Cassazione Penale, Sez. 4, 21 ottobre 2021, n. 37802 - Infortunio durante la pulizia del macchinario per l'etichettatura dei formaggi. L'obbligo di sicurezza concerne non soltanto i costruttori di macchine ma anche i datori di lavoro acquirenti
- Datore di Lavoro
- Fabbricanti e Fornitori
- Macchina ed Attrezzatura di Lavoro
- Omologazione, Certificazione e Marcatura CE
Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA Relatore: PICARDI FRANCESCA
Data Udienza: 06/10/2021
Fatto
1. La Corte di appello di Bologna, in parziale riforma della sentenza di primo grado, concesse le attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti, ha rideterminato la pena sospesa in mesi 3 di reclusione e concesso il beneficio della non menzione, confermando la condanna di A.G., in qualità di committente e comodante del macchinario da cui è derivato il sinistro, e F.M., in qualità di datore di lavoro, per il reato di cui agli artt. 113 e 590 cod.pen. (per avere cagionato lesioni alla lavoratrice M.B., le cui dita ed il cui avambraccio venivano afferrati, con conseguente frattura scomposta, dal rullo del macchinario destinato all'etichettatura dei formaggi, mentre la stessa effettuava le operazioni di pulizia e inseriva la carta assorbente, con colpa consistita per il primo nella mancata inclusione dei rischi connessi al macchinario nel documento di valutazione rischi di cui all'art. 28, comma 2, d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 e nella concessione in comodato di un macchinario non conforme alla disciplina antiinfortunistica in violazione dell'art. 23, comma 1, citato d.lgs. n. 81 del 2008 ed il secondo nella omessa formazione specifica della lavoratrice in ordine all'uso ed alla pulizia del macchinario in esame e nella tolleranza della prassi rischiosa instauratasi in azienda, in data 4 settembre 2012).
2. Avverso tale sentenza hanno proposto tempestivo ricorso per cassazione, a mezzo del difensore, A.G. e F.M..
3. A.G. ha dedotto: 1) l'erronea applicazione dell'art. 26, comma 3, d.lgs. n. 81 del 2008, in quanto il documento di valutazione rischi che il committente è tenuto a redigere concerne solo i rischi interferenziali, tra cui non può essere ricompreso quello derivante dalle eventuali carenze del macchinario concesso in comodato all'appaltatore e ricompreso, quindi, nella disponibilità esclusiva e nell'organizzazione di quest'ultimo; 2) il vizio di motivazione in ordine al nesso eziologico tra una carenza meramente documentale ed il sinistro; 3) l'intervenuta prescrizione già al momento della sentenza di appello.
4. F.M. ha dedotto: 1) il travisamento della prova in ordine alla deposizione della teste DL., non essendosi tenuto conto che, in considerazione dell'intervallo temporale tra i fatti e la deposizione, il ricordo dei testi è sollecitato dalle domande ed essendosi valutati solo stralci delle sue dichiarazioni, così pervenendo ad un infondato giudizio di inattendibilità; 2) il° vizio di motivazione in ordine alla mancata contestazione, da parte della propria difesa, della difformità del macchinario alla disciplina legale (affermata a p. 12 della sentenza impugnata), che, al contrario, è stata chiaramente formulata nell'atto di appello (p. 19); 3) la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine alla disciplina applicabile alle macchine alimentari, le quali, in base ai RES del 1996 e del 2010, non possono avere parti inamovibili che ne impediscano la facile pulizia - disposizione che sul punto deroga la normativa generale, in base alla quale le parti mobili dei macchinari devono avere protezioni tali da impedire il contatto dell'operatore con esse; 4) la violazione dell'art. 4, comma 1, d.lgs. n. 17 del 2010, che stabilisce la presunzione di conformità alla disciplina ivi prevista delle macchine provviste della marcatura Ce e accompagnate dalla dichiarazione di conformità Ce, presunzione ritenuta inapplicabile in considerazione della costruzione del macchinario nella vigenza della precedente normativa; 5) la mancanza ed illogicità della motivazione della sentenza nella parte in cui afferma l'inapplicabilità del principio dell'affidamento incolpevole del datore di lavoro nel rispetto delle prescrizione anti-infortunistiche da parte del costruttore, tenuto conto della mancata verificazione di altri incidenti, della dichiarazione di conformità Ce, della specializzazione del costruttore e del committente; 6) il vizio motivazionale nella parte in cui si afferma il mancato adempimento, da parte del datore di lavoro, dell'obbligo di formazione della dipendente, che, al contrario, risulta aver ricevuto la stessa formazione "sul campo" impartita agli altri lavoratori, oltre al manuale informativo, a prescindere dall'irrilevanza causale di tale asserita violazione; 7) la lacunosità e contraddittorietà della motivazione della sentenza nella parte in cui si afferma che il datore di lavoro non abbia assolto al suo compito di impedire la formazione di prassi rischiose, senza tenere conto della completa ignoranza, da parte di F.M., delle modalità, usualmente adottate, per la pulizia della macchina in esame, come emerso dall'istruttoria.
5. La Procura Generale ha concluso per l'inammissibilità di entrambi i ricorsi.
Diritto
1.I ricorsi sono inammissibili.
2. Il ricorso di A.G. è aspecifico, confrontandosi solo con una parte delle argomentazioni della sentenza impugnata, ma ignorando del tutto il passaggio decisivo, in cui, a p. 15, si legge che l'art. 23, comma 1, d.lgs. n. 81 del 2008 stabilisce il divieto di concessione di attrezzature di lavoro non rispondenti alle disposizioni legislative e regolamentari vigenti in materia di salute e sicurezza e, conseguentemente, si perviene all'affermazione della responsabilità del ricorrente per avere contribuito a cagionare le lesioni della lavoratrice concedendo in comodato alla appaltatrice datrice di lavoro proprio il macchinario non conforme alla normativa anti-infortunistica, in quanto dotato di parti mobili non segregate, implicanti il rischio - verificatosi nel sinistro in esame - di trascinamento e schiacciamento di parti del corpo dei dipendenti.
Invero le due censure formulate concernono l'erronea applicazione dell'art. 26, comma 3, d.lgs. n. 81 del 2008 e l'assenza del nesso di causalità tra l'incompletezza del documento di valutazione rischi in esame e l'infortunio, ma non aggrediscono quella parte della motivazione della sentenza impugnata relativa alla ulteriore condotta contestata al ricorrente, di per sé decisiva. Va, pertanto, ribadito che è inammissibile, per difetto di specificità, il ricorso per cassazione che si limiti alla critica di una sola delle diverse rationes decidendi poste a fondamento della decisione, ove queste siano autonome ed autosufficienti (Sez. 3, n. 2754 del 06/12/2017, dep. 2018, Bimonte, Rv. 272448).
In ordine alla prescrizione, eccepita con l'ultima doglianza, deve sottolinearsi che la sentenza di appello è intervenuta in data 26 novembre 2019, con deposito della motivazione in data 24 febbraio 2020, sicché sicuramente in data anteriore alla prescrizione maturata il 4 marzo 2020, visto che il reato risale al 4 settembre 2012 e che non risultano periodi di sospensione anteriori al termine del giudizio di secondo grado. Da tale premessa deriva che, come già chiarito dalle Sezioni Unite, l'inammissibilità del ricorso per cassazione-- anche laddove dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi - non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 cod. proc. pen., quali la prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso (Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, D.L., Rv. 217266).
3. Parimenti è inammissibile il ricorso di F.M..
Difatti, in tema di ricorso per cassazione, sono inammissibili i motivi che si limitano a riprodurre le censure dedotte in appello, anche se con l'aggiunta di frasi incidentali di censura alla sentenza impugnata meramente assertive ed apodittiche, laddove difettino di una critica argomentata avverso il provvedimento attaccato e l'indicazione delle ragioni della loro decisività rispetto al percorso logico seguito dal giudice di merito (Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo, Rv. 254584).
Più precisamente sono meramente ripetitivi delle doglianze d'appello, respinte dal giudice di secondo grado, con argomentazioni esaustive, coerenti e non manifestamente illogiche, i motivi dal terzo all'ultimo. Rispetto agli stessi il giudice di appello ha correttamente osservato:
in ordine alla terza censura, avente ad oggetto l'inapplicabilità al macchinario in esame, in quanto alimentare, dei RES del 1996 e del 2010, che la necessità di pulire facilmente ogni parte di un macchinario alimentare, pure prescritta dalla disciplina vigente, non è incompatibile e non esclude, pertanto, che le loro parti mobili debbano essere opportunamente segregate per evitare pericoli per i lavoratori ("la parte in movimento di un macchinario, di qualsiasi tipo ed a qualsiasi funzione destinato, deve essere dotata di carter di protezione per evitare contatti pericolosi con la persona del lavoratore quando la macchina è in movimento; il carter di protezione, nelle macchine alimentari, dovrà essere facilmente amovibile per consentire la pulizia");
in ordine alla quarta censura, avente ad oggetto la presunzione di conformità di cui all'art. 1, d.lgs. n. 17 del 2010, che si tratta di una presunzione che non esonera il datore di lavoro da responsabilità laddove il macchinario presenti, comunque, pericoli riconoscibili con l'ordinaria diligenza e che, nel caso di specie, la stessa dichiarazione di conformità Ce faceva salvi i rischi residui con riferimento al d.p.r. 459 del 1996;
in ordine alla quinta censura, avente ad oggetto il proprio affidamento incolpevole nel rispetto delle prescrizione anti-infortunistiche da parte del costruttore, tenuto conto della mancata verificazione di altri incidenti, della dichiarazione di conformità Ce, della specializzazione del costruttore e del committente, che il datore di lavoro deve eliminare le fonti di pericolo per i propri dipendenti, come già chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui l'obbligo di provvedere ai dispositivi antinfortunistici concerne non soltanto i costruttori di macchine, ma altresì gli acquirenti che le mettono a disposizione dei loro dipendenti (così, tra le tante, Sez. 4, n. 2630 del 23/11/2006, dep. 2007, Mogliani, Rv. 236121, che ha precisato che anche questi sono tenuti a verificare che le macchine siano prive di rischio per l'incolumità dei lavoratori e la colpa degli uni non elimina quella degli altri. Ciò in quanto è onere dell'imprenditore adottare nell'impresa tutti i più moderni strumenti che offre la tecnologia per garantire la sicurezza dei lavoratori; v. pure Sez. 4, n. 14413 del 24/01/2012,Cova, Rv. 253300 che ha precisato che la colpa del noleggiatore, per la difformità ai requisiti prescritti del macchinario noleggiato, non esclude quella eventualmente concorrente del datore di lavoro che di tale macchinario abbia fatto uso);
in ordine alla sesta censura, avente ad oggetto l'obbligo di formazione della dipendente, che il manuale d'uso ricevuto dalla dipendente era del tutto generico, privo di ogni indicazione relativa al macchinario in esame, sicché la formazione impartita non ha coperto i rischi specifici connessi alle concrete prestazioni svolte; in ordine alla settima censura, avente ad oggetto la propria incolpevole ignoranza della prassi pericolosa formatasi, che è mancato il controllo doveroso sull'attività del preposto, omissione sufficiente ai fini della responsabilità del datore di lavoro, conformemente alla giurisprudenza consolidata di legittimità, secondo cui, in tema di prevenzione di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro deve vigilare per impedire l'instaurazione di prassi contra legem foriere di pericoli per i lavoratori, con la conseguenza che, ove si verifichi un incidente in conseguenza di una tale prassi instauratasi con il consenso del preposto, l'ignoranza del datore di lavoro non vale ad escluderne la colpa, integrando essa stessa la colpa per l'omessa vigilanza sul comportamento del preposto (Sez. 4, n. 20092 del 19/01/2021, Zanetti, Rv. 281174).
Per quanto concerne la prima censura, con cui si è asserito il travisamento della prova in ordine alla deposizione della teste DL., è sufficiente ricordare che il vizio di travisamento della prova può essere dedotto con il ricorso per cassazione, nel caso di cosiddetta "doppia conforme", soltanto nell'ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, oppure quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (Sez. 4, n. 35963 del 03/12/2020, Tassoni, Rv. 280155). Ne deriva che non ricorrendo tali situazioni, il motivo è inammissibile. A ciò si aggiunga che, comunque, il ricorrente si limita a contestare la ricostruzione dei fatti e la valutazione di attendibilità operata dai giudici di merito e non deduce un vero e proprio travisamento della prova.
Infine, la seconda doglianza, avente ad oggetto la inesatta interpretazione della posizione assunta in sede di appello in ordine alla conformazione del macchinario, è manifestamente infondata, atteso che, da un lato, la Corte territoriale ha semplicemente inteso chiarire che l'imputato contestava l'applicabilità di una disciplina al macchinario e non il dato ontologico della conformazione del macchinario e che, dall'altro lato, si tratterebbe di circostanza irrilevante ed inidonea ad incidere sul contenuto della decisione.
4. In conclusione, i ricorsi sono inammissibili ed i ricorrenti vanno condannati al pagamento delle spese processuali e, non sussistendo ragioni di esonero, al versamento della sanzione pecuniaria, che si reputa equo liquidare in euro tremila, in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 6 ottobre 2021.