Cassazione Penale, Sez. 4, 27 ottobre 2021, n. 38408 - Abbattimento al suolo del cestello dell'elevatore cingolato. Lavoro di saldatura dei perni macroscopicamente difforme dalle basilari norme tecniche. Prescrizione


 

Presidente: SERRAO EUGENIA
Relatore: RANALDI ALESSANDRO
Data Udienza: 15/09/2021
 

FattoDiritto



1. Con sentenza del 24.2.2020, la Corte di appello di Roma ha confermato la responsabilità colposa di M.G. in relazione al decesso di R.R., avvenuto a seguito dell'abbattimento al suolo del cestello dell'elevatore cingolato sul quale la vittima - titolare della omonima ditta - stava espletando la potatura di un pino, regolarmente commissionatagli.
La decisione di condanna si fonda sulle risultanze della consulenza tecnica del PM e su quelle della perizia disposta in fase di giudizio abbreviato condizionato, sulla base delle quali veniva individuata la differenza del perno della piattaforma incidentata rispetto all'originale fornito dall'impresa produttrice P., costituita dalla mancanza della testa. In particolare, la causa del cedimento dei perni che sorreggevano i bracci della piattaforma mobile è stata individuata nell'inadeguato lavoro di saldatura dei perni nella sede propria operato dal personale della ditta L.S. - incaricata della manutenzione - della quale l'imputato è responsabile e legale rappresentante. Secondo il perito, le cui conclusioni sono state condivise dai giudici di merito, il lavoro di saldatura dei perni era stato macroscopicamente difforme dalle basilari norme tecniche previste in materia di saldatura e finanche dalle regole comuni di diligenza e perizia che avrebbero dovuto essere seguite per evitare che la testa del perno, per effetto della saldatura, venisse completamente eliminata, sì da annullare la funzione di serraggio dei bracci stabilizzatori che il perno doveva svolgere.
Al M.G., pertanto, è stato addebitato, quale titolare della ditta incaricata della manutenzione della piattaforma mobile, l'omicidio colposo del R.R., in conseguenza della cattiva e imperita saldatura dei perni, causa del cedimento strutturale dei bracci del "ragno", da cui era dipesa la caduta a terra del lavoratore e la morte del medesimo per i gravi traumi (cranico e toracico) riportati (fatto del 24.1.2007).

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore del M.G., lamentando quanto segue.
I) Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al nesso causale e mancata assunzione di una prova decisiva.
Si ritiene contraddittoria la motivazione della sentenza impugnata laddove, da una parte, si afferma la sussistenza del nesso causale, fra la condotta dell'imputato e l'evento morte, sulla base dell'operato negligente, imperito e contrastante con le basilari norma tecniche in materia di saldatura; dall'altra, si attribuisce al comportamento negligente della vittima (per non aver indossato il casco e per non aver utilizzato una cintura di sicurezza) un ruolo importante nel determinismo della morte, in quanto ritenuto concausa del decesso del lavoratore. La rinnovazione della perizia in sede di appello avrebbe potuto stabilire che la fuoriuscita del corpo del R.R. dal cestello sarebbe con certezza potuta essere evitata se solo lo stesso avesse usato la macchina elevatrice nei limiti ad essa consentiti e solo se avesse indossato il casco e si fosse allacciato con la cintura di sicurezza al cestello della macchina usata per la potatura. Occorre valutare l'incidenza del comportamento negligente del lavoratore vittima del sinistro.
Il) Violazione di legge in ordine all'art. 157 cod. pen.
Si deduce che il termine prescrizionale del reato sarebbe già scaduto, trattandosi di fatto risalente al 2007, avvenuto in vigenza dell'art. 2 della legge n. 102/2006, per il quale la pena massima del reato era di cinque anni di reclusione.

3. All'udienza odierna, procedendosi a trattazione orale secondo la disciplina ordinaria, in virtù del disposto dell'art. 7, comma 2, decreto-legge 23 luglio 2021, n. 105, entrato in vigore in pari data, è comparso il solo Procuratore generale che ha assunto le conclusioni nei termini riportati in epigrafe.

4. È fondato e assorbente il motivo dedotto sulla intervenuta prescrizione del reato per cui si procede (risalente al 24.1.2007).
È infatti pacificamente spirato il relativo termine massimo di prescrizione, pari ad anni sette e mesi sei, trattandosi di omicidio colposo per il quale non ricorre, né risulta contestata, l'aggravante della violazione delle norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro, di cui al secondo comma dell'art. 589 cod. pen.
Pertanto, sussistono presupposti, discendenti dalla intervenuta instaurazione di un valido rapporto processuale di impugnazione, per rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 cod. proc. pen. maturate, come nel caso di specie, in data antecedente rispetto alla sentenza impugnata.
Si osserva, infine, che non ricorrono le condizioni per una pronuncia assolutoria di merito, ex art. 129, comma 2, cod. proc. pen., non potendosi constatare con evidenza dagli atti l'insussistenza del fatto-reato.

5. L'assenza nel processo di eventuali parti civili costituite, comporta che non trova applicazione nel caso il disposto dell'art. 578 cod. proc. pen., che impone al giudice penale, qualora il reato sia estinto per prescrizione, di valutare, sia pure ai soli effetti civili, l'esistenza di tutti gli elementi della fattispecie penale al fine di confermare o meno il fondamento della condanna alle restituzioni ed al risarcimento del danno.

6. Si impone, pertanto, l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, per essere il reato estinto per prescrizione.

 

P.Q.M.
 



Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione.
Così deciso il 15 settembre 2021