delega di funzioni e necessità di forma scritta;
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. POSTIGLIONE Amedeo - Presidente
Dott. DE MAIO Guido - Consigliere
Dott. TARDINO Vincenzo - Consigliere
Dott. PICCIALLI Luigi - Consigliere
Dott. NOVARESE Francesco - Rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sul ricorso proposto da:
B. C. A. n. a F. in data GG.MM.AAAA e G. F. n. il GG.MM.AAAA;
avverso la sentenza del Tribunale di Udine emessa in data 11 dicembre 2004;
Visti gli atti, la sentenza denunziata ed il ricorso;
Udita in Pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere Dott. F. Novarese.
udito il Pubblico Ministero nella persona del Sost. Proc. Gen. Dott. FEBBRARO Giuseppe.
Fatto
B. C. A. e G. F. hanno proposto ricorso per Cassazione avverso la sentenza del Tribunale di Udine, emessa in data 11 dicembre 2003, con la quale venivano condannati, rispettivamente il primo quale Presidente della delegazione di amministrazione del Policlinico Universitario a gestione diretta ed il secondo in qualità di direttore del laboratorio di analisi chimiche del predetto ente, perché il primo non manteneva sgombre da materiale ed attrezzature le vie di fuga del laboratorio d'analisi dell'ospedale Gervasutti ed il secondo per non aver mantenuto in buono stato di efficienza l'impianto di aspirazione nel vuotatoio del laboratorio di analisi sito nel padiglione Petracco, deducendo quali motivi la violazione del D.Lgs. n. 626 del 1994, poiché non esisteva una corrispondenza tra la qualifica di datore di lavoro e titolarità di poteri di intervento, la carenza e l'illogicità manifesta della motivazione in tema di responsabilità, giacché non era stata considerata la presenza di un apposito ufficio tecnico, sul quale gravava l'obbligo costituito dalla costante verifica della persistenza di conformità e di rispondenza alla normativa di prevenzione infortuni, non si era tenuta presente l'assenza di poteri decisionali e di spesa in capo agli imputati, e si era ritenuta non sussistente una delega perché non formalmente rilasciata, nonostante la produzione di documenti attestanti l'organigramma dell'ente e l'escussione di testi sul punto, e l'omessa valutazione dell'eventuale assenza di colpevolezza per aver stipulato un contratto di manutenzione con una ditta specialista del settore, la quale errava pure nell'esecuzione dei lavori per adempiere alle prescrizioni imposte, la mancanza di motivazione circa la configurabilità delle contravvenzioni, poiché non esisteva un vero e proprio ingombro delle vie di fuga, poiché i calcinacci occupavano uno spazio di circa un metro, e l'omessa valutazione di aver fatto tutto il possibile per eliminare gli inconvenienti riscontrati, della struttura e delle dimensioni del Policlinico universitario, e della proprietà dei beni.
Diritto
I motivi addotti sono alcuni inammissibili, perché non consentiti in sede di legittimità, in quanto contenenti considerazioni in fatto (contratto di appalto per la manutenzione, materiali di ingombro e loro successiva rimozione), differenti valutazioni di emergenze processuali e riferimenti ad atti del processo (deposizione del teste M.), e perché generici (in parte il primo) e riproducenti argomentazioni svolte in primo grado cui il giudice friulano aveva fornito ineccepibile risposta (proprietà dei beni, irrilevante, poiché assume importanza la disponibilità degli stessi in assenza di un contratto che accolli la manutenzione al proprietario).
Ed invero, per quanto attiene al vizio motivazionale, occorre richiamare i noti limiti dell'accertamento di detto vizio in sede di legittimità (cfr: Cass. sez. un. 16 dicembre 1999 n. 24, Spina rv. 214793, Cass. sez. un. 23 giugno 2000 n. 12, Jakani rv. 216260 e Cass. sez. III 11 gennaio 1999 n. 215, Forlani rv. 212091 alla cui motivazione si rinvia per evitare ridondanze di trattazione).
Tuttavia deve rilevarsi che la scarna motivazione del Tribunale di Udine risponde in maniera esauriente all'esistenza dell'elemento oggettivo delle contravvenzioni, all'imputabilità del fatto a chi ha la disponibilità degli immobili e non ai proprietari, all'inapplicabilità dell'attenuante di cui all'art. 62 n. 6 c.p. ed alla dosimetria della pena, mentre dedica solo un periodo alla complessa tematica della responsabilità degli imputati e della rilevanza della delega.
Infatti, secondo giurisprudenza costante di questa Corte (cfr. Cass. sez. un. 14 ottobre 1992 n. 9874, Giuliani rv. 191185), la individuazione dei destinatari degli obblighi posti dalle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro e sull'igiene del lavoro deve fondarsi non già sulla qualifica rivestita, bensì sulle funzioni in concreto esercitate, che prevalgono, quindi, rispetto alla carica attribuita al soggetto (ossia alla sua funzione formale)
Peraltro, sotto il profilo normativo assume rilevanza la nozione, fornita dal D.Lgs. n. 626 del 1994, modificata dal d.l.vo n. 242 del 1996, di datore di lavoro pubblico, individuato nel dirigente del settore.
Tuttavia, secondo la prevalente se non costante giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. sez. III 8 aprile 1993, Russo contra Cass. sez. III 27 marzo 1998, Sodano in Riv. crit. Dir. Lav. 1999, 230 con condivisibile nota criticarsi è affermato che l'introduzione delle norme richiamate non comportasse l'esclusione di ogni responsabilità dell'organo apicale, giacché questi precetti dovevano essere coordinati con il principio generale, non derogato in tema di responsabilità penale per l'applicazione e l'osservanza della normativa di prevenzione degli infortuni e sull'igiene del lavoro, dell'effettività della gestione del potere in considerazione della protezione accordata dalla Costituzione ai fondamentali diritti inerenti alla legislazione antinfortunistica.
Il quadro normativo sotto questo aspetto non è stato sostanzialmente modificato dalla disciplina richiamata dei citati decreti legislativi del decreti legislativi del 1994 e 1996 e del successivo d.l.vo n. 359 del 1999 e D.M 12 novembre 1999 c.d. 626 ter.
Infatti, se il datore di lavoro pubblico viene individuato nel dirigente al quale spettano i poteri di gestione ovvero nel funzionario non avente qualifica dirigenziale nel solo caso in cui costui sia preposto ad un ufficio avente autonomia gestionale (art. 2 lett. b) seconda parte d.l.vo n. 626 del 1994), l'art. 4 dodocesimo comma del decreto legislativo da ultimo citato precisa che "gli obblighi relativi agli interventi strutturali e di manutenzione necessari per assicurare.. la sicurezza dei locali e degli edifici assegnati in uso a pubbliche amministrazioni ... ivi comprese le istituzioni scolastiche ed educative.. restano a carico dell'amministrazione tenuta, per effetto di norme o convenzioni, alla loro fornitura o manutenzione, precisando che "gli obblighi previsti... relativamente ai predetti interventi, si intendono assolti, da parte dei dirigenti o funzionari preposti agli uffici interessati, con la richiesta del loro adempimento all'amministrazione competente o al soggetto che ne ha l'obbligo giuridico".
In tal modo viene ribadito il principio fondamentale in materia di delega di funzioni, secondo cui, attesa la posizione di garanzia assunta dai vertici dell'ente pubblico, la delega in favore di un soggetto che non può neppure rifiutarla, qual è il dirigente o il funzionario preposto, assume valore solo ove detti organi siano incolpevolmente estranei alle inadempienze del delegato e non siano stati informati, assumendo un atteggiamento di inerzia e di colpevole tolleranza.
Peraltro, inoltre, occorre distinguere riguardo ad ogni ente, pubblico o privato, in piena armonia con i principi espressi dalle normative organizzatone ed istituzionali, fra difetti strutturali e deficienze inerenti all'ordinario buon funzionamento delle strutture stesse, ulteriormente suddividendosi in questo caso fra quelle di carattere occasionale, in ogni caso non riferibili al soggetto apicale, e permanenti, giacché in detta ultima ipotesi si richiede la comunicazione espressa o, comunque, la conoscenza delle stesse da parte degli organi di vertice.
Tale impostazione, con riferimento ad ogni ente, lega indissolubilmente l'esercizio dei poteri gestionali, affidati ai dirigenti, all'attribuzione di "autonomi poteri di spesa" senza i quali non può esserci alcun esercizio di facoltà gestionali e comporta la responsabilità del datore di lavoro pubblico nell'individuare dirigenti in possesso di attitudini e capacità adeguate, prospettando, quindi, una responsabilità "per culpa in eligendo" oltre che "in vigilando".
Sembra, invece, ampliare il campo della responsabilità del dirigente, restringendo quella dell'organo istituzionale una pronuncia di questa Corte (Cass. sez. III ud. 14 febbraio 2000 dep. 29 maggio 2000, Fichera), nella quale si sottolinea in maniera eccessiva che "il datore di lavoro pubblico ai fini prevenzionali si caratterizza.. rispetto a quello che opera nel settore privato, non per la titolarità di poteri decisionali e di spesa, quanto piuttosto per un potere di gestione del settore o dell'ufficio cui è preposto, al quale si aggiunge il requisito della qualifica dirigenziale (ai sensi dell'art. 3, 2^ comma, del D. Lgs. 3.2.1993 n. 9) ovvero dello svolgimento di mansioni direttive funzionalmente equivalenti". Tale assunto non appare condivisibile ove non venga correlato con le norme organizzatori e dell'ente (nella specie si trattava di un Comune), con il rapporto di subordinazione esistente tra dirigente ed organo di vertice, con le capacità decisionali e di spesa, sicché le su riferite affermazioni appaiono parziali, anche se devono essere lette in relazione alla particolare fattispecie esaminata.
Pertanto, la posizione del dirigente quale datore di lavoro comporta una capacità gestionale di natura patrimoniale, poteri effettivi di gestione e l'esercizio di poteri non esauriti in attività riconducibili esclusivamente alla categoria degli obblighi e, quindi, anche a quello della sospensione del servizio, mentre l'organo apicale è sempre responsabile, alternativamente o cumulativamente, ove venga informato delle deficienze e non vi adempia ovvero nel caso in cui siano necessarie impegnative di spesa, non consentite ali organo tecnico o al dirigente del settore.
La sentenza, poi, non affronta le complesse tematiche della forma della delega.
A tal ultimo proposito i nodi problematici in giurisprudenza riguardano l'onere della prova della delega ed i requisiti di forma.
Una considerazione generica di principi generali secondo cui la prova del fatto costituente reato deve essere fornita dalla pubblica accusa ed in diritto penale non sono ammesse presunzioni di colpa è sottesa ad una pronuncia (Cass. sez. III 28 aprile 2003 n. 19642, Rossetto, che riprende concetti espressi da Cass. sez. III 3 marzo 1998 n. 548, Brambilla e Cass. sez. III 26 febbraio 1998 n. 681, Caron contra fra tante Cass. sez. III 26 maggio 2003 n. 22931, in cui si afferma che la forma espressa e non tacita della delega deve "essere rigorosamente provata secondo i principi generali che disciplinano la prova nel processo penale", sicché, trattandosi di una causa di esclusione di responsabilità, deve essere dimostrata da chi l'allega), in cui si afferma che in "una realistici valutazione delle esigenze della moderna economia, imponenti l'articolato decentramento delle grandi strutture produttive .. l'esigenza di una delega scritta o comunque formale, da parte degli organi verticistici di una società di rilevanti dimensioni" è superflua e deve ritenersi "in re ipsa" senza bisogno di ulteriore prova, "allorquando ricorra la suddivisione dell'azienda in distinti settori rami o servizi, ai quali sono preposti soggetti qualificati ed idonei", sicché deve escludersi pure un obbligo di vigilanza, poiché "nemo ad impossibilia tenetur".
Le affermazioni, nella loro assolutezza, non sembrano condivisibili tanto più che sarebbe stato più semplice, senza alcuna ridondanza, evidenziare la suddivisione dell'apparato produttivo della società in una serie di unità produttive autonome, ciascuna affidata ad un soggetto all'uopo investito di mansioni direttive", sicché potevano richiamarsi i principi elaborati dalla dottrina e dalla giurisprudenza nell'individuare la nozione di "unità produttiva" in materia di sicurezza del lavoro.
Pertanto, occorreva dimostrare non solo la effettiva frammentazione dell'impresa in una pluralità di centri dotati di autonomia effettiva sia finanziaria sia tecnico- funzionale, intesa non in senso burocratico e ristretto, ma ampio, giacché altrimenti detti requisiti non sarebbero mai rinvenibili, ma anche l'esistenza di effettivi assetti e rapporti di poteri quali risultano dagli organigrammi aziendali e dagli ordini di servizio, ferma restando la necessità di un'attività di coordinamento e di alta organizzazione e controllo, che deve restare radicata nel vertice come contenuto di un dovere non delegabile, che è il riflesso della qualità di imprenditore.
Infatti, altra decisione (Cass. sez. IV 16 maggio 2002 n. 19015, Montanari) sottolinea, secondo la prevalente, se non costante, giurisprudenza che "la delega deve risultare in modo espresso, da atto certo e non equivoco, pregresso rispetto all'evento.. e l'amministratore delegato della società ...cui la legge (e soprattutto l'art. 2087 c.c.) affida .. la funzione di garanzia della sicurezza degli addetti" (ma eguale discorso può effettuarsi in ogni altro settore, giacché altrimenti si sarebbe in presenza di obblighi sempre intrasferibili in presenza di soggetti titolari di posizioni di garanzia) deve dimostrare "di aver adempiuto agli obblighi di tutela".
Sostanzialmente conformi sono numerose altre pronunce in cui non si richiede la forma scritta della delega (contra per detta forma quasi ad substantiam e non ad probationem Cass. sez. III 6 giugno 2003 n. 24800, Lodovichi e Cass. sez. III 17 aprile 2003 n. 18319, Saeli, vedi invece Cass. sez. IV 9 gennaio 2002 n. 478, Moreschi ed altro; Cass. sez. IV 9 gennaio 2002 n. 452, Barani e Cass. sez. IV 9 gennaio 2001 n. 39), ma un atto "espresso, inequivoco e certo" (Cass. sez. III 18 giugno 2003 n. 26189, Piombini; Cass. sez. IV 1 luglio 2003 n. 27939, Benedetti; Cass. sez. III 26 maggio 2003 n. 22931, Conci, che espressamente critica quella giurisprudenza che richiede la forma scritta, Cass. 11 giugno 2003, Bevilacqua; Cass. 7 aprile 2003, Settenni ed altro in Igiene e sicurezza del lavoro 2003, 373 e Cass. sez. IV 21 maggio 2003 n. 22345, Ribaldi ed altri, nella quale espressamente si ritiene insufficiente "che la sussistenza di una delega di compiti in materia di sicurezza sia meramente enunciata e riferita alla dimensione dell'azienda in distinti reparti costituenti entità autonome", giacchè è necessario "che sia rigorosamente provata l'esistenza di una delega espressamente e formalmente conferita", dove il secondo avverbio sembra potersi riferire ad una delega in forma scritta, però, "ad probationem").
Tuttavia, in base al principio di effettività, varie volte affermato dal giudice di legittimità (cfr. Cass. sez. III 12 febbraio 1998 n. 1769, Magnani rv. 210260,), si è avanzata la nozione di datore di lavoro di fatto o di dirigente di fatto (vedi Cass. sez. IV 23 febbraio 1998 n. 2277, Cicchetti ed altro rv. 210263; Cass. sez. IV 30 marzo 1998 n. 3945, Villa rv. 210640 e Cass. sez. IV 23 marzo 1998 n. 3606, Villa rv. 210642), tesa ad ampliare i soggetti responsabili e non a restringerne la sfera. (vedi sin dagli anni settanta Cass. sez. IV 3 ottobre 1977, Sola e Cass. sez. IV 20 aprile 1978, Serrano ed altri in Giust. pen. 1978, II, 513 m. 536 e 1980, II, pag. 87 e segg., e di recente Cass. sez. III 6 maggio 1997 n. 5539 in Amb. e sicurezza 1997 n. 10 pag. 106 e 9 dicembre 1998 n. 893 ivi 1999 n. 5 pag. 102). La necessità di una forma scritta senza dubbio deve affermarsi nel settore pubblico, giacché nel diritto amministrativo vige l'esigenza di una formalizzazione dei rapporti organizzativi al fine di predicare all'esterno la posizione assunta all'interno della struttura.
Pertanto, attesa la formula generica della forma "espressa" e del contenuto chiaro e considerato l'onere probatorio incombente sul soggetto titolare dell'obbligo di garanzia, ritenuto rigoroso dalla giurisprudenza prevalente, la predisposizione di ordini di servizio per iscritto, di norme interne, di organigrammi e di deleghe scritte facilitano la dimostrazione della sua esistenza prima della commissione del fatto criminoso e servono a semplificare la prova degli altri requisiti oggettivi, che si risolvono nell'individuazione delle condizioni che esprimono l'adempimento diligente dell'obbligo di protezione mediante l'apprestamento di una struttura e di un'organizzazione.
Alla luce di quanto su evidenziato, nel caso in esame, il B. deve andare esente da responsabilità proprio perché, carente la prova circa la conoscenza delle violazioni esistenti e delle misure da adottare, non poteva occuparsi dello sgombero delle vie di fuga del laboratorio in assenza di ogni prova circa il perdurare di detta situazione, sicché si trattava di deficienze occasionali concernenti l'obbligo manutentivo, onde la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio nei suoi confronti per non aver commesso il fatto.
Per quanto concerne, invece, il G., trattandosi di deficienze manutentive, che implicavano impegnative di spesa, in assenza di ogni analisi sulle questioni su evidenziate da parte del giudice friulano, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio al Tribunale di Udine, il quale si atterrà a tutti i principi già indicati ed in particolare accerterà l'esistenza di un organigramma nella struttura, l'autonomia finanziaria e gestionale dell'organo ivi indicato e l'eventuale informazione fornita dallo stesso all'attuale imputato.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di B. C. A. senza rinvio per non aver commesso il fatto e riguardo a G. F. con rinvio al Tribunale di Udine.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 luglio 2004.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 7 OTT. 2004