Cassazione Penale, Sez. 3, 24 giugno 2021, n. 24633 - Scarico in pubblica fognatura di acque reflue industriali senza autorizzazione. Procedura estintiva


 

Presidente: LAPALORCIA GRAZIA
Relatore: ROSI ELISABETTA Data Udienza: 27/01/2021

 

Fatto
 



1. Con sentenza del 10 febbraio 2020, il Tribunale di Milano condannava P.M., concesse le circostanze attenuanti generiche, alla pena di euro 2.000,00 di ammenda, in quanto giudicato colpevole della contravvenzione ascrittagli di cui all'art. 137, comma 1, D. Lgs. 152 del 2006, perché quale legale rappresentante della società "Valparaiso Parking" s.r.l. effettuava uno scarico in pubblica fognatura di acque reflue industriali, provenienti dall'impianto di autolavaggio, senza la necessaria autorizzazione, in quanto scaduta; accertato in Milano, il 3 settembre 2017, contestato in permanenza.
2. Avverso tale sentenza l'imputato, per mezzo del difensore di fiducia Avv. Simone Gargano, ha proposto ricorso per cassazione articolato nei seguenti motivi:
1) Inosservanza o erronea applicazione ex art. 606 lett. b) e c) cod. proc. pen. degli artt. 318-bis, 318-ter, 318-quater, 318-sexies e 318-septies del d. lgs. 152/2006, nonché mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione sul punto ex art. 606 lett. e) cod. proc. pen., in riferimento a quanto affermato dal Tribunale nell'ordinanza del 10 gennaio 2020. La difesa aveva eccepito la sussistenza di una causa di nullità assoluta del decreto di citazione a giudizio ai sensi degli artt. 178 e 179 cod. proc. pen., per violazione delle nuove prescrizioni contenute nella L. 65/2015, introduttive - in caso di ipotesi contravvenzionali in materia ambientale che non abbiano cagionato danno o pericolo concreto ed attuale - di un iter procedurale differenziato, che nel caso di specie non è stato seguito. Invero, ai sensi dell'art. 318-ter d.lgs. 152/2006 la polizia giudiziaria, a seguito dell'accertamento di una condizione di irregolarità, avrebbe dovuto impartire al ricorrente un'apposita prescrizione - asseverata tecnicamente dall'autorità competente - contenente un termine entro il quale procedere alla regolarizzazione della situazione accertata, la quale, se effettuata correttamente, unitamente al pagamento di una somma in sede amministrativa, avrebbe consentito l'immediato effetto estintivo della fattispecie ex art. 318-septies e prima ancora, la temporanea sospensione del procedimento penale ex art. 318- sexies. Il Tribunale di Milano rigettava l'eccezione della difesa, volta a far dichiarare la nullità del procedimento a seguito della mancata ricezione - da parte del P.M. - della suddetta prescrizione, presumendo che quest'ultima fosse stata impartita in quanto "altrimenti non si spiegherebbe l'esercizio dell'azione penale", né "la mancanza, nell'opposizione al decreto penale, di una lamentela da parte della difesa, sul mancato avviso". Dando tale risposta il Tribunale non solo avrebbe violato la corretta applicazione della legge penale nel caso di specie, ma anche i principi probatori esistenti, considerato che non essendo stata allegata l'emissione di alcuna prescrizione ex art. 318-ter cit., presumere che essa vi sia statav violazione del diritto di difesa e di parità delle parti, attribuendo da un lato una "patente di infallibilità" alla pubblica accusa, e dall'altra, onerando la difesa di una probatio diabolica, ossia richiedendole di dimostrare, magari attraverso allegazioni, l'inesistenza di una circostanza. Ugualmente errato e contrario ai principi di diritto sarebbe il valore attribuito alla mancata doglianza sul punto nell'atto di opposizione. In primis l'omissione della pubblica accusa costituisce una nullità assoluta rilevabile in ogni stato e grado del giudizio, ed in secondo luogo, il corretto adempimento dell'onere da parte della P.G. avrebbe permesso all'imputato di estinguere la violazione, fine raggiungibile altresì con l'avanzata richiesta di oblazione, anch'essa illogicamente rigettata.
2) Inosservanza ed errata applicazione della legge, nonché mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 162-bis cod. pen., 464 e 557 cod. proc. pen., nonché all'art. 141 disp. att. cod. proc. pen., considerato che il Tribunale ha illegittimamente respinto la richiesta di oblazione facoltativa avanzata dalla difesa dell'imputato in apertura al dibattimento, da un lato, aderendo ad un orientamento giurisprudenziale ormai risalente (cfr. Sez. 3, n. 12939 del 2006, Managò, Rv. 233932) ed ampiamente superato, senza fornire adeguata motivazione in merito alle ragioni dello scostamento dall'attuale e consolidata giurisprudenza di legittimità, dall'altro lato, adducendo la mancata impugnazione dell'ordinanza del g.i.p. che aveva negato la richiesta di oblazione in prima battuta, senza considerare che la difesa aveva allegato ampia documentazione proprio al fine di demolire la suddetta ordinanza, dimostrando la mancata attualità del reato e la non gravità dello stesso;
3) Inosservanza o erronea applicazione delle norme processuali di cui all'art. 175 cod. pen. nonché mancanza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione ex artt. 606 lett. c) ed e) cod. proc. pen. con riferimento alla mancata concessione del beneficio della non menzione nel casellario giudiziale, considerato che il Tribunale di Milano ha negato al ricorrente tale beneficio senza fornire motivazione alcuna, nonostante l'assenza di condizioni ostative e la presenza di elementi positivamente valutabili a tal fine, quali il corretto comportamento processuale dall 'imputato, tenuto per tutta la durata del procedimento, ed il suo stato di incensuratezza.
3. Il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, con requisitoria scritta, ha richiesto declaratoria di inammissibilità del ricorso, atteso che lo stesso non si confronta con le argomentazioni della sentenza impugnata ed in particolare: in merito al primo motivo, il P.G. osserva come dagli atti risulta essere stato adempiuto il dettato di cui agli artt. 318-ter e quater d.lgs. 152/2006; in merito al secondo motivo di ricorso, il Tribunale avrebbe correttamente dichiarato inammissibile la rinnovata richiesta di oblazione in quanto già proposta dinanzi al gip e rigettata dal medesimo. Pertanto, il ricorrente non avrebbe dovuto proporre una diversa domanda di oblazione al Tribunale, domanda che nel caso concreto presentava, inoltre, nuovi presupposti di fatto, ma avrebbe dovuto eventualmente impugnare il provvedimento di rigetto, allegando gli elementi a sostegno dell'erroneità del medesimo.

 

Diritto



1. Il primo motivo di ricorso è infondato. La procedura estintiva richiamata in ricorso, prevista dalla Parte Sesta-bis del d.lgs. 152/06, introdotta con la legge 68/2015, consente, con modalità analoghe a quelle stabilite dalle disposizioni che regolano la procedura di estinzione delle contravvenzioni in materia di sicurezza ed igiene del lavoro (d.lgs. 19 dicembre 1994, n.758), di pervenire alla definizione delle contravvenzioni sanzionate dal d.lgs. 152/06 che non abbiano cagionato danno o pericolo concreto e attuale di danno alle risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche protette (artt. 318-bis - 318-octies). Essa si pone, sostanzialmente, come un'alternativa all'oblazione di cui all'art. 162 bis cod. pen., ed è certamente più vantaggiosa, almeno per quanto riguarda gli importi da versare. Le due procedure non devono essere confuse, come invece fa il ricorrente: innanzitutto l'ambito oggettivo di applicazione varia, in quanto l'oblazione nelle contravvenzioni punite con pene alternative si riferisce a tutti i reati contravvenzionali (indistintamente) mentre, dall'altro lato, la procedura di cui agli artt. 318-bis e seguenti, senza fare alcun riferimento alla specie della pena comminabile, si riferisce indistintamente ad ogni contravvenzione contemplata nel medesimo decreto, purché non abbia cagionato "danno o pericolo concreto ed attuale di danno", avendo riguardo in primis al bene giuridico oggetto di protezione. Peraltro va rilevato che solo nella oblazione ordinaria la ratio sottesa all'istituto è ravvisabile nelle ragioni di economia processuale, in quanto, come è noto/oblazione di cui all'art. 162-bis cod. pen. non è ammessa quando permangono conseguenze dannose o pericolose del reato eliminabili dal contravventore, tanto che la stessa è applicabile ai reati eventualmente permanenti solo se la permanenza sia cessata (cfr. Sez. 1, n. 7758 del 24/01/2012, P.G. in proc. Pacchia, Rv. 252425).

2. Secondo l'orientamento della giurisprudenza di legittimità (cfr. Sez. 3, n. 49718 del 2019, Fulle, Rv. 277468; Sez. 3, n. 7220 del 2020, Nigro e Sez. 3, n. 38787 del 8/2/2018, De Tursi, non massimate), al quale il Collegio intende dare continuità, la procedura estintiva non è affatto obbligatoria e, al pari dell'analoga procedura prevista dalla normativa in materia di igiene e sicurezza sul lavoro (di cui agli artt. 20 e ss. del d.Lgs. n. 758 del 1994), l'omessa indicazione da parte dell'organo di vigilanza delle prescrizioni di regolarizzazione non è causa di improcedibilità dell'azione penale. Tale principio è stato affermato in riferimento alla disciplina antinfortunistica dettata dagli artt. 20 e ss. del d. Lgs. n. 758 del 1994, essendo stato precisato che, secondo una interpretazione costituzionalmente orientata, la formale assenza della procedura estintiva non può condizionare l'esercizio dell'azione penale nei casi in cui, legittimamente, l'organo di vigilanza ritenga di non impartire alcuna prescrizione di regolarizzazione, tenuto conto che l'imputato può comunque richiedere di essere ammesso all'oblazione, sia in sede amministrativa, sia successivamente in sede giudiziaria (cfr., parte motiva di Sez. 3, n. 7678 del 13/01/2017, Bonanno, Rv.269140). Il parallelismo tra le due normative è stato rimarcato anche da Sez.3, n.36405 del 18/04/2019, Rv.276681, che ha osservato come la procedura di estinzione prevista dal testo unico sull'ambiente è costruita sul medesimo meccanismo previsto dalla normativa di cui al d.lgs. n. 758 del 1994 e ne segue, perciò, l'interpretazione, e, nell'esaminare la questione dell'applicabilità della procedura estintiva alle condotte esaurite, è stato richiamato il dictum della summenzionata Sez.3, n. 7678 del 13/01/2017, Bonanno.
Il principio risulta confermato da una più recente pronuncia (cfr. Sez.3, n. 49718 del 2019, Fulle, Rv. 277468) ove è stato osservato come la obbligatorietà della speciale procedura in esame non possa essere dedotta neppure dall'uso dell'indicativo utilizzato dal legislatore nella disposizione di cui all'art. 318-ter d.lgs. 152/06 ("... impartisce al contravventore un'apposita prescrizione asseverata tecnicamente ... "), poiché si tratta di una mera scelta di stile espositivo, atteso che, nei casi concreti, si possono verificare situazioni analoghe a quelle già esaminate nella disciplina della prevenzione degli infortuni sul lavoro, come nel caso in cui l'organo di vigilanza decida di non impartire alcuna prescrizione, perché non vi è alcunché da regolarizzare o perché la regolarizzazione è già avvenuta ed è congrua. Va conseguentemente ribadito che gli art. 318-bis e seguenti del d.lgs. 152/06 non stabiliscono l'obbligo per gli organi di vigilanza o la polizia giudiziaria di impartire sempre una prescrizione al fine di consentire al contravventore l'estinzione del reato e pertanto l'eventuale mancato espletamento della procedura di estinzione non comporta l'improcedibilità dell'azione penale (cfr. Sez. 3, n. 49718/1 cit.)
3. Ciò premesso, deve osservarsi che, nel caso di specie, la doglianza mossa dall'imputato in merito alla nullità dell'intero procedimento per violazione della procedura estintiva prevista dagli artt. 318-bis e seguenti del d. Lgs. 152/2006 è priva di fondamento, sia, come appena detto, per l'affermata inesistenza di un obbligo specifico in capo agli accertatori di provvedervi, sia in quanto, anche in assenza di tale prescrizione (che dal testo del provvedimento impugnato risulta, tra l'altro, esservi stata - cfr. pag.· 2 della sentenza impugnata) l'azione penale poteva proseguire, sussistendo in capo al ricorrente la possibilità di raggiungere la medesima utilità richiedendo l'ammissione all'oblazione in misura ridotta (cfr. Sez. 3, n. 7678/17 già cit.). Infatti deve essere qui affermato il principio, già sostenuto. nell'analoga procedura estintiva delle contravvenzioni in materia di sicurezza del lavoro (così Sez.3, n. 7878 del 10/01/2012, Buggiani, Rv. 252332) che la facoltà di richiedere l'oblazione speciale ex art. 162-bis cod. pen. non è alternativa a quella introdotta dalla disciplina· specifica per i reati ambientali, essendo possibile esercitare detta facoltà non solo quando non ricorrano le condizioni per l'esperimento della prevista procedura amministrativa di settore, ma anche quando il contravventore abbia ritenuto di non avvalersene, optando per l'oblazione, con il pagamento in misura ridotta.
In ogni caso, vale la pena di ribadire che la eventuale violazione della procedura estintiva prevista dal codice dell'ambiente non può mai costituire un'ipotesi di nullità ex artt. 177 e ss., cod. proc. pen., né assoluta né a regime intermedio, ma unicamente un'ipotesi di irregolarità procedimentale, considerato che tale procedura non è elemento essenziale, in guisa da determinare tale sanzione, sia perché nessuna nullità è espressamente stabilita da alcuna disposizione di legge, sia perché tale violazione procedimentale non rientra nel novero delle fattispecie di nullità c.d. generali previste dall'art. 178 cod. proc. pen. Pertanto del tutto corretta la reiezione dell'eccezione di nullità del decreto penale per mancanza delle prescrizioni da parte degli organi competenti.
4. Circa il secondo motivo di ricorso, lo stesso risulta del pari infondato. Il Tribunale ha evidenziato che l'ordinanza ,del Gip del 27 gennaio 2018 ha respinto la richiesta di oblazione in quanto non risultavano agli atti eliminate le conseguenze dannose e pericolose del reato (presupposto necessario ex art. 162-bis comma 3 cod. pen.), non essendo state valutate sufficienti a provare la cessazione della condotta le sole dichiarazioni del ricorrente, aventi ad oggetto la volontà di eliminare tali situazione, ovvero provvedere alla sospensione dell'attività illecita ovvero ottenere il rilascio dell'autorizzazione. E' evidente, infatti, che l'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose costituisce elemento indispensabile dell'istituto, in grado di consentire il superamento della questione relativa all'esistenza o meno di prescrizioni (in tal senso, in relazione all'analoga disciplina estintiva in materia di sicurezza del lavoro, cfr. Sez.3, n. 34750 del 03/05/2011, Costantini, Rv. 251229).
La rinnovazione della richiesta di oblazione in sede di apertura del dibattimento, in assenza di specifica impugnazione dell'ordinanza di rigetto emessa dal G.i.p. in sede di opposizione a decreto penale di condanna, risulta tardiva, come correttamente affermato nella motivazione della sentenza impugnata. Difatti, la stessa pronuncia delle Sezioni Unite, n. 47923 del 2009, D'Agostino, Rv. 244820, richiamata dal ricorrente, si riferisce ai soli casi in cui la richiesta di ammissione all'oblazione, tempestivamente presentata in sede di opposizione a decreto penale, sia stata erroneamente rigettata, con conseguente diritto dell'imputato di accedere all'oblazione anche in sede di giudizio, dopo aver adeguatamente dato prova della sussistenza dei presupposti di fatto e di diritto già presenti al momento della richiesta originaria ed erroneamente non rilevati dal giudicante, mentre nel caso di specie il G.I.P. aveva correttamente fondato il proprio diniego sulla circostanza che l'imputato non avesse eliminato le conseguenze del reato, né il ricorrente ha mai evidenziato di avere provveduto ad allegare tale circostanza, limitando la propria doglianza alla mancata ricezione delle prescrizioni da parte dell'autorità di controllo, a fronte dell'evidente necessità di munirsi della prescritta autorizzazione allo scarico delle acque reflue industriali della propria attività di autolavaggio ovvero di interromperne lo svolgimento.
5. Infine deve essere parimenti rigettato, il terzo motivo di ricorso, considerato che, secondo quanto sintetizzato nel "Ritenuto in fatto" del provvedimento impugnato, non risulta che la difesa dell'imputato abbia richiesto la concessione dei benefici di legge, né il ricorrente ha allegato elementi .concreti atti a dimostrare di avere avanzato al giudice del merito tale richiesta. Invero, l'obbligo di motivazione del diniego del beneficio della non menzione da parte dei giudici di merito ricorre solo laddove siano state dedotte circostanze specifiche che, in base all'art. 133 cod. pen., legittimino la concessione del beneficio stesso (così Sez. 3, n. 48376 del 13/07/2018, Iannaccone M., Rv. 274702; Sez. 3, n. 3431/13 del 04/07/2012, Maione, Rv. 254681; Sez. 1, n. 6251 del 03/05/1994, Artom, Rv. 198876).
Pertanto, il ricorso deve essere rigettato con conseguente condanna del ricorrente ex art. 616 cod. proc. pen. al pagamento delle spese del procedimento

 

PQM
 


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.


Così deciso in Roma, il 27 gennaio 2021.