Cassazione Penale, Sez. Fer., 26 agosto 2021, n. 32365 - Omissione di tutte le cautele necessarie per i lavori in prossimità di cavi elettrici in tensione: responsabilità di un datore di lavoro


 

 

Presidente: SIANI VINCENZO
Relatore: SARACO ANTONIO Data Udienza: 26/08/2021
 

 

Fatto


1. F.P. ricorre avverso la sentenza in data 2/11/2020 della Corte di appello di Lecce che ha parzialmente riformato la sentenza in data 10/10/2017 del Tribunale di Lecce, riconoscendo circostanze attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti e rideterminando la pena inflittale per il reato di lesioni personali colpose gravi commesse con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, in danno di A.F..
Deduce:
1.1. Violazione di legge ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) c.p.p. e vizio di motivazione in relazione al giudizio di colpevolezza dell'imputata ai sensi dell'art. 43, cod.pen.
Secondo la ricorrente la motivazione della sentenza impugnata é contraddittoria perché a fronte di un giudizio di eccentricità espresso con riguardo alla condotta di A.F., ha egualmente affermato la responsabilità del datore di lavoro, così discostandosi dai principi di diritto affermati dalla Corte di cassazione in presenza di comportamenti eccezionali, abnormi ed esorbitanti realizzati dal lavoratore.
Nel caso concreto, tale connotato di abnormità viene individuato nel fatto che A.F., al momento dell'incidente, stesse svolgendo attività proprie di una mansione del tutto diversa dalla sua.
1.2. Vizio di motivazione in relazione all'attendibilità della persona offesa, in relazione all'art. 192, comma 2, cod.proc.pen.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia l'esistenza di molteplici profili che appalesano la non credibilità soggettiva e l'inattendibilità della persona offesa, così come emergente dall'esame delle sue dichiarazioni rilasciate al personale dell'ASL - SPESAL SUD di Lecce il 18.7.2013 se confrontate con il contenuto dell'esposto ENEL del 23.9.2013 e con le SIT rese da DC.E..
1.3. Violazione di legge ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b), cod.proc.pen. e vizio di motivazione in relazione all'art. 83, decreto legislativo n. 81/2008. Travisamento della prova e dei fatti. Interruzione del nesso di causalità ex art. 45, cod.pen.
Il terzo motivo dell'impugnazione denuncia il travisamento della prova attuato dalla Corte di appello in relazione alla consapevolezza di F.P. circa la pericolosità dei cavi. A tal proposito la ricorrente osserva che i giudici hanno fatto discendere tale consapevolezza dalla missiva in data 10.2.2012 inviata da F.P. all'ENEL e con la quale ella aveva chiesto la rimozione dei cavi elettrici. Il travisamento viene individuato nel fatto che i giudici hanno ricavato la consapevolezza della pericolosità dei cavi sulla base di una missiva che -in realtà- era stata inoltrata (non per la loro pericolosità, ma) perché intralciavano il proseguimento dei lavori.
Scrive, dunque, la difesa che «in tal senso, il giudice di seconde cure ha posto in essere un vero e proprio travisamento della prova, pervenendo -in modo artificioso, quanto forzato- all'assunto, utile alla tesi accusatoria, secondo il quale, visto che (in tesi) l'imputata era già a conoscenza della pericolosità del cavo avrebbe dovuto valutarne il rischio e procedere di conseguenza a norma dell'art. 83, decreto legislativo n. 81/2008».
A sostegno dell'assunto vengono valorizzati gli accertamenti del Servizio Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro (SPESAL) dell'ASL di Lecce, in forza dei quali si evince -sostiene la difesa- la mera accidentalità e imprevedibilità dell'evento, dovendosi altresì acclarare che il fatto non si sarebbe verificato ove TELECOM ed ENEL fossero state diligenti nella manutenzione delle loro reti, per come dimostra il fatto che il tribunale aveva trasmesso gli atti al Pubblico ministero per le valutazioni in ordine ai responsabili di quelle società.
Si afferma che «la signora F.P., quindi, stando alle ricostruzioni della Corte di appello, si ritrova e dover subire le conseguenze di un accertamento penale di responsabilità, per effetto dell'incuria altrui».
La ricorrente invoca, dunque, il riconoscimento del caso fortuito ex art. 45, cod.pen., coma tale foriero dell'interruzione del nesso di causalità tra la condotta omissiva dell'imputata e l'evento lesivo, concretizzatosi nell'incuria e nella mancanza di manutenzione delle proprie infrastrutture da parte di Telecom e di Enel.
2. il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale ELISABETTA CENICCOLA, ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.
 

Diritto


1. Il ricorso è inammissibile in quanto meramente reiterativo delle questioni di merito proposte con il gravame e disattese dalla Corte di appello che:
a) ha osservato che "non trova sponda" l'ipotesi difensiva secondo cui A.F. avrebbe deciso di propria iniziativa di dedicarsi a un servizio del tutto eccentrica rispetto alle proprie mansioni di magazziniere; b) ha precisato che la tesi difensiva viene contrastata dalle dichiarazioni dello stesso A.F., dall'id quod plerumque accidit e dalla logica, essendo impensabile che un dipendente svolga mansioni diverse da quelle attribuitegli, esponendosi al rischio di censure; c) ha chiarito le ragioni per cui ha ritenuto la persona offesa credibile; d) ha escluso, conseguentemente, la configurazione di una condotta eccezionale del dipendente utile a escludere la responsabilità del datore di lavoro, sicchè «avendo l'A.F. operato nell'ambito di un ordine impartitogli dal suo datore di lavoro, deve pertanto ritenersi integrato il reato contestato all'imputata»; e) ha osservato che dalla testimonianza di M. è emerso che A.F. era chiamato a operare in prossimità di cavi elettrici, ossia in condizioni di lavoro che obbligavano F.P. ad approntare le cautele previste dal decreto legislativo n. 81 del 2008; f) ha rilevato come l'odierna ricorrente fosse a conoscenza della presenza dei cavi di tensione, avendone chiesto la rimozione o spostamento; f) ha ulteriormente precisato come un'eventuale incuria dell'Enel o della Telecom non escludesse la responsabilità di F.P., perché: «si tratta, infatti, di circostanza che, contrariamente a quanto sostenuto dall'appellante, non ne esclude la responsabilità, ma avrebbe vieppiù dovuto indurre la F.P. ad evitare qualsiasi attività idonea a far interagire i dipendenti con l'area interessata dai cavi menzionati ed il suo non averlo fatto non può che integrare la sussistenza a suo carico di profili di colpa sia specifica sia generica».
A tale ultimo riguardo va rimarcato come l'argomentazione spesa dalla Corte di appello trovi preciso riscontro di correttezza nell'art. 117 del decreto legislativo 9 aprile 2008 n. 81 che -proprio a proposito di cantieri in prossimità di linee elettriche o di impianti elettrici con parti attive non protette- impone una serie di cautele (mettere fuori tensione e in sicurezza le parti attive per tutta la durata dei lavori; posizionare ostacoli rigidi che impediscano l'avvicinamento alle parti attive; tenere in permanenza -per quel che qui interessa- le persone a una distanza di sicurezza tale da non consentire contatti diretti o scariche pericolose), allo specifico fine di tutelare la sicurezza del lavoratore.
Cautele pacificamente non approntate da F.P., pur nella dimostrata consapevolezza della presenza dei cavi elettrici.
1.1. A fronte di tali motivazioni -adeguate, logiche e prive di contraddizioni, strettamente ancorata a una completa e approfondita disamina delle risultanze processuali oltre che conforme ai principi e alle norme di diritto che informano la materia- la ricorrente persiste nelle identiche argomentazioni contenute nell'atto di gravame, senza mai illustrare alcun vizio scrutinabile in sede di legittimità. Ciò con riferimento a ciascuno dei tre motivi dedotti, qui unitariamente trattati.
Si deve a tal proposito ricordare che «è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella ripetizione di quelli già dedotti in appello, motivatamente esaminati e disattesi dalla corte di merito, dovendosi i motivi stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto non assolvono la funzione tipica di critica puntuale avverso la sentenza oggetto di ricorso", (Sez. 5, Sentenza n. 11933 del 27/01/2005, Rv. 231708; più di recente, non massimate: Sez. 2, Sentenza n. 25517 del 06/03/2019, Di Stefano; Sez. 6, Sentenza n. 19930 del 22/02/2019, Ferrari). In altri termini, è del tutto evidente che a fronte di una sentenza di appello che ha fornito una risposta ai motivi di gravame, la pedissequa riproduzione di essi come motivi di ricorso per cassazione non può essere considerata come critica argomentata rispetto a quanto affermato dalla Corte d'appello: in questa ipotesi, pertanto, i motivi sono necessariamente privi dei requisiti di cui all'art. 581 c.p.p., comma 1, lett. c), che impone la esposizione delle ragioni di fatto e di diritto a sostegno di ogni richiesta.
1.2. Deve aggiungersi, inoltre, che il ricorso risulta privo di correlazione con la motivazione della sentenza impugnata. Si deve a tal proposito rilevare, per un verso, che -diversamente da quanto sostenuto dalla difesa- la Corte di appello non ha mai connotato di eccentricità la condotta del lavoratore, avendo - al contrario- evidenziato come il suo svolgimento di attività eccentriche rispetto alle sue mansioni fosse da attribuire a un preciso ordine impartitogli dal datore di lavoro; che, per altro verso, tutte le argomentazioni spese dalla Corte di appello per disattendere le doglianze di merito sono state di fatto pretermesse e trascurate nel ricorso.
Tanto fa sì che il ricorso sia privo del requisito della specificità, ove si consideri che il vizio di aspecificità va apprezzato non solo in relazione alla genericità del motivo, inteso come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell'art. 591 comma 1 lett. c), all'inammissibilità (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, Rv. 268823; Sez. 2, Sentenza n. 11951 del 29/01/2014 Rv. 259425, Lavorato; Sez. 4, 29/03/2000, n. 5191, Barone, Rv. 216473; Sez. 1, 30/09/2004, n. 39598, Burzotta, Rv. 230634; Sez. 4, 03/07/2007, n. 34270, Scicchitano, Rv. 236945; Sez. 3, 06/07/2007, n. 35492, Tasca, Rv. 237596).
1.3. Va infine osservato che il ricorso -in conseguenza di quanto fin qui esposto- non espone violazioni di legge o mancanze argomentative e manifeste illogicità della sentenza impugnata, ma mira a sollecitare un improponibile sindacato sulle scelte valutative della Corte di appello, così risolvendosi nella proposta di diversa interpretazione delle emergenze fattuali, la cui delibazione è preclusa alla Corte di legittimità.
Vale ricordare, infatti, che i vizi di motivazione possono essere esaminati in sede legittimità allorquando, non propongano censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (cfr. Sez. 5, n. 46124 del 08/10/2008, Pagliaro, Rv. 241997) le cui determinazioni, al riguardo, sono insindacabili in cassazione ove siano sorrette da motivazione congrua, esauriente ed idonea a dar conto dell'iter logico-giuridico seguito dal giudicante e delle ragioni del decisum.
2. Quanto esposto comporta la declaratoria di inammissibilità del ricorso ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
 

P.Q.M.
 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 26/8/2021