Cassazione Penale, Sez. 4, 24 novembre 2021, n. 43083 - Caduta dall'alto e valutazione dei rischi


Presidente: DI SALVO EMANUELE
Relatore: BELLINI UGO Data Udienza: 30/09/2021
 

 

Fatto



l. La Corte d'Appello di Milano con sentenza emessa in data 30/09/2020, in parziale riforma della pronuncia del Tribunale di Monza dell'11/06/2018, revocava le statuizioni civili in favore delle parti civili e confermava la condanna alla pena di mesi 2 di reclusione di O.M., O.CA. e O.F. per il reato di cui agli artt. 113 e 590, commi 2 e 3 c.p. per avere, in cooperazione tra loro, cagionato a M.M. una lesione con una prognosi superiore ai 40 giorni mediante condotta omissiva colposa aggravata dalla violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, pena sospesa subordinata al pagamento della provvisionale.
In particolare a O.M. e O.CA., in qualità di soci accomandatari e amministratori della società F.O.M. dei Fratelli O. s.a.s., veniva contestata la violazione degli artt. 17, comma 1, 28 e 29, comma 1, d.lgs. 81/08 per non aver redatto il documento di valutazione dei rischi anche con riferimento al rischio di caduta dall'alto e la violazione dell'art. 146, comma 1, d.lgs. citato per non avere adeguatamente coperto un'apertura nel pavimento del sottotetto al fine di eliminare il rischio di caduta, omettendo altresì di segnalare tale apertura con un parapetto, apertura dalla quale precipitava la persona offesa; a O.F., quale effettivo preposto alla attività di lavoro, veniva contestata la violazione dell'art. 90, comma 9, lett. a) d.lgs. citato perché dopo aver chiamato lui stesso il M.M. per effettuare un sopralluogo presso il sottotetto dello stabile di sua proprietà, in locazione alla società F.O.M. dei Fratelli O. s.a.s., non accertava in alcun modo i requisiti tecnico professionali della persona offesa prima di affidargli lo svolgimento della mansione.
2. La Corte territoriale, in via preliminare, giudicava fondata la questione sollevata dagli imputati relativa alla legittimazione delle parti civili e, in ossequio alla giurisprudenza di legittimità, rilevata l'estinzione del rapporto processuale civile nel processo penale a seguito del trasferimento dell'azione civile dinanzi al giudice del lavoro, revocava le statuizioni civili. Rigettava, nel merito, gli altri motivi di appello non condividendo la tesi difensiva secondo cui nessuna responsabilità penale poteva essere ascritta agli imputati non potendosi ravvisare un rapporto di lavoro tra gli stessi e il M.M. né potendo considerare il luogo dell'incidente quale "ambiente di lavoro" dovendosi, piuttosto, ritenere che il M.M. si fosse recato sul luogo spontaneamente e, in ragione del rapporto amicale che lo legava a O.F., avesse deciso di salire sul solaio dell'immobile per verificare l'origine dell'infiltrazione.
3. Avverso la suddetta sentenza propongono ricorso per Cassazione tutti gli imputati. L'imputato O.F., tramite difensore di fiducia, deduce quattro motivi di ricorso. Con il primo denuncia la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b) c.p.p. con riferimento all'art. 133, comma 1, n. 3, c.p. perché la Corte, pur riconoscendo la natura incauta della condotta tenuta dalla persona offesa, non ha fornito adeguata motivazione in ordine alla graduazione delle colpe concorrenti ai fini della graduazione della pena inflitta Con il secondo motivo deduce contraddittorietà e illogicità della motivazione in relazione alla errata ricostruzione del fatto che, correttamente ricostruito, avrebbe comportato l'assoluzione ex art. 530, comma 2, c.p.p. non sussistendo gli estremi di una effettiva prestazione lavorativa.
Gli imputati O.M. e O.CA., tramite difensore di fiducia, deducono tre motivi di ricorso. Con il primo motivo, analogamente a quanto dedotto dal coimputato O.F., denunciano violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b) ed e) in relazione all'art. 133, comma 1, n. 3, c.p. perché i giudici non avrebbero congruamente motivato il concorso di colpa, pur riconosciuto, ai fini della determinazione della giusta pena da irrogare. Con il secondo motivo deducono violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b) ed e) c.p.p. con riferimento all'inapplicabilità della disciplina antinfortunistica per l'insussistenza in capo alla società e agli imputati della posizione di garanzia datoriale ed in ratione foci nonché vizio motivazionale in relazione alla errata ricostruzione del fatto per essere la Corte territoriale incorsa in un vizio di travisamento della prova omettendo di considerare circostanze risultanti dagli atti. In particolare, ad avviso della difesa, avendo O.F. conferito l'incarico al M.M. senza che i figli ne fossero a conoscenza ed avendo la Corte ricostruito i rapporti tra O.F. e O.M. e O.CA. in termini di locatore-conduttore ne deriva l'inapplicabilità al caso di specie della normativa antinfortunistica dovendo trovare applicazione, come afferma la sentenza stessa, i principi civilistici di cui all'art. 1575 c.c. Si afferma, inoltre, che le circostanze in fatto non siano state debitamente ricostruite alla luce delle risultanze processuali, avendo la Corte fondato il proprio convincimento in ordine alla sussistenza di un rapporto di lavoro sulle dichiarazioni della persona offesa senza considerare altre circostanze, pur emerse, in ordine al fatto che la stessa lavorava alle dipendenze di una società terza, che aveva conosciuto O.F. in quanto vicini di casa ed entrambi avventori degli ambienti della comunità parrocchiale, che non era coinvolta nelle attività della società e che spontaneamente si era recata presso l'immobile senza previamente pattuire alcun corrispettivo. Errata risulta anche l'attribuzione a O.F. della qualità di preposto di fatto dell'azienda essendo egli semplicemente proprietario dell'immobile ed avendo accesso allo stesso trattandosi di luogo in cui ha lavorato tutta la vita e pertanto da considerarsi luogo familiare restando, invece, estranea la società all'attività svolta da lui e dal M.M.. La Corte, inoltre, avrebbe errato anche nel considerare il luogo dell'incidente quale "ambiente di lavoro" essendo il solaio, come affermato dal teste P. (tecnico ASL), un luogo non accessibile al pubblico, esterno rispetto al perimetro aziendale. Pur volendo riconoscere alla persona offesa lo status di lavoratore, il datore di lavoro andrebbe identificato non nella società, bensì in O.F. non emergendo, peraltro, dalla sentenza impugnata alcun collegamento tra quest'ultimo e l'organizzazione lavorativa della FOM tanto è vero che l'azienda neppure era a conoscenza della presenza del M.M. presso l'immobile.
Ulteriore vizio motivazionale deve essere ravvisato nella ritenuta applicabilità della normativa antinfortunistica essendo l'incidente avvenuto in luogo del tutto estraneo all'attività lavorativa della FOM e per ragioni certamente non connesse all'attività medesima. Infine con un terzo motivo denunciano vizio motivazionale in relazione al fatto che era stata mantenuta la subordinazione del riconoscimento della sospensione condizionale della pena all'adempimento delle statuizioni civile che erano state revocate.
Alla udienza di discussione in data 30 Settembre 2021 il difensore dei ricorrenti depositava certificato di morte del ricorrente O.F..
 

Diritto

 


l. In relazione a O.F., che risulta deceduto nelle more del giudizio di legittimità, come da certificato di morte depositato alla udienza di discussione dal difensore avv.to Iacovoni Claudio Cesare, deve essere disposto l'annullamento della sentenza impugnata per essere il reato estinto per morte dell'imputato.
2. Il secondo motivo del ricorso presentato nell'interesse degli imputati O.M. ed O.CA., nella parte in cui deduce vizio motivazionale sulla errata ricostruzione del fatto risulta inammissibile in quanto sviluppa censure di merito e non si confronta con le argomentazioni della sentenza impugnata che con dovizia di particolari ha logicamente e congruamente ricostruito la vicenda fattuale alla luce delle emergenze processuali ritenendo la fattispecie concreta sussumibile nell'ambito applicativo della normativa antinfortunistica.
Deve considerarsi che la Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza di primo grado che ha dichiarato gli imputati responsabili del reato loro ascritto commesso mediante dalla violazione delle norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro configurandosi quindi, nel caso che occupa, una c.d. "doppia conforme" di condanna, avendo entrambi i giudici di merito affermato la responsabilità degli imputati in ordine al reato oggetto di contestazione. Ne deriva che le motivazioni della pronuncia di primo grado e di quella di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione. Ulteriore conseguenza della "doppia conforme" di condanna è che il vizio di travisamento della prova può essere dedotto con il ricorso per cassazione solo nell'ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, ovvero quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (sez. 2, n. 5336 del 09/01/2018, Le altro, Rv. 27201801). Nessuna di queste condizioni appare ravvisabile nel caso in disamina, in cui il ricorso, sotto l'apparenza del vizio motivazionale, pretende di asseverare, su alcuni punti specifici, una diversa valutazione del compendio probatorio, richiamando aspetti di merito non deducibili in sede di legittimità.
3. È noto infatti che esulano dal numerus clausus delle censure deducibili in sede di legittimità le doglianze che investano profili di valutazione della prova e di ricostruzione del fatto, che sono riservati alla cognizione del giudice di merito le cui determinazioni, al riguardo, sono insindacabili in cassazione ove siano sorrette da motivazione congrua, esauriente ed idonea a dar conto dell'iter logico-giuridico seguito dal giudicante e delle ragioni del decisum. In tema di sindacato del vizio di motivazione, infatti, il compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine all'affidabilità delle fonti di prova, bensì di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (sez. U. n. 930 del 13/12/1995 - dep. 1996, Clarke, Rv. 203428-01).
4. Tanto chiarito, nel caso di specie, la Corte di Appello ha ricostruito la vicenda fattuale in modo logico e coerente ritenendo applicabili le norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro ricomprendendo la nozione di "prestazione lavorativa" anche prestazioni occasionali o non retribuite tale per cui la tutela si estende a tutte le persone che vengano a trovarsi in situazioni di pericolo connesse all'attività esercitata, a prescindere dall'eventuale mancato perfezionamento di un contratto e dall'episodicità della prestazione. Sul punto deve considerarsi che la giurisprudenza di legittimità tende a includere nel rischio derivante dal rapporto di lavoro anche i soggetti estranei alla categoria dei lavoratori affermando che il datore di lavoro ha l'obbligo di garantire la sicurezza nel luogo di lavoro a tutti i soggetti che prestano la loro opera nell'impresa, senza distinguere tra lavoratori subordinati e persone estranee all'ambito imprenditoriale (sez. 4, n. 37840 del 01/07/2009 - dep. 25/09/2009, Vecchi e altro, Rv. 245274); che in materia di infortuni sul lavoro, l'imprenditore assume una posizione di garanzia in ordine alla sicurezza degli impianti non solo nei confronti dei lavoratori subordinati e dei soggetti a questi equiparati, ma anche nei confronti delle persone che - pur estranee all'ambito imprenditoriale - vengano comunque ad operare nel campo funzionale dell'imprenditore medesimo (sez. 4, n. 6348 del 18/01/2007 - dep. 15/02/2007, P.C. proc. Chiarini, Rv. 236105). La necessità di rinvenire un criterio di delimitazione della responsabilità del datore di lavoro sembra essere connaturata a tale indirizzo e soddisfatta attraverso la richiesta dell'esistenza di una particolare relazione tra l'estraneo e l'organizzazione di impresa (si richiede che si tratti di soggetti ora svolgenti comunque prestazioni lavorative, ora a vario titolo funzionalmente collegati a quell'organizzazione, quali fornitori, clienti e altri soggetti collegati all'ambito lavorativo).
5. Dalla motivazione della sentenza impugnata emerge poi chiaramente che la persona offesa si era recata presso l'immobile proprio al fine di scoprire l'origine della infiltrazione risultando, quindi, inverosimile che egli abbia deciso di salire sul solaio sottraendosi al potere di controllo di coloro che esercitavano una veste di garanzia, laddove gli imputati avrebbero dovuto negare l'accesso proprio perché sapevano trattarsi di luogo pericoloso e in disuso. Se da un lato il giudice di merito ha espressamente riconosciuto l'imprudenza del lavoratore, tuttavia, con motivazione priva di qualsivoglia contraddittorietà o vizio logico ed in piena conformità alla costante giurisprudenza di legittimità, ha precisato che la condotta del M.M. rientrava perfettamente nel segmento delle prestazioni d'opera che era stato chiamato a svolgere - dovendosi logicamente ritenere che O.F. l'avesse chiamato proprio al fine di individuare l'origine dell'infiltrazione - non potendosi, quindi, qualificare come del tutto imprevedibile, eccentrico ed esorbitante il suo intervento rispetto all'ambito lavorativo. Ne consegue che, ove un infortunio si verifichi per inosservanza degli obblighi di sicurezza normativamente imposti (come nel caso di specie mancando sia la predisposizione del documento di valutazione dei rischi sia qualsiasi cautela volta ad impedire l'accesso al solaio vicino al quale era, anzi, presente una scala a pioli), tale inosservanza non potrà non far carico, a titolo di colpa specifica ex art. 43 c.p. e, quindi, di circostanza aggravante ex art. 589 c.p., comma 2 e art. 590, comma 3, c.p. su chi detti obblighi avrebbe dovuto rispettare, poco importando che ad infortunarsi sia stato un lavoratore subordinato, un soggetto ad esso equiparato o, addirittura, una persona estranea all'ambito imprenditoriale, purché sia ravvisabile il nesso causale con l'accertata violazione (sez. 4, n. 2383 del 10/11/2005 - dep. 20/01/2006, Losappio ed altri, Rv. 232916; 16.9.2020 n.32178 Dentamaro Francesco, Rv.280070).
6. In questa prospettiva il limite alla responsabilità datoriale viene individuato nell'ambito della causalità, sostenendosi che il fatto è commesso con violazione delle norme dirette a prevenire gli infortuni sul lavoro solo che sussista tra siffatta violazione e l'evento dannoso un legame causale, il quale non può ritenersi escluso solo perché il soggetto colpito da tale evento non sia un lavoratore dipendente (o soggetto equiparato) dell'impresa obbligata al rispetto di dette norme ma un estraneo all'attività e all'ambiente di lavoro, purché la presenza di tale soggetto nel luogo e nel momento dell'infortunio non abbia tali caratteri di anormalità, atipicità ed eccezionalità da far ritenere interrotto il nesso eziologico tra l'evento e la condotta inosservante e purché la norma violata miri a prevenire incidenti come quello in effetti verificatosi (sez. 4 n. 11360 del 10/11/2005 - dep. 31/03/2006, P.M. in proc. Sartori ed altri, Rv. 233662). Nel caso di specie la Corte, con motivazione logica e coerente, ha ritenuto che l'evento in concreto verificatosi costituisse concretizzazione del rischio che le norme violate miravano ad evitare.
7. Logica e non contraddittoria è la sentenza impugnata anche nella parte in cui considera il luogo dell'incidente ricompreso nella nozione di "ambiente di lavoro" intendendosi tali non solo i luoghi destinati ad ospitare posti di lavoro, ubicati all'interno dell'azienda o dell'unità produttiva, ma anche ogni altro luogo di pertinenza dell'azienda o dell'unità produttiva accessibile al lavoratore non potendosi prescindere dalla identificazione del plesso organizzativo al quale lo spazio accede. Se, come sostiene la difesa, si fosse trattato di luogo non accessibile ai lavoratori quantomeno, così come rilevato dalla Corte, doveva essere affisso un divieto di accesso con l'avvertenza del pericolo di crollo. Nel caso di specie, invece, non solo alcuna cautela era stata intrapresa per la messa in sicurezza del solaio ma neppure era stato redatto il documento di valutazione rischi della cui necessità, come correttamente rilevato dal giudice di secondo grado, la FOM era a conoscenza tanto che l'imputato O.M. confermava di averlo redatto solo dopo l'incidente.
8. Quanto poi alla esclusione di una posizione di garanzia in capo agli amministratori della società FOM, in presenza di un mero rapporto di locazione di immobili con un terzo, il giudice di appello ha configurato la responsabilità di O.F. non solo quale proprietario dell'immobile ma altresì quale preposto della società nell'attività di verifica che la persona offesa era intento a svolgere al momento dell'infortunio, mentre per gli amministratori legali rappresentanti della società era stata valorizzata la loro veste di datori di lavoro, perché entrambi soci accomandatari e amministratori della società, "società di piccole dimensioni costituita da 2 più persone (soci) dove tutti i soci sono considerati datori di lavoro, purché ricorra il presupposto dell'esercizio in concreto dei poteri decisionali e di spesa da parte di ciascun componente della società". Con riferimento alla loro posizione non possano dei dubbi in ordine alla sussistenza della posizione di garanzia. Afferma la Corte di merito che l'impresa che gestisce in affitto" un immobile, evidentemente perché funzionale alla sua attività, deve fare in modo che nello stesso non vi siano pericoli per chiunque in esso si trovi ad operare, a nulla importando se la presenza della persona infortunata sia di diretta conoscenza o meno di chi ha il compito di provvedere alla messa in sicurezza" dimostrando in tal modo di aver preso in considerazione l'argomento difensivo secondo il quale la mancata conoscenza della presenza sul luogo dell'intervento dell'incaricato del lavoro avrebbe esonerato gli stessi da responsabilità per colpa delle lesioni occorse.
Invero secondo la giurisprudenza di legittimità "una volta che con le proprie condotte omissive si è determinata l'insorgenza di una fonte di pericolo, la posizione di garanzia si mantiene non solo per i danni che possono essere provocati ai propri dipendenti, ma anche ai terzi che frequentano le strutture aziendali"(cfr. Cass. 4, 11356/93, Cocco).
Invero colui che ha creato una fonte di pericolo è tenuto a quella particolare forma di garanzia, chiamata di controllo, la quale, insieme con l'altra, definita di protezione, costituisce il contenuto dell'art. 40, comma secondo, cod. pen., che detta la disciplina del reato omissivo improprio. (Nella fattispecie, relativa ad omicidio colposo in danno di persona entrata nella vigna di proprietà dell'imputato per recuperare il bestiame ed annegata in una pozza d'acqua artificialmente creata, è stato ritenuto che quest'ultimo, avendo posto in essere una fonte di pericolo per l'altrui incolumità si fosse collocato, rispetto ad essa, in una posizione di controllo, concretantesi nell'obbligo di evitare che la stessa potesse recare danni a terzi mediante la predisposizione di adeguate cautele).
In tema di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro, in quanto titolare di una posizione di garanzia in ordine all'incolumità fisica dei lavoratori, ha il dovere di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici vigilando sulla sussistenza e persistenza delle condizioni di sicurezza ed esigendo dagli stessi lavoratori il rispetto delle regole di cautela (sez. 4, n. 37986 del 27/06/2012, Rv. 254365, in applicazione di tale principio ha la S.C. ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito ha affermato la responsabilità in ordine al reato di cui all'art. 590, comma 3, c.p. dell'imputato legale rappresentante di una s.a.s. per non aver adeguatamente informato il lavoratore, il quale aveva ingerito del detersivo contenuto in una bottiglia non contrassegnata, ritenendo trattarsi di acqua minerale).
8.1 Peraltro la Corte ha più volte sottolineato che in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il datore di lavoro quale responsabile della sicurezza, ha l'obbligo non solo di predisporre le misure antinfortunistiche ma anche di sorvegliare continuamente sulla loro adozione da parte degli eventuali preposti e dei lavoratori in quanto, in virtù della generale disposizione di cui all'art. 2087 c.c. egli è costituito garante dell'incolumità fisica dei prestatori di lavoro (sez. 4, n. 4361 del 21/10/2014 dep. 2015, Ottino, Rv. 263200). Inoltre, qualora vi siano più titolari della posizione di garanzia, ciascuno è per intero destinatario dell'obbligo di tutela impostogli dalla legge fin quando si esaurisce il rapporto che ha legittimato la costituzione della singola posizione di garanzia, per cui l'omessa applicazione di una cautela antinfortunistica è addebitabile ad ognuno dei titolari di tale posizione (sez. 4, n. 18826 del 9/2/2012, Pezzo, Rv. 253850 fattispecie in cui la Corte ha ritenuto la responsabilità del datore di lavoro per il reato di lesioni colpose nonostante fosse stata dedotta l'esistenza di un preposto di fatto).
Il secondo motivo di ricorso, che risulta variamente articolato, risulta pertanto in parte inammissibile ed in parte infondato e deve essere rigettato nel suo complesso.
9. Infondato si presenta il primo motivo di ricorso presentato nell'interesse degli imputati O.M. ed O.CA. che viene trattato in seconda battuta in quanto attiene alla misura del trattamento sanzionatorio, che avrebbe dovuto tenere conto del concorso di colpa accertato in capo alla persona offesa dal reato. Va in proposito ricordato che la determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra nell'ampio potere discrezionale del giudice di merito, il quale assolve il suo compito anche se abbia valutato globalmente gli elementi indicati nell'art. 133 c.p. Anzi non è neppure necessaria una specifica motivazione tutte le volte in cui la sceita del giudice risulta, come nel caso di specie, contenuta in una fascia medio bassa rispetto alla pena edittale (sez. 4, 20 settembre 2004, Nuciforo, Rv. 230278; sez. 4, 10/06/2010, dep. 04/11/2010, n. 38991). Inoltre in tema di valutazione dei vari elementi per la dosimetria della pena ed i limiti del sindacato di legittimità, la giurisprudenza di legittimità ammette la c.d. motivazione implicita (sez. 6, n. 36382 del 22/09/2003, Dell'Anna, Rv. 227142) o con formule sintetiche (tipo "si ritiene "congrua": cfr. sez. 4, n. 9120 del 04/08/1998, Urrata, Rv. 211583). La Corte di appello ha condiviso il ponderato ragionamento del primo giudice sia riguardo al bilanciamento per equivalente delle circostanze, sia riguardo alla determinazione della pena sulla base dei parametri di cui all'art. 133 c.p. avendo adeguatamente valorizzato l'entità delle lesioni subite dalla persona offesa la cui gravità risultava dai certificati medici, il concorso di colpa della stessa, la durata della malattia e l'impossibilità per il lavoratore di tornare a svolgere l'attività precedente.
10. Merita infine accoglimento il terzo motivo di ricorso concernente la mancata rimozione del vincolo del pagamento della provvisionale cui il giudice di primo grado aveva subordinato la concessione del beneficio condizionale della pena, vincolo che avrebbe dovuto essere rimosso in quanto lo stesso giudice di appello aveva disposto la revoca delle statuizioni civili. L'annullamento sul punto della sentenza impugnata può avvenire senza rinvio ben potendo questa Corte ex art. 620 c.p.p. provvedere ufficiosamente mediante la eliminazione della subordinazione del beneficio all'adempimento di statuizione non più esistente.
La sentenza impugnata deve quindi essere annullata senza rinvio limitatamente alla subordinazione della sospensione condizionale della pena al pagamento della provvisionale; i ricorsi degli imputati O.M. ed O.CA. devono essere per il resto rigettati.

 

PQM
 



Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di O.F. perché il reato è estinto per morte dell'imputato. Annulla inoltre senza rinvio la sentenza medesima nei confronti di O.M. ed O.CA. limitatamente alla subordinazione della sospensione condizionale della pena al pagamento della somma stabilita a titolo di risarcimento del danno, statuizione che elimina. Rigetta nel resto i ricorsi.

Così deciso in Roma il 30 Settembre 2021