Cassazione Penale, Sez. 4, 30 settembre 2021, n. 35829 - Infortunio del lavoratore distaccato durante la movimentazione di pile di cartoni con un muletto


 

Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA Relatore: BRUNO MARIAROSARIA
Data Udienza: 25/05/2021
 

Fatto

 

1. La Corte d'appello di Milano, con sentenza resa in data 28/6/2019, ha confermato la pronuncia di condanna del Tribunale di Milano a carico di T.M. per il reato di cui all'art. 590 cod. pen., aggravato dalla violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro.
Era contestato all'imputato di avere cagionato, in qualità di Presidente del Consiglio di amministrazione della Soc. Cooperativa "La P.", lesioni personali di durata superiore a 40 giorni a C.MFG., consistite in una "frattura somatica Ll". Secondo la ricostruzione offerta dai giudici di merito nelle due sentenze conformi, in occasione del sinistro occorso, il C.MFG. si trovava, per conto della società "La P.", presso l'unità operativa "Sefa s.p.a." ove era chiamato a svolgere attività di movimentazione di pile di cartoni, posizionate su bancali, mediante utilizzo di un carrello elevatore dotato di forche di sollevamento. Durante l'operazione di sollevamento di due colli sovrapposti - ciascuno del peso di kg. 160 - il carico superiore, non assicurato in alcun modo, gli roviN.F. addosso, colpendolo alla testa.
I giudici di merito individuavano a carico del T.M. profili di colpa specifica consistiti nella mancata previsione del rischio collegato allo spostamento delle merci e nella mancata formazione del lavoratore.
2. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, a mezzo del difensore, deducendo quanto segue.
I) Erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 590, commi 1, 2 e 3 cod. pen.; 37, comma 1, lett. B), d.lgs. 81/2008.
La difesa ritiene che i giudici di merito non abbiano fatto buon governo delle norme richiamate, trascurando di considerare il principio di "autoresponsabilità del lavoratore" sostenuto nei più recenti indirizzi della giurisprudenza di legittimità (cfr. Sez. 4, sent. n. 8883 del 3 marzo 2016).
La citata pronuncia, evidenzia la difesa, riguardante un caso assimilabile a quello in esame, pur ribadendo che il comportamento negligente del lavoratore non possa costituire, a determinate condizioni, ragione di esonero da responsabilità per il datore di lavoro, ha precisato come il modello della normativa antinfortunistica abbia subito nel tempo lente trasformazioni, abbandonando l'indirizzo "iperprotettivo" ed approdando alla diversa concezione di una necessaria collaborazione tra datore di lavoro e lavoratore dipendente: nell'ambito di tale modello gli obblighi di protezione sono ripartiti tra più soggetti e coinvolgono anche lo stesso lavoratore, il quale deve osservare la massima diligenza e prudenza nello svolgi mento dell'attività.
Alla luce di tale indirizzo i giudici di merito avrebbero dovuto mandare assolto il datore di lavoro, essendo emersa una responsabilità dell'infortunato nel corso delle operazioni di carico delle merci: la persona offesa, particolarmente esperta, non avrebbe impiegato l'ordinaria diligenza nello svolgimento dei compiti affidatigli; di contro, il datore di lavoro aveva posto in essere tutte le necessarie attività per garantire la sicurezza sul luogo di lavoro.
A detta del teste qualificato N.F., incaricato di svolgere accertamenti sul caso, il transpallet manovrato dalla persona offesa procedeva a scatti nella fase di partenza e arresto. Tale circostanza avrebbe dovuto rendere evidente agli occhi del dipendente, da decenni impiegato nella movimentazione dei carrelli, la pericolosità del trasporto di pile sovrapposte di colli. Il comportamento serbato dal C.MFG., il quale ha anche ammesso di avere posto in essere una manovra sbagliata, avrebbe quindi interrotto il nesso causale, essendo eccentrico rispetto al rischio che il garante era chiamato a governare.
II) Contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata.
I giudici di appello avrebbero travisato le circostanze del fatto in cui si sono svolte le condotte ascritte al ricorrente. Sarebbero stati totalmente ignorati gli aspetti emergenti dalle dichiarazioni della persona offesa, riguardanti l'errore di manovra commesso durante lo svolgimento dell'attività, assolutamente non prevedibile da parte del datore di lavoro.
3. Nei termini di legge, il P.G. e la difesa dell'imputato hanno rassegnato conclusioni scritte per l'udienza camerale senza discussione orale (art. 23 co. 8 d.l. 137/2020).
Il P.G., ha concluso per il rigetto del ricorso.

Il difensore, nel riportarsi ai motivi di doglianza, chiedendone l'accoglimento, ha precisato che l'utilizzo del muletto per lo scarico della merce fu frutto di una iniziativa assunta dal C.MFG. in completa autonomia. Si trattava di un mezzo sostitutivo di quello solitamente adoperato per effettuare la movimentazione merci. Sulla scelta operata dal dipendente, nella circostanza dell'infortunio, il T.M. non aveva alcun potere d'intervento, poiché tale attività si era realizzata presso la "Sefa s.p.a.", azienda diversa da quella di cui il ricorrente era legale rappresentante.

 

Diritto



1. I motivi di doglianza proposti dal ricorrente risultano infondati, pertanto il ricorso deve essere rigettato.
2. Il principio di "autoresponsabilità del lavoratore", invocato nel primo motivo di ricorso, non è richiamato a proposito.
Effettivamente la giurisprudenza di questa Corte ha, in tempi recenti, avvertito l'esigenza di segnalare come il sistema della normativa antinfortunistica si sia evoluto, passando da un modello "iperprotettivo", interamente incentrato sulla figura del datore di lavoro, quale soggetto garante investito di un obbligo di vigilanza assoluta sui lavoratori, ad un modello "collaborativo" in cui gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti (Sez. 4, n. 8883 del 10/02/2016, Rv. 266073 - 01).
Tale orientamento nasce dalla constatazione che la normativa contenuta nel T.U. 2008/81 impone anche ai lavoratori di attenersi a specifiche disposizioni cautelari e comunque di agire con diligenza, prudenza e perizia. Da ciò scaturisce una maggiore considerazione del coinvolgimento della responsabilità del lavoratore in caso d'infortunio (c.d. "principio di autoresponsabilità del lavoratore"), che induce a tenere conto, nella valutazione del rischio eccentrico e della prevedibilità dell'evento, del criterio della "dominabilità umana del fattore causale" (così in motivazione Sez. 4, n.  8883 del 10/02/2016, Rv. 266073 - 01).
La citata pronuncia ribadisce tuttavia i confini entro i quali è consentito fare ricorso al c.d. principio di autoresponsabilità, limite rappresentato dall'assenza di violazioni antifortunistiche da parte del datore di lavoro. Si precisa infatti che il datore di lavoro non risponde delle lesioni personali derivate da una condotta esorbitante del lavoratore soltanto ove si accerti che abbia effettuato una valutazione preventiva di tutti i rischi connessi allo svolgimento di una determinata attività ed abbia fornito al lavoratore i relativi dispositivi di sicurezza, adempiendo alle obbligazioni proprie della sua posizione di garanzia.

Ciò premesso, è d'uopo rilevare come il caso in esame non sia in alcun modo assimilabile a quello che ha formato oggetto di considerazione nell'ambito della pronuncia citata.
I giudici di merito, con argomentazioni puntuali ed esaustive, hanno evidenziato come il datore di lavoro sia incorso in precise violazioni della normativa antinfortunistica, mancando di prevedere nel DVR lo specifico rischio a cui era esposto il lavoratore nella fase di sollevamento e trasporto dei colli a cui era addetto.
Il rischio della caduta di colli sovrapposti, movimentati attraverso l'uso del carrello elevatore, si legge nella motivazione della sentenza impugnata, era reso evidente dal fatto che il carrello procedesse a scatti, soprattutto nelle fasi di avvio e di arresto del veicolo, determinando l'oscillazione del carico.
I rilievi difensivi sono dunque privi di fondamento: incontestata la dinamica dell'infortunio, determinato dalla caduta dall'alto di due pile sovrapposte di colli, rimane ferma la responsabilità del datore di lavoro per non avere previsto lo specifico rischio a cui era esposto il lavoratore, del tutto prevedibile sulla base delle circostanze evidenziate nelle sentenze di merito.
In argomento la giurisprudenza di questa Corte ha più volte ribadito come, in tema di prevenzione degli infortuni, il datore di lavoro sia tenuto a redigere e sottoporre ad aggiornamento il documento di valutazione dei rischi previsto dall'art. 28 del d.lgs . n. 81 del 2008, all'interno del quale devono essere indicati in modo specifico i fattori di pericolo a cui è concretamente esposto il lavoratore, in relazione alla singola lavorazione o all'ambiente di lavoro e le misure precauzionali ed i dispositivi adottati per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori con riferimento ai rischi individuati ( ex multis Sez. 4, Sentenza n. 27295 del 02/12/2016, Rv. 270355 - 01: "In tema di prevenzione degli infortuni, il datore di lavoro è tenuto a redigere e sottoporre ad aggiornamento il documento di valutazione dei rischi previsto dall'art. 28 del D.Lgs. n. 81 del 2008, all'interno del quale deve indicare in modo specifico i fattori di pericolo concretamente presenti all'interno dell'azienda, in relazione alla singola lavorazione o all'ambiente di lavoro e le misure precauzionali ed i dispositivi adottati per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori; il conferimento a terzi della delega relativa alla redazione di suddetto documento non esonera il datore di lavoro dall'obbligo di verificarne l'adeguatezza e l'efficacia, di informare i lavoratori dei rischi connessi alle lavorazioni in esecuzione e di fornire loro una formazione sufficiente ed adeguata").

3. Parimenti infondato è il secondo motivo di ricorso . E' pacifico l 'orientamento di questa Corte in base al quale l'obbligo di garanzia del datore di lavoro non venga meno a fronte di comportamenti negligenti del lavoratore allorquando l'evento sia riconducibile all'insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio derivante dal richiamato comportamento imprudente [Sez. 4, n. 7364 del 14/01/2014, Scarselli, Rv. 259321-01: «In tema di infortuni sul lavoro, non vale a escludere la responsabilità del datore di lavoro il comportamento negligente del lavoratore infortunato che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondurre comunque all'insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio derivante dal richiamato comportamento imprudente. (Fattispecie relativa alle lesioni "da caduta" riportate da un lavoratore nel corso di lavorazioni in alta quota, in relazione alla quale la Corte ha ritenuto configurabile la responsabilità del datore di lavoro che non aveva predisposto un'idonea impalcatura - "trabattello" - nonostante il lavoratore avesse concorso all 'event o, non facendo uso dei tiranti di sicurezza)»].
La condotta colposa del lavoratore fa venir meno la responsabilità del datore di lavoro soltanto ove sia espressione di un contegno abnorme, assolutamente eccezionale e del tutto avulso dalla normale prevedibilità [cfr. Sez . 4, n. 22249 del 14/03/2014, Enne e altro, Rv. 259227-01: "In tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore faccia venir meno la responsabilità del datore di lavoro, occorre un vero e proprio contegno abnorme del lavoratore medesimo, configurabile come un fatto assolutamente eccezionale e del tutto al di fuori della normale prevedibilità, quale non può considerarsi la condotta che si discosti fisiologicamente dal virtuale ideale"; Sez. 4, Sentenza n. 23292 del 28/04/2011, Milio e altri, Rv. 250710 - 01: "In tema di causalità, la colpa del lavoratore eventualmente concorrente con la violazione della normativa antinfortunistica addebitata ai soggetti tenuti ad osservarne le disposizioni non esime questi ultimi dalle proprie responsabilità, poiché l'esistenza del rapporto di causalità tra la violazione e l'evento-morte o -lesioni del lavoratore che ne sia conseguito può essere esclusa unicamente nei casi in cui sia provato che il comportamento del lavoratore fu abnorme, e che proprio questa abnormità abbia dato causa all'evento. (La Suprema Corte ha precisato che è abnorme soltanto il comportamento del lavoratore che, per la sua stranezza ed imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte dei soggetti preposti all'applicazione della misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro, e che tale non è il comportamento del lavoratore che abbia compiuto un'operazione comunque rientrante, oltre che nelle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro attribuitogli)"]. Nel caso di specie i giudici di merito, evidenziando la mancata previsione del rischio connesso alla caduta dei colli durante la movimentazione e la mancata somministrazione di adeguate informazioni al lavoratore, hanno esattamente identificato l'assenza delle cautele volte a governare anche il rischio d'imprudente esecuzione dei compiti assegnati alla persona offesa. Ne deriva che non può dirsi realizzato un comportamento abnorme del lavoratore, diversamente da quanto sostenuto nel ricorso.
4. Dalle conclusioni scritte rassegnate dalla difesa emergono ulteriori argomentazioni a sostegno della richiesta di annullamento della sentenza impugnata: ivi si legge che il lavoratore, di sua iniziativa, impiegò per il sollevamento un carrello diverso da quello solitamente in uso e che il ricorrente non aveva alcun potere d'intervento presso la sede della diversa società in cui era stato distaccato il lavoratore.
Si tratta di ragioni aventi carattere di novità rispetto alle questioni proposte con il ricorso, con cui si introducono censure inammissibili, in quanto non tempestivamente dedotte in sede di impugnazione (cfr. Sez. 6, n. 36206 del 30/09/2020, Rv. 280294 - 01: «In materia di impugnazioni, la facoltà del ricorrente di presentare motivi nuovi incontra il limite del necessario riferimento ai motivi principali, di cui primi devono rappresentare mero sviluppo o migliore esposizione, ma sempre ricollegabili ai capi e ai punti già dedotti, sicché sono ammissibili soltanto motivi aggiunti con i quali si alleghino ragioni di carattere giuridico diverse o ulteriori, ma non anche motivi con i quali si intenda allargare l'ambito del predetto "petitum", introducendo censure non tempestivamente formalizzate entro i termini per l'impugnazione »).
Ad ogni modo, per completezza argomentativa, è d'uopo rammentare come, in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, in caso di distacco di un lavoratore da un'impresa ad un'altra, permane sul datore di lavoro distaccante, oltre all'obbligo di informare e formare il lavoratore sui rischi tipici generalmente connessi allo svolgimento delle mansioni per le quali questo viene distaccato, anche quello di vigilare sulla corretta funzionalità dei presidi di cui è dotato il lavoratore (cfr. in argomento Sez. 4, n. 4480 del 17/11/2020, dep. 05/02/2021, Rv. 280392 - 01).
Quanto al rilievo riguardante l'iniziativa del lavoratore, la doglianza ha trovato compiuta risposta nella sentenza di primo grado: ivi si evidenzia il difetto di un'adeguata formazione specifica del dipendente, da cui è derivata la mancata conoscenza di modalità operative suscettibili di tenerlo indenne dai rischi collegati alla movimentazione delle merci. Con riferimento a tale ultimo profilo è opportuno richiamare la copiosa giurisprudenza di questa Corte che riconduce a responsabilità datoriale l'infortunio derivato da condotte imprudenti del lavoratore al cospetto di una carente formazione (ex multis Sez. 4, n. 8163 del 13/02/2020, Rv. 278603 - 01:"Il datore di lavoro che non adempie agli obblighi di informazione e formazione gravanti su di lui e sui suoi delegati risponde, a titolo di colpa specifica, dell'infortunio dipeso dalla negligenza del lavoratore che, nell'espletamento delle proprie mansioni, ponga in essere condotte imprudenti, trattandosi di conseguenza diretta e prevedibile della inadempienza degli obblighi formativi, né l'adempimento di tali obblighi e surrogabile dal personale bagaglio di conoscenza del lavoratore").
5. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
 


P.Q.M.
 



Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 25 maggio 2021