Cassazione Penale, Sez. 4, 10 settembre 2021, n. 33600 - Sfruttamento di manodopera


 

Presidente: IZZO FAUSTO
Relatore: DAWAN DANIELA Data Udienza: 10/02/2021

Fatto
 

1. Il Tribunale di Catanzaro ha accolto parzialmente la richiesta di riesame presentata da C.P. avverso l'ordinanza del 22/05/2020 del Gip del Tribunale di Castrovillari - in riferimento ai delitti di cui all'art. 416, commi 1, 2, 3 e 5, cod. pen. e agli artt. 81, comma 2, 110 e 603-bis, comma 1 n. 1, comma 3, nn. 1, 2, 3 e 4 e comma 4, n. 1, cod. pen. - sostituendo la misura della custodia cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari.
2. Il procedimento trae origine da un'ampia indagine condotta dalla Procura di Castrovillari che ha fatto emergere l'esistenza di un radicato circuito di sfruttamento del lavoro ai danni di numerosi soggetti di nazionalità rumena o extracomunitari (questi ultimi spesso reclutati nei centri di accoglienza o, comunque, privi dei permessi di soggiorno). Un'intensa attività di intercettazione, corredata da servizi di osservazione e pedinamento, localizzazioni GPS, acquisizioni documentali ed assunzione di sommarie informazioni, dava conto di un quadro indiziario grave ed univocamente attestante plurime e reiterate condotte di sfruttamento e utilizzazione di manodopera in violazione delle prescrizioni giuslavoristiche, realizzate anche in forma associativa nei territori di Campania e Basilicata. In tale contesto, assumeva rilievo la figura dell'odierno ricorrente, accusato di avere reclutato, in concorso con A.G., manodopera allo scopo di destinarla presso l'azienda agricola Degiovi s.r.l., in condizioni di sfruttamento - attese la reiterata corresponsione di retribuzioni difformi dai contratti collettivi nazionali o territoriali e, comunque, sproporzionate rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato, la reiterata violazione della normativa relativa all'orario di lavoro, ai periodi di riposo, al riposo settimanale, all'aspettativa obbligatoria e alle ferie, le violazioni delle norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro, la sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, a metodi di sorveglianza ed a situazioni alloggiative degradanti - approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori i quali, stanti le precarie condizioni economiche e versando in stato di bisogno, erano costretti ad accettare le condizioni testé descritte.
3. Avverso la prefata ordinanza ricorre l'indagato, a mezzo dei suoi difensori, sollevando un unico, articolato, motivo con cui lamenta l'apparenza, l'illogicità e la contraddittorietà della motivazione la quale avrebbe totalmente pretermesso le specifiche censure mosse in sede di riesame anche mediante apposita memoria difensiva. Sotto il profilo della gravità indiziaria, il ricorrente si domanda quali siano le conversazioni che, a detta del giudice del riesame, integrano il delitto di cui all'art. 603-bis cod. pen. L'ordinanza impugnata deduce asetticamente il ruolo di subcaporale del C.P. solo sulla base di alcune conversazioni, decontestualizzate e riportate a frammenti. La circostanza che il C.P., il quale svolgeva la medesima attività degli altri braccianti, svolgesse anche il compito di autista non è, di per sé, sintomatica di attività illecita, trattandosi di mansione disciplinata dal CCNL di riferimento. Quanto alla documentazione dei lavoratori, era stato l'A.G., che li aveva procacciati, a richiederne la predisposizione al ricorrente che mai aveva provveduto al reclutamento della manodopera. Non vi è motivazione in relazione all'argomentazione difensiva secondo cui il C.P. era un bracciante al pari degli altri, con una retribuzione inferiore ai parametri di legge. Quanto al reato associativo, l'ordinanza impugnata non dice da dove desuma i vincoli di congiunzione dell'indagato con la supposta associazione a delinquere e quale sia stato il suo ruolo. Nelle conversazioni richiamate dal Tribunale, a sostegno della partecipazione del ricorrente al sodalizio criminale, non vi è alcun elemento a sostegno della tesi accusatoria. Non si danno, infatti, contatti del prevenuto con la maggior parte degli altri indagati, ritenuti affiliati all'associazione; né si rinviene l'esistenza una bacinella comune in cui far confluire i proventi illeciti o di una pianificazione degli illeciti da parte dell'A.G.. Quanto alle esigenze caut elar i, la disposta misura risulta inadeguata ed eccessivamente gravosa, attese anche l'assenza e l'inattualità dell'asserito pericolo di reiterazione giacché l'indagato risulta ormai da un anno assunto in una ditta estranea al settore agricolo, così come emerge dalle informazioni raccolte ex art. 391-bis cod. proc. pen.

 

Diritto




1. I ricorso è inammissibile.
2. È necessario preliminarmente determinare i limiti entro i quali questa Corte Suprema può esercitare il sindacato di legittimità sulla motivazione delle ordinanze applicative di misure cautelari personali.
2.1. Secondo l'orientamento che il Collegio condivide, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte Suprema spetta il compito di verificare se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l'hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell'indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti, rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l'apprezzamento delle risultanze probatorie, nella peculiare prospettiva dei procedimenti incidentali de libertate (Sez. U., n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828: in motivazione, la S.C., premesso che la richiesta di riesame ha la specifica funzione, come mezzo di impugnazione, sia pure atipico, di sottoporre a controllo la validità dell'ordinanza cautelare con riguardo ai requisiti formali enumerati nell'art . 292 cod. proc. pen. e ai presupposti ai quali è subordinata la legittimità del provvedimento coercitivo, ha posto in evidenza che la motivazione della decisione del Tribunale del riesame, dal punto di vista strutturale, deve essere conformata al modello delineato dal citato articolo, ispirato al modulo di cui all'art. 546 cod. proc. pen., con gli adattamenti resi necessari dal particolare contenuto della pronuncia cautelare, non fondata su prove, ma su indizi e tendente all'accertamento non della responsabilità, bensì di una qualificata probabilità di colpevolezza; nel medesimo senso, ex multis, Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, Mazzelli Franco, Rv. 276976, secondo cui, in tema di misure cautelari personali, il ricorso per cassazione per vizio di motivazione del provvedimento del Tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza consente al giudice di legittimità, in relazione alla peculiare natura del giudizio ed ai limit i che ad esso ineriscono, la sola verifica delle censure inerenti la adeguatezza delle ragioni addotte dal giudice di merito ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l'apprezzamento delle risultanze probatorie e non il controllo di quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito).
Il controllo del giudice di legittimità, quindi, non involge il giudizio ricostruttivo del fatto e gli apprezzamenti del giudice di merito circa l'attendibilità delle fonti e la rilevanza e la concludenza dei risultati del materiale probatorio, quando la motivazione sia adeguata, coerente ed esente da errori logici e giuridici.
Quanto alla nozione di gravi indizi di colpevolezza questa Corte (Sez. 4, n. 53369 del 09/11/2016, Jovanovic, Rv. 268683; Sez. 4, n. 38466 del 12/07/2013, Kolgjini, Rv. 257576) ha più volte chiarito che la stessa non è omologa a quella che qualifica lo scenario indiziario idoneo a fondare il giudizio di colpevolezza finale. Al fine dell'adozione della misura, invero, è sufficiente l'emersione di qualunque elemento probatorio idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell'indagato in ordine ai reati addebitati. I detti indizi, pertanto, non devono essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio di merito, dall'art. 192 cod. pen. proc., comma 2 (per questa ragione l'art. 273 cod. proc. pen., comma 1-bis richiama l'art. 192 cod. proc. pen., commi 3 e 4, ma non il comma 2 del medesimo articolo, il quale, oltre alla gravità, richiede la precisione e concordanza degli indizi). Deve, peraltro, ribadirsi, come affermato da precedenti pronunce di questa stessa Sezione (Sez. 4, n. 37878 del 06/07/2007, Cuccaro e altri, Rv. 237475), che la valutazione del peso probatorio degli indizi è compito riservato al giudice di merito e che, in sede di legittimità, tale valutazione può essere contestata unicamente sotto il profilo della sussistenza, adeguatezza, completezza e logicità della motivazione, mentre sono inammissibili le censure che, pure investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze già esaminate dal giudice, spettando alla Corte di legittimità il solo compito di verificare se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l'hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell'indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi del diritto che governano l'apprezzamento delle risultanze probatorie (Sez. 5, n. 602 del 14/11/2013, dep. 2014, Ungureanu, Rv. 258677; Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, P.M. in proc. Tiana, Rv. 255460). Il controllo di logicità, peraltro, deve rimanere "all'interno" del provvedimento impugnato, non essendo possibile procedere a una nuova o diversa valutazione degli elementi indizianti o a un diverso esame degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate.
2.2. Alla medesima stregua, la Corte di cassazione non ha alcun potere di rivalutazione delle condizioni soggettive dell'indagato in relazione alle esigenze cautelari ed alla adeguatezza delle misure, trattandosi di apprezzamenti di merito rientranti nel compito esclusivo del giudice che ha applicato la misura e del Tribunale del riesame. Il controllo di legittimità è, quindi, circoscritto all'esame del contenuto dell'atto impugnato per verificare, da un lato, le ragioni giuridiche che lo hanno determinato e, dall'altro, l'assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, Mazzelli Franco, Rv. 276976; Sez. F, n. 47748 del 11/08/2014, Contarini, Rv. 261400).
3. Tutto ciò premesso e venendo al caso di specie, la motivazione del Tribunale di Catanzaro si rivela del tutto immune dai sollevati vizi di motivazione. Quanto alla gravità indiziaria in ordine al delitto di cui all'art. 603-bis cod. pen., essa osserva come, dalle risultanze investigative, in particolare dalle intercettazioni telefoniche, emerga che il reclutamento e la gestione degli operai erano stati delegati da A.G., promotore e capo del sodalizio criminoso, all'odierno ricorrente il quale non si limitava, diversamente da quanto si afferma nel ricorso, ad un ruolo di mero autista, preposto al trasporto dei lavoratori, ma predisponeva la documentazione per l'assunzione dei braccianti, li controllava nello svolgimento del lavoro e procedeva direttamente al pagamento degli acconti. L'ordinanza impugnata, poi, disattende l'argomentazione difensiva - per la quale il C.P. era un bracciante al pari degli altri -sostenendo che, «proprio perché il prevenuto lavorava al pari e addirittura più degli altri», non può fondatamente e ragionevolmente ritenersi che egli - che pure svolgeva le mansioni di bracciante agricolo - si accollasse il compito di trasportare i braccianti sul luogo di lavoro, di curare la predisposizione della relativa documentazione, di pagare gli acconti, «senza percepire alcun compenso aggiuntivo».
La motivazione si appalesa altresì congrua rispetto alla configurabilità del reato associativo in capo al ricorrente. Premessa la natura professionale ed organizzata del sodalizio - come in particolare emergente dalla conversazione n. 2622 del 16/04/2018 (intercorsa tra A.G. e DC.E.) - il Tribunale sostiene, sulla base del compendio indiziario, che il C.P. intratteneva contatti costanti con il predetto A.G., con cui conduceva l'attività di reclutamento di braccianti da destinare alla società agricola Degiovi s.r.l. e con il braccio destro di costui, A.R. (alias signora F.).
3.1. Anche sulla concreta sussistenza e sull'attualità del pericolo di reiterazione dei reati la motivazione del provvedimento appare del tutto congrua e adeguata. Il Tribunale di Catanzaro ha, sul punto, dato conto delle modalità e circostanze del fatto (l'aver partecipato ad un'associazione a delinquere finalizzata alla perpetrazione di una serie indeterminata di delitti di sfruttamento ed utilizzazione di manodopera prevalentemente extracomunitaria in violazione delle prescrizioni giuslavoristiche), della personalità dell'indagato (che ha accettato di collaborare con l'A.G. nella predetta attività di sfruttamento) e della appartenenza ad un gruppo stabile ed organizzato, dotato di non comune capacità operativa, coinvolgente un numero significativo di soggetti. Quanto all'attualità della ravvisata esigenza, il Giudice ha considerato la serialità e la standardizzazione dell'operato associativo, tali da lasciar prevedere che, verificando se nell'occasione, l'indagato possa facilmente commettere reati della stessa specie di quelli contestati, anche in considerazione del fatto che il ricorrente risulta aver trasportato braccianti per conto dell'A.G. almeno sino al 05/01/2019. Né, afferma il Tribunale, può essere valorizzata, al fine di escludere il pericolo di reiterazione, la circostanza evidenziata dalla difesa - e rievocata in questa sede - costituita dall'assunzione del C.P. da parte di una ditta edile : il contratto di lavoro con l'impresa edile in questione, infatti, è relativo al solo, limitatissimo, periodo intercorrente tra il 15/05/2020 e il 30/06/2020.
4. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

 

P.Q.M.



Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 10 febbraio 2021