T.A.R. Lazio, Sez. 1 Bis, 21 luglio 2021, n. 8721 - Mobbing


 

N. 08721/2021 REG.PROV.COLL.

N. 11193/2019 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA
 


sul ricorso numero di registro generale 11193 del 2019, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Alessandro Onnis, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero dell'Interno, Interno - Dipartimento Vigili del Fuoco del Soccorso Pubblico e Difesa Civile, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Tolomeo Litterio, rappresentato e difeso dall'avvocato Emanuela Mazzola, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per l'accertamento dell'illegittimità della mancata promozione del ricorrente alla carica di Dirigente generale e la condanna dei resistenti alternativamente o solidalmente tra loro al risarcimento del danno con la loro condanna al pagamento dell'importo pari ad € 324.000,00, o in quella somma maggiore o minore che si riterrà di Giustizia quantificabile anche ex art. 1226 c.c.:

per l'accertamento della fattispecie del mobbing e in via subordinata del grave e illegittimo demansionamento, e comunque, accertare la causa di servizio, in merito ai fatti descritti e le patologie riscontrate in capo al ricorrente e conseguente condanna dei resistenti in solido o alternativamente tra di loro al pagamento dell'importo pari ad € 61.523,47 per il danno biologico non patrimoniale subito, nonché l'importo pari ad € 100.000,00 per il danno morale ed alla professionalità subiti, o in quella somma maggiore o minore che si riterrà di Giustizia quantificabile anche ex art. 1226 c.c.; nonché per la condanna dei resistenti al risarcimento di ogni ulteriore eventuale danno ritenuto di Giustizia, valutabile anche ex art. 1226 c.c.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno e di Tolomeo Litterio e di Interno - Dipartimento Vigili del Fuoco del Soccorso Pubblico e Difesa Civile;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 giugno 2021 il dott. Fabrizio D'Alessandri celebrata nelle forme di cui all’art. 25 del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito in l. n. 176/2020, come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


 

Fatto



Parte ricorrente, Dirigente del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, ha proposto ricorso deducendo gravi condotte tenute nei suoi confronti da parte del datore di lavoro e dei suoi superiori gerarchici, nel corso del suo servizio svolto presso la Direzione Centrale per la Prevenzione e la Sicurezza Tecnica, che avrebbero comportato, in primo luogo, la sua mancata nomina alla carica di dirigente generale e, in secondo luogo, anche considerate autonomamente, l’integrazione della fattispecie del mobbing nei suoi confronti.

Il medesimo ricorrente ha chiesto, quindi, il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale relativo a entrambi gli aspetti suindicati al Ministero datore di lavoro e al un suo diretto superiore gerarchico, T. L. - ai tempi dello svolgimento dei fatti dirigente generale - rilevando anche di aver subito gravi conseguenze psicofisiche e una gravissima lesione della salute.

In particolare, a supporto della sua pretesa parte ricorrente deduce di essere stato incaricato, in data 8.8.2014, di assumere la Dirigenza dell’Area Coordinamento e Sicurezza del lavoro della Direzione Centrale per la Prevenzione e la Sicurezza Tecnica nonché le funzioni vicarie del Direttore Centrale, nell’ambito della stessa Direzione.

In data 29.12.2016 T.L. ha assunto l’incarico di Direttore Centrale per la Prevenzione e la Sicurezza Tecnica del Dipartimento ed è divenuto diretto superiore gerarchico del ricorrente.

Assume il ricorrente che dall’insediamento del nuovo diretto superiore gerarchico si sono conseguiti una serie di atti e comportamenti che hanno portato alla completa privazione delle sue mansioni, con conseguente demansionamento, indicati in modo analitico come segue:

- dopo 3 mesi dal proprio insediamento L.T., con D.D.S. n. 14 del 28.03.2017, ha variato l’organizzazione della struttura complessiva della Direzione Centrale, costituita da 4 Uffici dirigenziali, di cui l’Ufficio I, corrispondente all’Ufficio di Coordinamento Autorizzazioni, Notifica e Controllo, diretto dal ricorrente, con la costituzione di apposita “Segreteria Tecnica” all’interno dell’Ufficio di Staff del Direttore Centrale e il contemporaneo trasferimento del “Servizio Operativo Logistico” della Direzione Centrale assieme al personale ad esso afferente, dall’Ufficio I diretto dal ricorrente alla predetta Segreteria diretta dal Direttore Centrale L.T., senza peraltro dare alcuna spiegazione al medesimo ricorrente;

- L.T. ha adottato la nota n. 4109 del 30.03.2017 comunicando ai Dirigenti dei vari Uffici dipendenti la necessità che il controllo e la firma delle note dirigenziali emesse, ivi incluse le disposizioni interne destinate al personale assegnato ai vari Uffici, “…siano ricondotti ad un unico soggetto quale è il Direttore Centrale, al fine di fare assumere a ciascun atto la valenza derivante la livello gerarchico maggiore…”;

- L.T. ha adottato il D.D.S. n. 15 del 05.04.2017 che ha disposto il trasferimento, senza motivazione e senza preavviso al Dirigente responsabile, di n. 2 unità in precedenza impiegate presso l’Ufficio diretto dal ricorrente presso altro Ufficio della Direzione Centrale;

- L.T. ha adottato il D.D.S. n. 19 del 21.04.2017 che ha disposto il transito del Settore Informatica, in precedenza diretto dal ricorrente, ivi incluso il personale ad esso afferente, al proprio Ufficio di staff, spogliando ulteriormente di personale l’ufficio del medesimo ricorrente;

- nel mese di agosto 2017, in occasione della designazione, da parte del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, dei componenti che, in rappresentanza del Corpo Nazionale dei vigili del fuoco, avrebbero dovuto fare parte del nuovo “Comitato nazionale di coordinamento per i prodotti da costruzione” L.T. non ha designato il ricorrente, a cui la carica sarebbe spettata di diritto, ma altri funzionari aventi qualifica inferiore;

- nel mese di agosto 2017, L.T., con nota n. 11178 del 22.08.2017, ha contestato al ricorrente alcune disfunzioni nell’attività di gestione patrimoniale e contabile, propria dell’Ufficio di Coordinamento Autorizzazioni, Notifica e Controllo;

- L.T. ha designato altri soggetti quali rappresentanti della Direzione Centrale per la Prevenzione e la Sicurezza Tecnica per la partecipazione ad appositi gruppi di lavoro avviati dal Dipartimento delle Politiche Europee della Presidenza del Consiglio dei Ministri ai fini dell’attuazione di alcuni Regolamenti comunitari (regolamenti facenti parte del cosiddetto “Pacchetto beni della CE”), escludendo il ricorrente;

- L.T. ha adottato la Disposizione di servizio n. 5 del 30.01.2018, che ha disposto il trasferimento, senza motivazione e senza preavviso al Dirigente responsabile di una ulteriore unità in precedenza impiegata presso l’Ufficio I diretto dal ricorrente presso altro Ufficio della Direzione Centrale;

- L.T. ha adottato l’ordine del giorno n. 18 del 09.02.2018 che ha stabilito le modalità di partecipazione dei Dirigenti della Direzione Centrale, in qualità di docenti, al corso per funzionari amministrativi – Modulo Prevenzione Incendi, escludendo parte ricorrente, includendo, invece, gli altri dirigenti appartenenti alla stessa struttura;

- Con nota n. 3070/E- Uff. IV - Affari Interni del 10 Aprile 2018, a firma del Vice Capo Gabinetto Vicario del Ministro dell’Interno, è stata comunicata ad ACCREDIA (Ente Unico di accreditamento nazionale) la sostituzione del ricorrente con un altro Dirigente di qualifica inferiore, in seno al Comitato di Indirizzo e Garanzia di Accredia, sulla base delle indicazioni fornite dal Dipartimento dei Vigili del Fuoco, del Soccorso Pubblico e della Difesa Civile:

- nel mese di maggio 2018 sono stati posti in essere i seguenti atti da quali si evincerebbero intenti “persecutori” relativi ai progetti di studio anno 2017-2018 di competenza della Direzione Centrale Prevenzione e Sicurezza tecnica e nello specifico: la nota n. 16559 del 11.12.2017 con cui il Direttore Centrale L.T. ha trasmesso i Progetti annuali di studio e sperimentazione (anno 2017-2018) relativi agli Uffici dipendenti, approvando e includendo anche quello proposto dall’Ufficio diretto dal ricorrente dal titolo “Lavori, servizi e forniture nella Pubblica Amministrazione secondo l’evoluzione della normativa italiana”. Tali progetti “finalizzati”, in relazione alla costituzione di apposito fondo (Fondo di produttività per il personale direttivo del C.N.VV.F.), prevedono riconoscimenti economici accessori ai componenti chiamati a fare parte dei vari gruppi di lavoro corrispondenti; il decreto n. 215 del 29.12.2017 con il quale tali progetti sono stati successivamente approvati dal Capo del Corpo Nazionale; la nota n. 1540 del 22.01.2018 attraverso cui il Capo del Corpo ha incaricato l’apposito gruppo di lavoro, costituito da funzionari direttivi tutti facenti parte dell’Ufficio diretto dal ricorrente, di sviluppare il progetto predetto; la nota n. 6713 del 21.05.2018, con la quale L. T. ha comunicato al Capo del Corpo, in risposta ad apposita nota da quest’ultimo inviata, l’eliminazione del progetto di studio proposto dall’Ufficio I della DCPST e la sua sostituzione con altro progetto avente titolo e argomento diverso da quello già in precedenza approvato e trasmesso dallo stesso Direttore Centrale Litterio. Ciò in modo improvviso e ingiustificato, ponendo in oggettiva difficoltà il ricorrente, Dirigente responsabile, tenuto conto che tale decisione è stata presa discrezionalmente ed unilateralmente da L.T. dopo circa 5 mesi dalla data di incarico del Capo del Corpo ai componenti del Gruppo di lavoro, generando difficoltà gestionali all’interno dell’ufficio diretto dal ricorrente per l’impossibilità di riconoscere i previsti incentivi economici ai propri funzionari; la nota n. 6774 del 22.05.2018 con la quale il ricorrente comunicava a L.T., in relazione all’eliminazione del progetto dal medesimo attuata, di non poter procedere ad alcun riconoscimento economico per il lavoro svolto fino a quel momento da parte del gruppo designato e L.T. la nota al dirigente responsabile con l’annotazione a mano: “Egregio ingegnere la prego di considerare che lo scrivente non è il coordinatore del progetto. Inoltre le è ben nota la motivazione della sostituzione del titolo del progetto. Non è ammissibile la tattica di scarica barile da lei attuata”; l’appunto datato 25.05.2018 con il quale il ricorrente ha confermato alla Segreteria del Direttore Centrale che non è possibile procedere al riconoscimento economico del lavoro sino a quel momento svolto dal Gruppo incaricato per il vecchio progetto eliminato, dichiarandosi comunque disponibile a riconoscere interamente il lavoro relativo al nuovo progetto alla fine dell’anno, sulla quale veniva annotato da L.T. che: “E’ indirizzata in modo inusuale alla Segreteria. Pertanto resta agli atti in attesa di nota ufficiale eventuale. Per quanto concerne il pagamento delle indennità saranno inviate le note che i dirigenti produrranno in merito ai loro dipendenti. Al coordinatore del progetto risponde direttamente il dirigente responsabile”; in più, in occasione del trasferimento ad altro incarico dei Dirigenti della Direzione Centrale per la prevenzione e la sicurezza tecnica, risalente al 15.09.2018, tra i quali il ricorrente, L.T. emanava quattro ordini del giorno dai quali emerge l’atteggiamento discriminatorio del superiore gerarchico, in quanto vengono rivolti saluti, ringraziamenti ed elogi ai Dirigenti dell’ufficio, ad eccezione del ricorrente;

Parte ricorrente ha, altresì, indicato di aver sempre segnalato al superiore gerarchico le anomalie delle disposizioni impartite, così come la necessità di una urgente ricognizione dei carichi di lavoro attualmente posseduti dai vari uffici della Struttura al fine della migliore e più appropriata distribuzione dell’organico complessivo disponibile, nonché la circostanza che sarebbero sempre rimaste “inascoltate le petizioni di intervento e di aiuto rivolte ai vertici più elevati della struttura datoriale in applicazione della normativa vigente (D.P.R. 28.02.2012 n. 64: Regolamento di servizio del Corpo Nazionale dei Vigili del fuoco)” di cui alla nota n. 7322 del 31.05.2017 e successive sollecitazioni.

Il medesimo ricorrente evidenzia, altresì, che i giudizi di valutazione relativi agli anni 2016 e 2017, da cui emergerebbero giudizi di eccellenza, portano la data del 15 Aprile del 2019 e sono quindi state predisposte con imperdonabile ritardo anche rispetto al momento in cui si sarebbero dovute valutare ai fini della promozione.

Parte ricorrente imputa all’indicata grave condotta assunta dai vertici della Amministrazione la sua mancata promozione a dirigente generale, per non essere rientrato tra i tre dirigenti promossi in data 8.8.2018, in quanto alcuni colleghi lo avrebbero illegittimamente “scalvato” in graduatoria, così come la mancata promozione nel mese di aprile 2019, al momento della nomina di altri due dirigenti generali, di cui uno posizionato in graduatoria nella posizione subito successiva a quella del ricorrente. Censura, altresì, la legittimità dell’iter procedimentale delle suindicate nomine.

Il medesimo ricorrente evidenzia che il comportamento tenuto nei suoi confronti integra gli estremi del mobbing e ha avuto gravi ricadute anche sul suo stato di salute.

In particolare, i superiori gerarchici lo avrebbero demansionato e privato delle proprie funzioni; avrebbero annullato la sua autorevolezza e autorità sui subordinati, vanificato immotivatamente la legittima aspettativa di promozione e di conclusione della carriera; avrebbero adottato, in rapida successione, innumerevoli provvedimenti di dubbia consistenza giuridica, fondati su presupposti illegittimi o di fatto errati; lo avrebbero ripetutamente svilito anche agli occhi dei colleghi; lo avrebbero costretto a un prolungato periodo di malattia e a valutare di recedere dal rapporto lavorativo.

In ragione di ciò il ricorrente risulterebbe affetto di una patologia depressiva acuta, dovuta agli atteggiamenti vessatori subiti e avrebbe interrotto lo svolgimento di tutte le attività affettive, sociali, familiari che prima ne caratterizzavano la vita extralavorativa.

Parte ricorrente ha quindi chiesto all’adito T.A.R.:

- l'accertamento dell'illegittimità della mancata promozione del ricorrente alla carica di Dirigente generale e la condanna dei resistenti alternativamente o solidalmente tra loro al pagamento del relativo danno patrimoniale pari ad € 324.000,00, o in quella somma maggiore o minore che si riterrà di giustizia quantificabile anche ex art. 1226 c.c.;

- l'accertamento della sussistenza della fattispecie di mobbing o, in via subordinata, del grave ed illegittimo demansionamento, e comunque, l’accertamento della causa di servizio, in merito ai fatti descritti e le patologie riscontrate in capo al ricorrente, con condanna dei resistenti alternativamente o solidalmente tra loro al risarcimento del danno biologico non patrimoniale subito pari ad € 61.523,47, nonché del danno morale ed alla professionalità subiti pari ad € 100.000,00, o in quella somma maggiore o minore che si riterrà di giustizia quantificabile anche ex art. 1226 c.c.; nonchè di ogni ulteriore eventuale danno ritenuto di giustizia, valutabile anche ex art. 1226 c.c.

Si sono costituite in giudizio le parti intimate, resistendo al ricorso e articolando memorie difensive.

 

Diritto



1) Il ricorso si palesa in parte inammissibile e in parte infondato.

Parte ricorrente, come già indicato nella parte in fatto, ha articolato la sua pretesa risarcitoria in base al doppio profilo del danno (patrimoniale) subito per l’illegittima mancata nomina a dirigente generale, con la perdita delle differenze retributive, e per il danno (non patrimoniale), e nello specifico biologico, danno morale e connesso alla perdita di professionalità, arrecato dal comportamento qualificabile come mobbing o, comunque, dal grave ed illegittimo demansionamento, e in ogni caso dalla dipendenza da fatti illeciti subiti durante il servizio che avrebbero causato al ricorrente delle patologie.

2) Quanto al danno derivante dalla mancata promozione a dirigente generale il Ministero intimato ha eccepito in via preliminare l’inammissibilità della pretesa in quanto formulata oltre i termini perentori previsti dalla normativa vigente per il risarcimento del danno da lesione di interesse legittimo.

In particolare, l’aspirazione alla nomina a dirigente generale non dà sicuramente luogo a una posizione di diritto soggettivo ma di interesse legittimo che può venire in rilevo ogniqualvolta l’Amministrazione decide di effettuare la nomina e nell’ambito della relativa procedura di scelta del soggetto da nominare.

In tale contesto l’aspirante può far valere le sue pretese inerenti all’eventuale illegittimità della scelta di un soggetto diverso.

Nel caso di specie. parte ricorrente, pur lamentano delle illegittimità relative alla scelta dei nominati in due procedure di nomina e ritenendosi ingiustamente pretermesso, non ha impugnato i relativi atti, limitandosi a reclamare in questa sede la tutela risarcitoria.

Il Collegio evidenzia al riguardo che, seppure non vi è più da tempo alcuna pregiudiziale amministrativa contraria alla proposizione in via diretta ed esclusiva dell’azione risarcitoria per violazione di posizione di interesse legittimo, tuttavia il comma 3 dell’art. 30 c.p.a. detta un termine perentorio di 120 giorni per l’esercizio della pretesa risarcitoria , indicando che “la domanda di risarcimento per lesione di interessi legittimi è proposta entro il termine di decadenza di centoventi giorni decorrente dal giorno in cui il fatto si è verificato ovvero dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da questo”.

Risulta quindi inammissibile la domanda risarcitoria relativa alla mancata nomina del ricorrente nel procedimento di nomina dei tre dirigenti generali conclusosi, come indicato dallo stesso ricorrente, l’8/8/2018, per intervenuta decadenza del termine per proporre l’azione risarcitoria.

Per quanto riguarda, invece, il procedimento di nomina degli altri due dirigenti generali intervenuto successivamente, la stessa Amministrazione che ha sollevato l’eccezione di tardività ha indicato che l’avviso contenente i nomi dei dirigenti generali neopromossi è stato pubblicato sul sito internet istituzionale del Ministero in data 24/4/2019 e il ricorso è stato notificato all’Amministrazione l’8/8/2019, con la conseguenza che il termine di 120 giorni non risultava ancora trascorso al momento della notifica.

Per quest’ultima procedura di nomina, tuttavia, non si palesa dimostrato il presupposto dell’illegittimità, avendo parte ricorrente formulato specifiche censure, allegano gli elementi di possibile eccesso di potere solo, in relazione alla procedura del 2018, mentre per ciò che concerne la procedura di nomina del 2019, nessuna specifica concreta circostanza è stata dedotta a sostegno della tesi dell’illegittimità. Per tale profilo l’istanza risarcitoria non può, quindi, essere accolta.

3) Infondata è, altresì, l’istanza risarcitoria del danno non patrimoniale, basata sull’accertamento di una situazione di mobbing nei confronti di parte ricorrente o, comunque, di comportamenti illeciti posti in essere dai superiori gerarchici a danno del medesimo ricorrente.

Tale pretesa è basata sulla violazione del diritto soggettivo e, quindi, alla stessa non sono applicabili i termini di decadenza e la decadenza ex art. 30, comma 3, c.p.a., ma il diverso e più lungo termine prescrizionale, sicuramente non trascorso e, in ogni caso, neppure eccepito in sede di giudizio.

Il Collegio ritiene utile ricordare, in punto di diritto, come, ai fini della configurabilità del mobbing, il costante orientamento del giudice della legittimità, al quale si è uniformato l’indirizzo uniforme della giurisprudenza amministrativa, richiede che, per assumere giuridica rilevanza, tale fenomeno deve presupporre l'esistenza di plurimi elementi, la cui prova compete al prestatore di lavoro, di natura sia oggettiva che soggettiva e, fra questi, l'emergere di un intento di persecuzione, che non solo deve assistere le singole condotte poste in essere in pregiudizio del dipendente, ma anche comprenderle in un disegno comune e unitario, quale tratto che qualifica la peculiarità del fenomeno sociale e giustifica la tutela della vittima (Cass Civ., sez. lavoro, 15 febbraio 2016, n. 2920).

Nello specifico, devono ricorrere una pluralità di elementi costitutivi, ovverosia:

a) una serie di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente che, con intento vessatorio, siano posti in essere contro la vittima in modo miratamente sistematico e prolungato nel tempo, direttamente da parte del datore di lavoro o di un suo preposto o anche da parte di altri dipendenti, sottoposti al potere direttivo dei primi;

b) l'evento lesivo della salute, della personalità o della dignità del dipendente;

c) il nesso eziologico tra le descritte condotte e il pregiudizio subito dalla vittima nella propria integrità psico-fisica e/o nella propria dignità;

d) l'elemento soggettivo, cioè l'intento persecutorio unificante di tutti i comportamenti lesivi (T.A.R. Lazio Roma, Sez. I Quater, 4 febbraio 2019, n. 1421).

Alla stessa stregua, il Consiglio di Stato ha affermato che, nell’ambito dei rapporti di pubblico impiego e della conseguente responsabilità datoriale ex art. 2087 c.c., il mobbing si sostanzia in una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, complessa, continuata e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del dipendente nell’ambiente di lavoro, che si manifesta con comportamenti intenzionalmente ostili, reiterati e sistematici, esorbitanti od incongrui rispetto all’ordinaria gestione del rapporto, espressivi di un disegno in realtà finalizzato alla persecuzione o alla vessazione del medesimo dipendente, tale da provocare un effetto lesivo della sua salute psicofisica (ex multis Cons. St., sez. VI, 13 marzo 2018, n. 1589; 28 gennaio 2016, n. 284; 12 marzo 2015, n. 1282).

La sussistenza di condotte mobbizzanti deve essere qualificata dall'accertamento di precipue finalità persecutorie o discriminatorie, poiché proprio l'elemento soggettivo finalistico consente di cogliere in uno o più provvedimenti e comportamenti, o anche in una sequenza frammista di provvedimenti e comportamenti, quel disegno unitario teso alla dequalificazione, svalutazione od emarginazione del lavoratore pubblico dal contesto organizzativo nel quale è inserito che è imprescindibile ai fini dell'enucleazione del mobbing (Cons. Stato, Sez. III, 14 maggio 2015 n. 2412; Cons. Stato, Sez. IV, 16 febbraio 2012, n. 815).

Conseguentemente, un singolo atto illegittimo o anche più atti illegittimi di gestione del rapporto in danno del lavoratore, non sono, di per sé, sintomatici della presenza di un comportamento mobbizzante (Cons. Stato Sez. VI, 16 aprile 2015 n. 1945; T.A.R. Lazio Roma, Sez. I Bis, 14.11.2018, n. 10977).

Nei casi di asserito mobbing, il giudice deve, poi, considerare le peculiarità dell’ambiente di lavoro e, nel caso di specie, la realtà particolare delle Amministrazioni gerarchicamente organizzate (Cons. Stato, Sez. III, 12 gennaio 2015, n. 28; 4 febbraio 2015, n. 529).

Affinchè ci sia mobbing è necessario che gli atti di gestione del rapporto in danno del lavoratore siano sintomatici della presenza di un comportamento mobbizzante e non di mera divergenza o conflittualità di rapporti, di vedute e di idee, che appare quasi fisiologica nell’ambito dello svolgimento del rapporto di impiego, ivi compreso quello di pubblico impiego.

Il “danno - conseguenza”, ossia lo specifico pregiudizio professionale, biologico ed esistenziale sofferto dal lavoratore, deve essere parimenti allegato e provato dal danneggiato, in quanto non si pone quale conseguenza automatica di ogni comportamento illegittimo rientrante nelle suindicate categorie; non è sufficiente, in altre parole, dimostrare la mera potenzialità lesiva della condotta datoriale, ma incombe sul lavoratore l’onere non solo di allegare gli elementi costitutivi del demansionamento o del mobbing, ma anche di fornire la prova, ex art. 2697 c.c., del danno non patrimoniale che ne è derivato e del nesso di causalità con l’inadempimento datoriale (Tar Lazio, Sez. I ter, 26 giugno 2015, n. 8705).

4) Sulla base di quanto indicato non risultano riscontrabili, nel caso di specie, elementi sufficienti per ravvisare l’esistenza di una fattispecie di mobbing e come parte ricorrente non abbi assolto il suo onere probatorio.

Il supposto demansionamento e l’atteggiamento persecutorio, portato avanti con una serie di condotte illecite o atti illegittimi, non si evidenziano nel caso di specie con reiterati ingiustificati richiami e sanzioni disciplinari o nella sottrazione di vantaggi precedentemente attribuiti, che costituiscono in concreto indici rilevatori della fattispecie di mobbing, ma in atti organizzativi di spostamento di personale tra uffici e mancata designazione per far parte di alcuni organi.

Anche questi atti possono naturalmente in teoria essere ingiustificati e motivati da intenti persecutori, ma il ricorrente deve fornirne prova, non potendo ogni contrasto o diversità di vedute tra l’inferiore e il superiore gerarchico in ordine all’organizzazione degli uffici e alla designazione presso organismi o gruppi di lavoro essere intesa come un atteggiamento persecutorio idoneo a integrare l’ipotesi del mobbing, soprattutto in assenza di indici di illegittimità di tali atti organizzativi e di gestione del rapporto di lavoro.

Nel caso di specie, peraltro, parte ricorrente, pur lamentando in questa sede l’illegittimità degli atti del superiore gerarchico, non li ha mai impugnati.

Ritiene il Collegio che le circostanze riportate da parte ricorrente possono tutt'al più riflettere un problematico rapporto personale con il superiore in questione, potendo anche mettere in rilievo un non particolare apprezzamento per il suo operato, ma non assurgono a fatti costitutivi della fattispecie del mobbing o atti illeciti risarcibili.

Non si ravvisano gli estremi per rinvenire quell’insieme di comportamenti esorbitanti, reiterati e sistematici, volutamente diretti ad operare una vessazione del ricorrente, necessari affinchè possa configurarsi l’istituto in questione, così come non risultano integrati profili di evidente demansionamento professionale.

Le circostanze evidenziate da parte ricorrente, ai fini della configurazione del mobbing, riguardano per la maggior parte atti di natura amministrativa, quali modifiche organizzative degli uffici con il trasferimento di compiti e personale dall’unità diretta dal ricorrente ad altre unità, se non direttamente alla dipendenza dello stesso superiore gerarchico.

Tale circostanza non è di per sé significativa di un demansionamento o di un intento persecutorio e può realmente inquadrarsi in un’ottica funzionale organizzativa, salvo che non possa essere diversamente considerata alla luce di una valutazione ottica finalistica e relativa, ovverosia comparando le risorse che altri uffici hanno a disposizione secondo un criterio di proporzionalità e adeguatezza rispetto ai compiti da perseguire, così come valutando le motivazioni e l’entità di tali trasferimenti di compiti e personale e gli eventuali effetti negativi che tale riorganizzazione potrà ragionevolmente conseguire rispetto ai compiti svolti dall’interessato o sull’ufficio da lui diretto, di modo che questa riallocazione di risorse non possa essere giustificata da esigenze organizzative, ma evidentemente improntata a finalità persecutorie.

Nel caso di specie, tuttavia, tali profili sintomo di illeceità non emergono. Si palesa, infatti, comprovato l’avvenuto trasferimento di personale dalle dirette dipendenze del ricorrente, ma non il secondo aspetto, ovverosia che tale trasferimento non risponda a esigenze organizzative improntate a un miglioramento della funzionalità, ma persegua un intento persecutorio, perché ad esempio non rispondente a criteri di miglior organizzazione o proporzionalità.

D’altra parte la creazione di una Segreteria tecnica nell’ambito dell’Ufficio di staff del Direttore Centrale, così come il contemporaneo trasferimento del “Servizio Operativo Logistico” della Direzione Centrale assieme al personale ad esso afferente, rientra tra i poteri discrezionali del Direttore Generale, né pare a ciò ostativo il contenuto del D.M. n. 39947 del 24.10.2014, che attribuisce in generale la gestione del personale e degli automezzi all’Ufficio diretto dal ricorrente, occupandosi il Servizio Operativo Logistico dell’attività logistica (servizio centralino, il controllo degli accessi al varco pedonale e carrabile, il servizio di autisti) per le esigenze degli Uffici della Direzione Centrale e ben potendo il Direttore Centrale disporre spostamenti di personale all’interno della sua struttura, anche in funzione delle funzioni di coordinamento, indirizzo e controllo proprie del Direttore Centrale.

La disposizione di servizio n. 4109 del 30/3/2017, che ha dettato criteri per la firma degli atti della Direzione Centrale indirizzati all’esterno e di disposizioni interne, a detta del ricorrente illegittima e vessatoria, è una misura organizzativa generale adottata nei confronti tutti i dirigenti degli Uffici della Direzione centrale stessa e non può essere considerata una disposizione con intenti persecutori nei confronti del ricorrente.

Il trasferimento di unità in precedenza impiegate presso l’Ufficio diretto dal ricorrente presso altro Ufficio della Direzione Centrale è spiegabili in termini organizzativi e funzionali.

Il Decreto Ministeriale 24/09/2014 non prevede nella declaratoria del Dirigente dell’Ufficio di coordinamento autorizzazioni, notifica e controllo, cui era preposto il ricorrente, la direzione del settore Informatica. In particolare, la necessità di potenziamento di tale settore, di valenza trasversale.

Quanto al il transito del Settore Informatica, ivi incluso il personale ad esso afferente, all’Ufficio di staff del superiore gerarchico, il D..M. 24/09/2014 non prevede nella declaratoria del Dirigente dell’Ufficio cui era preposto il ricorrente, la direzione del settore Informatica.

Altro elemento che, secondo il ricorrente, costituisce un indice rilevatore del mobbing sarebbe costituito dalla mancata designazione del ricorrente quale docente ad alcuni corsi interni (corso per funzionari amministrativi) e la sua sostituzione quale componente di alcuni organismi collegiali (Comitato di Indirizzo e Garanzia di Accredia), così come l’esclusione del suo ufficio dai progetti annuali di studio e sperimentazione dell’anno 2017 - 2018.

Tali episodi non possono essere considerati un demansionamento, né essere inquadrati come atti meramente persecutori, potendosi inserire nella dinamica di assegnazione di tali incarichi, anche in base a criteri di rotazione e, comunque, non essendo dimostrato la spettanza al ricorrente di tali nomine.

Anche le circostanze inerenti ai progetti di studio anno 2017-2018 della Direzione Centrale per la Prevenzione e al Sicurezza Tecnica, e la variazione del titolo dei progetti di ricerca già autorizzati, non sono idonee a accertare l’esistenza id una situazione di mobbing, così come non si palesa nemmeno determinante, perché trattasi di atti privi di valenza giuridica, la menzione del ricorrente negli ordini del giorno di saluto ed augurio per le variazioni d’incarico ai Dirigenti.

6) Per le suesposte ragioni il ricorso va in parte dichiarato inammissibile e in parte rigettato.

Le specifiche circostanze inerenti al ricorso in esame costituiscono elementi che militano per l’applicazione dell’art. 92 c.p.c., come richiamato espressamente dall’art. 26, comma 1, c.p.a. e depongono per la compensazione delle spese di giudizio tra le parti.

 

P.Q.M.
 


Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Bis), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, in parte lo dichiara inammissibile e in parte lo lo rigetta, nei termini di cui in motivazione.

Compensa le spese di lite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità delle parti, dei controinteressati e dei terzi.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 giugno 2021 con collegamento da remoto, ai sensi dell’art. 25 del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito in legge n. 176/2020, con l'intervento dei magistrati:

Concetta Anastasi, Presidente

Fabrizio D'Alessandri, Consigliere, Estensore

Claudio Vallorani, Primo Referendario



L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Fabrizio D'Alessandri Concetta Anastasi