Cassazione Penale, Sez. 4, 18 novembre 2021, n. 42127 - Caduta mortale durante le opere di smontaggio di una tettoia metallica


 

 

Presidente: PICCIALLI PATRIZIA
Relatore: FERRANTI DONATELLA
Data Udienza: 03/11/2021
 

Fatto



1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Napoli ha confermato la pronuncia del Tribunale di Avellino del 20 giugno 2016 che ha condannato I.V. alla pena di un anno di reclusione in relazione al reato di cui all'art. 589 cod.pen., aggravato dalla violazione della normativa in materia di sicurezza sul lavoro (art. 122 Dlgs 81/2008), in relazione alla morte del dipendente T.D., caduto al suolo durante le opere di smontaggio di una tettoia metallica, recante un altezza superiore a 4 metri e aveva dichiarato non doversi procedere nei confronti di R.G., amministratrice della I.I. s.r.l. per morte del reo.
Ha confermato inoltre le condanne dell'imputato e dei responsabili civili, legali rappresentanti delle società Agrisole s.r.l, 1.5. e Omega s.r.l. al risarcimento dei danni nei confronti delle parti civili costituite oltre che al pagamento di una provvisionale immediatamente esecutiva.
1.1 Sulla base della ricostruzione operata in sede di merito, alla luce delle dichiarazioni rese dai testimoni e dei rilievi operati dai Carabinieri della Stazione di Serino, e degli accertamenti tecnici operati dal Consulente della Pubblico Ministero, già funzionario della ASL, il fatto può essere sintetizzato come segue: la mattina 1.09.2009 verso le ore 7,00 T.D., dipendente della I.I. s.r.l., con la qualifica di operaio, di cui era amministratrice R.G., stava procedendo ad un'altezza di oltre 4 metri dal suolo allo smontaggio della copertura in lamiera di una pensilina ubicata presso un capannone dove operavano la società Irpinia e la Ditta Vea snc di Elio I.V. e.fili, della quale era socio I.V.; in particolare stava svitando dei bulloni mediante una chiave inglese, quanto verosimilmente a causa di una manovra errata cadeva a terra insieme alla lamiera su cui era appoggiato, riportando lesioni gravissime che lo conducevano a morte. E' risultato accertato che le direttive dello smontaggio erano state date la mattina dell'incidente dal figlio di I.V., I.V. Sabato, il quale però aveva meramente riportato le indicazioni del padre che si trovava all'estro in Giappone; il T.D. era salito sulla tettoia utilizzando un carrello elevatore presente all'interno dello stabilimento guidato dall'operaio A.; il lavoratore non utilizzava alcun presidio di sicurezza né risultavano predisposte impalcature o ponteggi o comunque precauzioni idonee a eliminare il rischio di caduta dall'alto.
1.2 La Corte territoriale così come il primo Giudice hanno individuato in I.V. il titolare della posizione di garanzia, in quanto datore di lavoro di fatto e autor; di condotte colpose generiche e specifiche, causative dell'evento lesivo, per non avere adempiuto all'onere di informazione e formazione sui rischi specifici dell'ambiente di lavoro e per non aver messo a disposizione idonei strumenti di lavoro in attuazione delle misure di prevenzione dai rischi dell'attività in quota.
Sul punto della qualifica di datore di fatto risulta dalla lettura delle sentenze di merito quanto segue:
T.D. era dipendente della società I.I. s.r.l, di cui era formale amministratrice R.G., madre dell'imputato, ma di fatto la gestione economica e dell'attività sociale sia dell'Irpinia che della Vea, società che operavano in regime di sostanziale promiscuità servendosi delle stesse strutture e degli stessi dipendenti, faceva capo a I.V. ( fol 6 sentenza di primo grado e foglio 12,13,14 sentenza impugnata).
2. I.V., nel ricorso presentato a mezzo del difensore di fiducia, lamenta quanto segue.
I) Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta qualifica di datore di lavoro di fatto che i Giudici di merito hanno tratto dalla deposizione di A.. In realtà tale qualifica può essere attribuita solo ove i poteri propri dell'organo di gestione fossero stati esercitati in maniera continuativa e non episodica e occasionale come nel caso di specie.
II) vizio di motivazione e travisamento delle risultanze probatorie in particolare della testimonianza di A. che, a fronte delle contestazioni, ha precisato che il " padre stava in Giappone e colui che ci dirigeva era Igino Sabato...) e di quella resa dal teste M. che non ha mai dichiarato di aver lavorato per I.V. ma per la ditta I.V. Sabato e che non ha mai detto di aver chiamato il fratello del titolare ma di aver chiamato il fratello.

2.1. I.G., legale rappresentate della Agrisole s.r.l., a mezzo del difensore di fiducia, ha presentato ricorso quale responsabile civile deducendo i seguenti motivi:
I) Violazione di legge e vizio di motivazione in punto di legittimazione passiva della società. Si assume che la responsabilità penale di I.V., quale gestore di fatto della I.I. s.r.l, non consente di estendere le conseguenze civilistiche in capo alle società sorte a seguito della scissione della I.I. s.r.l. Si deduce che la morte durante il processo di primo grado dell'amministratrice della società I.I. s.r.l. comporta la cessazione del rapporto civilistico anche nei confronti del responsabile civile. Le parti civili avrebbero dovuto chiamare in causa gli eredi della imputata deceduta, riassumendo il giudizio nei loro confronti.

2.2. La società Omega s.r.l., amministrata da I.GI., e la società I.S. s.r.l., amministrata da M.C., responsabili civili, a mezzo dei difensori di fiducia hanno presentato ricorso deducendo i seguenti motivi:
I)Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all'affermata responsabilità penale di I.V. in relazione alla attendibilità dei testi escussi e al contenuto dei rilievi fotografici che mostrano tracce della presenza di elmetti di protezione, imbracature e guanti;
II) vizio di motivazione e violazione di legge con riferimento alla responsabilità solidale delle società Agrisole s.r.l. 1.5. s.r.l. e Omega s.r.l. estranee ai fatti. Assume la contraddittorietà dei riscontrati profili colposi in relazione alla omessa valutazione delle seguenti circostanze: la società I.I. s.r.l., che si è poi scissa nelle tre società, aveva quale oggetto sociale l'attività agricola e T.D. era un bracciante agricolo, pertanto non vi erano obblighi di garanzia o di protezione da infortuni sul lavoro derivanti dall'espletamento di attività effettuate fuori degli obblighi contrattuali; tra l'altro le operazioni di smontaggio erano effettuate in relazione ad immobili che non appartenevano alla società I.I. e non erano riconducibili alla sua attività. La società I.I. aveva quale oggetto sociale la lavorazione della produzione di castagne nocciole e ciliegie e funghi e operava in zona agricola Cerreto; il T.D. era bracciante agricolo. I.V. era socio di capitali e non rivestiva alcun ruolo gestionale in quanto l'amministratrice era R.G.. Il giorno dell'infortunio T.D. e A. si sono recati arbitrariamente e di loro iniziativa al capannone nel quale operava la Vea snc per lo smontaggio delle strutture. Va pertanto dichiarato il difetto di legittimazione passiva delle società chiamate in causa quali responsabili civili, in quanto l'affermazione contenuta nella sentenza impugnata secondo la quale il capannone era funzionale alle attività di entrambe le società Irpinia e Vea è del tutto apodittica in quanto l'oggetto dell'attività sociale era agricolo e doveva svolgersi sui fondi, nei boschi e nelle selve.
II) Vizio di motivazione e violazione di legge in quanto stante la netta distinzione dal punto di vista gestionale e giuridico tra la I.I. s.r.l. e la Vea snc nessun obbligo può sussistere a carico del responsabile civile in quanto il T.D. di sua iniziativa non si è recato in montagna a compiere l'attività agricola per cui era stato assunto e aveva svolto il lavoro presso il capannone da smontare ponendo in esse un comportamento abnorme che aveva interrotto il nesso causale.

3.11 Procuratore generale ha presentato requisitoria scritta con cui ha chiesto dichiararsi la inammissibilità dei ricorsi:

3.1. La difesa delle parti civili ha presentato memoria scritta conclusionale in cui ha chiesto dichiararsi la inammissibilità dei ricorsi.

 

Diritto


1.I Ricorsi sono infondati.
1.1.I motivi del ricorso di I.V., il primo e il terzo motivo del ricorso della società Omega s.r.l., amministrata da I.GI., e della I.S. s.r.l., amministrata da M.C., responsabili civili, possono essere trattati congiuntamente in quanto attengono al profilo della responsabilità penale di I.V..
1.2. Va premesso, per quanto attiene a tali doglianze, avanzate già nei motivi di appello, che la sentenza impugnata affronta motivatamente tutti i punti attinti dai ricorsi con motivazione esauriente, congrua e logica, mentre le censure attingono al fatto. I ricorrenti, ciascuno per la sua parte e secondo prospettazioni che hanno angolature diverse, criticano però in definitiva la vicenda per come ricostruita dai giudici, ritenendola frutto di una erronea interpretazione delle prove, cercando di offrire una rilettura dei fatti secondo considerazioni che appaiono riconducibili non tanto ad una consentita censura di travisamento della prova, quanto ad un presunto travisamento dei fatti, vizio pacificamente non sindacabile in sede di legittimità, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 27321701; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 26548201; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012 Minervini, Rv. 25309901).

1.3. Inoltre, nel caso che occupa, ci si trova di fronte ad una c.d. "doppia conforme" di condanna, per cui le motivazioni della pronuncia di primo grado e di quella di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione. Ciò tanto più ove, come nel caso di specie, i giudici dell'appello abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo grado e con frequenti riferimenti alle -determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione, di guisa che le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscano una sola entità (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv.25759501; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011 dep. 2012, Valerio, Rv.25261501; Sez. 2, n. 5606 del 10/01/2007, Conversa e altro, Rv. 23618101).
Va ribadito che la interruzione del nesso di condizionamento, a causa del comportamento imprudente dei lavoratori, secondo i principi giuridici enucleati dalla dottrina e dalla giurisprudenza (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri, Rv.261106, in motivazione; Sez. 4, n. 33329 del 05/05/2015, Rv.264365; Sez. 4, n. 49821 del 23/11/2012, Rv. 25409), deriva dalla condotta del lavoratore che si collochi in qualche guisa al di fuori dell'area di rischio definita dalla lavorazione in corso. Tale comportamento è «interruttivo» non perché «eccezionale» ma perché eccentrico rispetto al rischio lavorativo che il garante è chiamato a governare (Sez.4 n.15124 del 13.12.2016,Rv.269603).
In tema di rapporto di causalità, ai sensi dell'art.41, terzo comma, cod.pen., il nesso di causalità non resta escluso inoltre dal fatto altrui, cioè quando l'evento è dovuto anche all'imprudenza di un terzo o dello stesso offeso, poiché il fatto umano, involontario o volontario, realizza anch'esso un fattore causale, al pari degli altri fattori accidentali o naturali (Sez. 4, n. 31679 del 08/06/2010, Rv. 248113), a meno che tale comportamento non sia qualificabile come concausa qualificata, capace di assumere di per sé rilievo dirimente nella spiegazione del processo causale e nella determinazione dell'evento.
1.4. La Corte territoriale correttamente (fol 12) ha escluso che possa discutersi di responsabilità (o anche solo di corresponsabilità) del lavoratore per l'infortunio quando, come nel caso di specie, il sistema della sicurezza approntato presenti gravi criticità (Sez.4, n.22044 del 2.05.2012,n.m; Sez.4, n.16888, del 7/02/2012, Rv.252373). Le disposizioni antinfortunistiche perseguono, infatti, il fine di tutelare il lavoratore anche dagli infortuni derivanti da sua colpa, onde l'area di rischio da gestire include il rispetto della normativa prevenzionale che si impone ai lavoratori, dovendo il datore di lavoro dominare ed evitare l'instaurarsi, da parte degli stessi destinatari delle direttive di sicurezza, di prassi di lavoro non corrette e per tale ragione foriere di pericoli (Sez.4, n.4114 del 13/01/2011, n.m.; Sez.F, n. 32357 del 12/08/2010, Rv. 2479962).
La Corte d'Appello ha sottolineato come fosse del tutto prevedibile il verificarsi dell'infortunio ( fol 8) in assenza di qualsivoglia presidio di sicurezza e stante la messa a disposizione, da parte di chi era titolare di una posizione di garanzia, di un' attrezzatura del tutto inadeguata per lo smontaggio in sicurezza e nel rispetto della normativa infortunistica della copertura in lamiera di una pensilina posta ad un'altezza superiore a 4 metri.
Afferma la Corte territoriale che non vi è dubbio che il T.D. sia deceduto nell'ambito dell'attività lavorativa che stava svolgendo e a causa della stessa, stante l'assoluta mancanza di rispetto delle regole stabilite dalle legge ai fini di prevenzione degli infortuni sul lavoro ( fai 9).

1.5. Invero con riguardo alla posizione di datore di fatto dell'imputato la decisione non presenta alcuno dei vizi dedotti.
La Corte territoriale a fai 10 e ss ha chiaramente ricostruito la sussistenza di un rapporto di lavoro di fatto tra I.V. e il T.D., sia pure dipendente formalmente come bracciante agricolo, della I.I. s.r.l., di cui figurava amministratrice la madre dell'imputato R.G..
E' stato accertato in punto di fatto che la struttura metallica dove si è verificato l'infortunio e il suolo su cui sorgeva era formalmente di proprietà di R.G., all'epoca 86 enne, la quale non ha mai svolto il ruolo di amministratrice della società Irpinia né è stata mai vista all'interno della struttura ove è accaduto il sinistro. E' stato accertato inoltre che i dipendenti facevano riferimento di fatto all'imputato che si occupava della gestione delle due società, Vea ed I.I., collegate da un'unica matrice familiare e che utilizzavano promiscuamente le medesime strutture, gli stessi terreni e gli stessi dipendenti ( fai 13). Tanto che l'ordine di smontare la struttura metallica della pensilina venne dato da I.V., prima di partire per il Giappone, come ribadito dal teste A., collega della vittima e presente il giorno dell'incidente sul luogo di lavoro, in quanto l'immobile doveva essere venduto; risulta infatti che il figlio L.I.. si limitò a ribadire le incombenze lavorative da svolgere, sempre secondo le direttive del padre.
La vigente tutela penale dell'integrità psicofisica dei lavoratori risente, infatti, della scelta di fondo del legislatore di attribuire rilievo dirimente al concetto di prevenzione dei rischi connessi all'attività lavorativa e di ritenere che la prevenzione si debba basare sulla programmazione globale del sistema di sicurezza aziendale, nonché su un modello collaborativo e informativo di gestione del rischio da attività lavorativa, dovendosi così ricomprendere nell'ambito delle omissioni penalmente rilevanti tutti quei comportamenti dai quali sia derivata una carente programmazione dei rischi.
Giova inoltre richiamare che questa Suprema Corte ha dà tempo chiarito che, se sono più i titolari della posizione di garanzia, come nel caso di specie, l'imputato datore di lavoro di fatto della persona offesa e la titolare della ditta presso la cui si effettuavano le operazioni di smontaggio, ciascun garante risulta per intero, destinatario dell'obbligo di impedire l'evento fino a che non si esaurisca il rapporto che ha originato la singola posizione di garanzia (Sez.4 n. 46849 del 3.11.2011 rv 252149; Sez. 4 n.8593 del 22.01.2008 rv.238936).
La Corte territoriale, in conclusione, ha fatto corretta e coerente applicazione dei principi giuridici sopra esposti, avendo considerato nella individuazione del determinismo causale le condotte omissive delle doverose misure di prevenzione facenti capo all'imputato titolare delle posizioni di garanzia ai sensi dell'art. 299, d.lgs. 81/2008.
I Giudici di merito hanno inoltre evidenziato che nonostante l'inquadramento formale della vittima e di altri suoi colleghi di lavoro come dipendenti, braccianti agricoli con contratto a tempo determinato, il T.D. aveva di fatto lavorato per moltissimi anni alle dipendenze dell'imputato e dei suoi familiari, non solo per i lavori di raccolta castagne e pulizia del terreno ma per tutto quello che "c'era da fare". La Corte sottolinea che lo stesso A., collega della vittima, risultava inquadrato come bracciante a tempo determinato, nonostante avesse lavorato per oltre 40 anni per la società I.I. e anche lui al momento dell'incidente era impegnato in un'attività diversa da quella prevista in contratto. Dagli elementi istruttori raccolti la Corte distrettuale ha tratto plausibili considerazioni sia in ordine alla sussistenza di profili colposi a carico dell'imputato, sia in ordine alla configurabilità del nesso causale fra le omissioni addebitate e l'evento, avuto riguardo alla concreta verificazione del rischio che la normativa cautelare violata intende neutralizzare, secondo una ponderata valutazione di merito, priva di errori di diritto, come tale insindacabile in cassazione.
1.6. La tesi sostenuta dalla difesa secondo cui il lavoratore deceduto aveva di sua iniziativa svolto un attività fuori delle mansioni non prevista né prevedibile non solo è smentita dalle risultanze processuali, ampiamente sopra descritte, ma rientrava comunque nell'attività funzionale alla gestione dello stabilimento di cui si servivano entrambe le società ( fol 13) ed era stato oggetto di una specifica direttiva dal parte del datore di fatto, senza la predisposizione di alcun strumento a protezione antinfortunistica nonostante il concreto rischio di caduta dall'alto.

2. Il secondo motivo di ricorso proposto dalle società Omega s.r.l., amministrata da I.GI. e I.S. s.r.l., amministrata da M.C., responsabili civili, e l'unico motivo del ricorso di I.G., legale rappresentate della Agrisole s.r.l., con si chiede di accertare l'assenza di legittimazione passiva, in quanto le tre società in questione non hanno avuto mai alcun rapporto con I.V., sono infondati al limite dell'inammissibilità in quanto reiterano doglianze già puntualmente esaminate dalla Corte territoriale ( fol 15), senza confrontarsi con le argomentazioni giuridiche contenute nel provvedimento impugnato.
2.1.Come chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte ( ex multis Sez. 4 n.38704 del 27.05.2011 rv 251098) la legittimazione passiva del responsabile civile .in tanto sussiste in quanto nel processo penale sia imputato un soggetto del cui operato lo stesso debba rispondere in base alla legge secondo quanto previsto dall'art. 185 cod.pen..
Nel caso di specie la Corte territoriale ha correttamente individuato responsabili civili nella I.I. s.r.l., di cui era dipendente la persona offesa e di cui I.V. era amministratore di fatto e conseguentemente nelle tre società sorte a seguito della scissione operata in epoca successiva all'infortunio, dall'amministratrice legale della società I.I., R.G., con il conseguente trasferimento del patrimonio.
Va ribadito il principio, recentemente affermato da questa (Corte Sez. 5 - , n. 3233 del 10/02/2021, Rv. 660646 - 01), ed applicato correttamente dalla Corte territoriale, che in caso di scissione di società la responsabilità per i debiti derivanti dalle obbligazioni civili (a differenza di quelli fiscali riguardanti gli anni di imposta ad essa antecedenti) ha il proprio riferimento normativo negli artt. 2506-bis, comma 2, e 2506-quater, comma 3, e.e., ed è quindi riferita alle quote di patrimonio assegnato con l'operazione straordinaria di scissione.
La Corte territoriale ha infatti accertato ( fol 16) che, nel caso di specie, la scissione è stata operata il 30.12.2010, formalizzata il 9.03.2011 per atto notaio, e che era stata espressamente inserita la clausola che dei debiti e del passivo la cui destinazione non fosse desumibile dal progetto avrebbero risposto comunque in solido le tre società derivanti dalla scissione.

3. Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili liquidate come in dispositivo.
 

P.Q.M.

 


Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili Omissis che liquida in euro quattromila oltre accessori come per legge.
Così deciso il 3.11.2021