Licenziamento illegittimo eseguito dalle Ferrovie dello Stato nell'agosto 2008 nei confronti di un macchinista Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza.

Con lettera del 8/8/2008, in relazione a lettera di contestazione disciplinare del 24/7/2008, gli venivano infatti addebitate due dichiarazioni da lui rese all'agenzia di stampa AdnKronos, da questa pubblicate il 18/7/2008, relative ad un incidente ferroviario verificatosi il precedente giorno 14, giudicate false ed atte a creare grave discredito sulla società e sulla sua dirigenza.

"L'esame della fattispecie concreta va preceduto dalla ricostruzione del quadro normativo in materia di esercizio delle forme di manifestazione del pensiero in rapporto alla relazione giuridica tra lavoratore e datore di lavoro.
L'art. 21 della Costituzione riconosce a "tutti" il "diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione".
Tale diritto è, se non il cardine, uno dei principi cardine non solo della nostra Costituzione (Cort. Cost. 84/69, 11/68, 126/85), ma di tutti i regimi democratici di stampo liberale. 
 Esso  trova   infatti  recepimento,   per  tacer  d'altro,   nella Dichiarazione  Universale  dei  Diritti  dell'Uomo  (art.19),  nella  Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà Fondamentali (art. 10), nel Trattato dell'Unione Europea (art. 6).
Come libertà civile fondamentale, essa e ascrivibile tra i diritti inviolabili della persona umana garantiti anche da Cost. 2 (Cort. Cost. n.126/85) e come tale è inalienabile (Risoluzione Parlamento Europeo AB.0282/93 in G.U. C. 20/113), ossia negozialmente indisponibile."

"Una lettura costituzionalmente orientata di tali regole non può infatti tollerare l'idea che, accettando un rapporto di lavoro, il prestatore si precluda radicalmente il diritto di criticare anche pubblicamente comportamenti aziendali, a ragione del fatto che così facendo egli lede l'immagine dell'impresa anche sul mercato."

"...non essendoci nulla di lesivo dell'immagine aziendale che un delegato alla sicurezza vanti pubblicamente, anche se a scopo anche larvatamente propagandistico, di aver fatto il suo lavoro, che è anche quello di segnalare all'azienda problemi sulla sicurezza.
E' indubbio, invece, che nel contesto, la dichiarazione, commentando il fatto alla luce del precedenti, pur senza affermare affatto che l'incidente era avvenuto per carenza di manutenzione (come reso palese dalla dichiarata e premessa attesa delle spiegazioni aziendali), ascriveva indirettamente ed anche suggestivamente a problemi di manutenzione la possibile causa dell'incidente.
La formulazione anche in forma suggestiva di tale ipotesi rientra, ad avviso del giudicante, a pieno titolo nel diritto di critica.
La formulazione di una ipotesi sulla causa di un incidente è, per sua natura, un giudizio; anzi: un giudizio ipotetico, perché e l'affermazione della causa di un incidente ad essere un giudizio diretto.
La formulazione di ipotesi di tal fatta risponde indubbiamente ad una spiccata utilità sociale, specie in presenza di fatti obiettivamente idonei a turbare l'opinione pubblica, quale quello che si verificò, al di là dei riscontri negativi successivamente esperiti riguardo all'obiettiva attitudine di tal tipo di inconvenienti a generare disastri.
E' infatti solo formulando ipotesi sulle cause di eventi che l'uomo accresce le sue conoscenze su fatti astrattamente idonei a produrre danni, e quindi può adottare le misure necessarie a prevenirli, così come era avvenuto per fatti precedenti (dai quali era emersa invero proprio la necessità di migliorare gli standard di manutenzione)."

"L'ordinamento (art. 2087 c.c.; art. 81 cit.) prescrive alle imprese un obbligo dinamico di costante adeguamento, per aggiornamento, delle misure di sicurezza in relazione al grado di evoluzione della tecnica di prevenzione, proprio perché la cd. "sicurezza assoluta", che Trenitalia mostra di pretendere di aver acquisito per sempre tanto da ritenersi lesa da chi ne dubita, non esiste e non è attingibile dall'umanità in alcuna delle sue attività, tantomeno nell'esercizio dell'attività ferroviaria; e proprio per questo può solo essere assiduamente perseguita ed avvicinata in un costante e strenuo, quanto doveroso esercizio di diligenza, via via che l'accrescimento delle conoscenze e della tecnica ne consentono l'affinamento.
Tale doveroso perseguimento ha per presupposto non solo lecito, ma assolutamente necessario, che qualunque ipotesi di difetto di manutenzione passibile di essere riferita, anche con minimo grado di probabilità, con nesso di causalità ad un evento, venga in primo luogo liberamente formulata, e quindi sottoposta al vaglio del controllo e della verifica fattuale.
E poiché la sicurezza dell'esercizio ferroviario è questione di pubblico rilevantissimo interesse, è del tutto lecito che ogni forma di ipotesi non palesemente e "prima facie" arbitraria e pretestuosa sia sottoposta all'attenzione dell'opinione pubblica; tanto più dal rappresentante dei lavoratori per la sicurezza allo scopo interpellato da una agenzia di stampa."

"D'altro canto, attiene sicuramente alla fisiologia delle relazioni sindacali in materia di sicurezza, che siano gli organi rappresentativi dei lavoratori ad attivarsi per primi per sollecitare migliori e maggiori misure atte a preservare l'incolumità degli stessi, e che, in relazione alle circostanze, tali sollecitazioni siano accolte in tutto o in parte, o non accolte, in base all'apprezzamento che il datore di lavoro faccia, sotto la  sua   responsabilità,   della  loro  necessità/doverosità.  
Attiene  alla  medesima fisiologia della dialettica delle relazioni sindacali che ogni qualvolta le richieste non siano accolte, in tutto o in parte, la declinazione parziale o totale si risolva in una disputa sulla doverosità delle misure richieste, passibile di riverberare in contenuti ai riguardo rivendicatori, ed anche in manifestazioni pubbliche di protesta ispirate dal motivo che il datore non faccia abbastanza per assicurare la sicurezza dei lavoratori e/o degli utenti."

"Il D.A. è rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, promotore dell'Assemblea nazionale dei ferrovieri, e persona fortemente impegnata sui temi della sicurezza sul lavoro, e come tale regolare interlocutore dell'azienda su problematiche di tipo sindacale in materia.
Sebbene ciò non costituisca di per sé una scriminante riguardo alla violazione dei limiti al diritto di critica, si deve ammettere, ciò che costituisce peraltro il presupposto di alcuni richiami di legittimità sopra indicati, che la natura intrinsecamente dialettica delle relazioni di tipo sindacale, consentite dall'ordinamento come tali, e quali implicanti, del tutto fisiologicamente, il ricorso alle tecniche della rivendicazione e della protesta, richieda un adeguato e ragionevole metro di tolleranza rispetto ai fenomeni, spesso determinati da eccesso di vigore polemico, di relativa, ancorché del caso ingiustificata aggressività nelle esternazioni.
Nel caso di specie peraltro l'aggressività polemica mostrata dal D.A. si muoveva in un ambito di pubblico allarme largamente diffuso e condiviso, oltre ad essere chiaramente mossa da comprensibile spirito di solidarietà nei confronti dei colleghi accusati.
Merita peraltro rimarcare come la decisione aziendale risulti fondata in realtà su tutt'altri, ed infondati presupposti, quale quello per cui un lavoratore come tale non potrebbe criticare pubblicamente il management aziendale per scarsa sensibilità ai temi della sicurezza o sollevare pubblicamente dubbi sulla solidità dei sistemi prevenzionali."


 


TRIBUNALE DI ROMA
SEZIONE TERZA LAVORO
REPUBBLICA ITALIANA

In nome del popolo italiano

IL TRIBUNALE DL ROMA, sezione Terza lavoro, primo grado, in persona del giudice dr Dario Conte, alla pubblica udienza del 26 ottobre 2009, ha pronunciato, mediante lettura, la seguente

SENTENZA
 
nel procedimento civile in primo grado in materia di lavoro iscritto al n 2557 del RGAC dell'anno 2009, vertente tra

D.A. Dante, elettivamente domiciliato in Roma. Via Germanico n. 172, presso l'Avv P Panici, che lo rappresenta e difende insieme all'Avv. P Alleva - ricorrente


E

Trenitalia S.p.a.,\elettivamente domiciliata in Roma, Via LG Faravelli n22, presso l'Avv E Morrico che la rappresenta e difende insieme all'Avv P Tosi- convenuta


DISPOSITIVO


definitivamente pronunciando, contrariis reiectis,
a)    dichiara la illegittimità del licenziamento intimato al ricorrerne con lettera del 8/8/2008.
Per l'effetto ordina alla società convenuta di reintegrare il ricorrente nel posto di lavoro, e la condanna al risarcimento del danno, in misura pari alla retribuzione globale di fatto maturata e maturanda dal di del licenziamento e l'effettiva reintegrazione, oltre alla rivalutazione istat ed agli interessi legali dalle singole scadenze al soddisfo, oltre alla conseguente regolarizzazione contributiva,
b)    condanna la società convenuta alla rifusione, in favore del ricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in € 2.882,00, di Cui €. 20.00 per spese, € I 222.00 per diritti e €  1.640,00 per onorari, oltre S G . iva e Cpa;
e)  termine di gg. 60 per il deposito della motivazione


IL GIUDICE  
 

OGGETTO DEL PROCESSO, DOMANDE PROPOSTE, ECCEZIONI SOLLEVATE E MOTIVI DELLA DECISIONE

Con ricorso depositato il 28/1/2009 D.A. Dante conveniva qui in giudizio Trenitalia S.p.u. chiedendo, anche per gli effetti di cui all'art. 18 della legge n. 300/70 e s.m., dichiararsi illegittimo il licenziamento per giusta causa intimatogli con lettera del 8/8/2008, in relazione a lettera di contestazione disciplinare del 24/7/2008, con la quale gli si erano addebitate due dichiarazioni da lui rese all'agenzia di stampa AdnKronos, da questa pubblicate il 18/7/2008, relative ad un incidente ferroviario verificatosi il precedente giorno 14, giudicate false ed atte a creare grave discredito sulla società e sulla sua dirigenza.

A fondamento dell'impugnazione deduceva:

a)    la piena legittimità di tali dichiarazioni, siccome riguardanti fatti effettivamente accaduti, ed esprimenti opinioni e valutazioni in tema di sicurezza delle condizioni di lavoro protette dalla sua carica di responsabile dei lavoratori per la sicurezza, non presentanti alcun profilo di lesività, intese a sollecitare il compimento di ogni sforzo possibile per il miglioramento delle condizioni di sicurezza, e coperte dal diritto di critica; come tali disciplinarmente irrilevanti;
b)    in subordine, che i fatti addebitati non erano "tali da giustificare un licenziamento in tronco per giusta causa".
Resisteva Trenitalia S.p.a. chiedendo argomentatamente respingersi le avverse domande.

La causa, istruita per documenti, per ritenuta inammissibilità/irrilevanza della altre istanze istruttorie, è stata decisa come da dispositivo.


Le domande attoree appaiono fondate e meritano accoglimento.


I  fatti rilevanti in causa appaiono documentati e/o pacifici nei termini che seguono.
Il 14 luglio 2007 il treno Eurostar 9427 adibito alla tratta Milano-Roma, durante il tragitto dal deposito di manutenzione Parco Martesana alla Stazione di Milano Centrale, e quindi in fase di predisposizione alla partenza, senza passeggeri a bordo, si spezzava in due tronconi per effetto dello staccamento della 12° ed ultima carrozza dalla 11°.
La notizia era divulgata alla stampa il successivo giorno 18 da imprecisati delegati Rsu/Rls dell'Assemblea nazionale ferrovieri; e riceveva divulgazione già lo stesso giorno su "VentiquattroMinuti" che afferma averne avuto notizia per una "denuncia del sindacati"; e quindi più larga divulgazione sui quotidiani del successivo giorno 19 (L'Unità, La Gazzetta dello Sport, il Tempo), che individuano univocamente quale fonte della notìzia una nota dei delegati Rsu/Rls dell'Assemblea nazionale dei ferrovieri.
In particolare "Il Tempo" riporta l'affermazione che in detta nota si sarebbe definito l'accaduto (tra virgolette nell'articolo) "un fatto gravissimo, che sarebbe stato un disastro se lo spezzettamento del convoglio fosse avvenuto pochi minuti dopo, in linea, ad alta velocità e carico di viaggiatori".
 
"L'Unità" rileva che "Non c'erano passeggeri a bordo e, rispetto a quello che sarebbe potuto succedere se fosse stato in servizio, ha causato solo disagi e ritardi sulla tratta Milano-Roma, quella che avrebbe dovuto percorrere: per questo le Ferrovie hanno tenuto subito a precisare che "mai è stata messa a rischio la sicurezza dei viaggiatori".
L'articolista però aggiunge: "Ma il giallo fa discutere", per poi riportare senza riferimenti nominativi i termini di un dibattito in atto sulle cause del sinistro ("C'è chi sostiene che sia stata colpa del gancio che legava parti del convoglio, troppo usurato per non essere sostituito. C'è chi punta il dito contro chi avrebbe dovuto controllare. E c'è chi pensa che tanto allarmismo nasconda l'intenzione di strumentalizzare un fatto "sicuramente grave", ma non da giustificare cotanto clamore").
L'articolo già riporta la tesi di Trenitalia, per cui si sarebbe trattato unicamente di un errore di manovra.
"Il Tempo" conferma tra virgolette le dichiarazioni della nota dei delegati Rsu/Rls che paventa cosa sarebbe potuto succedere se l'evento fosse accaduto se ci fossero state persone a bordo.
"La Gazzetta dello Sport" conferma che il fatto era stato rivelato "ieri dai sindacati, che accusano "usura o inadeguatezza manutentiva del gancio".
"E Polis" del giorno 19 conferma la prima fonte dell'accaduto ed il suo contenuto; attribuisce ai "sindacati" l'affermazione (virgolettata) che "la causa sarebbe da attribuire ad usura o inadeguatezza manutentiva dei materiali del gancio"; alle Ferrovie la replica che si sarebbe trattato di un errore di manovra dei macchinisti.
Riporta la replica del D.A. quale oggetto della seconda nota di agenzia AdnKronos che riguarda il giudizio.
Riporta infine tra virgolette una dichiarazione del Segretario della Commissione Lavori Pubblici e Trasporti di Palazzo Madama per cui "E' l'ennesimo campanello d'allarme della grave situazione in cui versa la manutenzione delle Ferrovìe dello Stato.
C'è da chiedersi cosa sarebbe successo se Il treno si fosse rotto con i passeggeri a bordo mentre era lanciato in velocità sui binari".

Sono tutte notizia di stampa che, riportate in quotidiani del giorno 19, riguardano evidentemente dichiarazioni rese il giorno 18, quello delle dichiarazioni alla stampa per le quali il D.A. è stato licenziato.
In una intervista a "La Repubblica" pubblicata il 17/8/2008, dopo il licenziamento (V. in atti), l'A.D. di Trenitalia ammetterà che il fatto era stato segnalato dai sindacati prima che il D.A. intervenisse.
Da quanto precede emerge con chiara evidenza che le dichiarazioni alla stampa del giorno 18 luglio 2008 per le quali il D.A. è stato licenziato hanno ad oggetto un episodio che lo stesso giorno era già stato divulgato alla stampa, e che aveva già innestato un dibattito sulle cause dell'incidente tra Trenitalia, Organizzazioni Sindacali ed esponenti politici, la cui vasta eco mediatica, altrimenti evidentemente ingiustificata, era chiaramente determinata dalla possibilità, peraltro apertamente ventilata in ambito sindacale e politico e comunque da terzi, di ipotizzare che l'episodio avrebbe potuto verificarsi a treno in corsa, con le drammatiche conseguenze agevoli a desumersi.
Tanto poco tale ipotesi poteva ritenersi apertamente arbitraria quantomeno secondo il senso comune, come la difesa di Trenitalia vanamente si sforza di dimostrare con dovizia di argomenti di natura tecnica sulla sicurezza, che anche a seguito di analogo episodio di lì a poco occorso nella notte tra il 21 ed il 22 luglio successivo su altro treno, la Procura della Repubblica di Milano ritenne di dover aprire un procedimento penale per una ipotesi, poi caduta, di colposo cagionamento di pericolo di disastro ferroviario ex art. 450 c.p., che ovviamente non aveva ragion d'essere, se non in quanto fosse possibile ipotizzare che l'incidente, di per sé chiaramente pressoché innocuo, non fosse dovuto a cause passibili di porre in pericolo la pubblica incolumità.
In questo contesto si calano le due dichiarazioni alla stampa al contenuto delle quali ci si deve, evidentemente, attenere nella valutazione del preteso illecito, per il doveroso rispetto del principio di immutabilità della contestazione disciplinare quale formulata nella lettera di addebito del 24/7/2008.
Il tentativo di parte convenuta di far "leggere" le dichiarazioni in questione anche alla luce di altre dichiarazioni successivamente rese dal medesimo autore deve ritenersi inammissibile, perché la legittimità di una determinata esternazione dipende dal suo contenuto specifico e dal modo formale in cui la stessa è espressa, e non da ciò che l'autore effettivamente pensava in cuor suo quale passibile di emergere da altre esternazioni, che quali fatti disciplinarmente rilevanti sono storicamente autonomi, e quali indici dell'effettivo pensiero del dichiarante sono invece assolutamente irrilevanti, stante la libertà assoluta del pensiero come tale. La prima dichiarazione, pubblicata da AdnKronos alle ore 15,55 del 18 luglio, ha il seguente letterale tenore: "Non abbiamo ancora ricevuto alcuna chiamata dai vertici aziendali, ma confidiamo che nei prossimi giorni ci spieghino cosa sta succedendo in questi treni. Negli ultimi mesi, come delegati, abbiamo messo in evidenza e segnalato all'azienda, a tutti i livelli, dall'amministratore delegato ai dirigenti territoriali, problemi riguardanti gli Etr e relativi a manutenzione, controlli sulla manutenzione ed usura.
Si tratta di treni oltremodo sfruttati ...
C'è amarezza...perchè si parla tanto di sicurezza ed anche di sicurezza sui treni e sul lavoro, ma abbiamo la sensazione che chi sui treni non ci lavora non abbia la percezione ideale delle reali condizioni in cui sono. Cerchiamo sempre prima un approccio collaborativo con l'azienda, ma quando i dirigenti non rispondono alle nostre richieste siamo costretti a fare segnalazioni alla procura, come è avvenuto per le "porte killer" e all'opinione pubblica.
L'ultima volta che siano riusciti a strappare una riunione coi dirigenti....si è finalmente deciso di rallentare la velocità dei pendolini.
Sugli Etr 480, pendolini, infatti, si è verificata una serie di incidenti, con motori che prendevano fuoco".
Trenitalia comunicava con dispaccio Ansa delle ore 18,19 dello stesso giorno che quanto denunciato dai delegati delle Rsu/Rls era "falso", non essendo "mai stata messa a rischio la sicurezza dei viaggiatori", ed avendo gli stessi macchinisti interessati ammesso di aver causato l'incidente per un errore di manovra; e che "mai la sicurezza è stata messa in discussione", già minacciando iniziative giudiziali.
Con nota pubblicata da AdnKronos alle ore 18,30 il D.A. diceva: "Non accettiamo che la responsabilità sia scaricata, come al solito, su un errore umano dell'ultimo operatore. Essa è solo della cabina di comando e di responsabilità. Gli Etr 500 possiedono comandi completamente elettronici ed è inaccettabile che, anche in presenza di un errore di manovra, possa accadere quanto è successo. Lo affermo....sulla base della mia conoscenza diretta della guida dei treni".
La lettera di contestazione di addebito ravvisa in tali affermazioni i seguenti caratteri di illecito.
1)    Facendo riferimento, nella prima missiva, a "problemi riguardanti gli ETR e relativi a manutenzione, controlli sulla manutenzione ed usura" il D.A. avrebbe falsamente attribuito la causa dell'accaduto alla mancanza di condizioni di sicurezza nella circolazione degli ETR.
2)    Nella stessa missiva l'attore avrebbe "accusato il management aziendale di non avere la percezione delle reali condizioni degli ETR, così pure di non essere disponibile a valutare le richieste provenienti dagli RLS, determinando con tale atteggiamento una situazione di pericolo nell'esercizio ferroviario.
3)    Nella seconda missiva, l'attore avrebbe "accusato nuovamente la dirigenza aziendale, affermando che l'accaduto sarebbe solo causa della "cabina di comando e responsabilità", rigettando qualsiasi ipotesi di errore umano.
Il tutto avvalorando la dichiarazione resa col riferimento alla sua propria conoscenza personale diretta della guida dei treni.
Tali affermazioni sarebbero state "contrarie a verità e quindi del tutto infondate e pretestuose: l'accaduto è stato provocato da ragioni non ricollegabili a problemi di manutenzione".
La lettera  lamenta "grave discredito Sulla Società e sulla sua  Dirigenza";  la creazione di una grave situazione di procurato allarme ex art. 658 c.p., del tutto
ingiustificata nella clientela e nell'opinione pubblica in generale...e ancora esse ledono gravemente l'immagine della Società, determinando gravi danni".


L'illecito contestato appare non sussistente, e comunque manifestamente  non idoneo a giustificare la più grave delle sanzioni disciplinari.

L'esame della fattispecie concreta va preceduto dalla ricostruzione del quadro normativo in materia di esercizio delle forme di manifestazione del pensiero in rapporto alla relazione giuridica tra lavoratore e datore di lavoro.
L'art. 21 della Costituzione riconosce a "tutti" il "diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione".
Tale diritto è, se non il cardine, uno dei principi cardine non solo della nostra Costituzione (Cort. Cost. 84/69, 11/68, 126/85), ma di tutti i regimi democratici di stampo liberale. 
 Esso  trova   infatti  recepimento,   per  tacer  d'altro,   nella Dichiarazione  Universale  dei  Diritti  dell'Uomo  (art.19),  nella  Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà Fondamentali (art. 10), nel Trattato dell'Unione Europea (art. 6).
Come libertà civile fondamentale, essa e ascrivibile tra i diritti inviolabili della persona umana garantiti anche da Cost. 2 (Cort. Cost. n.126/85) e come tale è inalienabile (Risoluzione Parlamento Europeo AB.0282/93 in G.U. C. 20/113), ossia negozialmente indisponibile.
Questo non significa che essa non sia soggetta a limiti.
Essi però possono essere imposti solo dalla legge (arg. ex Cost. 21) ed in vista della protezione di beni giuridici di pari rango.
Tra questi c'è il diritto, parimenti fondamentale ed inalienabile, garantito da Cost. 2, del rispetto della dignità delle persone e degli altri consociati in genere.
E' alla luce di tali criteri che la giurisprudenza ha da lungo tempo elaborato e via via affinato canoni limitativi della legittimità delle forme di manifestazione e partecipazione del pensiero, nella duplice forma del diritto di informazione e cronaca, che attiene alla divulgazione dei fatti, e del diritto di critica, che attiene alla manifestazione ed alla divulgazione delle opinioni.
Tutti i limiti apposti sono sostanzialmente frutto dell'applicazione di un canone di bilanciamento tra il diritto proprio di comunicare e quello altrui di non subire dalla comunicazione pregiudizio a propri beni fondamentali.
Trattasi:
a)    del canone della verità obiettiva del fatto comunicato che sia lesivo del bene fondamentale altrui, il quale si fonda sull'ovvia obiettiva scorrettezza della diffusione di notizia falsa e lesiva;
b)    del canone della utilità sociale della notizia quale presupposto della lecita diffusione indiscriminata della stessa, in assenza del quale la lesione del diritto alla riservatezza, per primo, non trova ragione di bilanciamento;
c)  del canone della cd. continenza, che si risolve nella necessità che le modalità di partecipazione    del    fatto   e/o   dell'opinione    non    eccedano    le    finalità legittimamente perseguibili mediante le medesime, e che ben possono essere di denuncia sociale o politica, per risolversi, invece, in una aggressione gratuita e distruttiva dell'immagine altrui (per tutte, Cass. 28411/2008).
Nell'ottica del bilanciamento deve peraltro trovare spazio anche la valutazione del rapporto tra le finalità di diffusione della notizia e/o dell'opinione e la consistenza della   lesione   cagionata   alla   sfera   giuridica   della   persona   oggetto   della comunicazione.
Ed invero, poiché l'interesse configgente deve condividere con quello alla comunicazione il rango di diritto costituzionalmente tutelato ed inviolabile della persona umana, deve apparire, ad avviso del giudicante, evidente, che non qualunque lesione dell'immagine può essere messa sullo stesso piano.
Una cosa, invero, è "calpestare quel minimo di dignità e immagine cui ogni persona ha diritto" (Cass. 28411/2008); "attribuire condotte illecite o moralmente disonorevoli" (Cass. 28411/2008); aggredire gratuitamente l'immagine altrui allo scopo di suscitare disprezzo (Cass. cit.); attribuire comportamenti disonorevoli e formulare giudizi apertamente denigratori (Cass. 19350/2003); ed in genere travalicare la soglia del rispetto della persona umana (Cass. 16000/2009); tutt'altro è esprimere un semplicemente giudizio negativo sui comportamenti altrui.
Il diritto dì critica si sostanzia infatti essenzialmente nel diritto di critica negativa (quella positiva è per definizione innocua e quindi aproblematica sotto il profilo che ci riguarda), e quindi nel diritto dì esprimere giudizi che, per avere connotazioni negative sull'operato altrui, sono dì per sé sempre lesive della reputazione, intesa nel senso più ampio di immagine pubblica dell'oggetto della comunicazione.
Non è quindi possibile estendere la nozione di "onore, immagine decoro, reputazione" in un senso comprensivo di tutte le possibili qualità di un soggetto, senza negare inammissibilmente in radice il diritto di critica in quanto tale (in tal senso, convincentemente, Cass. 25/2009,12420/2008).
Un convincente esempio della distinzione l'ha peraltro offerto in sede di discussione orale uno dei difensori di Trenitalia, quando ha detto che una cosa è criticare, anche con toni aspri, una sentenza perché la si ritiene affetta da errori di diritto, altro e insultare un giudice dandogli dell'incompetente o peggio.
Ciò e senz'altro vero, sebbene non possa porsi in dubbio che la critica aspra e pubblica ad una sentenza si risolve in qualche modo in una lesione dell'immagine e della reputazione professionale del giudice.
La differenza sta, ad avviso del giudicante, nell'individuazione del nocciolo di rispetto inderogabile del rispetto della persona del consociato, costituzionalmente protetto al rango di diritto inviolabile, che non può essere esteso all'aspirazione di chicchessia di non subire giudizi negativi sul proprio comportamento, la cui lesione non può giudicarsi di per sé bene di tal rango, comparabile col diritto di critica.
Tale assetto degli interessi in conflitto non può, ad avviso del giudicante, subire alterazione nell'ambito del rapporto di lavoro, attesa la già rimarcata natura indisponibile ed inalienabile del diritto di critica.
Non ignora il giudicante che la S.C. vuole valutare gli atti di esercizio, da parte del lavoratore, del diritto di critica, anche alla stregua del cd. obbligo di fedeltà di cui all'art. 2105 c.c.; sebbene il riferimento debba apparire improprio, posto che detta disposizione riguarda tutt'altra fattispecie; e debba semmai all'uopo valorizzarsi, piuttosto, la necessità di una interpretazione retta dal principio generale di buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.) dell'obbligo generale di collaborazione posto dall'art. 2094 c.c, che in linea di principio vieta al prestatore di tenere, in modo non giustificato dall'ordinamento, comportamenti lesivi dell'interesse dell'impresa della quale fa parte.
Una lettura costituzionalmente orientata di tali regole non può infatti tollerare l'idea che, accettando un rapporto di lavoro, il prestatore si precluda radicalmente il diritto di criticare anche pubblicamente comportamenti aziendali, a ragione del fatto che così facendo egli lede l'immagine dell'impresa anche sul mercato.
Ed infatti la stessa S.C. non trae poi, di solito, da siffatte affermazioni, conseguenze apertamente e specialmente inibitorie del diritto di critica quale delineato per la generalità dei consociali.
Ad es. Cass. 19350/2003 afferma esplicitamente che il lavoratore può formulare critiche anche aspre su disfunzioni aziendali (e con ciò, quindi, lederne l'immagine), semprechè non attribuisca all'impresa o a suoi dirigenti fatti denigratori non provati o qualità apertamente disonorevoli.
Gli stessi precedenti che talora pervengono al giudizio di rilevanza disciplinare di atti di esercizio del diritto di informazione e di critica contrari agli interessi datoriali fanno leva, al di là dei riferimenti all'idoneità delle esternazioni a determinare una caduta dell'immagine dell'impresa con conseguente possibilità di danno anche economico, ad episodi contrassegnati dal travalicamento del limiti del diritto di critica quali delineati per la generalità dei consociati, quali la denuncia falsa di fatto penalmente rilevante (in Cass. 16000/2009); o l'affermazione in pubblico falsa ed indimostrata, anche mediante modalità allusive, di fatti specifici disdicevoli (la pratica di destinazione all'inceneritore di rifiuti soggetti a raccolta differenziata: in Cass. 29008/2008).
Per converso, e sempre nell'ottica del cd. bilanciamento, si è più volte avuto occasione di rimarcare, anche di recente, come debba tenersi conto della inerenza del diritto alla libera manifestazione del pensiero alla finalità, essenziale nelle società democratiche liberali, di consentire, in presenza di fatti di interesse generale, la conoscenza pubblica dei fatti medesimi e delle opinioni che si formano attorno ad essi, volti a contribuire alla formazione della pubblica opinione sugli stessi (Cass. 482/2009, 25/2009, 2406/2008); ed in particolare che nei contesti di contrapposizione politica (ma lo stesso non può che affermarsi con riguardo alla dinamica delle relazioni sindacali) debba in linea di massima ritenersi legittimo un uso del linguaggio anche pungente ed incisivo (Cass. 25/2009, 20140/2005).

Alla luce di detti criteri, andiamo dunque ad esaminare le dichiarazioni "incriminate".

La lettera di addebito contesta in primo luogo al ricorrente di avere, nella dichiarazione pubblicata alle ore 15.55, "attribuito la causa di quanto accaduto alla mancanza di condizioni di sicurezza nella circolazione degli ETR e in particolare a "problemi riguardanti gli ETR e relativi a manutenzione, controlli sulla manutenzione ed usura".
L'addebito appare manifestamente infondato prima di tutto in fatto. Leggendo la dichiarazione in questione non risulta, infatti, riconoscibile, non solo alcun giudizio specifico sulla causa dell'incidente, ma neppure alcun riferimento specifico al medesimo incidente (sebbene indubbiamente il contesto inducesse un riferimento al riguardo, essendo chiaro che il D.A. venne chiamato a commentare proprio l'incidente in questione).
La dichiarazione esordisce con l'espressione "Non abbiamo ancora ricevuto alcuna chiamata dai vertici aziendali, ma confidiamo che nei prossimi giorni ci spieghino cosa sta succedendo a questi treni".
Tale esordio, per quanto riferibile, nel contesto, all'incidente in questione, chiarisce in modo immediatamente percepibile nel senso comune come il dichiarante non conoscesse affatto la causa dello stesso, tanto da attendersi spiegazioni dai vertici aziendali; cosa che peraltro implica anche un certo grado di fiducia nella fedeltà di tali richieste spiegazioni.
Né d'altronde tale esordio era altrimenti percepibile nel più ampio contesto del dibattito che andava agitandosi in quel giorno, nel quale erano, come si è sopra visto, già state avanzate le più varie ipotesi, proprio perchè le cause del sinistro non erano del tutto note a nessuno.
L'espressione tradisce inoltre una certa preoccupazione per l'episodio. Essa peraltro, per quanto premesso, non poteva che apparire del tutto giustificata, per l'intrinseca attitudine di un fatto di sganciamento di un vagone ferroviario a suscitare dubbi sulla sicurezza, prima di tutto, delle persone.
Tale venne peraltro percepita, oltre che da tutti coloro che intervennero nel dibattito (tranne, ovviamente, i vertici Trenitalia) anche dall'Autorità inquirente, tanto che, malgrado già nell'informativa della Polfer si desse atto che l'operatore aveva avviato la motrice "in testa" lasciando inserita la piastra S.S.B. del locomotore di coda (v. richiesta di  archiviazione  del  23/10/2008), che si era bloccato  provocando ovviamente la trazione del tenditore, la Procura deferì indagine peritale volta ad acclarare le cause del sinistro, per una ipotesi di pericolo colposo di disastro ferroviario.
La dichiarazione prosegue con riferimenti generici a precedenti segnalazioni, da parte dei delegati alla sicurezza, all'azienda, di problemi di manutenzione, controlli sulla manutenzione ed usura.
La dichiarazione non è censurata dall'Azienda nel suo contenuto diretto di sintetica informazione su fatti precedenti.

Né essa potrebbe essere censurata sotto tal profilo:

a)    né in fatto, perché la stessa Trenitalia documenta sub 24) del proprio fascicolo una serie di incontri sindacali tenutisi, proprio su richiesta dei sindacati, nel corso del medesimo anno 2008, e seguiti a "inconvenienti tecnici occorsi ad alcuni ETR", ed esitati nel riscontro di alcune "non conformità", a seguito dei quali l'Azienda aveva adottato "soluzioni tecniche implementate nel processo manutentivo con l'obiettivo di evitare il ripetersi delle avarie in questione". E d'altronde Trenitalia non ha contestato specificamente, secondo l'onere imposto dall'art. 416 c.p.c. quanto riferito al capo 6) del ricorso, riguardo al fatto che negli otto mesi precedenti l'incidente per cui è causa si erano verificati, proprio riguardo ad ETR, altri otto incidenti di varia natura (principi d'incendio motore, rischi di deragliamento, blocco degli organi di trasmissione, perdita del tetto, spalancamento di porte non segnalato dalle apparecchiature):

b)    né in diritto, sotto il profilo della lesività, non essendoci nulla di lesivo dell'immagine aziendale che un delegato alla sicurezza vanti pubblicamente, anche se a scopo anche larvatamente propagandistico, di aver fatto il suo lavoro, che è anche quello di segnalare all'azienda problemi sulla sicurezza.
E' indubbio, invece, che nel contesto, la dichiarazione, commentando il fatto alla luce del precedenti, pur senza affermare affatto che l'incidente era avvenuto per carenza di manutenzione (come reso palese dalla dichiarata e premessa attesa delle spiegazioni aziendali), ascriveva indirettamente ed anche suggestivamente a problemi di manutenzione la possibile causa dell'incidente.
La formulazione anche in forma suggestiva di tale ipotesi rientra, ad avviso del giudicante, a pieno titolo nel diritto di critica.
La formulazione di una ipotesi sulla causa di un incidente è, per sua natura, un giudizio; anzi: un giudizio ipotetico, perché e l'affermazione della causa di un incidente ad essere un giudizio diretto.
La formulazione di ipotesi di tal fatta risponde indubbiamente ad una spiccata utilità sociale, specie in presenza di fatti obiettivamente idonei a turbare l'opinione pubblica, quale quello che si verificò, al di là dei riscontri negativi successivamente esperiti riguardo all'obiettiva attitudine di tal tipo di inconvenienti a generare disastri.
E' infatti solo formulando ipotesi sulle cause di eventi che l'uomo accresce le sue conoscenze su fatti astrattamente idonei a produrre danni, e quindi può adottare le misure necessarie a prevenirli, così come era avvenuto per fatti precedenti (dai quali era emersa invero proprio la necessità di migliorare gli standard di manutenzione).
E' d'altronde noto che è solo e da quando la civiltà occidentale, affrancandosi dai vincoli di pretese verità rivelate, ha accettato quale metodo di conoscenza ed interazione con la realtà il cd. metodo scientifico-sperimentale, che si basa sulla libera formulazione di ipotesi da verificare sul piano sperimentale, che è stato superato l'oscurantismo medievale, ponendosi le basi del progresso scientifico e culturale di tali società.
L'utilità sociale del libero ipotizzare ha trovato peraltro riprova proprio nel caso di specie, posto che le indagini peritali svolte in sede penale, se hanno acclarato che l'incidente non era avvenuto per difetto di manutenzione del tenditore, bensì, come causa prossima, a cagione del fatto che il macchinista aveva inserito il sistema S.C.M.T. sul locomotore di testa senza prima disinserirlo sul locomotore di coda, provocando inevitabilmente uno sforzo di trazione anomalo atto a determinare la rottura del gancio, hanno consentito altresì di rilevare che l'installazione di un software atto a disinnescare automaticamente il, sistema a coda una volta inserito il medesimo a testa avrebbe prevenuto il fatto anche in presenza dell'errore umano.
Trenitalia ha preso atto di essere obbligata, ai sensi dell'art. 81, primo co., lett. z, del D.lgs n.81/2008, ad aggiornare le misure di prevenzione in relazione al grado di evoluzione delle tecniche relative, ed ha prontamente provveduto a perfezionare il proprio sistema di sicurezza al riguardo.
Tale virtuosa dinamica non sarebbe stata possibile in una impresa pubblica di un regime autoritario, e nemmeno sarebbe possibile in una società improntata ai principi basilari in materia di libertà civile, ove la formulazione di ipotesi atte a sollevare dubbi sulla adeguatezza degli standards di sicurezza fosse perseguibile in sede penale, civile o disciplinare in quanto lesiva del diritto all'immagine dell'impresa.
In quanto mera ipotesi di causa, una tale dichiarazione forma oggetto di critica e non di cronaca, e quindi non è soggetta al canone di verità oggettiva (Cass. 28411/2008).
Una affermazione causale è un giudizio, ed una mera ipotesi di riferibilità causale è ancor meno: in quanto ipotesi non pretende neppure di esser vera.
Neppure, ad avviso del giudicante, il fatto che l'ipotesi sia avanzata in maniera suggestiva, ricollegandola ad episodi precedenti di difetto di manutenzione, assume carattere illecito, in relazione al canone dell'allusione.
L'allusione, al pari di analoghe forme di comunicazione svolte per far intendere un significato diverso dal significante, assume veste illecita quale forma subdola (e peraltro proprio per questo talora munita di peculiare capacità persuasiva) di attribuzione all'oggetto della comunicazione di fatti illeciti o qualità disonorevoli.
Alludere alla possibilità che un incidente sia stato causato da difetto di manutenzione non ha capacità lesiva idonea, nel doveroso giudizio di bilanciamento, a fungere da limitazione del diritto di critica, nella forma della formulazione di giudizi sulle cause dell'incidente medesimo, perché anche sostenere apertamente la possibilità che un determinato evento abbia avuto una certa causa non ha capacità lesiva, per quanto tale ipotesi poi risulti infondata.
L'ordinamento (art. 2087 c.c.; art. 81 cit.) prescrive alle imprese un obbligo dinamico di costante adeguamento, per aggiornamento, delle misure di sicurezza in relazione al grado di evoluzione della tecnica di prevenzione, proprio perché la cd. "sicurezza assoluta", che Trenitalia mostra di pretendere di aver acquisito per sempre tanto da ritenersi lesa da chi ne dubita, non esiste e non è attingibile dall'umanità in alcuna delle sue attività, tantomeno nell'esercizio dell'attività ferroviaria; e proprio per questo può solo essere assiduamente perseguita ed avvicinata in un costante e strenuo, quanto doveroso esercizio di diligenza, via via che l'accrescimento delle conoscenze e della tecnica ne consentono l'affinamento.
Tale doveroso perseguimento ha per presupposto non solo lecito, ma assolutamente necessario, che qualunque ipotesi di difetto di manutenzione passibile di essere riferita, anche con minimo grado di probabilità, con nesso di causalità ad un evento, venga in primo luogo liberamente formulata, e quindi sottoposta al vaglio del controllo e della verifica fattuale.
E poiché la sicurezza dell'esercizio ferroviario è questione di pubblico rilevantissimo interesse, è del tutto lecito che ogni forma di ipotesi non palesemente e "prima facie" arbitraria e pretestuosa sia sottoposta all'attenzione dell'opinione pubblica; tanto più dal rappresentante dei lavoratori per la sicurezza allo scopo interpellato da una agenzia di stampa.
Per converso, la pretesa, del tutto irragionevole in sé (a prescinderò dagli eventi sopra acclarati e di altri del tutto ascrivili al notorio) a presentarsi nel mercato con l'immagine "a priori" di una impresa ferroviaria a sicurezza totale garantita non può ritenersi attinente al nocciolo dell'onore, della reputazione, e del decoro presidiali come diritti fondamentali da Cost. 2.
Sotto un secondo e distinto profilo, la lettera di contestazione addebita al ricorrente di aver, con la stessa comunicazione, "accusato il management aziendale di non avere la percezione delle reali condizioni degli ETR, cosi pure di non essere disponibile a valutare le richieste provenienti dagli RLS, determinando con tale atteggiamento una situazione di pericolo nell'esercizio ferroviario".
Il primo addebito si riferisce all'espressione "...abbiamo la sensazione che chi sui treni non ci lavora, non abbia la percezione ideale delle reali condizioni in cui sono ".


L'addebito appare del tutto inconsistente sotto ogni profilo.

Affermare che un management aziendale non ha la reale percezione delle reali condizioni di certi treni è un giudizio, peraltro nella specie formulato in forma persino del tutto sobriamente soggettiva ("abbiamo la sensazione"), e fondato sulla circostanza indubbiamente oggettiva che il "management" stesso sui treni non ci lavora.
Esso appare del tutto privo di lesività, a prescindere dalla sua fondatezza, neppure implicando alcun giudizio inerente una colposa incapacità ad apprezzare correttamente le condizioni dei treni.
Il dichiarante si limita a sostenere, non senza argomenti obiettivi, che chi sul treni non ci lavora si trova in una condizione deteriore, riguardo alla sua capacita/possibilità di apprezzarne la condizione, rispetto a chi ci lavora, così esprimendo un giudizio di tipo comparativo tra posizioni più o meno atte a percepire le condizioni dei treni.
ln tutto ciò non può ravvisarsi nulla di lesivo della reputazione, dell'onore, e del decoro, tantomeno nei termini di diritti di rango costituzionale.
Nel resto della dichiarazione il D.A. fa riferimento sintetico all'andamento dei rapporti tra delegati alla sicurezza ed azienda, che viene descritto in termini evidentemente intesi a denunciare una scarsa propensione di questa ad accedere alle richieste dei delegati ("Cerchiamo sempre prima un approccio collaborativo con l'azienda, ma quando i dirigenti non rispondono alle nostre richieste siano costretti a fare segnalazioni alla procura, come è avvenuto per le "porte killer", e all'opinione pubblica.  L'ultima volta che siano riusciti a strappare coi denti una riunione con i dirigenti si è finalmente deciso di rallentare la velocità dei pendolini. Sugli ETR 480 pendolini, infatti, si è verificata una serie di incidenti, con motori che prendevano fuoco").
La lettera di addebito non contesta la falsità di alcuna delle circostanze specifiche di carattere fattuale riportate nella comunicazione, ed in particolare che nel caso delle "pone killer" l'attore ebbe a presentare un esposto alla procura e che su pressione dei delegati alla sicurezza l'azienda abbia provveduto a disporre il rallentamento della velocità dei pendolini, che in talune occasioni avevano preso fuoco.
Peraltro la prima circostanza è allegata al capo 6) del ricorso e non ha trovato specifica contestazione nella memoria difensiva; la seconda risulta documentata dalla stessa Trenitalia nel doc.24, dal quale risulta che, proprio su richiesta delle OO.SS., si erano, nel 2008, effettuale delle verifiche anche su riscontrati fenomeni di surriscaldamento dei motori, in relazione ai quali l'Azienda dispose misure correttive inerenti anche la velocità del mezzo (v. azione correttiva della non conformità di tipo 1).
La censura datoriale è rivolta contro il tenore complessivo della dichiarazione, siccome volta a rappresentare complessivamente una scarsa sensibilità del management aziendale rispetto alle richieste di maggiore sicurezza avanzate dai rappresentanti dei lavoratori.
Anche tali affermazioni appaiono al giudicante presidiate dal diritto di critica.
Che il management aziendale non sia sufficientemente sensibile ai problemi della sicurezza è un giudizio, e come tale è presidiato da Cost. 21 purché non travalichi il limite della c.d. continenza.
La cd. continenza ha un aspetto formale che si risolve nella necessità che la comunicazione non abusi dei mezzi espressivi in rapporto agli scopi della comunicazione, trasmodando, ad esempio, nell'insulto, o indulgendo ad accostamenti volgari e ripugnanti, ed in genere apertamente quanto gratuitamente intesi a suscitare disprezzo (Cass. 28411/2008).
La dichiarazione in questione appare sotto tal profilo continente, essendo più che altro volta a rappresentare con accenti propagandistici l'attenzione dei delegati alla sicurezza ai problemi inerenti alla loro funzione.
I riferimenti alla minore attenzione dei dirigenti aziendali sono generici e relativi (quando non rispondono alle nostre richieste siamo costretti a fare esposti alla procura; siamo riusciti a strappare con i denti una riunione) e seppure apertamente critici nei confronti dell'atteggiamento aziendale, non appaiono travalicare i toni della comunicazione civile, né mirare ad una aggressione gratuita dell'immagine della controparte, quanto, appunto, a denunciare, a ragione o a torto, una insufficiente attenzione della parte datoriale alle problematiche della sicurezza.
La cd. continenza ha poi un aspetto sostanziale che si risolve nel giudizio di bilanciamento tra la rilevanza degli scopi della comunicazione ed il bene giuridico leso.
Si  è   già   visto  che   tale   giudizio   non   può   risolversi   a   favore   della   tutela dell'immagine per il solo fatto che essa sia obiettivamente lesa dalla critica, perché la critica si sostanzia come tale di giudizi negativi sulle qualità e sui comportamenti altrui.
Vanno dunque posti a raffronto, da un lato, l'interesse pubblico alla formazione della pubblica opinione su questioni di interesse generale, e l'esistenza di una base fattuale atta a manifestare la non assoluta arbitrarietà del giudizio; e dall'altra   l'intensità   della   lesione   dell'immagine   subita   dall'oggetto   della comunicazione.
Il  raffronto  deve  nella  specie  risolversi, ad avviso  del giudicante,  a  favore dell'esercizio del diritto di critica.
Sotto il primo profilo, si è già rimarcata la notevole rilevanza pubblica della conoscenza dei fatti e delle opinioni che hanno ad oggetto l'attenzione che le imprese ferroviarie prestano ai problemi della sicurezza sul lavoro e rispetto agli utenti.
Sotto il secondo, la critica appare munita del minimo di base fattuale necessario e sufficiente a non consentirne la valutazione di arbitrarietà/pretestuosità/gratuita direzione alla denigrazione della controparte.
Il già richiamato doc. 24 sta a testimoniare che proprio su richiesta delle OO.SS. Trenitalia   indisse   il   11/2/2008   una   riunione   avente   ad   oggetto   la   verifica dell'idoneità delle attività di manutenzione  relativa agli ETR, che ebbe esito nell'adozione di apposite conseguenti misure correttive.
Trenitalia inoltre non contesta specificamente, com'era suo onere ex art 416 c.p.c. che l'attore si era rivolto in passato anche alla magistratura per la segnalazione del verificarsi in Trenitalia di fatti di rilevanza penale afferenti alla sicurezza.
D'altro canto, attiene sicuramente alla fisiologia delle relazioni sindacali in materia di sicurezza, che siano gli organi rappresentativi dei lavoratori ad attivarsi per primi per sollecitare migliori e maggiori misure atte a preservare l'incolumità degli stessi, e che, in relazione alle circostanze, tali sollecitazioni siano accolte in tutto o in parte, o non accolte, in base all'apprezzamento che il datore di lavoro faccia, sotto la  sua   responsabilità,   della  loro  necessità/doverosità.  
Attiene  alla  medesima fisiologia della dialettica delle relazioni sindacali che ogni qualvolta le richieste non siano accolte, in tutto o in parte, la declinazione parziale o totale si risolva in una disputa sulla doverosità delle misure richieste, passibile di riverberare in contenuti ai riguardo rivendicatori, ed anche in manifestazioni pubbliche di protesta ispirate dal motivo che il datore non faccia abbastanza per assicurare la sicurezza dei lavoratori e/o degli utenti.
Ritiene serenamente il giudicante che in un paese libero e democratico tali forme di critica politico-sindacale, anche se svolte con uso di linguaggio pungente e incisivo (Cass. 257/2009, 20140/2005) debbano essere riconosciute legittime, semprechè non trasmodino in forme eccedenti il collegamento strumentale alla manifestazione di un dissenso ragionato rispetto all'opinione o al comportamento preso di mira, per risolversi in una aggressione gratuita e distruttiva dell'immagine altrui. sostanzialmente intesa in modo consapevole ed aperto a suscitare disprezzo (Cass. 28411/2008).
Ciò che non appare predicabile nel caso di specie.
L'ultimo addebito riguarda la nota AdnKronos delle ore 18,19, nella parte in cui riporta affermazioni con cui il D.A. avrebbe "accusato nuovamente la dirigenza aziendale, affermando che l'accaduto sarebbe solo causa della "cabina di comando e responsabilità", e rigettando qualsiasi ipotesi di errore umano.
La dichiarazione incriminata, che segue alla nota Trenitalia con la quale si comunicava che i macchinisti avevano ammesso di aver sbagliato, recita: "Non accettiamo che la responsabilità sia scaricata, come al solito, su un errore umano dell'ultimo operatore. Essa è solo della cabina di comande e di responsabilità. Gli ETR 500 possiedono comandi completamente elettronici ed è inaccettabile che, anche in presenza di errore di manovra, possa accadere quello che è successo ".

La dichiarazione appare assolutamente incensurabile:
a)    nella parte in cui l'attore prende le difese dei colleghi accusati, perché ciò, a ragione o a torto, non riguarda punto la sfera giuridica della società;
b)    nella parte in cui l'autore giudica il sinistro "inaccettabile" quand'anche fosse stato causato da errore di manovra del macchinista, perché l'alto grado di automazione degli ETR dovrebbe consentire di prevenire l'errore umano.
Trattasi di un giudizio chiara espressione del diritto di critica, e peraltro di un giudizio fondato, come tale peraltro rivelato dall'esito dell'indagine penale, perché le imprese hanno per legge il dovere di porre in essere tutte le misure di prevenzione consentite dallo stato della tecnica ed atte a prevenire incidenti, a prescindere dalla possibilità che alla produzione degli stessi abbia a concorrere un fatto del lavoratore; e nella specie l'errore umano era prevenibile.
Del tutto gratuitamente poi l'azienda insiste anche con riferimento a tale dichiarazione a negare che l'incidente fosse stato causato da difetto di manutenzione, reiterando nei confronti del lavoratore l'addebito di insistere sul punto, quando appare evidente che già in detta dichiarazione l'autore chiamava ormai in causa l'omessa adozione di tutt'altre misure prevenzionali.
La dichiarazione si presta invece a qualche rilievo sotto il profilo della continenza.
L'uso, riferendosi alla controparte, della nozione giuridica di "responsabilità", appare frutto di una forzatura polemica, quanto, nel contesto, obiettivamente insidioso.
Il macchinista che aveva errato la manovra era probabilmente incorso in responsabilità civile e disciplinare, avendo omesso, per disattenzione, di disinserire il sistema "in coda" prima di attivare la motrice "in testa", cagionando un pur modesto danno al treno.
Riguardato il fatto dal lato dell'azienda, considerato che il fatto come a tutti noto si era risolto nel distaccamento di un vagone con pressoché immediato arresto di entrambi i corpi senza danni a persone e senza danni a cose che non fossero dello stessa Trenitalia, nessuna fattispecie di responsabilità era ravvisabile a carico dell'azienda se non sotto il profilo penale del pericolo di disastro colposo, infatti di lì a poco fatto oggetto di apposita indagine.
La reazione di Trenitalia trova cosi la ragione più plausibile nel fatto che l'attore, descrivendo in termini di responsabilità l'accaduto e peraltro rimarcando (fondatamente, come i fatti avrebbero poi dimostrato) che esso avrebbe potuto essere evitato se fossero stati adottati idonei meccanismi automatici di prevenzione pure disponibili, dopo aver già accreditato la possibilità di difetti di manutenzione (che peraltro la nuova esternazione nei fatti contraddiceva) accreditava, nell'ambito di un dibattito nel quale erano già stati evocati potenziali rischi per l'incolumità pubblica, l'unica ipotesi di responsabilità messa obiettivamente in campo a carico dell'azienda dalla vicenda, che era quella penale, legata alla mera produzione di un pericolo.
Ciò senza che, in realtà, alcuna situazione di pericolo si fosse prodotta, come l'indagine penale avrebbe poi accertato.
La dichiarazione appare poi inobiettiva e faziosa, nel suo contestare la responsabilità del macchinista per poi ammettere contraddittoriamente lo possibilità dell'errore umano quale causa prossima del fatto, indubbiamente imputabile al suo autore a prescindere dall'esistenza di una precausa aziendale.
Il giudice non può condividere alcune indicazioni incidentali della più recente giurisprudenza di legittimità (v. es. Cass. 29008/2008). che chiamano in causa l'obiettività e la serenità come tali quali limiti della libertà di esternare il pensiero.
Malgrado, invero, la comunicazione obiettiva e serena siano indubbio indice di civiltà, la parzialità e l'impacatezza come tali non possono essere chiamati in causa quali fattori lesivi.
Pur tuttavia, la esternazione in questione si connota, sotto i suaccennati profili, per uno spirito di aggressività preconcetta di matrice puramente ideologica, che appare eccedere la legittima finalità della comunicazione, in quanto diretta a rimarcare che l'eventuale colpa dei macchinisti non implicava che l'azienda avesse, com'era suo dovere, adottato tutte le necessarie misure prevenzionali.
Il giudicante peraltro dubita fortemente che il D.A. abbia parlato di "responsabilità" in un senso, attributivo o comunque evocativo, nel contesto, della commissione di un reato di pericolo.
Lo stesso modo di esprimersi del ricorrente, incline all'aperta contraddizione, denota una non piena padronanza dei mezzi espressivi.
Egli è inoltre un macchinista, professionalità in rapporto alla quale non è dato desumere una competenza specifica riguardo all'uso corretto dell'espressione "responsabilità".
Ancora, poiché i colleghi macchinisti erano incorsi in responsabilità civile e disciplinare, ed erano stati accusati sotto detto profilo (e furono poi puniti per questo), appare evidente che egli usa tale termine riferendosi all'azienda per assonanza con la posizione dei colleghi, con ciò intendendo ciò di cui concretamente si parlava, e della sola cosa che poteva consentire il raffronto tra le due posizioni, che era costituita dalla rilevanza causale del comportamento di questi e dell'azienda nella produzione dell'incidente.
Inoltre in nessuna delle due comunicazioni il D.A. aveva apertamente ventilato pericoli per l'incolumità pubblica, che pure erano già stati messi in campo da terzi.
Il senso della comunicazione, quale peraltro chiaramente percepibile dall'uomo medio, consisteva pertanto semplicemente nel giudizio, espressivo del diritto di critica, e peraltro obiettivamente fondato, che quand'anche l'incidente avesse avuto causa diretta in un errore di manovra, tuttavia, posto che la tecnica lo consentiva, visto che gli ETR erano pressoché completamente automatizzali, l'azienda aveva i1 dovere di prevenire l'errore umano, adottando le opportune misure di prevenzione: cosa peraltro possibile, o quindi doverosa per legge, come i fatti si sarebbero incaricati di dimostrare.
Anche peraltro ad ammettere che sotto tal profilo le esternazioni del D.A. abbiano ecceduto, per il tono, l'ambito presidiato dal diritto di critica, deve rimarcarsi che nel costante e qui condiviso insegnamento di legittimità, la validità dei provvedimenti disciplinari, e specie quando si sia in presenza di sanzione espulsiva, deve essere vagliata anche sotto il profilo del canone di proporzionalità, tenendo conto dell'intensità dello stato soggettivo, e di tutte le caratteristiche del caso concreto (conf. anche Cass. 1600/2009, 29008/2008, già citate).
Il D.A. è rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, promotore dell'Assemblea nazionale dei ferrovieri, e persona fortemente impegnata sui temi della sicurezza sul lavoro, e come tale regolare interlocutore dell'azienda su problematiche di tipo sindacale in materia.
Sebbene ciò non costituisca di per sé una scriminante riguardo alla violazione dei limiti al diritto di critica, si deve ammettere, ciò che costituisce peraltro il presupposto di alcuni richiami di legittimità sopra indicati, che la natura intrinsecamente dialettica delle relazioni di tipo sindacale, consentite dall'ordinamento come tali, e quali implicanti, del tutto fisiologicamente, il ricorso alle tecniche della rivendicazione e della protesta, richieda un adeguato e ragionevole metro di tolleranza rispetto ai fenomeni, spesso determinati da eccesso di vigore polemico, di relativa, ancorché del caso ingiustificata aggressività nelle esternazioni.
Nel caso di specie peraltro l'aggressività polemica mostrata dal D.A. si muoveva in un ambito di pubblico allarme largamente diffuso e condiviso, oltre ad essere chiaramente mossa da comprensibile spirito di solidarietà nei confronti dei colleghi accusati.
Merita peraltro rimarcare come la decisione aziendale risulti fondata in realtà su tutt'altri, ed infondati presupposti, quale quello per cui un lavoratore come tale non potrebbe criticare pubblicamente il management aziendale per scarsa sensibilità ai temi della sicurezza o sollevare pubblicamente dubbi sulla solidità dei sistemi prevenzionali.
Né possono sostenere la decisione aziendale i precedenti disciplinari del D.A., nessuno dei quali contestato per recidiva e la massima parte dei quali neppure contestabili per decorso del biennio, uno solo dei quali, peraltro risalente al 1998, riguardava un caso analogo, e peraltro di ben maggiore portata (e pur tuttavia punito con sanzione conservativa confermata in sede giudiziale, peraltro in sede di impugnativa di lodo arbitrale come tale passibile di limitato sindacato giurisdizionale), se è vero che in quel caso il D.A. aveva dichiarato in una trasmissione televisiva Rai che "la cattiva manutenzione della linea, la disattenzione dell'intera azienda alle linee locali ha causato altri gravissimi incidenti che solo per caso questa volta non hanno causato una tragedia", così esprimendosi in termini ben altrimenti diretti quanto inammissibilmente generici sull'attitudine dell'intera azienda a sottovalutare i rischi in materia di sicurezza, e soprattutto riferendo senza prove il fatto che imprecisati quanto gravissimi incidenti sarebbero già avvenuti a causa di tale disattenzione (cosa che attiene al diritto di informazione che richiede la verità obiettiva) ed altri se ne sarebbero probabilmente verificati se questa non fosse venuta meno.
Il licenziamento impugnato va pertanto dichiarato illegittimo.
Incontestati i presupposti dimensionali, deve trovare applicazione l''art. 18 della legge n. 300/70 e s.m..
Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Tali i motivi della decisione riportata in epigrafe.
Cosi deciso in Roma, il 26 ottobre 2009    

IL GIUDICE