Cassazione Penale, Sez. 4, 01 luglio 2021, n. 25083 - Sfruttamento del lavoro


 

Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA Relatore: PEZZELLA VINCENZO
Data Udienza: 12/05/2021
 

 

Fatto


1. Con ordinanza del 24/6/2020 il Tribunale del Riesame di Catanzaro accoglieva parzialmente la richiesta di riesame avanzata da A.J. avverso l'ordinanza con cui il 22/5/2020 il GIP del Tribunale di Castrovillari aveva applicato nei suoi confronti la misura degli arresti domiciliari in riferimento al delitto di cui all'art. 81 , co. 2, 110 e 603-bis, primo comma n. 1, terzo comma nn. 1, 2, 3 e 4, e quarto comma n. 1 (capo 20) e, per l'effetto, sostituiva la misura cautelare degli arresti domiciliari con quella dell'obbligo di dimora nella frazione di Rossano del Comune di Corigliano-Rossano ove l'indagato è domiciliato, con divieto di uscire dal territorio della suddetta frazione comunale senza la preventiva autorizzazione del giudice che procede.

2. Ricorre A.J., a mezzo del proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, co. 1, disp. att., cod. proc. pen.
Con un primo motivo lamenta violazione degli artt. 125, 309, 546 e 292 co. 2, lett. e-bis cod. proc. pen. e vizio motivazionale assumendo che il provvedi­mento impugnato abbia totalmente ignorato tutte le censure mosse dalla difesa del ricorrente indicate nella memoria difensiva depositata in udienza dinanzi al tribunale del riesame. In tale memoria -ricorda il difensore- venivano evidenziate le plurime criticità dell'ordinanza resa dal GIP, con specifico riferimento alla sussistenza dell'ipotesi delittuosa ex art 603 bis c.p. co. 1 n.l, 3 nn.1),2),3)e 4), 4 nn. 1) e 3) in relazione al reato contestato al capo 20) della rubrica ed il concorso con M.I..
Per il ricorrente, a fronte di quelle, il tribunale della libertà, invece, ha omesso di dare compiuta risposta ad ogni singola doglianza ovvero ad ogni diversa (e alternativa) lettura delle singole intercettazioni analizzate analiticamente dalla difesa, si limitava a richiamare il contenuto delle intercettazioni, da intendersi tra­ sfuse nel provvedimento, riportandosi sostanzialmente al ragionamento del GIP del Tribunale di Castrovillari, al solo scopo di ricondurre all'A.J. la figura di caporale. Invero, il Tribunale di Catanzaro si sarebbe limitato a fare una ridotta sintesi delle emergenze investigative, condividendo le conclusioni del giudice della cautela, alle quali aderisce acriticamente senza dare risposta, positiva o negativa che fosse, alle doglianze difensive.
Il giudice del gravame cautelare -ci si duole- ritiene di condividere le valutazioni del giudice della cautela in ordine all'integrazione del delitto di cui all'art. 603 bis c.p., ritenendo succintamente che dalla "predetta piattaforma indiziaria emerge chiaramente come il reclutamento e la gestione degli operai reclutati sia delegata dal R.M. all'indagato, che predispone la documentazione per l'assunzione e percepisce direttamente il compenso da distribuire ai braccianti da lui reclutati (non risulta infatti la contrattazione diretta dei braccianti con il datore di lavoro).
Il ruolo di caporale dell'A.J. emergerebbe invero plasticamente dalle intercettazioni analizzate dal giudice per le indagini preliminari, che vengono trascritte in ricorso, occupandosi l'A.J. di tutti gli aspetti del rapporto lavorativo, ai punto da ricevere piena fiducia dal datore di lavoro, il quale a lui si rivolge anche al fine di selezionare la manodopera (uomini e donne). Ma, per il ricorrente, nelle conversazioni intercorse non vi è alcun elemento da cui desumere che l'A.J. reclutasse manodopera, infatti, da tali conversazioni nulla emerge se non che A.J., per mera cortesia nei confronti dei suoi connazionali cercava lavoro a chi ne avesse bisogno, ed era proprio lui che portava i documenti al R.M. poiché comprendeva bene la lingua italiana.
Inoltre, prosegue il ricorrente, se volessimo considerare ed ipotizzare che A.J. in quella circostanza abbia trasportato i braccianti nessun elemento potrebbe fondatamente far ritenere che lui non potesse farlo e nè tanto meno che ciò possa configurare in capo a lui la figura di caporale anche perché, oltre alla mansione di bracciante agricolo, l'A.J. guidava il furgone ed in particolare si occupava del trasporto nella zona di lavoro, venendo pagato 5 euro in più degli altri proprio perché la sua giornata di lavoro cominciava prima e finiva dopo.
Il ricorso sottolinea l'errore nella parentela tra l'A.J. e l'I.M., quindi si sofferma sull'asserita assenza, nel caso che ci occupa, dei presupposti oggettivi e soggettivi del concorso di persone nel reato.
Il ricorso si sofferma poi sulle condizioni di sfruttamento dei lavoratori e sullo stato di bisogno degli stessi, ritenendo che le stesse non possano essere addebitate all'A.J. e sottolineando come su tali punti il tribunale si sarebbe allineato, senza alcuna spiegazione, alle motivazioni del GIP.
Con un secondo motivo di ricorso, in punto di esigenza cautelari, il ricorrente lamenta che immotivatamente il tribunale del riesame avrebbe ritenuto inadeguate misure meno afflittive.
Si tratterebbe, per il ricorrente, di una valutazione frettolosa, tenuto conto del basso profilo criminale dell'A.J., del lasso di tempo intercorso dai fatti e non proporzionale all'attualità delle esigenze cautelari.
Chiede, pertanto, annullarsi il provvedimento impugnato.
3. Nei termini di legge ha rassegnato le proprie conclusioni scritte per l'udienza senza discussione orale (art. 23 co. 8 d.l. 137/2020), il P.G., che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.

 

Diritto


1. I motivi sopra illustrati appaiono manifestamente infondati e pertanto il proposto ricorso va dichiarato inammissibile.

2. Va rilevato, in primis, che il difensore ricorrente ripropone, tout court, quelli che sono stati i motivi di riesame, contestando genericamente, in realtà senza confrontarvisi criticamente, le argomentazioni addotte nel provvedimento impugnato a sostegno del rigetto del proposto gravame.

3. Va premesso che questa Corte Suprema è ferma nel ritenere che, in tema di impugnazione delle misure cautelari personali, il ricorso per cassazione con il quale si lamenti l'insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando(...) propone e sviluppa censure che riguardano la ricostruzione dei fatti, ovvero che si risolvono in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. 6, n. 11194 dell'8/3/2012, Lupo, Rv. 252178).
In altra pronuncia, che pure si condivide, si è sottolineato che, allorquando si censuri la motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte Suprema spetta solo il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l'hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell'indagato e di controllare la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l'apprezzamento delle risultanze probatorie (Sez. 4, n. 26992 del 29/5/2013, Rv. 255460; conf. Sez. 4, n. 37878 del 6/7/2007, Cuccaro e altri, Rv. 237475);
Spetta dunque a questa Corte di legittimità il solo compito di verificare se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l'hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell'indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi del diritto che governano l'apprezzamento delle risultanze probatorie.
Il controllo di logicità, peraltro, deve rimanere interno al provvedimento impugnato, non essendo possibile procedere a una nuova o diversa valutazione degli elementi indizianti o a un diverso esame degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate.

In altri termini, è consentito in questa sede esclusivamente verificare se le argomentazioni spese sono congrue rispetto al fine giustificativo del provvedimento impugnato. Se, cioè, in quest'ultimo, siano o meno presenti due requisiti, l'uno di carattere positivo e l'altro negativo, e cioè l'esposizione delle ragioni giuridicamente significative su cui si fonda e l'assenza di illogicità evidenti, risultanti cioè prima facie dal testo del provvedimento impugnato.
Questa Corte di legittimità, ancora di recente ha peraltro ribadito come la nozione di gravi indizi di colpevolezza in sede cautelare non sia omologa a quella che serve a qualificare il quadro indiziario idoneo a fondare il giudizio di colpevolezza finale (sez. 5 n. 36079 del 5.6.2012, Fracassi ed altri, rv. 253511).
Al fine dell'adozione della misura cautelare, infatti, è sufficiente l'emersione di qualunque elemento probatorio idoneo a fondare "un giudizio di qualificata probabilità" sulla responsabilità dell'indagato» in ordine ai reati addebitati.
In altri termini, in sede cautelare gli indizi non devono essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio di merito, dall'art. 192, comma 2, cod. proc. pen.
Ciò lo si desume con chiarezza dal fatto che l'art. 273, comma lbis, cod. proc. pen. richiama i commi 3 e 4 dell'art. 192, cod. proc. pen., ma non il comma 2 del medesimo articolo, il quale oltre alla gravità, richiede la precisione e concordanza degli indizi (così univocamente questa Corte, ex plurimis Sez. 2, n. 26764 del 15.3.2013, Ruga, rv. 256731; sez. 6 n. 7793 del 5.2.2013, Rossi, rv. 255053; sez. 4 n. 18589 del 14.2.20 13, Superbo, rv. 255928).

4. Se questi sono i canoni ermeneutici cui questa Corte di legittimità è ancorata, va rilevato che nel caso all'odierno esame non risulta essersi verificata né violazione di legge e nemmeno vizio di motivazione rilevante ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.
La motivazione del tribunale del riesame è stata prospettata in concreto e diffusamente in modo logico, senza irragionevolezze, con completa e coerente giustificazione di supporto alla affermata persistenza della misura e della sua adeguatezza.
Come ricorda il provvedimento impugnato, il presente procedimento trae origine da una più ampia indagine condotta dalla Procura di Castrovillari, che ha fatto emergere l'esistenza di un radicato circuito di sfruttamento del lavoro ai danni di numerosi soggetti di nazionalità rumena o extracomunitari (questi ultimi spesso reclutati nei centri di accoglienza o, comunque, privi dei permessi di soggiorno).
L'accertamento investigativo ha preso le mosse da un controllo effettuato in data 5/10/2017 dai militari della Guardia di Finanza a carico di un veicolo FIAT Scudo, condotto da G.A. e a bordo del quale erano presenti n. 7 braccianti agricoli. Escussi a s.i.t., questi ultimi hanno dichiarato di percepire una retribuzione pari a 28 euro al giorno per la raccolta delle fragole e di corrispondere 6 euro all'autista, G.A., per il trasporto sul luogo di lavoro. Si è allora proceduto ad una intensa attività di intercettazione, corredata da servizi di osservazione e pedinamento, localizzazioni GPS, acquisizioni documentali ed assunzione di sommarie informazioni. Ne è fuoriuscito un quadro indiziario grave ed univocamente attestante plurime e reiterate condotte di sfruttamento ed utilizzazione di manodopera in violazione delle prescrizioni giuslavoristiche e realizzate anche in forma associativa nei territori di Calabria e Basilicata.
In questo quadro, è emersa anche la figura di A.J., cui si contesta di avere, in concorso con altri, reclutato manodopera, allo scopo di destinarla presso l'azienda agricola R.M.. in Policoro, in condizioni di sfruttamento
- attesa la reiterata corresponsione di retribuzioni difformi dai contratti collettivi nazionali o territoriali e, comunque, sproporzionate rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato, la reiterata violazione della normativa relativa all'orario di lavoro, ai periodi di riposo, al riposo settimanale, all'aspettativa obbligatoria e alle ferie, la sussistenza di violazioni delle norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro, la sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, a metodi di sorveglianza ed a situazioni alloggiative degradanti - approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori i quali, invero, attese le precarie condizioni economiche ed avendo la necessità di provvedere ai loro bisogni, erano costretti ad accettare le prefate condizioni di lavoro.
I giudici del gravame della cautela, nell'esaminare il provvedimento impugnando, ricordano come la gravità indiziaria in ordine agli ipotizzati reati sia stata desunta nel caso che ci occupa dal dato costituito dalle intercettazioni, analiticamente riportate nell'ordinanza cautelare (cui rinviano) e dal servizio di o.c.p.
Da esso emerge chiaramente l'attività di intermediazione posta in essere dall'A.J. nei confronti del datore di lavoro R.M., per come desumibile dalle circostanze di fatto di seguito riportate.
L'indagato reclutava braccianti per conto di R.M., il quale non aveva alcun contatto diretto con i predetti, per come si evince dalla conversazione n. 117 del 25/2/2018 tra il R.M. e l'A.J., nel corso della quale il R.M. fa presente all'A.J. che, per lunedì, ha bisogno di braccianti (femmine e maschi) da impiegare nella raccolta delle fragole; quindi, gli chiede di portare i documenti dei reclutati per procedere con le assunzioni. L'A.J. replica che lui non ci sarà e che al suo posto ci sarà M.I.. Nello stesso senso si veda anche la conversazione n. 1669 del 24/3/2018 intercorsa ancora una volta fra Il R.M. e l'A.J..

L'indagato provvede anche al loro trasporto, per come confermato dalla stessa difesa e dalle dichiarazioni rese dalle persone sentite in sede di investigazioni difensive.
Particolarmente significativa viene ritenuta dai giudici del gravame cautelare anche la conversazione n. 316 del 2/3/2018, trascritta nel provvedimento impugnato.
Viene evidenziato, poi, come sia l'odierno ricorrente a predisporre la documentazione dei braccianti da lui reclutati, consegnandola a R.M. (il richiamo è alla conversazione n. 117 del 25/2/2018). E come sia ancora 'A.J. che chiede al R.M. di corrispondere l'acconto ai lavoratori (come si evince dalla conversazione n. 1235 del 17/3/2018).
Per quanto riguarda l'importo della retribuzione corrisposta, i giudici catanzaresi evidenziano che dalle intercettazioni riportate - nell'ordinanza impugnata - con riferimento alla posizione del datore di lavoro, R.M., si evince che il bracciante S. ha riferito di lavorare per l'azienda agricola di R.M. e di non conoscere la propria retribuzione per la raccolta delle fragole. I., S. e L. hanno dichiarato di non conoscere la retribuzione attuale, mentre quella dell'anno precedente era di 29 euro. Anche J. e I., i quali pure, a seguito di un controllo effettuato nei confronti dell'G.A., riferivano di aver lavorato e di essere retribuiti da R.M., hanno riferito di non conoscere la propria paga giornaliera. Dichiarazioni di identico tenore rendeva St., sentita durante il controllo del 19/3/2019.
Che la retribuzione corrisposta da R.M. ai singoli braccianti sia quella suindicata emerge ulteriormente da alcuni dialoghi intercettati sulle utenze in uso agli stessi indagati (il provvedimento impugnato richiama per esempio, le conversazioni n. 1771 del 26/3/2018, n. 1605 del 23/3/2018 e n. 1700 del 25/3/2018). Dalle risultanze investigative viene fuori, infatti, il ruolo assunto dall'indagato cui il R.M. delega il reclutamento e la gestione degli operai reclutati, che predispone la documentazione per l'assunzione e percepisce direttamente il compenso da distribuire ai braccianti da lui reclutati (non risulta infatti la contrattazione diretta dei braccianti con il datore di lavoro).
Il ruolo di caporale dell'A.J. - come emerge nella logica motivazione del giudice del gravame cautelare- emerge invero plasticamente dalle intercettazioni analizzate dal giudice per le indagini preliminari, occupandosi l'A.J. di tutti gli aspetti del rapporto lavorativo, al punto da ricevere piena fiducia dal datore di lavoro, il quale a lui si rivolge anche al fine di selezionare la manodopera (uomini o donne). Come visto, peraltro, l'A.J. si occupa di condurre lui stesso i lavoratori sul posto di lavoro, quando M.I. non è disponibile.

E' di tutta evidenza come sia ininfluente che con l'M.I. esista un rapporto di parentela o meno. Come rileva il tribunale catanzarese, in un simile contesto e alla luce del compendio intercettivo di cui si è dato conto, appare del tutto irrilevante la circostanza che l'A.J. e l'M.I. non fossero fratelli, trattandosi comunque di soggetti che hanno dimostrato di intrattenere un assiduo rapporto di collaborazione nel reclutamento dei lavoratori da destinare all'azienda agricola di R.M.. Quanto alle condizioni di sfruttamento, possono richiamarsi le valutazioni del giudice per le indagini preliminari in relazione all'irrisorietà della retribuzione corrisposta ai braccianti (tra i 26,00 e i 29,00 curo al giorno) notevolmente inferiore a quella - pari a 37,51 curo giornalieri - prevista dalla contrattazione collettiva di settore (si veda il contratto provinciale di Matera valido dall'l/1/2017 al 31/12/2019) e corrisposta direttamente dal caporale.
Il provvedimento impugnato motiva logicamente e compiutamente in tema di sfruttamento e stato di bisogno dei lavoratori (pagg. 5-6 del provvedimento impugnato). Dal complesso di tali elementi, emerge quindi in modo evidente come i lavoratori fossero oltremodo sfruttati sul lavoro, lavorando ogni giorno per otto ore e percependo compensi assolutamente inadeguati, vieppiù avuto riguardo alla natura usurante del lavoro prestato. In un simile contesto le dichiarazioni rese dalle persone sentite in sede di investigazioni difensive non scalfiscono il panorama di gravità di indiziaria: non può infatti fondatamente e ragionevolmente ritenersi che l'indagato - che pure svolgeva le mansioni di bracciante agricolo - si accollasse il compito di trasportare i braccianti sul luogo di lavoro e di riaccompagnarli presso le loro dimore senza percepire alcun compenso aggiuntivo. E pur volendo ritenere veritiere le dichiarazioni rese dai braccianti sentiti in sede di investigazioni difensive, secondo cui l'A.J. non avrebbe mai preteso da loro alcun compenso per il trasporto, tale circostanza può addebitarsi al rapporto di amicizia di vecchia data che entrambi i braccianti sentiti hanno riferito di intrattenere con l'A.J. che conoscevano anche prima di venire in Italia.
Quello che rileva è se l'attività di reperimento e trasporto dei lavoratori sul luogo di lavoro, tipica del caporale, attività che peraltro il ricorrente non contesta di effettuare, la svolgesse, come appare dalle intercettazioni, per conto del R.M..
Il provvedimento impugnato dà conto ampiamente, con una motivazione priva di aporie logiche, del grave quadro indiziario a carico dell'odierno ricorrente, che appare ben lungi dall'essere il mero autista di cui alla tesi difensiva.

5. Debitamente e congruamente motivata -diversamente da quanto si sostiene in ricorso- è, inoltre, la sussistenza del reato di cui all'incolpazione provvisoria ed alla sua attribuibilità all'imputato.

Corretto appare il richiamo al principio - che va qui ribadito- secondo cui ai fini dell'integrazione del delitto di cui all' art. 603-bis c.p., è sufficiente la sussistenza di anche uno soltanto degli indici dello sfruttamento presenti nella disposizione e l'approfittamento dello stato di bisogno dei lavoratori può ricavarsi dalla condizione di clandestinità degli stessi, che li rende disposti a lavorare in condizioni disagevoli (cfr. Sez. 5 n. 17939 del 12/1/2018, Svolazzo ed altro, n.m.).
Per contro, va ricordato che di recente questa Corte di legittimità ha affermato il condivisibile principio che La mera condizione di irregolarità amministrativa del cittadino extracomunitario nel territorio nazionale, accompagnata da situazione di disagio e di bisogno di accedere alla prestazione lavorativa, non può di per sé costituire elemento valevole da solo ad integrare il reato di cui all'art. 603-bis cod. pen. caratterizzato, al contrario, dallo sfruttamento del lavoratore, i cui indici di rilevazione attengono ad una condizione di eclatante pregiudizio e di rilevante soggezione del lavoratore, resa manifesta da profili contrattuali retributivi o da profili normativi del rapporto di lavoro, o da violazione delle norme in materia di sicurezza e di igiene sul lavoro, o da sottoposizione a umilianti o degradanti condizioni di lavoro e di alloggio (cfr. Sez. 4, n. 27582 del 16/09/2020, Savoia, Rv. 279961, fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza che aveva affermato la responsabilità del "caporale" e del datore di lavoro, essendo lo sfruttamento evincibile dalla penosa situazione personale e abitativa degli extracomunitari, dalla durata oraria della prestazione, svolta senza dotazioni di sicurezza e corsi di formazione e senza fruizione del riposo settimanale, nonché dall'entità della retribuzione, decurtata sensibilmente per spese affrontate dal datore di lavoro).
Le censure di vizio di motivazione e violazione di legge, elevate avverso l'ordinanza impugnata, con riferimento alla ravvisata sussistenza di un quadro di gravità indiziaria a carico di A.J., sono dunque del tutto destituite di fondamento, alla luce dell'oggettiva ed inequivoca valenza indiziaria delle conversazioni intercettate, correttamente interpretate dal Tribunale del riesame in relazione al contesto di riferimento ed alle altre emergenze in atti.
Non può dunque dirsi che difetti, come si sostiene invece con il ricorso, la risposta del Tribunale su punti essenziali e/o qualificanti, a supporto della individuazione in A.J. di un reclutatore di manodopera, da destinare al lavoro presso l'azienda di R.M., in condizioni di sfruttamento, nella evidenziata inconsistenza della tesi difensiva volta a ricondurre il ruolo di A.J. a quello, a sua volta, di mero bracciante, demandato anche al trasporto degli altri lavoratori.

6. Il provvedimento impugnato si rileva del tutto logico e coerente anche in relazione alla sussistenza delle esigenze cautelari.

Va ricordato che nel sistema processualpenalistico vigente, così come non è conferita a questa Corte di legittimità alcuna possibilità di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, né dello spessore degli indizi, non è dato nemmeno alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche del fatto o di quelle soggettive dell'indagato in relazione all'apprezzamento delle stesse che sia stato operato ai fini della valutazione delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate. Si tratta, infatti, di apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice cui è stata chiesta l'applicazione della misura, nonché, in sede di gravame della stessa, del tribunale del riesame.
Quanto alle esigenze cautelari ed alla loro attualità, l'art. 274, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. - che qui interessa, essendo la misura stata confermata in relazione a tale esigenza - come novellato dalla legge n. 47/2015 stabilisce, dunque, che le misure cautelari personali possono essere disposte - con riferimento al pericolo di reiterazione di reati della stessa specie di quello per cui si procede (evenienza ravvisata nel caso in esame) - soltanto quando il pericolo medesimo presenta i caratteri della concretezza e dell'attualità, ricavabili dalle specifiche modalità e circostanze del fatto e dalla personalità della persona sottoposta alle indagini o dell'imputato, desunta da comportamenti o atti concreti o dai suoi precedenti penali; con l'ulteriore precisazione - ancora introdotta dalla L. n. 47 del 2015 - per cui le situazioni di concreto e attuale pericolo, anche in relazione alla personalità dell'imputato, non possono essere comunque desunte esclusivamente dalla gravità del titolo di reato per cui si procede.
La ratio dell'intervento legislativo (che, peraltro, investe numerose altre norme di cui allo stesso Libro IV, titolo I, da leggere tutte nella medesima ottica) deve esser individuata nell'avvertita necessità di richiedere al giudice un maggiore e più compiuto sforzo motivazionale, in materia di misure cautelari personali, quanto all'individuazione delle esigenze cautelari di cui all'art. 274, lett. c), cod. proc. pen., in ordine alle quali, quindi, non risulta più sufficiente il requisito della concretezza ma si impone anche quello dell'attualità. In realtà, relativamente al pericolo di reiterazione, la nuova disposizione non ha fatto altro che codificare lo ius receptum di questa Corte di legittimità (cfr. ex multis questa Sez. 4, n. 34271 del 3/7/2007, Cavallari, Rv. 237240; Sez. 2, n. 49453 dell'S/10/2013, Scortechini e altro, Rv. 257974) che aveva ritenuto imprescindibile un giudizio prognostico basato su dati concreti, che ben possono essere tratti dagli aspetti fattuali della vicenda, come dimostra l'incipit della lett. c) dell'art. 274 cit. ("specifiche modalità e circostanze del fatto"; personalità dell'imputato o indagato "desunta da comportamenti o atti concreti o dai suoi precedenti penali").

Rimane tuttavia valido il principio, anche in precedenza affermato da questa Corte, che il pericolo di reiterazione criminosa vada valutato in ragione delle modalità e circostanze del fatto e della personalità dell'imputato (cfr. per tutte Sez. 3, n. 14846 del 5/3/2009, Pincheira, Rv. 243464, fattispecie di misura cautelare applicata per il delitto di violenza sessuale ai danni di un minore, in cui la Corte ha annullato per illogicità e contraddittorietà della motivazione l'ordinanza del tribunale del riesame che, nell'attenuare la misura cautelare, aveva sostenuto che essendo la condotta delittuosa collegata ad un solo soggetto passivo, non appariva verosimile che il reo potesse reiterarla in danno di altre persone).
Più precisamente, la sussistenza del concreto pericolo di reiterazione dei reati, di cui all'art. 274 comma primo lett. c) cod. proc. pen., può e deve essere desunta sia dalle specifiche modalità e circostanze del fatto, che dalla personalità dell'imputato, valutata sulla base dei precedenti penali o dei comportamenti con­ creti, attraverso una valutazione che, in modo globale, tenga conto di entrambi i criteri direttivi indicati (Sez. 4, Sentenza n. 37566 del 01/04/2004 Cc. dep. 23/09/2004 Rv. 229141). Ed è stato, in più occasioni, anche condivisibilmente sottolineato come nulla impedisca di attribuire alle medesime modalità e circo­ stanze di fatto una duplice valenza, sia sotto il profilo della valutazione della gravità del fatto, sia sotto il profilo dell'apprezzamento della capacità a delinquere.
In altri termini, le specifiche modalità e circostanze del fatto ben possono essere prese in considerazione anche per il giudizio sulla pericolosità dell'indagato, ove la condotta serbata in occasione di un reato rappresenti un elemento specifico assai significativo per valutare la personalità dell'agente (cfr., ex plurimis, Sez. 2 n. 35476/07). Nello specifico, è stato più volte affermato come ai fini dell'individuazione dell'esigenza cautelare di cui all'art. 274, lettera c), cod. proc. pen., il giudice possa porre a base della valutazione della personalità dell'indagato le stesse modalità del fatto commesso da cui ha dedotto anche la gravità del medesimo (Sez. 1 n. 8534 del 9/1/2013, Liuzzi, Rv. 254928; Sez. 5 n. 35265 del 12/3/2013, Castelliti, Rv. 255763) ..

7. Tornando all'intervento riformatore del 2015, questa Corte di legittimità, in più pronunce sul punto, ha condivisibilmente chiarito (vedasi, soprattutto, Sez. 4 n. 43880 del 4/7/2017 El Mouttaqi Raquid, non mass.) che il requisito dell'attualità del pericolo di reiterazione del reato di cui all'art. 274, lett. c), cod. proc. pen., nel testo introdotto dalla legge 16 aprile 2015, n. 47, richiede una valutazione prognostica circa la probabile ricaduta nel delitto, fondata sia sulla permanenza dello stato di pericolosità personale dell'indagato dal momento di consumazione del fatto sino a quello in cui si effettua il giudizio cautelare, desumibile dall'analisi soggettiva della sua personalità, sia sulla presenza di condizioni oggettive ed "esterne" all'accusato, ricavabili da dati ambientali o di contesto - quali le sue concrete condizioni di vita in assenza di cautele - che possano attivarne la latente pericolosità, favorendo la recidiva, conseguendone che il pericolo di reiterazione è attuale ogni volta in cui sussista un pericolo di recidiva prossimo all'epoca in cui viene applicata la misura, seppur non imminente (cfr. Sez. 2, n. 53645 del 8/9/2016, Lucà, Rv. 268977 nella cui motivazione, la Corte ha precisato che la valutazione prognostica non può estendersi alla previsione di una "specifica occasione" per delinquere, che esula dalle facoltà del giudice; Sez. 2, n. 47619 del 19/10/2016, Esposito, Rv. 268508; Sez. 2, n. 11511 del 14/12/2016 dep. il 2017, Verga, Rv. 269684).
Orbene, nel caso che ci occupa il tribunale calabrese - che peraltro ha attenuato la misura degli arresti domiciliari inizialmente irrogata sostituendola con l'obbligo di dimora - appare avere assolto al suo onere motivazionale in relazione alle specifiche modalità e circostanze del fatto e alla personalità dell'odierno ricorrente, avuto riguardo all'intensità dell'attività di reclutamento monitorata dalle intercettazioni e al tenore assolutamente confidenziale e fiduciario delle conversazioni tra l'indagato e il R.M.; circostanze queste che hanno indotto i giudici della cautela a ritenere che l'attività di reclutamento e intermediazione non fosse iniziata, né limitata, al 2018. L'A.J., del resto, come rileva ancora il provvedimento impugnato, risulta destinatario di un controllo di polizia, in data 28/2/2017, per trasporto di manodopera bracciantile. Ciò attesta, secondo la logica motivazione del provvedimento impugnato, la risalenza dell'attività illecita e depone per la concretezza e attualità del pericolo di reiterazione, risultando immutata la situazione di fatto da cui è originato il delitto (attività svolta, esigenza di lavoratori per la raccolta, intento di lucrare sulla disponibilità dei soggetti reclutati illecitamente a lavorare in qualsiasi condizione).
Il provvedimento impugnato - soddisfacendo pienamente l'onere motivazionale richiesto- evidenzia dunque che non vi sono dubbi sulla spiccata pericolosità sociale dell'indagato, essendo elevato il pericolo che lo stesso, se lasciato libero, possa commettere reati della stessa specie.
La concretezza e attualità delle esigenze di cautela - va infatti ribadito- non deve essere concettualmente confusa con l'attualità e la concretezza delle condotte criminose, onde il pericolo di reiterazione di cui all'art. 274, comma primo, lett. c) cod. proc. pen., può essere legittimamente desunto dalle modalità delle condotte contestate, anche nel caso in cui esse siano risalenti nel tempo, ove persistano atteggiamenti sintomaticamente proclivi al delitto e collegamenti con l'ambiente in cui il fatto illecito contestato è maturato (cfr. Sez. 2, n. 9501 del 23/02/2016, Rv. 267785).

Le censure sollevate avverso la ravvisata sussistenza del pericolo di reiterazione criminosa sono state, dunque, adeguatamente e congruamente confutate, avendo i giudici del gravame cautelare puntualmente motivato valorizzando emergenze indicative di un datato e persistente operare in tal senso A.J., sulla base di consolidati rapporti fiduciari con la proprietà, nonostante la sua condizione di incensuratezza in Italia, in un contesto in cui l'occasione di reimpiegarsi in dette illecite attività è stata debitamente considerata, se non costante, comunque di sistematica ripresentazione (lavori stagionali in agricoltura) si palesano pertanto manifestamente infondate. E lo sono state anche quelle afferenti all'idoneità di una misura (obbligo di dimora) di contenuta afflittività, che non supera certo i limiti di adeguatezza rispetto all'esigenza da assicurare, apparendo del tutto logica e corretta la motivazione del provvedimento impugnato laddove evidenzia che l'inserimento dell'A.J. nel contesto economico-territoriale ove è originata e si è sviluppata la condotta illecita, in uno con l'ubicazione dell'azienda in Basilicata consentono l'applicazione dell'obbligo di dimora nel Comune ove l'indagato è domiciliato, misura efficace ad impedire l'ulteriore perpetrazione della condotta, poiché limitando gli spostamenti dell'indagato in altra regione ed impedendo contatti diretti con le aziende interessate, risulta idonea a bloccare il sistema delittuoso sopra delineato.. in punto di adeguatezza della misura, va ricordato che la consolidata giurisprudenza di legittimità valorizza l'importanza dei principi generali di proporzionalità e adeguatezza delle misure coercitive (articolo 275, comma 1, cod. proc .pen.), che impongono di prescegliere la misura più adatta a soddisfare le esigenze di cautela e, nel contempo, meno inutilmente invasiva della persona dell'indagato. Vale infatti la regola secondo cui, in materia di misure cautelari, a fronte della tipizzazione da parte del legislatore di un "ventaglio" di misure di gravità crescente, il criterio di "adeguatezza" di cui all'articolo 275, comma 1, cod. proc. pen., dando corpo al principio del "minore sacrificio necessario" (anche ribadito dalla Corte costituzionale, nella sentenza 22 luglio 2011 n. 231), impone al giudice di scegliere la misura meno afflittiva tra quelle astrattamente idonee a tute­ lare le esigenze cautelari ravvisabili nel caso di specie (cfr. Sez. Sez. Un., n. 20769 del 28/4/2016, Lovisi, Rv. 266650). Pertanto, nel provvedimento restrittivo è necessario indicare non soltanto gli elementi di fatto dai quali le esigenze caute­ lari sono desunte, ma anche le concrete e specifiche ragioni per le quali tali esigenze non possono essere soddisfatte con misure diverse dal carcere; prescrizione quest'ultima che assume particolare rilevanza ove coordinata con il disposto dell'articolo 275, comma 3, primo periodo, cod. proc. pen., che sottolinea la funzione residuale e "quasi eccezionale" della misura cautelare della custodia in carcere (così le citate SS.UU. Lovisi).

Il giudice si deve soffermare quindi sul profilo dell"'adeguatezza" della misura cautelare in concreto prescelta, anche se, ovviamente, qualora venisse applicata, perché ritenuta "adeguata", la misura della custodia in carcere, non è necessaria un'analitica dimostrazione delle ragioni che rendono inadeguata ogni altra misura, ma è sufficiente che il giudice indichi, con argomenti logico-giuridici tratti dalla natura e dalle modalità di commissione dei reati, nonché dalla personalità dell'indagato, gli elementi specifici che, nella singola fattispecie, fanno ragionevolmente ritenere la custodia in carcere come la misura più adeguata ad impedire la prosecuzione dell'attività criminosa, rimanendo in tal modo superata ed assorbita l'ulteriore dimostrazione dell'inidoneità
Ciò risulta in continuità con quanto pacificamente affermato anche in precedenza dalla giurisprudenza di questa Suprema Corte che in tema di scelta e adeguatezza delle misure cautelari, ai fini della motivazione del provvedimento di custodia in carcere, non è necessaria un'analitica dimostrazione delle ragioni che rendono inadeguata ogni altra misura, ma è sufficiente che il giudice indichi, con argomenti logico-giuridici tratti dalla natura e dalle modalità di commissione dei reati nonché dalla personalità dell'indagato, gli elementi specifici che inducono ragionevolmente a ritenere la custodia in carcere come la misura più adeguata al fine di impedire la prosecuzione dell'attività criminosa, rimanendo in tal modo assorbita l'ulteriore dimostrazione dell'inidoneità delle altre misure coercitive (Sez. 6, n. 17313 del 20/4/2011, Cardani, Rv. 250060; conf. Sez. 1, n. 45011 del 26/9/2003, Villani, Rv. 227304). In altra pronuncia era stato condivisibilmente sottolineato che in tema di criteri di scelta delle misure cautelari, è immune da censure la decisione con cui il giudice di merito rigetti l'istanza di sostituzione della misura cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari, sulla base di elementi specifici inerenti al fatto, alle sue motivazioni ed alla personalità del soggetto che indichino quest'ultimo come propenso all'inosservanza dell'obbligo di non allontanarsi dal domicilio, in violazione delle cautele impostegli, trattandosi di sog­ getto violento e proclive a reati commessi mediante l'uso di violenza personale; e questo ancorché la previsione di cui all'art. 275 cod. proc. pen. non ponga a carico del giudice l'obbligo di una motivazione analitica sull'inadeguatezza di ogni altra misura cautelare (nella specie arresti domiciliari), essendo a tal fine sufficiente e necessario che egli dimostri che l'unica misura adeguata ad impedire la prosecuzione dell'attività criminosa è la permanenza in carcere (Sez. 5, n. 9494 del 19/10/2005 dep. il 2006, Pannone, Rv. 233884).

8. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo
 

P.Q.M.
 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 12 maggio 2021