Cassazione Penale, Sez. 4, 23 luglio 2021, n. 28724 - Deflagrazione di vapori infiammabili
- Atmosfera esplosiva
- Committente
- Contratti d'appalto, d'opera e di somministrazione
- Valutazione dei Rischi
Presidente: PICCIALLI PATRIZIA
Relatore: FERRANTI DONATELLA
Data Udienza: 14/07/2021
Fatto
1. Il 22.11.2019 la Corte d'appello Firenze, ha dichiarato inammissibile l'istanza di revisione della sentenza emessa dalla Corte d'Appello di Perugia n.12287/2013 a carico di DP.G. che, in parziale riforma della sentenza di primo grado pronunciata dal Tribunale di Spoleto, dopo aver assolto l'imputato dal reato di omessa adozione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, perché il fatto non costituisce reato, e aver dichiarato non doversi procedere in relazione al reato di cui all'art. 674 c.p., in ragione dell'intervenuta prescrizione, ha rideterminato la pena nei confronti dell'imputato (anche a seguito di una rivalutazione delle circostanze), in relazione alle residue imputazioni di omicidio colposo plurimo, lesioni colpose e di incendio colposo, stabilendola nella misura di cinque anni e quattro mesi di reclusione.
1.1.Va precisato che la sentenza sopra indicata era stata annullata con rinvio con la sentenza n. 36024/15 della Corte di Cassazione per la rideterminazione della pena e la conferma delle statuizioni civili, a seguito della dichiarata estinzione per prescrizione dei reati di incendio colposo e lesioni colpose.
2. La Corte d'appello di Firenze in sede di rinvio, con la sentenza n. 3711 del 2017, ha rideterminato la pena riducendola per il delitto di cui all'art. 589 comma 2 e 4 cod.pen ad anni quattro e mesi nove e giorni 15 di reclusione oltre alla sanzione accessoria dell'interdizione temporanea dai pubblici uffici. La Corte di Cassazione Sez. 3, con la sentenza n. 29968 del 22.02. 2019, ha dichiarato inammissibile i ricorso, così determinando la irrevocabilità della condanna di DP.G..
2.1. La domanda avanzata ai sensi dell'art. 630 lett. c) cod.proc.pen. si basa, secondo l'istante sui seguenti nuovi elementi che, sebbene preesistenti non sarebbero stati apprezzati dal Giudicante; si tratta in particolare dei filmati delle telecamere della videosorveglianza rivisti ed esaminati attraverso un sistema tecnico innovativo in uso all'Istituto Luce di Roma che consente di ritenere che l'infortunio, diversamente da quanto affermato dalla Corte di appello di Perugia, sarebbe stato cagionato da un errore tecnico operativo ascrivibile all'impresa appaltatrice e in particolar modo al gruista che, nel ritrarre la fune dalla gru, non avrebbe controllato che la stessa fosse stata sganciata dalla passerella che da terra era stata portata sulla sommità del serbatoio 95 e ivi solidarizzata.
3. Avverso il citato provvedimento che ha dichiarato la inammissibilità della istanza di revisione, ha proposto ricorso per cassazione DP.G., a mezzo del difensore, lamentando quanto segue:
I) violazione e falsa applicazione della legge in quanto la Corte di appello di Firenze ha applicato erroneamente l'art. 599 e 127 cod.proc.pen facendo partecipare le parti civili alla discussione senza che ne avessero titolo; la Corte doveva delibare preliminarmente l'ammissibilità della istanza di revisione senza entrare nel merito del giudizio; a DP.G. sono state negate le garanzie difensive dell'art. 636 cod. proc. pen. in quanto la Corte ha proceduto ad un giudizio sommario senza aver provveduto al decreto di citazione. Chiede pertanto l'annullamento con rinvio ad altra Sezione perché si pronunci sull'ammissibilità della richiesta di revisione senza l'intervento della parti. civili, persone offese nel procedimento conclusosi con sentenza irrevocabile di condanna;
Il) violazione dell'art. 629 cd.proc.pen. in quanto la Corte territoriale ha affermato che l'istanza al momento della sua proposizione era inammissibile in quanto la sentenza di condanna era divenuta irrevocabile solo successivamente alla pronuncia della sentenza 29968/19 del 9.07.2019 che aveva dichiarato inammissibile il ricorso avverso la sentenza della Corte di appello di Firenze in sede di rinvio. Deduce che in tema di giudicato progressivo in considerazione della irrevocabilità dell'affermazione di responsabilità derivante dalla sentenza della Corte di Cassazione del 3.06.2015 doveva ritenersi ammissibile l'istanza di revisione;
III) violazione di legge in relazione alla valutazione della prova nuova alla luce delle attuali acquisizioni scientifiche e tecniche. La Corte territoriale ha omesso di valutare la relazione tecnica dell'Ing Col. del 22.06.2017 e quella termodinamica del prof. Car. che smentiscono la ricostruzione della dinamica dell'infortunio fatta propria dai Giudici di merito e formulano una diversa sequenza degli accadimenti analiticamente descritta a fol 14 e 15 del ricorso che consente di escludere che l'evento sia stato cagionato dalla pretesa saldatura e esplosione alle ore 12,00 in quanto nessuna saldatura era in corso a quell'ora come rilevato dalla nuova visione delle videoregistrazioni con sistemi più avanzati bensì l'esplosione è avvenuta un'ora dopo sul serbatoio 93 e 94 per effetto del calore derivate dall'incendio dell'olio fuoriuscito dal serbatoio 95 perchè divelto e lacerato dal gruista a seguito di una manovra abnorme imprevista e imprevedibile;
IV) violazione di legge con riferimento all'art. 522 cod.proc.pen. in quanto la sentenza impugnata ha dichiarato inammissibile l'istanza anche ove fosse fondata la dinamica del sinistro descritta dai consulenti del ricorrente sulla base di un profilo di colpa mai contestato e nuovo relativo al non aver reso noto al gruista le condizioni precarie della base del mantello cilindrico del serbatoio e da li quindi da dar luogo a lacerazioni;
V) violazione di legge con riferimento all'art. 41 comma 2 cod.pen. all'art. 1655 cod. civ e 7 Dlgs 626/94 in quanto la Corte di appello non si è mai pronunciata con riferimento al comportamento abnorme del gruista che assurge a comportamento eccezionale atipico e imprevedibile, causa sopravvenuta da sola idonea a determinare l'evento; tanto più che il committente sul piano giuridico è esente da responsabilità trattandosi di esclusivo rischio specifico dell'impresa appaltatrice. La Corte di Appello di Firenze ha operato una valutazione in concreto della rilevanza dei nuovi elementi probatori addotti; non limitandosi a valutarne l'ammissibilità in astratto dell'istanza di revisione.
Diritto
1. Il ricorso è inammissibile.
1.1. Il primo motivo è manifestamente infondato. Deve essere condiviso l'assunto espresso in altre pronunce di questa Corte Sez. 6 - , n. 6507 del 05/12/2018 Ud. (dep. 11/02/2019 ) Rv. 275035 - 01; Sez. 6 n. 15798 del 2014, secondo la quale " È consolidato nella giurisprudenza di legittimità l'orientamento per il quale, una volta introdotta la fase del dibattimento - come nella fattispecie è accaduto - la parte civile già costituitasi nel giudizio conclusosi con la sentenza oggetto della richiesta di revisione, ben possa interloquire sull'ammissibilità della relativa richiesta (Sez. U, n. 624/02 del 26/09/2001, P.G. e P.C. in proc. Pisano, Rv. 220442).
Nel caso di specie la Corte di appello non ha ritenuto di procedere al vaglio di ammissibilità mediante la procedura de plano di cui all'art. 634 cod.proc.pen, ma, trattandosi di questione complessa, ha rimesso la trattazione dell'istanza in sede di giudizio con la garanzia del contraddittorio ( SU 15189/12 Dander) ai sensi dell'art. 636 cod.proc.pen; in tale sede poiché la condanna di DP.G. ha comportato effetti giuridici per la parte civile, per il responsabile civile, il Presidente della corte di appello ha correttamente notificato il decreto di citazione alle parti private.
1.2. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato. La Corte territoriale ha fatto corretta applicazione del principio riaffermato di recente da questa Corte secondo cui "È inammissibile la richiesta di revisione di una sentenza di condanna che risulti definitiva con riferimento all'"an" della colpevolezza e non anche al "quantum" della pena, giacché per sentenza irrevocabile, agli effetti dell'art. 629 cod. proc. pen., deve intendersi soltanto quella interamente passata in giudicato, in relazione alla quale è definitivamente preclusa l'incidenza di una modifica normativa che dovesse sopravvenire nelle more del giudizio di rinvio." Sez. 1, n. 5880 del 08/01/2021 Cc. (dep. 15/02/2021 ) Rv. 280791 - 01.Tale affermazione di principio comporta che nel caso in cui sia divenuta definitiva la statuizione sull'an della colpevolezza dell'imputato, ma sia ancora sub iudice la decisione sul quantum della pena, non può essere presentata istanza di revisione con riguardo al giudicato parziale formatosi sulla colpevolezza (Sez. 5 n. 40941 del 19/09/2013, Rv. 257249): per sentenza irrevocabile, agli effetti dell'art. 629 del codice di rito, deve intendersi, infatti, soltanto quella interamente passata in giudicato. Né, al fine di contraddire la correttezza giuridica di tale orientamento, possono efficacemente invocarsi i principi affermati da questa Corte in tema di formazione progressiva del giudicato, sui quali la difesa del ricorrente ha particolarmente insistito nella memoria trasmessa via pec del 22.12.2020, i quali attengono al diverso profilo della eseguibilità dei capi della sentenza che non abbiano costituito oggetto di annullamento da parte della Corte di cassazione e che non siano in connessione essenziale con la parte della sentenza di merito attinta dall'annullamento parziale, e sempreché - come di recente statuito dalle Sezioni Unite di questa Corte (udienza 29/10/2020, informazione provvisoria n. 20) - abbiano acquisito autorità di cosa giudicata sia l'affermazione di responsabilità, anche in ordine alle circostanze del reato, sia la determinazione della pena principale, essendo questa immodificabile nel giudizio di rinvio e individuata alla stregua delle sentenze pronunciate in sede di cognizione. Ciò che assume valenza decisiva agli effetti della proponibilità dell'istanza di revisione, infatti, non è tanto l'eseguibilità della sentenza di condanna (posto, tra l'altro, che l'art. 629 cod.p roc.pen. consente la revisione anche se la pena sia divenuta ineseguibile per l'operatività di una causa di estinzione della stessa), quanto la formazione del giudicato formale che consegue soltanto, ex art. 648 del codice di rito, alla mancata impugnazione della sentenza o al definitivo esaurimento dei rimedi impugnatori esperibili avverso di essa. sopravvenire nelle more del giudizio di rinvio.
1.3. I motivi terzo, quarto e quinto del ricorso, che possono essere trattati congiuntamente, sono manifestamente infondati.
1.3.1. Ai fini del giudizio di revisione per "prova nuova" deve intendersi non solo la prova sopravvenuta alla sentenza definitiva di condanna e quella scoperta successivamente ad essa, ma anche quella non acquisita nel precedente giudizio ovvero la prova acquisita, ma non valutata neanche implicitamente, sempre che non si tratti di prove dichiarate inammissibili o ritenute superflue dal giudice (Cass., Sez. Un. 26 settembre 2001, Pisano) .
1.3.2. Quando la richiesta di revisione è proposta, come nel caso in esame, sulla base dell'asserita esistenza di una "prova nuova" nel senso in precedenza indicato, la valutazione del giudice deve avere ad oggetto non solo l'affidabilità della dedotta circostanza, ma anche la persuasività e la congruenza della stessa nel contesto probatorio già acquisito in sede dì cognizione. La fase dell'accertamento implica una delibazione dei nuovi elementi di prova addotti così da stabilire se essi appaiono idonei ad incidere in senso favorevole alla tesi dell'istante sulla valutazione delle prove a suo tempo raccolte e, nello stesso tempo, giustifichino la ragionevole previsione che essi, da soli o congiuntamente a quelli già esaminati nel corso del processo conclusosi con la sentenza di condanna, possano condurre al proscioglimento. La valutazione del giudice deve avere oggetto non solo l'affidabilità della nuova prova, ma anche la persuasività e la congruenza della stessa nel contesto già acquisito in sede di cognizione (Cass. 28.5.1996, rie. Caporosso, riv. 205685). Tale valutazione postula la comparazione delle nuove prove con quelle su cui si fonda la condanna irrevocabile, di cui occorre, quindi, identificare il tessuto logico-giuridico. La comparazione non richiede soltanto il confronto di ogni singola prova nuova, isolatamente presa, con quelle già esaminate, occorrendo, invece, che la pluralità delle prove riconosciute nuove sia valutata anche unitariamente, vagliandosi, in una prospettiva globale, l'attitudine dimostrativa di esse, da sole o congiunte a quelle del precedente giudizio, rispetto al risultato finale del proscioglimento. La valutazione del giudice impone un apprezzamento prognostico sull'esito possibile del giudizio di revisione in base alle nuove prove. Nell'economia di tale prognosi la comparazione tra le prove acquisite e oggetto di specifico giudizio e quelle che, pur se esistenti, non sono state apprezzate non può essere confinata nei termini dell'astrazione concettuale, ma deve ancorarsi alla realtà processuale e svilupparsi in termini realistici, così da non potere ignorare evidenti segni di inconferenza e/o inaffidabilità della prova nuova rilevabili ictu oculi.
1.3.3. Alla luce di questi principi il provvedimento impugnato è esente dai vizi denunciati. La Corte d'appello, infatti, in osservanza dell'obbligo generale stabilito dall'art. 125 c.p.p., comma 3 ha fornito una puntuale e ampia motivazione logica con cui ha dimostrato di avere esaminato le risultanze sottoposte alla sua decisione e ha indicato i motivi per i quali la documentazione definita prove "nuove" prodotte dal non fossero in grado di alterare o di mettere in discussione il quadro istruttorio sulla base del quale era stata affermata la penale responsabilità dell'istante.
In particolare ha affermato che:
- il materiale probatorio ricavato dai fotogrammi e i filmati dell'impianto di sorveglianza Umbra olii sia pure analizzato con l'ausilio dell'attuale tecnologia "coincide con quello già vagliato dai Giudici di merito nei due gradi di giudizio";
-che in realtà il ricorrente prospetta una diversa valutazione tecnico scientifica di dati già ampiamente valutati che si traduce in un apprezzamento critico di emergenze già conosciute e vagliate e si sostanzia in una rilettura di elementi di fatto già noti;
-il riversamento in HD alta definizione del contenuto di due Cd facenti già parte del fascicolo processuale che consentirebbe di percepire in maniera più nidita le immagini secondo la prospettazione del ricorrente non costituisce prova nuova in quanto la tecnologia in questione era già operativa ai tempi in cui furono celebrati i processi, non si tratta di nuovi strumenti tecnici sopravvenuti e non noti all'epoca delle indagini e del dibattimento; ma di elementi di indagine già noti e valutati anche nella prospettazione difensiva oggi rirpoposta;
-se anche l'evento fosse stato cagionato da un errore tecnico del gruista della ditta appaltatrice ( tesi peraltro ampiamente e congruamente valutata ed esclusa dal Giudice di merito v. fol ...) proprio la mancata comunicazione da parte del committente alla ditta appaltatrice delle condizioni del silos, in specie dei difetti del fondo del mantello cilindrico, evidenziati dallo stesso consulente della difesa, il mancato coordinamento nell'adozione delle misure di sicurezza sul cantiere che prevedeva la saldatura di una passerella tra i vari silos rafforzava la sussistenza del nesso causale già ritenuto e argomentato dai Giudici di merito e conseguentemente la responsabilità per colpa di DP.G. in relazione all'evento morte e lesioni de riportate dai lavoratori.
1.3.4. E' utile a tal proposito ripercorrere la vicenda processuale riportando i passi salienti della sentenza della Corte di cassazione Sez. 4 del 3.06.2015 n. 36024 che ha affermato e dichiarato la irrevocabilità della penale responsabilità di DP.G., in relazione al reato di cui all'art. 589 cod. pen.:
"con la sentenza resa in data 13/12/2011, il Tribunale di Spoleto aveva condannato DP.G. alla pena di sette anni e sei mesi di reclusione, nonché, in solido con la responsabile civile Gestoil s.r.l. (già Umbria Olii s.p.a.), al risarcimento dei danni in favore delle diverse parti civili costituite, in relazione alla commissione dei reati di omicidio colposo plurimo e lesioni colpose, omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, incendio colposo e getto pericoloso di cose, tutti commessi in Campello sul Clitunno, il 25/11/2006.
In estrema sintesi, al DP.G. - nella qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Umbria Olii S.p.A., società esercente attività di raffinazione di oli vegetali - era stata ascritta la causazione del decesso di G.C., M. M., T.M. e V.T., nonché delle lesioni personali a carico di K.D., avvenuti in conseguenza di una deflagrazione di vapori infiammabili contenuti nel serbatoio di olio di sansa grezza n. 95, posto nell'area di stoccaggio dell'impianto della Umbria Olii s.p.a. in Campello sul Clitunno; serbatoio in corrispondenza del quale le vittime stavano realizzando, mediante saldatura sul relativo tetto, un sistema di passerelle in esecuzione di un appalto conferito dalla Umbria Olii alla ditta individuale di M.M.. Secondo il Tribunale spoletino, il DP.G. doveva ritenersi altresì responsabile dell'omessa dotazione dell'area di stoccaggio degli olii vegetali (tra i quali l'olio di sansa grezza) di un adeguato impianto antincendio, nonché dell'omessa dotazione, dei serbatoi contenenti i prodotti, di un sistema di sicurezza per l'inertizzazione e il controllo delle atmosfere esplosive, nonché di un sistema di rilevazione della presenza di vapori infiammabili e di altre misure idonee a evitare i pericoli di esplosione all'interno dei serbatoi e nelle altre aree a rischio di spandimenti; fatti commessi con l'aggravante di aver cagionato il descritto infortunio mortale plurimo, oltre a un incendio secondario alla descritta esplosione (anch'esso imputato al DP.G. a titolo di colpa), determinatosi a seguito della fuoriuscita dell'olio contenuto nel serbatoio n. 95, seguito dall'esplosione dei serbatoi n. 94 e n. 93, dai quali era fuoriuscito ulteriore olio, con successiva recrudescenza dell'incendio, domato solamente dopo tredici ore con l'impiego di numerosi vigili del fuoco e di notevoli quantità di mezzi di spegnimento. Da ultimo, all'imputato era stato attribuito lo sversamento, penalmente rilevante ai sensi dell'art. 674 c.p., di notevoli quantità di oli vegetali, compresi gli oli di sansa grezza con presenza di residui di solventi, che dallo stabilimento industriale si erano riversati a valle sulla S.S. Flaminia e nel fiume Clitunno.
Con sentenza resa in data 8/11/2013, la Corte d'appello di Perugia, in parziale riforma della sentenza di primo grado, dopo aver assolto l'imputato dal reato di omessa adozione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, perché il fatto non costituisce reato, e aver dichiarato non doversi procedere in relazione al reato di cui all'art. 674 c.p., in ragione dell'intervenuta prescrizione, aveva rideterminato la pena nei confronti dell'imputato in relazione alle residue imputazioni di omicidio colposo plurimo, lesioni colpose e di incendio colposo, stabilendola definitivamente nella misura di cinque anni e quattro mesi di reclusione. La stessa Corte, riconosciuto il concorso di colpa di M.M., nella misura di un terzo, in relazione alla causazione dei reati di omicidio colposo plurimo, lesioni colpose e di incendio colposo, ha ridotto le somme già liquidate, in favore delle parti civili costituite quali congiunti del M., a titolo di provvisionale e di risarcimento del danno".
Si legge, ancora, nella sentenza della Corte di Cassazione sopra citata "che la Corte territoriale ha ricostruito, le scansioni del decorso causale sulla base di un discorso giustificativo dotato di adeguata coerenza logica e congruità argomentativa, elaborandone i passaggi in piena fedeltà al significato rappresentativo di tutti gli elementi probatori complessivamente acquisiti al giudizio. E invero, i giudici d'appello, dopo aver sottolineato le evidenze attestanti l'esplosione del serbatoio n. 95 (comprovata dall'obiettiva visione dei filmati registrati dalle telecamere di videosorveglianza, dal boato udito dai testi in occasione del sinistro, da/l'ascesa del serbatoio per circa una decina di metri, nonché dall'immediato sviluppo delle fiamme), ha di seguito dato conto degli elementi di prova in forza dei quali è stata raggiunta la dimostrazione che, al momento della deflagrazione, sul serbatoio n. 95 erano in corso operazioni di saldatura. Al riguardo, la corte territoriale ha sottolineato la situazione di urgenza che, al novembre del 2006 (epoca del fatto), si era venuta a creare al fine di provvedere alla realizzazione del sistema delle passerelle sui serbatoi aziendali, essendo ormai prossima la scadenza del 31 dicembre 2006 imposta, dall'Agenzia delle Dogane, al fine di regolarizzare le modalità dei accesso ai contenuti del deposito doganale gestito dall'Umbria Olii. Prima ancora dell'installazione delle passerelle sul serbatoio n. 95 (prevista per la data del 25/11/2006), erano state già realizzate quelle corrispondenti ad altri serbatoi posti all'esterno dei locali aziendali che, secondo la diretta constatazione dello stato dei luoghi (rappresentato anche dalle fotografie acquisite agli atti, scattate dopo il sinistro), erano state installate previa saldatura sul tetto dei serbatoi di almeno due staffe ad L, alle quali sarebbe dovuta poi essere imbullonata la passarella. La tecnica di installazione prevedeva che la passarella (a sua volta risultante dall'assemblaggio di tre tronconi), dovesse essere tenuta sollevata sopra i serbatoi dal braccio della gru manovrata da D.K., in attesa della saldatura delle staffe e della successiva imbullonatura a queste della passarella (circostanze emerse dalle dirette rilevazione dei consulenti, dalle dichiarazioni dei testi oculari, nonché confermate dallo D. incaricato di manovrare la gru). Di seguito, la corte territoriale ha evidenziato come la tecnica della saldatura sopra il tetto dei serbatoi fosse stata ripetutamente eseguita in quei giorni, come attestato dal recupero, sul tetto del serbatoio n. 94 (prossimo a quello n. 95) della staffa saldata proprio quella mattina, risultata talmente adesa al serbatoio da non essersi staccata nonostante la violentissima esplosione e il successivo volo. Sullo stesso tetto del serbatoio n. 95, esploso per primo, fu rinvenuto in sede di sopralluogo un cordone di saldatura indicante un'analoga operazione in corso (sebbene non ancora completata): rilievo suffragato dalla circostanza che la squadra dei tecnici operativi sul serbatoio n. 95 aveva portato con sé sopra il serbatoio due staffe che, al momento dell'esplosione, non erano ancora state saldate. Il diretto e immediato rapporto tra la realizzazione della saldatura e l'esplosione del serbatoio è stato inoltre confermato dall'eloquente circostanza che il cadavere dell'operaio T.M. (proprio quello incaricato delle saldature, secondo il racconto del teste D.) era stato rinvenuto, a seguito del fatto, avvolto dal cavo della saldatrice (a sua volta rinvenuta in terra tra i serbatoi nn. 96 e 100) con la pinza portaelettrodo in una mano; occorrenza a sua volta coerente con il mancato riscontro, nei campioni biologici dei cadaveri delle vittime, di carbossiemoglobina, a dimostrazione che gli operai caduti non avevano avuto alcuna attività respiratoria dopo l'esplosione, per l'inusitata repentinità dell'evento. Sul punto, con motivazione del tutto immune da vizi d'indole logica o giuridica, la corte territoriale ha evidenziato come le riprese delle videocamere della sorveglianza invocate dalla difesa dell' imputato non conducessero in alcun modo a sostenere la tesi dell'assenza di alcuna operazione di saldatura sul serbatoio n. 95, attesa l'estraneità di quest'ultimo al campo visivo delle videocamere e la ridotta capacità di queste di assicurare una fedele e precisa registrazione dei luoghi d'interesse, in ragione del relativo posizionamento.
Quanto all'alternativa spiegazione causale degli eventi sostenuta dalla difesa dell'imputato (circa il preteso innesco dell'incendio a seguito del sollevamento del serbatoio n. 95 per effetto di un'improvvida manovra del gruista), la corte territoriale ne ha evidenziato, in modo coerente e congruamente argomentato, il carattere meramente congetturale, attesa, da un lato, l'assoluta implausibilità della circostanza che lo stesso gruista avesse potuto prolungare la propria erronea manovra di sollevamento per circa SO secondi (come sostenuto dalle difese) senza alcuna reazione dei colleghi, e avuto riguardo, dall'altro, alla circostanza che la passarella sostenuta dal gruista non era stata affatto solidarizzata al tetto del serbatoio, non essendo emerso alcun indice istruttorio idoneo a confermare l'esistenza di punti in corrispondenza dei quali avrebbe potuto realizzarsi una qualche imbragatura della passarella o stabilirsi un qualche collegamento saldo e affidabile, tale da reggere a una prolungata azione di trazione e capace di determinare lo sradicamento del serbatoio alla base. Anche in relazione alla mancata conferma di tale prospettazione alternativa, del tutto coerentemente (e in forza di plausibili scansioni argomentative) la corte territoriale ha giudicato irrilevanti i resoconti filmati della videosorveglianza, attesa la perfetta compatibilità tra le risultanze di detti filmati e la spiegazione causale dell'esplosione a seguito della saldatura, secondo la tesi fornita dai consulenti del pubblico ministero. Ciò posto, una volta comprovata l'azione di saldatura sopra il serbatoio n. 95 - ed esclusa la ragionevole plausibilità di qualsivoglia decorso causale alternativo -, la corte territoriale ha coerentemente dato conto dell'inveramento, nel caso di specie, della legge scientifica richiamata a copertura della produzione del fenomeno esplosivo così minuziosamente ricostruito: fenomeno propriamente provocato dall'innesco, per effetto della saldatura, della miscela di aria ed esano formatasi sopra la superficie dell'olio di sansa grezza contenuto nel citato serbatoio. Sul punto, il giudice a quo ha diligentemente valorizzato gli elementi di prova in forza dei quali doveva ritenersi certamente contenuta, nell'olio di sansa grezza conservato all'interno del serbatoio n. 95, una quantità di esano sufficiente alla creazione della ridetta miscela potenzialmente esplosiva, come confermato dalle analisi condotte dal laboratorio chimico della Camera di Commercio di Torino sui campioni di olio prelevati dopo il sinistro presso Umbria Olii, nonché presso altre ditte alle quali Umbria Olii inviava olio di sansa grezza per la lavorazione (tra l'altro Adria Olii e PA.OIL.): campioni di olio adeguatamente rappresentativi dei contenuti dei serbatoi, come confermato dalle deposizioni sul punto rese dai testi escussi (cfr. pagg. 117 s. della sentenza impugnata).
Anche in relazione alle caratteristiche di infiammabilità dell'esano, la corte territoriale, dopo aver correttamente evidenziato come le stesse dovessero essere determinate per via sperimentale (ossia con immediato riferimento ai materiali concretamente oggetto d'esame), ha dato conto dei valori nella specie rinvenuti, ritenendo confermata (sulla base di un ragionamento probatorio congruamente argomentato) la circostanza della presenza presso Umbria Olii, il giorno 24 novembre, di olio di sansa grezza con flash point (limite di infiammabilità) di appena 29 gradi (cfr. pagg. 121-126): un dato propriamente riguardante il contenuto del serbatoio n. 95, come comprovato dalle risultanze delle bolle acquisite, valutate congiuntamente alla verifica (consentita dalle riprese delle telecamere di sicurezza) delle autobotti in arrivo e in partenza nei giorni immediatamente precedenti quello del sinistro, e con la decifrazione del sistema computerizzato Visual VEGA, utilizzato presso Umbria Olii per tenere sotto controllo il contenuto dei singoli serbatoi, o comunque di gran parte dei serbatoi, compreso quello numero 95. Muovendo da tali premesse, la corte territoriale ha quindi provveduto a calcolare le temperature verosimilmente presenti in corrispondenza del serbatoio n. 95 alla data del 25 novembre 2006, giungendo a stabilire, sulla base di un percorso argomentativo logico e largamente plausibile, che all'interno del ridetto serbatoio, alla data indicata, in ragione della temperatura esterna (oltre che della formazione di vapore e delle bolle d'aria createsi per l'insufflaggio delle pompe), si erano create condizioni particolarmente propizie al formarsi di una miscela esplosiva sopra la superficie del liquido, caratterizzata dall'indicato (relativamente basso) limite di infiammabilità. Sulla scorta di tali dati, la corte territoriale ha quindi evidenziato i dati offerti del lavoro sperimentale dei consulenti tecnici, tenendo conto della colorazione della macchia formatasi nella parte sottostante il tetto del serbatoio, in corrispondenza della saldatura (macchia dello stesso tipo, benché più piccola, della corrispondente macchia prodotta dalla saldatura della staffa sul serbatoio n. 94), pervenendo (dopo aver puntualmente e approfonditamente considerato l'implausibilità di ciascuna delle tesi sostenute dalla difesa) alla dimostrazione secondo cui alla macchia rinvenuta sul tetto del serbatoio n. 95 corrispondesse, al momento della saldatura, una temperatura non inferiore ai 700/750 gradi, di per sé sufficiente a indurre - come nella specie puntualmente avvenuto - l'esplosione della sottostante miscela infiammabile. Ciascuno dei passaggi argomentativi sin qui concisamente richiamati, in relazione alla ricostruzione del decorso causale ch'ebbe a provocare l'evento lesivo oggetto di giudizio, deve dunque riconoscersi dotato di assoluto rigore logico e di coerente linearità. La motivazione in tal senso elaborata dalla corte territoriale, costantemente fedele alle risultanze istruttorie di volta in volta richiamate, vale in tal senso a imporsi alle contrastanti tesi sostenute dalla difesa dell'imputato; tesi che i giudici d'appello hanno puntualmente e analiticamente esaminato, evidenziandone gli aspetti d'indole meramente congetturale, così pervenendo alla dimostrazione della relativa assoluta implausibilità."
"La corte territoriale ha quindi correttamente proceduto k definire i tratti della specifica posizione di garanzia dell'imputato, provvedendo alla ricognizione degli indici normativi comportanti l'impegno del datore di lavoro committente di adempiere al generale obbligo di sicurezza sullo stesso incombente in ordine all'analisi dei rischi indotti dalle lavorazioni affidate in appalto e alla relativa gestione, nella specie consistente nella previsione (e nella cooperazione alla successiva attuazione) delle misure idonee ad eliminarli o a prevenirli. Sul punto, del tutto ineccepibili devono ritenersi i richiami, contenuti nella sentenza impugnata, all'insegnamento della giurisprudenza di legittimità, ai sensi del quale, in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, nel caso di prestazione lavorativa in esecuzione di un contratto d'appalto, il committente è costituito come corresponsabile con l'appaltatore per le violazioni delle misure prevenzionali e protettive sulla base degli obblighi sullo stesso incombenti ex art. 7 D.Lgs. n. 626 del 1994 (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 1825 del 04/11/2008, Rv. 242345). Con riguardo a tali ipotesi, la responsabilità del committente (pur rimanendo legata agli eventi causalmente collegati alle proprie omissioni colpose, specificamente determinate dalle legge, che risultino imputabili alla sfera di controllo dello stesso committente: v. Sez. 4, Sentenza n. 6784 del 23/01/2014, Rv. 259286) chiede d'essere commisurata all'esatto adempimento degli obblighi d'informazione (da garantire all'appaltatore) riguardanti i rischi propri dell'ambiente di lavoro e di cooperazione all'apprestamento delle misure di protezione e prevenzione (Sez. 3, Sentenza n. 6884 del 18/11/2008, Rv. 242735), con la conseguenza che l'eventuale responsabilità ascrivibile all'appaltatore non esclude quella del committente, chiamato in ogni caso a rispondere dell'evento lesivo qualora questo sia causalmente ricollegabile a una sua omissione colposa (Sez. 4, Sentenza n. 37840 del 01/07/2009, Rv. 245275).
Muovendo da tale ultime considerazioni, del tutto coerentemente la corte territoriale ha dato conto del plateale inadempimento, da parte dell'imputato (quale responsabile della società committente), degli obblighi di valutazione e di analisi degli specifici rischi indotti dalla giacenza di olio di sansa grezza nei serbatoi aziendali, non essendo stato reperito alcun documento dal quale potesse desumersi l'avvenuta valutazione dell'eventuale presenza di esano nell'olio di sansa grezza (quanto meno prevedibile in forme di tracce o residui più o meno rilevanti sul piano quantitativo, avendo i giudici di merito specificamente accertato come la presenza dell'esano nell'olio di sansa grezza fosse a tutti nota e unanimemente confermata: cfr. pag. 155 della sentenza d'appello), ovvero l'avvenuta adozione delle misure di prevenzione necessarie al fine di scongiurare il rischio della formazione e della deflagrazione di miscele esplosive nei serbatoi contenenti olio di sansa. Conseguentemente, proprio l'imprudente omessa valutazione dei rischi a monte del processo produttivo ha comportato la successiva palese omissione dell'obbligo informativo nei confronti della ditta appaltatrice, a nulla valendo l'eventuale generica consapevolezza, da parte del M., della pericolosità dell'uso di fiamme libere all'interno dell'area aziendale (vietate mediante l'apposizione di cartelloni), ovvero della pericolosità del ricorso alla tecnica della saldatura sui serbatoi aziendali, dovendo l'obbligo informativo del committente estendersi alla dettagliata e compiuta analisi dei rischi specifici inerenti le lavorazioni conferite in appalto, ossia a tutte quelle situazioni e insidie che, dipendendo proprio dal luogo di lavoro e dalla natura dei materiali esistenti, devono essere poste a conoscenza dell'appaltatore affinché questi possa regolarsi di conseguenza. Del tutto opportunamente, d'altro canto, la corte territoriale ha evidenziato come, in relazione all'esistenza dei rischi concretamente oggetto d'esame, il committente non avrebbe mai potuto disgiungere le proprie responsabilità da quelli gravanti sull'appaltatore, trattandosi nella specie di rischi immanenti al deposito di olio di sansa grezza, comportante pericoli incombenti, non solo sui lavoratori della ditta appaltatrice, ma più in generale su tutte le persone presenti nell'area aziendale e nelle sue immediate vicinanze, stanti le intuibili conseguenze (tutte purtroppo verificatesi) di un'esplosione del serbatoio e di un conseguente incendio. Alla grave omissione concernente la trasmissione, nei confronti dell'appaltatore, delle informazioni concernenti i rischi propri dell'ambiente di lavoro, si è inoltre associata l'omissione riguardante la collaborazione nell'apprestamento delle misure di protezione e di prevenzione a tal fine necessari, avendo anzi la corte territoriale eloquentemente sottolineato come la realizzazione, da parte della ditta M., del sistema delle passerelle attraverso l'utilizzo di modalità inidonee e pericolose, fosse stata gia pienamente accettata dalla committenza, che non ebbe a muovere alcun rilievo di sorta rispetto alla saldatura delle passerelle gia cosi compiutamente realizzate "alla luce del sole". Cit.) posto, sulla base di linee argomentative pienamente coerenti e logicamente inappuntabili, i giudici d'appello hanno scandito i diversi passaggi del giudizio controfattuale relativo al nesso di causalità tra le omissioni dell'imputato e l‘evento lesivo in concreto verificatosi, sottolineando come, là dove l'imputato avesse concertato modalità operative e predisposto misure prevenzionali idonee - successivamente esercitando ii dovuto controllo a fronte del plateale utilizzo di strumenti pericolosi — il sinistro sarebbe stato certamente scongiurato, dovendo ritenersi che in concreto fu proprio l'utilizzo di una saldatrice a determinare l'innesco della miscela esplosiva formatasi all'interno del serbatoio n. 95, propiziata anche dalla mitezza della temperature in loco. Allo stesso modo, del tutto correttamente Ia corte territoriale ha evidenziato come, nel caso in cui il M. fosse stato reso consapevole della natura e della consistenza effettiva dei rischi specifici esistenti, lo stesso si sarebbe ben guardato dal far ricorso all'uso di saldatrici o comunque dall'operare con quelle modalità, essendo impensabile che potesse altrimenti esporre se stesso e gli altri suoi dipendenti ad un pericolo mortale a quel punto talmente elevato. Proprio con riguardo alla valutazione della rilevanza causale delle condotte omissive contestate al D.P. (nella specie revocata in dubbio dall'imputato, sul presupposto della prevedibilità della condotta imprudente che sarebbe stata seguita in ogni caso dal M., quand'anche tempestivamente allertato), osserva il collegio come, con riguardo al tema dedotto (riconducibile al quadro teorico della c.d. causalita della colpa), valga richiamare i principi generaimente condivisi, tanto nella giurisprudenza pratica quanto nella riflessione della letteratura giuridica, in tema di colpa c.d. 'relazionale', ossia là dove la ricostruzione del comportamento alternativo lecito sia condotta (non gia in un contesto monosoggettivo, bensì) nella prospettiva dell‘interazione (e dunque della 'relazione') tra due o più soggetti. Le esemplificazioni di scuola alludono, al riguardo, a tutte quelle situazioni in cui il datore di lavoro é tenuto a ispirare la propria condotta alle acquisizioni della migliore scienza ed esperienza per fare in modo che il lavoratore sia posto nelle condizioni di operare con assoluta sicurezza. L'art. 2087 cod. civ., infatti, nell'affermare che lìimprenditore é tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa misure che, secondo le particolarità dei lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale del lavoratore, sollecita obbligatoriamente il datore di lavoro ad aprirsi alle nuove acquisizioni tecnologiche (cfr. Sez. 4, Sentenza n. 7402 del 26/04/2000, Rv. 216476).
Nel quadro di tale discorso, la corte territoriale ha opportunamente sottolineato come Umbria Olii non avesse mai apprestato alcun meccanismo di prevenzione circa i rischi di incendio, non essendo stato indicato alcun pericolo di incendio in relazione all'esano disciolto nell'olio di sansa contenuto nei serbatoi; questi ultimi erano privi di dispositivi tali da favorire la dispersione di sovrappressioni e altresì carenti sul piano strutturale in relazione al rischio di cedimenti; nessuno strumento era stato realizzato per la segnalazione della formazione di miscele esplosive o per l'inertizzazione delle stesse, né erano stati creati bacini esterni di contenimento o impianti idrici antincendio dimensionati in relazione a incendi di serbatoi e bacini di notevoli proporzioni; lo stesso certificato di prevenzione-incendi era scaduto, né era stata introdotta una modifica quantitativa del precedente sistema tale da adeguarlo in rapporto al consistente aumento del numero dei serbatoi verificatosi medio tempore. Si tratta di considerazioni legate all'approfondimento dei tradizionali canoni della colpa generica che la corte territoriale risulta aver elaborato nel rispetto di un'adeguata misura di coerenza logica e linearità argomentativa, sì da attestare in termini ragionevoli la sicura rimproverabilità, a carico dell'imputato (in ragione dell'esigibilità, dallo stesso, dei comportamenti alternativi omessi), della mancata analisi dei rischi connessi allo svolgimento dei processi produttivi governati e alla trascurata gestione degli stessi rischi: considerazioni alle quali l'accenno, contenuto nella sentenza impugnata, ai diversi parametri normativi di colpa specifica eventualmente richiamabili nulla aggiungono di diverso o decisivo, per tale via dovendo ritenersi integralmente assorbita ciascuna delle censure sollevate dall'imputato e dal responsabile civile (ancora con la memoria depositata dai difensori del DP.G. in data 14/5/2015) in ordine all'asserita erronea interpretazione, da parte del giudice territoriale, delle norme di legge sul punto rilevanti".
1.3.5. Va pertanto ribadito che ai fini dell'ammissibilità della richiesta di revisione, possono costituire "prove nuove" ai sensi dell'art. 630, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., quelle che, pur incidendo su un tema già divenuto oggetto di indagine nel corso della cognizione ordinaria, siano fondate su nuove acquisizioni scientifiche e tecniche diverse e innovative, tali da fornire risultati non raggiungibili con le metodiche in precedenza disponibili. (Sez. 5, n. 10523 del 20/02/2018 Cc. (dep. 08/03/2018) Rv. 272592 - 01).
Secondo l'insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, ai fini dell'ammissibilità della richiesta di revisione basata sulla prospettazione di nuove prove, l'esame preliminare della Corte d'appello circa il presupposto della non manifesta infondatezza deve limitarsi ad una sommaria delibazione degli elementi di prova addotti, in modo da verificare l'eventuale sussistenza di un'infondatezza rilevabile ictu oculi e senza necessità di approfonditi esami, dovendosi ritenere preclusa in tale sede una penetrante anticipazione dell'apprezzamento di merito, riservato invece al vero e proprio giudizio di revisione, da svolgersi nel contraddittorio delle parti (Sez. 6, n. 2437 del 03/12/2009 - dep. 2010, Giunta, Rv. 245770). La delibazione propria della fase preliminare, dunque, non può tradursi in un'approfondita e indebita anticipazione del giudizio di merito (Sez. 5, n. 11659 del 22/11/2004 - dep. 2005, Dimic, Rv. 231138), fermo restando che la valutazione preliminare circa l'ammissibilità della richiesta proposta sulla base di prove nuove implica la necessità di una comparazione tra le prove nuove e quelle già acquisite che deve ancorarsi alla realtà del caso concreto e che non può, quindi, prescindere dal rilievo di evidenti segni di inconferenza o inaffidabilità della prova nuova, purché, però, riscontrabili ictu oculi (Sez. 6, n. 20022 del 30/01/2014, Di Piazza, Rv. 259779;
conf., ex plurimis, Sez. 2, n. 49113 del 16/10/2013, Russo, Rv. 257496); nella fase della delibazione preliminare, dunque, il giudice di merito può «valutare in astratto l'idoneità dei nuovi elementi dedotti a dimostrare - ove eventualmente accertati - che il· condannato, attraverso il riesame di tutte le prove, unitamente a quelle noviter producta, debba essere prosciolto a norma degli artt. 529, 530 e 531 cod. proc. pen.; e tale valutazione, benché operando sul piano astratto, riguarda pur sempre la capacità dimostrativa delle prove a ribaltare il giudizio di colpevolezza nei confronti del condannato e, quindi, concerne la stessa valutazione del successivo giudizio di revisione, dovendosi ritenere preclusa, in limine, una penetrante anticipazione dell'apprezzamento di merito, riservato, invece, al vero e proprio giudizio di revisione, da svolgersi nel contraddittorio delle parti» (Sez. 1, n. 6066 del 24/03/2017 - dep. 2018, Arpe). 2.2. L'ordinanza impugnata ha fatto buon governo dei princìpi di diritto richiamati. La declaratoria di inammissibilità per manifesta infondatezza della richiesta di revisione si basa sulla ritenuta inidoneità, riscontrata ictu oculi dalla Corte di appello, delle prove allegate a sostegno della richiesta di revisione.
L'ordinanza impugnata ha, in primo luogo, escluso che il riversamento in HD alta definizione del contenuto di due CD facenti parte del fascicolo processuale possa costituire novità ossia accertamento tecnico innovativo in quanto la tecnologia in alta definizione cui fa riferimento il ricorrente era operativa fin dai tempi in cui vennero celebrati i processi a carico di DP.G., cosicchè non si versa nel caso del sopravvenire di nuovi strumenti tecnici che non sussistevano all'epoca dei fatti e dello svolgimento del processo: valutazione, questa, che all'evidenza non richiede un'approfondita anticipazione del giudizio di merito.
La Corte ha poi effettuato un una sommaria delibazione fondata sulla comparazione tra le prove dedotte come "nuove" e l'insieme di quelle acquisite al processo, (cfr., ex plurimis, Sez. 5, n. 26480 del 04/05/2015, Corrada, Rv. 264848; Sez. 3, n. 34945 del 09/07/2015, Rv. 264740) affermando che anche se fosse vera la tesi difensiva del ricorrente e cioè che l'evento era stato cagionato da un errore tecnico operativo del gruista, appartenente alla ditta appaltatrice, ciò non avrebbe esonerato da responsabilità il datore di lavoro il cui comportamento omissivo alla luce delle risultanze processuali era strettamente legato da nesso causale con l'evento che ha condotto a morte i lavoratori ( fol 6).
D'altro canto l'approdo della giurisprudenza di legittimità verso una ridefinizione della valenza della valutazione tecnico-scientifica conduce ad affermare che, ai fini dell'ammissibilità della richiesta di revisione, una diversa valutazione tecnico-scientifica di elementi fattuali già noti ai periti e al giudice può costituire "prova nuova" ai sensi dell'art. 630, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. quando risulti fondata su nuove metodologie, dal momento che la novità di queste ultime e, correlativamente, dei principi tecnico-scientifici applicati, può, in effetti, condurre alla conoscenza non solo di valutazioni diverse, ma anche di veri e propri fatti nuovi, a condizione che si tratti di applicazioni tecniche accreditate e rese pienamente attendibili dal livello del sapere acquisito dalla comunità scientifica (Sez. 1, n. 4837 del 06/10/1998, Bompressi, Rv. 211457; conf. Sez. 1, n. 25810 del 07/05/2002, Gucci, Rv. 221589; Sez. 6, n. 26734 del 15/04/2003, Morabito, Rv. 227422). Se, dunque, costituisce "prova nuova" quella che mira ad introdurre elementi di fatto diversi da quelli già presi in considerazione nel precedente giudizio (Sez. 6, n. 53428 del 05/11/2014, Rubino, Rv. 261840), alla stessa conclusione deve giungersi con riferimento alla diversa valutazione tecnico-scientifica di elementi fattuali, quando risulti fondata su nuove metodologie, più raffinate ed evolute idonee a cogliere dati obiettivi nuovi, sulla cui base vengano svolte differenti valutazioni tecniche (Sez. 6, n. 13930 del 14/02/2017, Sparapano, Rv. 269460. Pertanto le prove incidenti su un tema già divenuto oggetto di indagine nel corso della cognizione ordinaria possono rivestire carattere di novità ai fini del giudizio di revisione, solo se fondate su tecniche diverse e innovative, tali da fornire risultati non raggiungibili con le metodiche in precedenza disponibili (Sez. 5, n. 2982 del 26/11/2009 - dep. 2010, Veneruso, Rv. 245840; conf. Sez. 1, n. 26637 del 28/05/2008, Sepe, Rv. 240869). Diversamente da quanto dedotto dal ricorrente, la Corte distrettuale (richiamando espressamente Sez. 6, n. 34531 del 04/07/2013, cit.) ha fatto buon governo dei princìpi di diritto espressivi del più recente e consolidato orientamento, rilevando che nel caso di specie non vi è alcuna acquisizione scientifica innovativa, tale da inficiare le risultanze poste a fondamento del giudizio di condanna. D'altra parte, come si è visto, l'ordinanza impugnata ha rilevato si tratta della mera riproposizione di tesi difensive dedotte nel processo e disattese nei tre gradi di giudizio.
2. Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3000,00 in favore della Cassa delle Ammende oltre che alla rifusione delle spese sostenute della parte civile Regione Umbria in questo giudizio di legittimità che liquida in euro duemila oltre accessori come per legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3000,00 in favore della Cassa delle Ammende, oltre che alla rifusione delle spese sostenute della parte civile Regione Umbria in questo giudizio di legittimità che liquida in euro duemila oltre accessori come per legge.
Così deciso il 14.07.2021