Cassazione  Civile, Sez. 6 - L, 01 dicembre 2021, n. 37738 - Caduta del medico, dopo il parcheggio dell'auto, su un marciapiede disconnesso nel piazzale della struttura sanitaria: niente risarcimento



Presidente Doronzo – Relatore Boghetich

Rilevato che:

1. Con sentenza n. 23621/19 depositata il 30/12/19 la Corte di appello di Bari, confermando la pronuncia del giudice di primo grado, ha respinto la domanda di risarcimento del danno biologico differenziale proposta da D.T.P. nei confronti del proprio datore di lavoro, ASL BA, a seguito dell'infortunio sul lavoro subito il 20.11.2012 (consistente in una caduta, dopo il parcheggio dell'autovettura, su un marciapiede strutturalmente disconnesso e incompleto nel piazzale antistante l'obitorio della struttura sanitaria ove il medico radiologo svolgeva la propria attività). 2. La Corte territoriale, richiamati i criteri di distribuzione dell'onere della prova che si ricollegano all'invocata violazione degli obblighi di protezione dettati dall'art. 2087 c.c., ha escluso un profilo di responsabilità del datore di lavoro, sia ex art. 2087 c.c., ritenendo intervenuto, l'evento, per un comportamento colposo del lavoratore che aveva parcheggiato l'automobile in un'area "utilizzata (abusivamente) per parcheggiare.."(area non autorizzata a parcheggio), sia ex art. 2051 c.c., non avendo, il lavoratore, specificato - al di là del fatto che l'area in cui aveva parcheggiato era ubicata all'interno dell'Ospedale di Corato - le ragioni per cui la ASL dovesse rispondere della manutenzione dei cordoli del marciapiedi sul quale era caduto, cordoli "posti al di fuori della struttura sanitaria" ove lavorava il medico. 3. Avverso la detta sentenza il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi e la ASL resiste con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria. 4. La proposta del relatore è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell'udienza, ai sensi dell'art. 380 bis c.p.c.

Considerato che:


1. Con il primo motivo di ricorso si denunzia nullità della sentenza per violazione dell'art. 132 c.p.c. (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), avendo la Corte territoriale adottato una motivazione assolutamente lacunosa e carente in relazione alla ricostruzione dell'infortunio, avendo omesso l'unica circostanza pacifica e rilevante ossia che il sinistro è avvenuto nell'area pertinenziale l'Ospedale di Corato mentre il medico si recava sul posto di lavoro. 2. Con il secondo motivo si denunzia violazione degli artt. 2087 e 2051 c.c. (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), avendo la Corte territoriale trascurato che la responsabilità del datore di lavoro si estende anche al di fuori del posto di lavoro assegnato al lavoratore, comprendendo anche le zone adiacenti nelle quali gli addetti possono comunque recarsi e muoversi. Ebbene, l'infortunio sul lavoro si è verificato nell'area esterna immediatamente adiacente l'Ospedale di Corato mentre il medico si recava sul luogo di lavoro. Inoltre, la ASL BA in quanto titolare della proprietà della zona in cui si è verificato l'evento lesivo, era responsabile in qualità di "custode" ex art. 2051 c.c. 3. Con il terzo motivo di ricorso si denunzia violazione degli artt. 115,167 e 416 c.p.c. (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) avendo, il lavoratore, sin dall'atto introduttivo del giudizio sostenuto che l'area in cui si è verificato il sinistro fosse di pertinenza della ASL (tenuta, pertanto, alla manutenzione) e nessuna contestazione era stata mossa da parte della ASL convenuta. 4. Il primo motivo di ricorso non è fondato. La nullità della sentenza per mancanza della motivazione, ai sensi dell'art. 132 c.p.c., è prospettabile quando la motivazione manchi addirittura graficamente, ovvero sia così oscura da non lasciarsi intendere da un normale intelletto. In particolare, il vizio di motivazione previsto dall'art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e dall'art. 111 Cost., sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, nè alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cfr. Cass. n. 3819 del 2020), non essendo più ammissibili, a seguito alla riformulazione dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012), le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata (Cass. n. 23940 del 2017). Nel caso di specie, la Corte d'appello ha illustrato le ragioni per le quali ha ritenuto infondata la pretesa del lavoratore, rilevando che, con riguardo agli obblighi di protezione imposti al datore di lavoro dall'art. 2087 c.c., il lavoratore aveva adottato un condotta imprevedibile in quanto aveva ritenuto di parcheggiare l'automobile in una zona non autorizzata a parcheggio, e con ciò ha "interrotto il nesso causale tra l'attività lavorativa e l'incidente"; anche con riguardo agli obblighi del custode, ex art. 2051 c.c., la Corte territoriale ha fornito motivazione della esclusione di un profilo di responsabilità della ASL rilevando che il ricorso introduttivo del giudizio era carente di elementi costitutivi con particolare riguardo alla sussistenza di una potestà di fatto dell'azienda sanitaria sui cordoli del marciapiede su cui il medico era caduto, non potendo, pertanto, rinvenirsi nella ASL la veste di “custode" (cfr. sul punto, Cass. n. 1859 del 2000). Invero, la Corte territoriale si è conformata all'orientamento consolidato di questa Corte che ha affermato come la responsabilità del datore di lavoro per inadempimento dell'obbligo di prevenzione di cui all'art. 2087 c.c. non è una responsabilità oggettiva, ma colposa, dovendosi valutare il difetto di diligenza nella predisposizione delle misure idonee a prevenire danni per i lavoratori, in relazione all'attività lavorativa svolta, non potendosi esigere la predisposizione di misure idonee a fronteggiare ogni causa di infortunio, anche quelle imprevedibili (cfr. da ultimo Cass. 8911 del 2019, Cass. n. 24742 del 2018). 5. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile in quanto si sostanzia, anche laddove denuncia la violazione di norme di diritto, in un vizio di motivazione formulato in modo non coerente allo schema legale del nuovo art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame. Come più volte precisato da questa Corte, il vizio di violazione di legge coincide con l'errore interpretativo, cioè con l'erronea individuazione della norma regolatrice della fattispecie o con la comprensione errata della sua portata precettiva; la falsa applicazione di norme di diritto ricorre quando la disposizione normativa, interpretata correttamente, sia applicata ad una fattispecie concreta in essa erroneamente sussunta. Al contrario, l'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all'interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l'aspetto del vizio di motivazione (cfr. Cass. n. 26272 del 2017; Cass. n. 9217 del 2016; Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; n. 26307 del 2014). Solo quest'ultima censura è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa. Nel caso di specie, le censure investono tutte la valutazione delle prove come operata dalla Corte di merito, e si sostanziano, attraverso il richiamo al contenuto delle deposizioni testimoniali rese in udienza, in una richiesta di rivisitazione del materiale istruttorio (quanto alla dinamica dell'infortunio avvenuto in area non autorizzata a parcheggio) non consentita in questa sede di legittimità, a maggior ragione in virtù del nuovo testo dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. 6. Il terzo motivo è inammissibile in quanto la censura è prospettata con modalità non conformi al principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, secondo cui parte ricorrente avrebbe dovuto, quantomeno, trascrivere nel ricorso il contenuto (quantomeno le parti salienti) del ricorso introduttivo del giudizio e della memoria della ASL, fornendo al contempo alla Corte elementi sicuri per consentirne l'individuazione e il reperimento negli atti processuali, potendosi solo così ritenere assolto il duplice onere, rispettivamente previsto a presidio del suddetto principio dall'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dall'art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4. 7. Per le ragioni indicate il ricorso va dichiarato inammissibile; sulle spese si procede come da dispositivo. 8. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013) pari a quello - ove dovuto - per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

 

P.Q.M.
 


La Corte rigetta il ricorso, e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 20012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.