Tribunale Modena, Sez. Lav., 27 aprile 2021, n. 215 - Mobbing


 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO di MODENA
SEZIONE LAVORO


Il Tribunale , nella persona del Giudice dott. Andrea Marangoni ha pronunciato ex art. 429 c.p.c. la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 702/2017 promossa da: S.Z. (C.F. ..), elettivamente domiciliata in Indirizzo Telematico, rappresentato e difeso dall'avv. AZZOLINI VALTER POMPEO RICORRENTE/I contro CHAMPION EUROPE SERVICES S.R.L. UNIPERSONALE (C.F. ..), elettivamente domiciliata in VIA P.A. MILANO, rappresentata e difesa dall'Avv. D'AVANZO FRANCESCO; RESISTENTE/I
 

 

Fatto


IN FATTO ED IN DIRITTO
Con ricorso depositato in data 23 /05/2017, S.Z., assunta dalla Champion Europe S.p.A. (all'epoca Champion Europe Services S.r.l. unipersonale) in forza di contratto di lavoro subordinato a tempo determinato con inizio il 08.01.2015 e con scadenza originaria il 30.06.2016, con la qualifica d'impiegata di livello QUADRO secondo la classificazione del personale del CCNL commercio applicato dal datore di lavoro e con le mansioni attribuite di Project Manager Design and Development, successivamente promossa a Director Business Strategy, con l'attribuzione della qualifica di DIRIGENTE, ha impugnato il recesso esercitato dalla società con lettera raccomandata del 25.11.2016 sulla base della contestazione di cui in nota1, deducendo l'assenza della giusta causa nonché la sproporzione rispetto ai fatti contestati.

Parte ricorrente ha dedotto altresì di essere stata vittima di condotte mobbizzanti concretizzatesi in attacchi alla possibilità di comunicare, isolamento sistematico, cambiamento delle mansioni lavorative, attacchi alla professionalità dell'esponente, demansionamento, che avrebbero determinato in lei l'insorgere di un disagio psichico caratterizzato da uno stato ansioso.

Dunque, ha chiesto di:

1. In via principale: accertare l'insussistenza della giusta causa e della giustificatezza, addotte dalla datrice di lavoro Champion Europe Service Srl, a fondamento del licenziamento e condannare Champion Europe Service Srl, in persona del legale rappresentante pro-tempore, con sede in Carpi (MO), Via D., alla corresponsione a favore della ricorrente S.Z. dell'indennità sostitutiva del preavviso, corrispondente a 10 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto lorda della ricorrente pari a euro 7.937,14 – retribuzione totale lorda mensile (coma da conteggi allegati – doc. 55), nonché condannare Champion Europe Service srl, in persona del legale rappresentante pro-tempore, ut supra, alla corresponsione della indennità supplementare, prevista dal CCNL di riferimento, e corrispondente a 27 mensilità (avuto riguardo all'età del ricorrente), dell'ultima retribuzione globale di fatto lorda della ricorrente pari ad euro 7.937,14 – retribuzione totale lorda mensile (coma da conteggi allegati – doc. 55), per tutte le ragioni in atti esposte; oppure in via subordinata a risarcirle il danno patrimoniale pari alle retribuzioni che avrebbe percepito dalla data del licenziamento sino alla data di scadenza del suo contratto di lavoro il giorno 31.12.2107 pari a euro 211.835,26;

2. In via ulteriormente subordinata: nella denegata ipotesi in cui fosse accertata la sussistenza della giustificatezza del licenziamento impugnato, accertare l'insussistenza della giusta causa e condannare Champion Europe Service Srl, in persona del legale rappresentante pro-tempore, ut supra, alla corresponsione a favore della ricorrente S.Z., dell'indennità sostitutiva del preavviso corrispondente a 10 mensilità, dell'ultima retribuzione globale di fatto lorda della ricorrente pari ad euro 7.937,14 – retribuzione totale lorda mensile (coma da conteggi allegati – doc. 55), per le ragioni in atti esposte;

3. In ogni caso: Voglia il Tribunale di Modena , Giudice del lavoro, dichiarare tenuta e condannare la società convenuta, ut supra, al versamento a favore della ricorrente della somma di euro 450.000,00 ovvero della somma maggiore o minore che risulterà in corso di causa o sarà ritenuta di giustizia dal Giudice, a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale e patrimoniale subito a causa dell'illegittimo licenziamento e della condotta vessatoria posta in atto nei suoi confronti;

4. In ogni caso: con vittoria di spese, competenze ed onorari di causa.

Si è costituita la Champion Europe Services S.r.l., deducendo l'infondatezza del ricorso e chiedendone il rigetto.

Istruita con i documenti prodotti dalle parti e con l'assunzione di prove testimoniali, la causa è stata trattenuta in decisione all'odierna udienza, celebrata con il rito della trattazione scritta.

SUL RECESSO

L'onere di provare la sussistenza dei motivi posti a fondamento del recesso grava sulla datrice di lavoro ( Cass. Sent. n. 7830 del 29.03.2018).

Come noto, poi, ai fini del riconoscimento dell'indennità supplementare prevista per la categoria dei dirigenti, occorre fare riferimento alla nozione contrattuale di giustificatezza che si discosta, sia nel piano soggettivo che su quello oggettivo, da quello di giustificato motivo ex art. 3, Legge n. 604/1966, e di giusta causa ex art. 2119 cod. civ. (cfr. Cass. n. 25145/2010; Cass. n. 23894/2018).

Secondo condivisa e consolidata giurisprudenza della Suprema Corte, "la nozione di 'giustificatezza' del licenziamento del dirigente, prevista da alcuni contratti collettivi ai fini del riconoscimento di un'indennità supplementare, non coincide con quella di 'giusta causa' o 'giustificato motivo' del licenziamento del lavoratore subordinato, ma è molto più ampia, e si estende sino a comprendere qualsiasi motivo di recesso che ne escluda l'arbitrarietà, con i limiti del rispetto dei principi di correttezza e buona fede nell'esecuzione del contratto, e del divieto di licenziamento discriminatorio. Di conseguenza fatti o condotte, che con riguardo al rapporto di lavoro in generale non integrano giusta causa o giustificato motivo, possono giustificare il licenziamento del dirigente con conseguente disconoscimento dell'indennità supplementare prevista dalla contrattazione collettiva ( Cass. n. 775 del 17.1.2005; nello stesso senso: cfr. Cass. n. 14604 del 20.11.2001, Cass. n. 15749 dell'8.11.2002, Cass. n. 322 del 13.1.2003, Cass. n. 16263 del 19.8.2004, Cass. n. 7838 del 15.4.2005, Cass. n. 11691 dell'1.6.2005 e Cass. n. 21748 del 22.10.2010).

Più recentemente, la Corte ha ulteriormente argomentato che ai fini della giustificatezza del licenziamento dirigenziale "può rilevare qualsiasi motivo, purché apprezzabile sul piano del diritto, idoneo a turbare il legame di fiducia con il datore, nel cui ambito rientra l'ampiezza dei poteri attribuiti al dirigente, sicché maggiori poteri presuppongono una maggiore intensità della fiducia e uno spazio ampio ai fatti idonei a scuoterla" ( Cass. n. 12204/2016; conformi n. 24941/2015; n. 2205/206 e altre).

Pacifico che, ferma la specificità della posizione del dirigente anche all'atto del recesso dal rapporto ad iniziativa del datore di lavoro, l'onere della prova della sussistenza di un'idonea giustificazione a base del licenziamento (con o senza preavviso), gravi pur sempre sulla parte datoriale (cfr. Cass., Sez. L., Sentenza n. 16263/2004 cit.).

Nel caso di rapporto dirigenziale, la valutazione dei fatti idonea a compromettere la fiducia "va compiuta in modo più rigido e fermo che non nei confronti di qualsiasi altro dipendente per via dell'essenziale rapporto di fiducia di positiva valutazione del dirigente "imprenditore" con la conseguenza che " la giusta causa indicata dall' articolo 2119 c.c. risente, sia pure in misura più contenuta in quanto legata ad una definizione precisa dettata dall'esigenza di tener conto della maggiore gravità delle conseguenze, dell'investimento di fiducia fatto dal datore di lavoro con l'attribuire al dirigente compiti, di volta in volta strategici o comunque di impulso, direzione di orientamento della struttura organizzativa aziendale" ( Trib. Milano n. 832/2013).

La Corte di Cassazione ha altresì statuito, in tema di licenziamento del dirigente, che "l'unica verifica demandata al giudice è l'esistenza di una ragionevole causa che dimostri l'impossibilità del perdurare del vincolo fiduciario di particolare intensità che deve caratterizzare il rapporto tra datore di lavoro e dirigente" ( Cass. n. 2137/2011; conforme n. 15496/2008).

La giurisprudenza è quindi consolidata nel senso di attribuire rilevanza fondamentale alla violazione dell'elemento fiduciario nell'ambito del rapporto di lavoro. Ove il comportamento del dipendente abbia fatto venire meno tale elemento, il rapporto di lavoro potrà essere legittimamente risolto anche in ipotesi di insussistenza di qualunque danno patrimoniale.

A ciò si aggiunga che, per pacifico assetto giurisprudenziale, la legittimità di una sanzione disciplinare irrogata al lavoratore subordinato per una pluralità di infrazioni contestate non può essere esclusa con riguardo al principio di proporzionalità di cui all' articolo 2106 cod. civ. solo per il fatto che alcuni di tali addebiti risultino infondati (fuori dall'ipotesi di una specifica previsione contrattuale che configuri i diversi addebiti come componenti essenziali di un'unica figura complessa di illecito disciplinare), atteso che la proporzionalità risulta dalla comparazione tra sanzione inflitta e infrazione commessa nel caso concreto, e che anche una sola delle infrazioni può risultare proporzionata alla sanzione inflitta (cfr. Cass. 4.5.2005 n. 9262 ed, in tema di sanzione espulsiva, Cass. 2 febbraio 2009, n. 2579).

Tanto premesso in diritto, nel caso di specie sono stati mossi alla ricorrente i seguenti addebiti:

1) "Nel corso della mattina di giovedì 27 ottobre 2016, il dott. J.M. Le ha chiesto di predisporre un report aggiornato sull'andamento del portafoglio ordini per le stagioni SS15, SS16 e SS17. Nonostante Lei avesse informato il dott. J.M. che tale report sarebbe stato completato entro la fine della giornata ha spedito tale documento solamente nella tarda serata del successivo Lunedi 31 ottobre 2016, con diversi giorni di ritarda rispetto a quanto inizialmente preventivato".

La sussistenza del fatto deve ritenersi confermata all'esito dell'istruttoria testimoniale.

Nel verbale di udienza del 17 gennaio 2019, il teste J. M. M. ha dichiarato: "confermo la circostanza, nel senso che glielo chiesi con molta urgenza; era mattino e glielo chiesi per il giorno stesso (…). Ricordo che mi disse che lo avrebbe fatto quando glielo avevo chiesto ma poi direi che la Ricorrente me lo abbia portato quattro giorni dopo la richiesta".

Nel verbale di udienza del 28 giugno 2018, il teste C. D. R., in merito all'episodio, ha riferito: "[…] Ricordo che me ne parlarono entrambi. (…) Preciso mi parlarono della stessa vicenda".

2) "Nonostante, in considerazione del ruolo apicale da Lei ricoperto all'interno della nostra Società, Lei non sia soggetta ad alcun obbligo di rispettare un determinato orario, Lei si presenta regolarmente presso gli uffici della nostra Società ben oltre l'usuale orario di inizio delle attività, creando non poche difficolta alle persone che quotidianamente devono interfacciarsi con Lei per lo svolgimento della loro normale attività lavorativa".

Il fatto è insussistente in quanto disciplinarmente irrilevante, come emerge dalla stessa contestazione, dove si evidenzia come la ricorrente non fosse soggetta a vincoli di orario, sicché è del tutto contraddittorio un rimprovero che si fondi sul fatto di arrivare in ufficio oltre un certo orario (individuato per relationem con l'inizio delle attività), senza peraltro specificare quali fossero le disfunzioni organizzative che tale contegno avrebbe provocato.

3) "In data 10 novembre 2016, Lei ha ricevuto un'e-mail dal Suo responsabile diretto, dott. J.M., con cui quest'ultimo Le chiedeva di fornire urgentemente copia di una specifica lista di fornitori esterni. Lei non ha mai dato alcun riscontro alla predetta e-mail".

Il fatto è insussistente in quanto disciplinarmente irrilevante: infatti, nella richiesta avanzata dal dott. M. non è indicato alcun termine, né è specificata l'urgenza della richiesta; posto che la contestazione è stata avanzata appena una settimana dopo, deve ritenersi che il tempo trascorso sia insufficiente – considerato anche l'oggetto della richiesta, non inerente alla mera trasmissione di un file già esistente ma necessitante la stessa predisposizione dell'elenco – a concretizzare un inadempimento ovvero, perlomeno, un inadempimento disciplinarmente rilevante.

4) "In data 2 novembre 2016, Lei non si è presentata al lavoro senza che tale assenza sia mai stata autorizzata dal Suo responsabile diretto, dott. J.M.."

Il fatto deve ritenersi sussistente, giacché – posto che è pacifico che la ricorrente si sia assentata in tale data – non è stata fornita in giudizio la prova che il giorno di ferie fosse stato autorizzato "per le vie brevi", come sostenuto da parte ricorrente.

Ebbene, tirando le fila del discorso, a parere di questo Giudice i fatti provati all'esito dell'istruttoria sono del tutto inidonei a integrare la nozione (pure nel senso ampio sopra indicato) di giusta causa e a recidere il vincolo fiduciario esistente tra l'azienda e la dirigente.

Trattasi di illeciti isolati di scarsissima rilevanza, non afferenti alla valutazione più ampia delle capacità/attività organizzativo-gestorie (nucleo essenziale di quelle che il Dirigente dovrebbe possedere/porre in essere) e in relazione alle quali non sono state denunciate o evidenziate conseguenze negative; quanto al secondo addebito, esso rileva sul piano esclusivamente formalistico della mancata (formale) autorizzazione, tuttavia vi è da sottolineare come il dott. M. fosse a conoscenza (come emerge dalla corrispondenza via email prodotta) dell'intenzione della ricorrente di assentarsi per ferie in data 2.11.2016, ma non avesse manifestato nella conversazione alcuna perplessità o ragione ostativa.

Dunque, a parere di questo Giudice non risulta che parte datoriale abbia fatto buon governo dei principi di buona fede e correttezza dell'esercizio del recesso ante tempus.

In ragione dell'illegittimità dell'esercizio del recesso, spetta alla ricorrente esclusivamente il risarcimento commisurato all'importo delle retribuzioni maturande in suo favore fino alla data di scadenza del contratto2; infatti, fermo restando che in atti non risulta comunque versato il contratto collettivo applicabile, in accordo con le difese spiegate da parte resistente, "l'ipotesi di recesso non è qualificabile come licenziamento ma quale sua cessazione anticipata: da ritenersi illegittima in quanto disposta in assenza di giusta causa (sola ragione giustificativa della risoluzione anticipata del contratto a termine), comportante quale conseguenza sanzionatoria il solo diritto del dirigente al risarcimento del danno patrimoniale, commisurato all'importo delle retribuzioni maturande in suo favore fino alla data di scadenza del contratto; e tale misura esaurisce il pregiudizio derivante dall'inadempimento degli obblighi derivanti dal contratto relativamente alla sua durata, salva la prova di un danno ulteriore, condizionata tuttavia dall'effettività del pregiudizio stesso" (Ex multis, Cass. 26591/2020).

Dunque, non sono dovute né l'indennità di mancato preavviso né l'indennità supplementare (non avendo peraltro nessuna delle due parti prodotto il CCNL applicabile al rapporto).

SUL DEMANSIONAMENTO

Come è noto, quando il lavoratore alleghi un demansionamento riconducibile ad inesatto adempimento dell'obbligo gravante sul datore di lavoro ai sensi dell' art. 2103 c.c., incombe su quest'ultimo l'onere di provare l'esatto adempimento del proprio obbligo: o attraverso la prova della mancanza in concreto del demansionamento, ovvero attraverso la prova che fosse giustificato dal legittimo esercizio dei poteri imprenditoriali o disciplinari oppure, in base all' art. 1218 c.c., a causa di un'impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile (cfr., tra le altre, oltre alla richiamata Cass. 1169/2018, anche Cass. 3 marzo 2016, n. 4211; Cass. 6 marzo 2006, n. 4766; Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 03-07-2018, n. 17365).

Sul punto occorre precisare che la riforma della disciplina delle mansioni introdotta dall' art. 3 del decreto legislativo 81/2015 ha modificato l'art. 2103 disciplinando le condizioni alle quali il datore di lavoro può modificare le mansioni dei propri dipendenti. Mentre secondo quanto previsto dal vecchio testo dell' art. 2103 del Codice civile il datore di lavoro poteva modificare le mansioni del dipendente solo a condizione che le nuove mansioni fossero equivalenti a quelle dallo stesso in precedenza svolte, l'art. 2103, nella sua nuova formulazione, attribuisce oggi al datore di lavoro la possibilità dì modificare i compiti del dipendente assegnandogli mansioni che, anche se non equivalenti, siano riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte. Lo ius variandi del datore di lavoro, pertanto, attualmente è collegato ad un duplice limite: il primo, la nozione di categoria (dirigente, quadro, impiegato, operaio) dì fonte legale; il secondo, la nozione di inquadramento (I livello, II livello, III livello ecc.) di fonte contrattuale collettiva.

Ai sensi del nuovo testo dell' art. 2103 del Codice civile, ferma la categoria legale, il dipendente può, dunque, essere adibito a una qualsiasi delle qualifiche previste dalla contrattazione collettiva all'interno del medesimo livello di inquadramento. Nel caso dei contratti collettivi dei dirigenti, ove non è prevista differenziazione di inquadramento, il limite resta quello della categoria per cui il datore di lavoro può adibire il dirigente a qualunque mansione, purché di contenuto dirigenziale ( Tribunale Milano, Sezione Lavoro, Sentenza 1 luglio 2019, n. 1068).

Tanto premesso, nel caso di specie, dalla stessa narrazione dei fatti riportata in ricorso appare evidente che, per effetto dell'assegnazione del ruolo di DIRECTOR PROJECT MANAGEMENT, nel breve lasso di tempo prima del licenziamento (l'incarico è divenuto ufficiale e operativo dal 3 ottobre 2016), la ricorrente abbia continuato a svolgere mansioni di contenuto dirigenziale (Punto n. 45 ricorso: " (…) il giorno 8 settembre 2016 interveniva una prima conversazione telefonica degna di nota con J.M. in cui in un breve "briefing" di dieci minuti, anticipava all'esponente il contenuto dei progetti che avrebbe seguito e il nuovo ruolo a lei assegnato (lavoro indipendente su diversi progetti di crescita ed integrazione con US; orari flessibili, telelavoro pensabile (…)"; Punto n. 47: "Il 15 settembre 2016 la Dott.ssa D. R. menzionava in modo generico all'esponente che primo progetto a lei assegnato avrebbe potuto consistere nell'integrazione nel mondo Champion della catena sportiva retail, appena acquistata da Champion EU, denominata Universo" p. 59: "Il 3 ottobre 2016 vi era l'annuncio ufficiale del cambio della posizione della Dott.ssa S.Z. al ruolo di DIRECTOR PROJECT MANAGEMENT e altri cambiamenti organizzativi (…)"; punto 60: "Nell'occasione di tale annuncio ufficiale la Dott.ssa C.D.R. spiegava i suddetti cambiamenti organizzativi e teneva un discorso durante il quale esaltava l'importanza del nuovo ruolo attribuito alla dott.ssa S.Z. per raggiungere i risultati di crescita, integrazione e collaborazione con il team PMO, che si occupava dell'analoga attività di gestione dei progetti negli Stati Uniti"; punto 62: " Il 4 ottobre 2016 il consulente esterno di OW sig. S. C. informava la S.Z. che J.M. voleva che venisse definito il piano di diversi progetti di crescita"; punto 63: "L'esponente impostava il suddetto piano che veniva comunicato da OW a J.M. (…)"; punto 64: "Il 6 ottobre 2016 l'esponente inviava un rapporto dettagliato di Universo a J.M. (…)").

Ciò conduce a escludere che la ricorrente sia stata oggetto di qualsivoglia demansionamento.

SUL MOBBING

Osserva sul punto il giudicante come, sulla falsariga di quanto precisato dalla Corte di Cassazione, "per "mobbing" si intende comunemente una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell'ambiente di lavoro, che si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l'emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio fisiopsichico e del complesso della sua personalità. Ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro sono, pertanto, rilevanti: a) la molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio; b) l'evento lesivo della salute o della personalità del dipendente; c) il nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e il pregiudizio all'integrità psico-fisica del lavoratore; d) la prova dell'elemento soggettivo, cioè dell'intento persecutorio" (cfr. ex plurimis Cass. civ., sez. lav., n. 3785 del 17 febbraio 2009).

La condotta di parte datoriale realizzante mobbing può non soltanto essere contrassegnata da causalità diretta, laddove sia il datore a rendersi protagonista di condotte vessatorie nei confronti del lavoratore, ma altresì da causalità omissiva, rispondendo il datore di lavoro per la mancata adozione di misure di prevenzione e di controllo di condotte di dileggio, integranti mobbing, realizzate da colleghi di lavoro, produttive di lesioni all'integrità psico-fisica del dipendente ( Cass. civ., sez. lav., 22 gennaio 2013, n. 1471).

Il mobbing può identificarsi nel susseguirsi di attacchi frequenti e duraturi e di soprusi da parte dei superiori gerarchici (cd. mobbing verticale discendente o bossing) o di altri colleghi di lavoro (cd. mobbing orizzontale, ove avvenga tra soggetti parigrado, ovvero mobbing ascendente, ove il soggetto passivo dei comportamenti in esame sia un superiore gerarchico) che hanno lo scopo di isolare il lavoratore, di danneggiarne i canali di comunicazione, il flusso di informazioni, la reputazione o la professionalità, di intaccare il suo equilibrio psichico, menomandone la capacità lavorativa e la fiducia in sé stesso, nonché di provocarne le dimissioni.

Fenomeno diverso, ma strettamente collegato al mobbing, è il cd. straining (dall'inglese to strain, = tendere, stressare), termine coniato da un noto studioso del settore (Herald Ege), per indicare quei conflitti organizzativi, che pur non rientrando nella definizione di mobbing, causano stress e ledono la salute psicofisica di chi li subisce. Si tratta, in sostanza, di un tipo di stress, superiore rispetto a quello connaturato alla natura stessa del lavoro e alle normali interazioni organizzative. Esso, infatti, è diretto nei confronti di una vittima o di un gruppo di vittime in maniera intenzionale, e con lo scopo preciso di provocare un peggioramento permanente della condizione lavorativa delle persone coinvolte. Si ritiene in particolare, in letteratura scientifica, che affinché tale condizione possa assurgere ad una fattispecie nociva idonea a determinare un danno nel lavoratore, è necessario: che il conflitto si sia verificato sul posto di lavoro, che le conseguenze dell'azione ostile siano costanti, che abbia avuto una durata di almeno sei mesi, che le azioni siano consistite in attacchi ai contatti umani, isolamento sistematico, demansionamento o privazione di qualunque incarico, attacchi contro la reputazione della persona, violenza o minacce di violenza, sia fisica che sessuale, che la vittima sia in una condizione di costante inferiorità, che il conflitto sia pervenuto alla fase in cui la vittima percepisce le conseguenze come permanenti ed infine che l'azione abbia avuto un intento discriminatorio Si tratta, come detto, di una nozione, elaborata come quella del mobbing nell'ambito della disciplina medico-legale, che la giurisprudenza sia di merito che di legittimità ha di recente recepito, ritenendo che "Ai sensi dell' art. 2087 c.c., norma di chiusura del sistema antinfortunistico e suscettibile di interpretazione estensiva in ragione sia del rilievo costituzionale del diritto alla salute sia dei principi di correttezza e buona fede cui deve ispirarsi lo svolgimento del rapporto di lavoro, il datore è tenuto ad astenersi da iniziative che possano ledere i diritti fondamentali del dipendente mediante l'adozione di condizioni lavorative "stressogene" (cd. "straining"), e a tal fine il giudice del merito, pur se accerti l'insussistenza di un intento persecutorio idoneo ad unificare gli episodi in modo da potersi configurare una condotta di "mobbing", è tenuto a valutare se, dagli elementi dedotti - per caratteristiche, gravità, frustrazione personale o professionale, altre circostanze del caso concreto - possa presuntivamente risalirsi al fatto ignoto dell'esistenza di questo più tenue danno" (così, Cass. sent. n. 3291 del 19/02/2016). Si legge infatti nelle motivazioni della detta sentenza che in tutti i casi in cui non si riscontri il carattere della continuità delle azioni vessatorie, come può accadere, ad esempio, in caso di demansionamento, dequalificazione, isolamento o privazione degli strumenti di lavoro, "se la condotta nociva si realizza con una azione unica ed isolata o comunque in più azioni ma prive di continuità si è in presenza dello straining, che è pur sempre un comportamento che può produrre una situazione stressante, la quale a sua volta può anche causare gravi disturbi psico-somatici o anche psico-fisici o psichici. Pertanto, pur mancando il requisito della continuità nel tempo della condotta, essa può essere sanzionata in sede civile sempre in applicazione dell' art. 2087 cod. civ. ma può anche dare luogo a fattispecie di reato, se ne ricorrono i presupposti (vedi, per tutte: Cass., VI Sezione penale, 28 marzo —3 luglio 2013, n. 28603)".

E' configurabile il mobbing lavorativo ove ricorra l'elemento obiettivo, integrato da una pluralità continuata di comportamenti dannosi interni al rapporto di lavoro e quello soggettivo dell'intendimento persecutorio nei confronti della vittima ( Cass. 21 maggio 2018, n. 12437; Cass. 10 novembre 2017, n. 26684);

E' configurabile lo straining, quale forma attenuata di mobbing, quando vi siano comportamenti stressogeni scientemente attuati nei confronti di un dipendente, anche se manchi la pluralità delle azioni vessatorie ( Cass. 10 luglio 2018, n. 18164) o esse siano limitate nel numero ( Cass. 29 marzo 2018, n. 7844), ma comunque con effetti dannosi rispetto all'interessato.

Secondo la giurisprudenza di legittimità non integra violazione dell' art. 112 c.p.c. l'avere utilizzato "la nozione medico-legale dello straining anziché quella del mobbing perché lo straining altro non è se non "una forma attenuata di mobbing nella quale non si riscontra il carattere della continuità delle azioni vessatorie," azioni che, peraltro, ove si rivelino produttive di danno all'integrità psico-fisica del lavoratore, giustificano la pretesa risarcitoria fondata sull' art. 2087 c.c. ((cfr.: Cass. 19 febbraio 2016 n. 3291).

E' comunque configurabile la responsabilità datoriale a fronte di un mero inadempimento - imputabile anche solo per colpa - che si ponga in nesso causale con un danno alla salute (ad es. applicazione di plurime sanzioni illegittime: Cass. 20 giugno 2018, n. 16256; comportamenti che in concreto determinino svilimento professionale: Cass. 20 aprile 2018, n. 9901), fermo restando che si resta al di fuori della responsabilità ove i pregiudizi derivino dalla qualità intrinsecamente ed inevitabilmente usurante della ordinaria prestazione lavorativa ( Cass. 29 gennaio 2013, n. 3028) o tutto si riduca a meri disagi o lesioni di interessi privi di qualsiasi consistenza e gravità, come tali non risarcibili ( Cass., S.U., 22 febbraio 2010, n. 4063; Cass., S.U., 11 novembre 2008, n. 26972).

Tanto premesso in diritto, ritiene questo Giudice che le prospettazioni di parte ricorrente siano del tutto infondate.

In primis, sul piano assertivo, si osserva come parte ricorrente si sia limitata a una generica ricognizione dei requisiti costitutivi del mobbing3, sì come enunciati dalla giurisprudenza, rinviando genericamente alla parte in fatto, senza preoccuparsi di selezionare le circostanze rilevanti ai fini della fattispecie e argomentare in merito a come queste evidenzierebbero la sussistenza gli elementi soggettivo e oggettivo del mobbing.

A ciò si aggiunga come sia rimasta totalmente indimostrata l'allegazione in merito al fatto che le dedotte condotte mobbizzanti abbiano prodotto ripercussioni negative nella sfera psico-fisica della ricorrente, non essendo stata prodotta documentazione medico-sanitaria, con l'eccezione di una succinta perizia medico-legale di parte fondatasi sulle circostanze riferite al redattore dalla ricorrente; né risultano in alcun modo forniti elementi sufficienti per inferire, nemmeno in via presuntiva ex art. 2729 c.c.) che le eventuali conseguenze negative sarebbero da porsi in relazione eziologica con le condotte poste in essere dal datore di lavoro.

Infine, si ravvisa l'insufficienza delle allegazioni in merito agli elementi da cui desumere la sussistenza all'elemento soggettivo unificante rappresentato dall'intento persecutorio.

Tanto basterebbe per il rigetto del ricorso in parte qua.

Ad ogni modo, anche volendo ipotizzare quali siano i segmenti della narrazione in fatto valorizzabili ai fini della ricostruzione ex post della fattispecie, la domanda spiegata si palesa comunque infondata.

Quanto all'asserito demansionamento, se ne è già sottolineata l'insussistenza; peraltro, esso si sarebbe protratto per un periodo di tempo non apprezzabile (dal 3 ottobre al licenziamento).

Proseguendo, la ricorrente si è lamentata del fatto che, nonostante le richieste specifiche e i solleciti

formulati, da parte dei vertici aziendali non sarebbe stato dettagliato, così come sarebbe stato necessario, il nuovo ruolo dirigenziale assegnato alla Dott.ssa S.Z. in forza della suddetta promozione, né lo stesso sarebbe stato ancorato a degli obiettivi specifici.

Il nucleo di tale asserita condotta mobbizzante non pare apprezzabile ai fini della ricostruzione delle fattispecie di mobbing/straining. Da un lato, infatti, come correttamente messo in evidenza da parte resistente, il dirigente, per antonomasia, non riceve direttive specifiche o descrizioni dettagliate della sua attività, poiché è proprio ai dirigenti che la Società si affida affinché questi decidano come operare ed agire, con ampia autonomia esecutiva; dall'altro, i compiti e le responsabilità della ricorrente furono (seppur in linea generale) tratteggiati già dalla comunicazione inviata in data 9.11.2015.

Peraltro, dalla stessa narrazione dei fatti di parte ricorrente, la denunciata incomunicabilità con i vertici aziendali non ha avuto effetti paralizzanti per la ricorrente, non impendendole di svolgere proficuamente il suo lavoro4.

La ricorrente, inoltre, ha denunciato che ai componenti del suo team, se non in maniera del tutto episodica e casuale (ma soprattutto non ultimativa) non sarebbero state comunicate formalmente le responsabilità della Dott.ssa S.Z. e il suo ruolo di coordinamento della loro attività.

La condotta è priva di rilevanza, posto che è pacifico che il ruolo e le responsabilità della S.Z. furono comunicati al suo Team. Non è ben chiaro cosa intenda la ricorrente con "ultimativa". L'eventuale opportunità di ribadire i ruoli reciprocamente ricoperti all'interno della società attiene alle ordinarie dinamiche/valutazioni aziendali, atteso che non vi sono elementi che possano lasciare presumere che i contorni dei ruoli furono lasciati sfumati al fine di depotenziare intenzionalmente la figura della ricorrente.

La ricorrente ha eccepito di essere stata deliberatamente marginalizzata ed esclusa da una serie di riunioni ed incontri. Anzitutto va chiarito che vi fossero riunioni destinate ad un numero limitato di manager italiani (cui non erano chiamati a partecipare anche altri dirigenti, oltre alla S.Z.) oppure riunioni promosse direttamente dalla casa madre americana nell'ambito di un progetto denominato "Champion Europe Growth Working Group", destinate esclusivamente al Dott. M., alla Dott.ssa D. R. e ai Sig.ri J.M., M. T. e A. F. (cfr. deposizioni dei testi D. R., T. e F.). Tanto premesso, nella cornice fattuale residua, l'eventuale mancata partecipazione a singoli eventi/riunioni appare prima di rilevanza, al di fuori di un contesto lavorativo (intenzionalmente o solo quoad effectum) escludente, circostanza non emersa in giudizio.

In senso contrario, la deposizione del teste T. sul punto ("Ricordo che in più occasioni la ricorrente si lamentò con me del fatto che erano fissate le riunioni ma non le erano comunicate cosicché non era informata dell'andamento del progetto") ha rilievo probatorio pressoché nullo, trattandosi di circostanze apprese de relato actoris5 (favorevoli alla parte). Al contrario, quanto riferito al teste T. (e riportato anche dalla teste D. R.) smentisce l'ulteriore contestazione sollevata dalla ricorrente, ovvero che fu costretta "ad accettare la riduzione del suo orario di lavoro orario che infatti passò da 5 a 4 giorni la settimana, fino alla fine del 2016, come, ancora una volta, impostole dall'azienda".

In particolare, il teste T. ha riferito: "(…) ricordo che la Ricorrente mi parlò del problema della sua presenza nella Società al venerdì […] confermo che la Dott.ssa S.Z. mi parlò della sua negoziazione sull'orario di lavoro"; la teste D. R. ha riferito: "Ricordo che quando ottenne la riduzione dell'orario i giorni di presenza furono quattro, per quello che ricordo il giorno libro era il venerdì […] Ricordo che le chiesi se era interessata a dividere l'orario su tre giorni la settimana, la risposta fu negativa e la cosa non ebbe alcun seguito".

Dalla lettura complessiva delle deposizioni si ricava che ci fu una negoziazione (e non una imposizione) sull'orario di lavoro, peraltro su impulso della stessa ricorrente.

L'ultimo segmento della condotta mobbizzante sarebbe rappresentato dall'esercizio del recesso, del quale se ne è già sottolineata l'illegittimità, fatto il quale tuttavia non è ex se idoneo a sorreggere la complessiva ricostruzione operata in ricorso, il quale, pertanto, non merita accoglimento in parte qua.

In conclusione, dunque, non risulta documentata la nocività dell'ambiente di lavoro.

SULLE SPESE

In ragione dell'accoglimento solo parziale del ricorso, le spese sono compensate al 50%, mentre il restante 50% è posto a carico di parte resistente.

Si precisa che, in applicazione del principio stabilito dall' art. 91 c.p.c., le stesse sono liquidate come in dispositivo, tenuto conto 1) delle caratteristiche, dell'urgenza e del pregio dell'attività prestata, 2) dell'importanza, della natura, delle difficoltà e del valore dell'affare, 3) delle condizioni soggettive del cliente, 4) dei risultati conseguiti, 5) del numero e della complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate, nonché delle previsioni delle tabelle allegate al decreto del Ministro della Giustizia n. 37 del 8.3.2018 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale – Serie Generale – n. 96 del 26.4.2018, in vigore dal successivo 27.4.2018). In particolare si fa riferimento, stante il carattere comunque non vincolante delle dette tariffe, al loro valore minimo per lo studio della controversia, per la fase introduttiva e per la fase decisoria (per controversie di valore compreso tra euro 52.000,00 e euro 260.000,00), e si determina in euro 7800,00 il compenso complessivo. Ai compensi si aggiunge il rimborso forfetario delle spese generali pari al 15% degli stessi (espressamente reintrodotto dall' art. 2 del D.M. 55/2014, non modificato in parte qua), oltre I.V.A. e C.P.A. come per legge.

 


P.Q.M.


Il Tribunale , definitivamente pronunciando, ogni altra istanza disattesa o assorbita, così decide:

1) Dichiara illegittimo il recesso esercitato da Champion Europe Service Srl con lettera raccomandata del 25.11.2016;

2) Condanna la Champion Europe Service Srl, in persona del legale rappresentante pt.., al risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni dovute sino alla scadenza del contratto (31.12.2017), pari a euro 128.511,91, oltre interessi e rivalutazione come per legge;

3) Rigetta le altre domande avanzate dalla ricorrente;

4) Dichiara compensate le spese nella misura del 50%;

5) Condanna parte resistente al pagamento del 50% delle spese di lite, liquidate in euro 874,00 per esborsi ed euro 3.900 per compensi, oltre rimb. forf., IVA e CPA.

Modena , 27 aprile 2021

Il Giudice Del Lavoro

Andrea Marangoni




 

 

1 Con la presente lettera, ai sensi di legge e di contratto, Le contestiamo quanto segue. Nel corso della mattina di giovedì 27 ottobre 2016, il dott. J. M. Le ha chiesto di predisporre un report aggiornato sull'andamento del portafoglio ordini per le stagioni SS15, SS16 e SS17. Nonostante Lei avesse informato il dott. J.M. che tale report sarebbe stato completato entro la fine della giornata, ha spedito tale documento solamente nella tarda serata del successivo Lunedi 31 ottobre 2016, con diversi giorni di ritardo rispetto a quanto inizialmente preventivato.

Nonostante, in considerazione del ruolo apicale da Lei ricoperto all'interno della nostra Società, Lei non sia soggetta ad alcun obbligo di rispettare un determinato orario, Lei si presenta regolarmente presso gli uffici della nostra Società ben oltre l'usuale orario di inizio delle attività, creando non poche difficoltà alle persone che quotidianamente devono interfacciarsi con Lei per lo svolgimento della loro normale attività lavorativa.

In data 10 novembre 2016, Lei ha ricevuto un'email dal Suo responsabile diretto, dott. J.M., con cui quest'ultimo Le chiedeva di fornire urgentemente copia di una specifica lista di fornitori esterni. Lei non ha mai dato alcun riscontro alla predetta email.

In data 2 novembre 2016, Lei non si è presentata al lavoro senza che tale assenza sia mai stata autorizzata dal Suo responsabile diretto, dott. J.M.. In aggiunta a quanto sopra riportato nel dettaglio, Le evidenziamo altresì come, in più di un'occasione, Lei abbia apertamente dimostrato di non essere in grado di gestire i rapporti con il Management Team della nostra Società e di non saper affrontare e risolvere problematiche in maniera autonoma".

2 Pari all'importo loro dovuto per l'anno 2017, pari a euro 120.000,00 (cfr. doc. 6 ricorso) oltre al rateo di 13^ mensilità 2016 e alla mensilità di dicembre 2016, per un totale di euro 128.511,91; non sono dovute le ulteriori voci retributive indicate nei conteggi (ferie, permessi) in assenza totale di allegazione dei relativi fatti costitutivi.

3 Come dimostrato dai documenti a corredo dello svolgimento dei fatti suesposti nel caso di specie si ravvisano gli estremi del cosiddetto mobbing sul lavoro.

In particolare tutti i parametri previsti dal recente indirizzo giurisprudenziale si ravvisano nella vicenda dell'esponente, in sintesi con riserva di sviluppare le argomentazioni si evidenzia quanto segue:

a) l'ambiente delle vessazioni: tutti i fatti sono avvenuti all'interno di un ambiente lavorativo e compiuti dai responsabili dell'azienda, l'emarginazione, l'esclusione, l'allontanamento della lavoratrice è sistematicamente avvenuto all'interno dell'ambiente lavorativo;

b) la durata delle vessazioni: come documentato i comportamenti lesivi i diritti dell'esponente hanno avuto una durata di oltre un anno;

c) la frequenza delle vessazioni: i contrasti, le mortificazioni, le esclusioni, l'isolamento non sono stati episodici ma reiterati e molteplici.

d) tipologia di azioni ostili: nel caso di specie si ravvisano buona parte delle tipologie che la Suprema Corte di Cassazione ha ritenuto idonee per concretizzare una ipotesi di mobbing; in particolare le azioni della convenuta si sono concretizzate in attacchi alla possibilità di comunicare, isolamento sistematico, cambiamento delle mansioni lavorative, attacchi alla professionalità dell'esponente, demansionamento.

e) Dislivello degli antagonisti: è manifesta l'inferiorità di ruolo e cariche dell'esponente rispetto ai responsabili in premessa

indicati.

f) Andamento per fasi successive: come si è documentato la vicenda ha avuto un percorso per fasi successive: conflitto mirato, inizio del mobbing, sintomi psicosomatici, errori, abusi, emarginazione, isolamento e infine ingiusta interruzione del rapporto lavorativo.

4 Punto 23 ricorso: " (…)nonostante la Direzione non provvedesse a definire e a supportare il suo nuovo ruolo e le sue nuove responsabilità in azienda e nonostante le pressioni derivanti dalla gestione di un team poco propenso a collaborare, la Dott.ssa S.Z. con il suo lavoro portava miglioramenti notevoli all'efficienza del processo di sviluppo del prodotto, creando trasparenza e struttura in un team eterogeneo e gestendo con successo anche gli incarichi ereditati dall'ex direttore Wholesalese".

5 La deposizione "de relato ex parte actoris", da sola, non ha alcun valore probatorio, nemmeno indiziario, ma può assurgere a valido elemento di prova quando sia suffragata da circostanze oggettive e soggettive a essa estrinseche o da altre risultanze probatorie acquisite al processo che concorrono a confortarne la credibilità, le quali, quindi, devono avere adeguata consistenza ed essere congruamente esaminate dal giudice di merito nel loro rilievo e nella loro funzione. Vanno distinti i testimoni "de relato actoris" da quelli "de relato in genere": i primi depongono su fatti e circostanze di cui sono stati informati dal soggetto medesimo che ha proposto la domanda giudiziale, così che la rilevanza del loro assunto è sostanzialmente nulla in quanto vertente sul fatto della dichiarazione di una parte del giudizio e non sul fatto oggetto dell'accertamento, che costituisce il fondamento storico della pretesa; gli altri testi, quelli "de relato in genere", depongono invece su circostanze che hanno appreso da persone estranee al giudizio, quindi sul fatto della dichiarazione di costoro, e la rilevanza delle loro deposizioni si presenta attenuata, perché indiretta, ma ciononostante può assumere rilievo ai fini del convincimento del giudice nel concorso di altri elementi oggettivi e concordanti che ne suffragano la credibilità. Quando, poi, la testimonianza ha ad oggetto dichiarazioni rese a una parte contro sé medesima, non si tratta di deposizione "de relato", bensì di prova testimoniale della confessione stragiudiziale, che può essere appunto dimostrata anche per testimoni, entro il limite segnato dall 'art. 2735, comma 2, c.c. (Cassazione civile, sez. I, 03/04/2007, n. 8358; Cass. civ. Sez. III, 08/04/2020, n. 7746)