoriale richiami, senza prendere posizione, le due tesi contrapposte in relazione alla causa materiale dell'evento, ravvisata dai consulenti del P.M. nella natura friabile del terreno, che avrebbe richiesto di armare le pareti, e dai consulenti della difesa nella presenza di un manufatto occulto, costituente una vera e propria insidia non prevedibile, senza la quale non si sarebbe mai verificato il distacco.
In altri termini, il giudice del gravame del merito avrebbe omesso di affrontare il tema delle cause del crollo determinando un grave vulnus motivazionale, non potendosi logicamente valutare l'esistenza del nesso di causalità giuridica in mancanza dell'accertamento della causa materiale dell'evento. Così come non è possibile svolgere il cosiddetto giudizio controfattuale per stabilire se l'imputato avesse dovuto cogliere ex ante il fattore di rischio.
I giudici di appello si sarebbero soffermati unicamente sul patrimonio conoscitivo a disposizione del P.P., valorizzando il dato documentale rappresentato dal permesso di costruire rilasciato per l'edificazione di villette in un terreno diverso e dal P.S.C. relativo al diverso intervento edilizio.
Si lamenta che la sentenza impugnata attribuisca rilievo causale alla pioggia del 23/8/2014, rispetto al crollo della parete di scavo, senza spiegare per quale motivo e in che misura tale precipitazione piovosa abbia influito sul crollo avvenuto il 25/8/2014 e, quindi, se effettivamente via sia stata un'omessa valutazione del fattore rischio rilevante rappresentato dall'episodio piovoso.
Si evidenzia la necessità di motivazione sul punto, dal momento che i consulenti del P.M. non avevano citato la pioggia tra le concause dell'evento mentre i consulenti della difesa ne avevano escluso ogni rilievo causale.
Si aggiunge, inoltre, in relazione al permesso di costruire, richiamato in sentenza, al fine di attribuire rilevanza alle infiltrazioni di acqua piovana, che lo stesso riguardava lavori da svolgersi alla profondità di due metri, a differenza di quelli che davano luogo all'incidente, come rilevabile dal capo di imputazione.
In relazione al P.S.C. relativo all'intervento edilizio su terreno vicino a quello dell'infortunio, si osserva che lo stesso viene utilizzato dai giudici per disattendere la tesi difensiva secondo cui il crollo è avvenuto per la presenza del manufatto occulto, affermando che lo studio del terreno avrebbe consentito l'individuazione del manufatto. Ma, obietta il ricorrente, tale affermazione è apodittica e nega la nozione stessa di insidia, in quanto lo studio del terreno non consente di individuare tutte le eventuali insidie.
Si definisce congetturale l'affermazione, contenuta nell'impugnata sentenza, sull'obbligo dell'imputato di richiedere all'ufficio comunale se in passato fossero state rilasciate autorizzazioni per costruire in quel sito. Tale affermazione implicherebbe che il P.P. non abbia fatto alcuna richiesta e che l'esito della stessa avrebbe consentito l'individuazione dell'insidia, circostanze non verificate.
Viene riportato l'esame del teste T., al fine di evidenziare le notizie ap prese dall'ufficio comunale sui luoghi e la mancata segnalazione del manufatto nelle planimetrie oltre alla mancata visibilità dello stesso, in quanto interrato.
Si lamenta sul punto un travisamento della prova, essendo stati richiamati, dai giudici di appello, dati non esaminati in primo grado.
Si evidenzia, infine che la tesi difensiva non è stata superata dai giudici di merito, in quanto se anche l'imputato avesse compiuto tutte le attività indicate in sede processuale, lo stesso avrebbe potuto apprezzare, ex ante, la consistenza stabile del terreno e la non necessità di armare lo scavo.
Chiede, pertanto, l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
Diritto
1. I motivi sopra illustrati appaiono manifestamente infondati e, pertanto, il proposto ricorso va dichiarato inammissibile.
2. Il ricorrente, in concreto, non si confronta adeguatamente con la motivazione della corte di appello, che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto -e pertanto immune da vizi di legittimità.
I motivi in questione non sono consentiti dalla legge in sede di legittimità perché sono costituiti da mere doglianze in punto di fatto e sono riproduttivi di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito
I giudici del gravame del merito hanno infatti motivato puntualmente sulle doglianze prospettate avverso la sentenza di primo grado, tutte disattese argomentatamente e logicamente.
In particolare, la Corte piemontese ha individuato come la caduta di piogge abbondanti costituisse un accrescimento del rischio di crollo che avrebbe dovuto imporre una rivisitazione delle procedure di lavoro, anche con un'eventuale sospensione dell'attività di scavo per favorire il prosciugamento naturale del terreno, e ha osservato come, se si fosse proceduto allo studio del terreno, si sarebbe certamente accertata la presenza del manufatto occulto.
Inoltre, se si fosse proceduto ad "armare" o ad utilizzare altra cautela espressamente prevista dall'impresa, anche un semplice drenaggio del terreno, o, semplicemente, si fosse soprasseduto all'esecuzione dei lavori per il tempo di naturale asciugatura del terreno, il crollo non si sarebbe verificato proceduto concluso.
Si è lavorato, peraltro, su un terreno che, come rilevano i giudici del merito,
l'imputato ben conosceva per averci realizzato- in una porzione del medesimo - un insediamento di villette; del terreno in questione, in particolare, il ricorrente ben conosceva la instabilità, tanto da avere previsto che le misure di sicurezza non potevano prescindere dai dati attinenti alle caratteristiche del medesimo, tanto di prevedere lo studio del terreno in oggetto. E detta instabilità era fronteggiabile solo con la collocazione di un'armatura la quale, se disposta, avrebbe evitato la verificazione dell'evento mortale.
3. Non corrisponde al vero che l'impugnata sentenza non abbia individuato la causa materiale dell'evento.
Ed invero, i giudici del gravame di merito, dopo avere ripercorso l'iter processuale e analizzato le tesi difensive delle parti, illustrano compiutamente e logicamente i motivi che giustificano la conferma del provvedimento di primo grado.
In primo luogo, viene evidenziata la natura cosiddetta "abusiva" di tali lavori, di cui la ditta del P.P. veniva incaricato dal Comune senza un regolare contratto di appalto e senza la predisposizione di un piano di sicurezza e di valutazione dei rischi. La ditta veniva, infatti, incaricata di operare un congiungimento fognario tra l'impianto fognario esistente e quello realizzato per una serie di villette e costruzioni realizzate dalla stessa ditta.
La causa del crollo è stata chiaramente individuata nella mancata predisposizione di un'armatura dello scavo, che era necessaria sia per la natura del terreno che per lo stato dello stesso fortemente imbibito di acqua piovana a seguito di una precipitazione di ben 32 m/m avvenuta appena due giorni prima.
La natura del terreno - secondo la ricostruzione priva di aporie logiche operata dai giudici di merito- ha avuto rilievo centrale nella vicenda, in quanto l'impresa e il ricorrente conoscevano la natura di quel terreno perché lo avevano "trattato" in occasione dei precedenti lavori per la realizzazione delle villette, e dunque sapevano della necessità di "armare" gli scavi con profondità non superiore a 1,5 metri, accortezza che avrebbe neutralizzato il rischio di crollo.
Allo stesso modo la Corte ha evidenziato come le piogge abbondanti di quei giorni rendessero il rischio di crollo probabile poiché nei documentati citati al fattore idrogeologico veniva attribuito una incidenza "rilevante" tanto da imporre la modifica della modalità di scavo e della profondità che, nel caso in esame, era superiore di mezzo metro a quella assentita.
Il ricorrente assume che la individuazione delle responsabilità non è possibile senza l'individuazione della causa materiale dell'evento e tuttavia omette di considerare che la causa materiale dell'evento è stata la negligente omessa considerazione da parte dell'imputato della natura instabile del terreno, ben nota all'imputato in ragione di pregressi lavori eseguiti su una porzione di quel terreno, in uno con la negligente sottovalutazione dell'incidenza delle piogge abbondanti sulla fragilità del terreno, condizioni ben note all'imputato, entrambe fattori di rischio fronteggiabili con la realizzazione di un armatura che avrebbe evitato il crollo.
Viceversa, il ricorso non si confronta con le argomentazioni spese dalla Corte territoriale, coerenti e logiche rispetto alle evidenze probatorie disponibili e sollecita, attraverso l'argomento della mancata individuazione della causa dell'evento, una rivisitazione della ricostruzione del fatto, inammissibile nel giudizio di legittimità.
4. Corretto è il riferimento della Corte distrettuale al piano di sicurezza predisposto per l'aria adiacente dove la ditta doveva realizzare le villette e l'impianto fognario delle stesse, che prevedeva il sostegno dei fronti.
Non corrisponde al vero l'assunto difensivo che i lavori per cui era redatto il piano dovevano avvenire a profondità superiore. Come riportato in sentenza il sostegno dei fronti era previsto per i lavori a profondità di due metri, che corrisponde alla profondità dello scavo in cui rimane ucciso il dipendente del P.P..
L'impugnata sentenza sottolinea, poi, come lo stesso piano di sicurezza prevedesse espressamente l'armatura delle pareti degli scavi in caso di pioggia, così come prevedeva l'obbligo di procedere all'analisi e valutazione del terreno.
Corretta appare anche la valutazione della prevedibilità dell'esistenza di manufatti come quello ritenuto una vera propria insidia dalla difesa dell'imputato, costituito da un cavo ENEL, la cui presenza può essere altamente probabile in una zona antropizzata, proprio come affermato dai giudici di merito.
Il P.P. ha contravvenuto al suo principale obbligo di predisposizione del piano di sicurezza e, proprio come rileva la Corte distrettuale non solo non ha effettuato l'analisi del terreno ma non si è nemmeno attenuto al piano di sicurezza previsto per le opere da compiere nei terreni vicini.
La Corte territoriale ha dunque rilevato come la predisposizione dell'armatura era esigibile, poiché i documenti di valutazione dei rischi predisposti dall'impresa in relazione ai coevi e limitrofi interventi eseguiti, ed era da considerarsi, in ogni caso, imposta dalle prescrizioni del permesso di costruire.
Tanto premesso coerenti, puntuali e logiche sono le conclusioni cui giunge la Corte territoriale quando ravvisa la violazione dell'art.13 DPR 164/1956 sugli scavi in profondità superiore a 1,5 metri quando il terreno non offre garanzia di stabilità e che, tenuto conto della consistenza, si doveva procedere con armature o altri presidi idonei a scongiurare il crollo.
In definitiva, la Corte territoriale ha individuato i titolari delle posizioni di garanzia, ha ricostruito l'evento, ha ricostruito puntualmente la pregressa relazione tra l'impresa e i suoi rappresentanti e il terreno , porzione del quale interessato dall'odierna vicenda; ha evidenziato come il ricorrente ben conoscesse quell'area e quel terreno, la consistenza del medesimo, i rischi connessi all'antropizzazione e alla natura del medesimo, la ragionevole probabilità della presenza di cavi elettrici. Peraltro, il ricorrente, in occasione della realizzazione delle villette, aveva previsto lo studio del terreno, non solo in funzione di prevenzione di crolli delle parete terrose ma anche in relazione a qualunque pericolo che fosse stato presente nel suolo e nel sottosuolo.
Rispetto a tale motivata, logica e coerente pronuncia il ricorrente chiede una ri-lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione. Ma un siffatto modo di procedere è inammissibile perché trasformerebbe que-sta Corte di legittimità nell'ennesimo giudice del fatto.
5. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Così deciso in Roma l'11 maggio 2021