Cassazione Penale, Sez. 4, 13 dicembre 2021, n. 45617 - Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro di braccianti agricoli. Mancanza di prove


Presidente: DOVERE SALVATORE
Relatore: PEZZELLA VINCENZO
Data Udienza: 11/11/2021
 

Fatto


1. Con ordinanza del 6/7/2020 il Tribunale del riesame di Cosenza, in accoglimento dell'istanza di riesame presentata da S.N., ha annullato il decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP di Castrovillari in data 22/5/2020 in relazione al capo 32) del capo provvisorio di incolpazione, che vedeva S.N., unitamente alla compagna, V.E., indagato per il delitto di cui agli artt. 81 cpv, 110, 603-bis, co. 1 n. 1), 3 nn. 1), 2), 3) e 4), 4 nn. 1) e 3) perché, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso ed in tempi diversi, in concorso tra loro, adoperandosi nel contattarli, provvedendo al loro prelevamento presso i punti di raccolta e, successivamente, al loro trasporto sul posto di lavoro nonché, al ritorno, presso le loro dimore, prendendo accordi con le aziende utilizzatrici sui giorni di lavoro, sul numero e sulla tipologia di operai da impiegare per la raccolta, sull'orario di lavoro, sul costo della giornata e sulle modalità di pagamento nonché sulla documentazione occorrente e, ancora, provvedendo ad annotare, per ciascun lavoratore, le giornate lavorate ed il relativo costo, adoperandosi fattivamente per garantire a ciascun lavoratore reclutato la regolarità dei documenti prodromici alle assunzioni - reclutavano manodopera e, in particolare, i seguenti braccianti agricoli: OMISSIS, allo scopo di destinarla al lavoro presso l'azienda agricola G.G. in condizioni di sfruttamento - attesa la reiterata corresponsione di retribuzioni difformi dai contratti collettivi nazionali o territoriali e, comunque, sproporzionate rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato, la reiterata violazione della normativa relativa all'orario di lavoro, ai periodi di riposo, al riposo settimanale, all'aspettativa obbligatoria e alle ferie, la sussistenza di violazioni delle norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro, la sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, a metodi di sorveglianza ed a situazioni alloggiative degradanti - ed approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori i quali, invero, attese le precarie condizioni economiche ed avendo la necessità di provvedere ai loro bisogni, erano costretti ad accettare le prefate condizioni di lavoro. Con l'aggravante di aver reclutato lavoratori in numero superiore a tre nonché dell'aver commesso il fatto esponendo i lavoratori sfruttati a situazioni di grave pericolo per la loro incolumità, e tanto avuto riguardo alle caratteristiche della prestazione da svolgere (trattandosi di lavoro agricolo) e delle condizioni di lavoro (in particolare, essendo i lavoratori impiegati sui campi senza alcun dispositivo di protezione individuale e senza poter godere di periodo di riposo). In Calabria e Basilicata, dal mese di marzo 2018 a tutt'oggi.
Il sequestro, poi revocato, aveva ad oggetto l'autoveicolo Fiat Scudo tg. AN143KN, ed era disposto al fine di evitare la reiterazione del reato ed in vista della confisca obbligatoria prevista dal successivo art. 603 bis 2 cod. pen..
Secondo l'ipotesi accusatoria lo S.N. e la compagna recluterebbero manodopera bracciantile, in condizioni di sfruttamento ed approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori, da impiegare sui terreni della disponibilità delle omonime aziende agricole di G.G. e G.A., coindagati nell'ambito del medesimo procedimento penale con il ruolo di utilizzatori della predetta manodopera (cfr. pagg. 1317 e ss. dell'ordinanza del Gip di Castrovillari).

2. Contro tale provvedimento ricorre a questa Corte di legittimità il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Cosenza denunciando violazione di legge con riferimento all'art. 603 bis cod. pen. e della contrattazione territoriale della provincia di Matera per gli operai agricoli, richiamata dall'art. 603 bis co. 3 cod. pen.
In premessa il PM ricorrente indica gli elementi di fatto a sostegno dell'ipotesi accusatoria: intercettazioni telefoniche (pagg. 3-40), esito del controllo dell'8.3.2018 (pag. 40), sommarie informazioni di S.C. del 3/7/2015 (pagg. 41-42) e servizio di O.C.P. del 29.3.2018 (pag. 42), quindi dà conto dell'ordinanza di applicazione della misura cautelare personale e reale del GIP di Castro­ villari del 22/5/2020 (pagg. 43-52) e dell'ordinanza del tribunale del riesame del 6/7/2020, che riporta per esteso (pagg. 52-57) e che - lamenta- avrebbe deliberatamente selezionato soltanto gli elementi investigativi utili ad annullare l'ordi­ nanza, omettendo un vero vaglio giudiziale, non solo degli elementi così discrezionalmente selezionati, ma anche degli altri articolatamente evidenziati nella copiosa ordinanza del giudice di prime cure e, con formule di puro stile, avrebbe annullato il sequestro del veicolo tg. AN143KN, cioè proprio il veicolo utilizzato per reclutare i braccianti, dunque per commettere la condotta contestata.
Il Tribunale del riesame - si duole il PM ricorrente - ha impiegato solo 3 pagine per liquidare l'articolata ordinanza del Gip di Castrovillari, ritenendo insussistente, nel caso di specie, il fumus commissi delicti del reato contestato.
Il mero raffronto tra il provvedimento del Gip di Castrovillari e quello del Tribunale del riesame -è la tesi che propone il ricorso- renderebbe evidente come quest'ultimo avrebbe completamente abdicato alla propria funzione giurisdizionale di controllo.
Il PM ricorrente propone tre motivi di ricorso, tutti rubricati come violazione di legge.
Con gli stessi si duole della disapplicazione della fattispecie criminosa da parte del tribunale del riesame laddove: 1. al fine di individuare la fattispecie criminosa contestata, non ritiene sufficiente uno solo degli indici di sfruttamento ivi previsti;
2. disapplica la disciplina in tema di indici di sfruttamento penalmente rilevanti concernenti la retribuzione, l'orario di lavoro, le ferie e i riposi; 3. omette di confrontarsi con le emergenze investigative sintomatiche della ricorrenza di una intermediazione di attività bracciantile in condizioni di sfruttamento ed approfitta­ mento dello stato di bisogno dei lavoratori, nonché sintomatiche della sussistenza di almeno uno degli indici di sfruttamento e dello stato di bisogno rispetto ad un solo lavoratore.
Lamenta ancora inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità, in specie dell'art. 321 e 322 cod. proc. pen., in quanto il tribunale del riesame avrebbe ritenuto insussistente il fumus commissi delicti senza limitarsi al controllo di compatibilità tra la fattispecie concreta e quella legale ipotizzata, anticipando la decisione della questione di merito, operazione che esula dai limiti del procedimento incidentale di riesame, e, quindi, operando il dissequestro nonostante abbia riconosciuto, nel caso di specie, la sussistenza del diverso reato di cui all'art. 18 co. 2 d.lgl 276/2003.

3. Con memoria depositata dalla difesa dell'imputato S.N., in data 24/8/2021, veniva comunicato che il 13/11/2020 il GIP di Castrovillari, alla luce dell'avvenuta richiesta di applicazione della pena con adesione del PM, ha revocato la misura cautelare personale applicata allo S.N..

4. Nei termini di legge ha rassegnato le proprie conclusioni scritte per l'udienza senza discussione orale (art. 23 co. 8 d.l. 137/2020), il P.G., che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
 

Diritto


1. Il ricorso del PM di Cosenza è inammissibile.

2. Preliminarmente, va rilevato che, diversamente da quanto opinano il ricorrente ed il PG, non assume alcun rilievo ai fini dell'odierno decidere l'intervenuta revoca della misura cautelare personale dell'obbligo di dimora a seguito dell'intervenuta richiesta di applicazione pena -del cui esito non si ha notizia- in ragione di una prognosi favorevole da parte del Gip in punto di sospensione condizionale della pena.
Sempre in premessa, va, invece, ricordato, in punto di diritto che, ai sensi dell'art. 321 cod. proc. pen., la concessione del sequestro preventivo è subordinata alla sussistenza del pericolo che la libera disponibilità della cosa pertinente al reato possa a·ggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati.

L'art. 325 cod. proc. pen. prevede che contro le ordinanze in materia di appello e di riesame di misure cautelari reali che il ricorso per cassazione possa essere proposto per sola violazione di legge.
La giurisprudenza di questa Suprema Corte, anche a Sezioni Unite, ha più volte ribadito, tuttavia, come in tale nozione debbano ricomprendersi sia gli "errores in iudicando" o "in procedendo", sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice vedasi Sez. Un. n. 25932 del 29/5/2008, Ivanov, Rv. 239692; conf. Sez. 5, n. 43068 del 13/10/2009, Basi, Rv. 245093; Sez. 3, n. 4919 del 14/07/2016, Faiella, Rv. 269296). E' stato anche precisato che è ammissibile il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo, pur consentito solo per violazione di legge, quando la motivazione del provvedimento impugnato sia del tutto assente o meramente apparente, perché sprovvista dei requisiti minimi per rendere comprensibile la vicenda contestata e l"'iter" logico seguito dal giudice nel provvedimento impugnato (così Sez. 6, n. 6589 del 10/1/2013, Gabriele, Rv. 254893 nel giudicare una fattispecie in cui la Corte ha annullato il provvedimento impugnato che, in ordine a contestazioni per i reati previsti dagli artt. 416, 323, 476, 483 e 353 cod. pen. con riguardo all'affidamento di incarichi di progettazione e direzione di lavori pubblici, non aveva specificato le violazioni riscontrate, ma aveva fatto ricorso ad espressioni ambigue, le quali, anche alla luce di quanto prospettato dalla difesa in sede di riesame, non erano idonee ad escludere che si fosse trattato di mere irregolarità amministrative).
Motivazione assente è quella che manca fisicamente (Sez. 5, n. 4942 del 04/08/1998, Seana; Sez. 5, n. 35532 del 25/06/2010, Angelini) o che è graficamente indecifrabile (Sez. 3, n. 19636 del 19/01/2012, Buzi).
Motivazione apparente, invece è solo quella che «non risponda ai requisiti minimi di esistenza, completezza e logicità del discorso argomentativo su cui si è fondata la decisione, mancando di specifici momenti esplicativi anche in relazione alle critiche pertinenti dedotte dalle parti>> (Sez. 1, n. 4787 del 10/11/1993, Di Giorgio), come, per esempio, nel caso di ricorso a clausole di stile ovvero quando la motivazione dissimuli la totale mancanza di un vero e proprio esame critico degli elementi di fatto e di diritto su cui si fonda la decisione, o sia priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidonea a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice (così le già citate Sez. Un., n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov).
Di fronte all'assenza, formale o sostanziale, di una motivazione, atteso l'obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, viene dunque a mancare un elemento essenziale dell'atto. E anche l'omesso esame di punti decisivi per l'ac­ certamento del fatto, sui quali è stata fondata l'emissione del provvedimento di sequestro, si traduce in una violazione di legge per mancanza di motivazione, censurabile con ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 325, comma primo cod. proc. pen. (Sez. 3, n. 28241 del 18/2/2015, Baronia, Rv. 264011; Sez. 1, n. 48253 del 12/09/2017, Serra, n.m.; Sez. 3, n. 38026 del 19/04/2017, De Cieco, n.m.; Sez. 3, n. 38025 del 19/04/2017, Monti, n.m.).
Va anche aggiunto che, anche se in materia di sequestro preventivo il codice di rito non richiede che sia acquisito un quadro probatorio pregnante come per le misure cautelari personali, non è però sufficiente prospettare un fatto costituente reato, limitandosi alla sua mera enunciazione e descrizione, ma è invece necessario valutare le concrete emergenze istruttorie per ricostruire la vicenda anche in semplici termini di "fumus".

3. Dunque, come in più occasioni affermato da codesta Corte, in tema di riesame delle misure cautelari reali, nella nozione di "violazione di legge" per cui soltanto può essere proposto ricorso per cassazione a norma dell'art. 325, comma 1, cod. proc. pen., non rientra l'illogicità manifesta, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui alla lett. e) dell'art. 606 stesso codice» (Sez. Un., n. 5876 del 28/01/2004; si vedano anche, nello stesso senso, Sez. Un., n. 25080 del 28/05/2003, Pellegrino, e Sez. Un., n. 5 del 26/02/1991, Bruno, nonché Sez. 5, n. 35532 del 25/06/2010, Angelini; Sez. 1, n. 6821 del 31/01/2012, Chiesi; Sez. 6, n. 20816 del 28/02/2013, Buonocore) .
Orbene nella specie non si ravvisano elementi da cui dedurre, quanto allo S.N., che il tribunale del riesame abbia male interpretato la legge ovvero abbia omesso di esaminare punti decisivi per l'accertamento del fatto, sui quali si basava il provvedimento di sequestro.
Contrariamente a quanto assunto dalla Procura ricorrente, infatti, la decisione impugnata poggia sull'esame del materiale probatorio, ritenuto insufficiente a fondare il convincimento del fumus commissi delicti.
La Procura ricorrente obietta che tale motivazione ha natura apparente dissimulando la totale mancanza di un vero e proprio esame critico degli elementi di fatto e di diritto su cui si fonda la decisione, ma così non è.
Il tribunale del riesame ha compiutamente esaminato proprio gli elementi che il PM ricorrente ripropone nel suo ricorso, oltre che quelli prodotti dalla Difesa (le buste paga e la documentazione INAIL relative all'odierno ricorrente, bracciante agricolo alle dipendenze di G.G., e alla moglie e coindagata V.E., dai quali emerge che entrambi risultavano regolarmente assunti e percepivano regolare retribuzione).
Conferente appare il richiamo che il provvedimento impugnato opera alla giurisprudenza di questa Corte di legittimità che ha reiteratamente affermato che la mera condizione di irregolarità amministrativa del cittadino extracomunitario nel territorio nazionale, accompagnata da situazione di disagio e di bisogno di accedere alla prestazione lavorativa, non può di per sé costituire elemento valevole da solo ad integrare il reato di cui all'art. 603 bis cod. pen. caratterizzato, al contrario, dallo sfruttamento del lavoratore, i cui indici di rilevazione attengono ad una con­ dizione di eclatante pregiudizio e di rilevante soggezione del lavoratore, resa manifesta da profili contrattuali retributivi o da profili normativi del rapporto di lavoro, o da violazione delle norme in materia di sicurezza e di igiene sul lavoro, o da sottoposizione a umilianti o degradanti condizioni di lavoro e di alloggio" (così le richiamate Sez. 4 n. 49781/2019 e n. 11546/2020 e, ancora più recentemente, Sez. 4, n. 27582 del 16/09/2020, Savoia, Rv. 279961).
Il giudice del gravame cautelare, con motivazione priva di aporie logiche e corretta in punto di diritto - e che, pertanto, si sottrae alle proposte censure­ ritiene non condivisibile la motivazione dell'impugnato decreto di sequestro, laddove ha ravvisato un adeguato compendio indiziario, con particolare riferimento alla emersione di profili sintomatici di sfruttamento dei lavoratori avviati al lavoro. Ritiene, infatti, che tale requisito, a ben vedere, viene desunto da una irregolarità delle condizioni lavorative imposte, asseritamente non corrispondenti a quelle di cui ai contratti nazionali o territoriali di settore, sia sotto il profilo retributivo che sotto il profilo della sicurezza ed igiene sui luoghi di lavoro, nonché della sorveglianza e delle condizioni abitative degradanti.
A tale giudizio - ricorda ancora il provvedimento impugnato- il GIP per­ viene, in primo luogo, sulla base degli esiti di un unico controllo di P.G. su strada, in data 8 marzo 2018, effettuato sull'automezzo Fiat Scudo tg. omissis, condotto da S.N., a bordo del quale si trovavano sette braccianti agricoli, identificati in OMISSIS, tutti di ritorno da una giornata di lavoro nelle campagne dell'azienda agricola del G.G.. Successivamente, in occasione di un servizio di OCP, effettuato in data 29 marzo 2018 presso alcuni terreni di proprietà di G.G., si verificava la presenza di alcuni braccianti agricoli occupati nella raccolta di fragole, tra i quali anche l'odierno ricorrente.
Altri elementi utilizzati dal GIP a supporto dell'ipotesi d'accusa - ricorda ancora il tribunale cosentino- consistono nelle dichiarazioni rese dalla bracciante S.C. in data 3 luglio 2018, nonché nel contenuto di alcune intercettazioni telefoniche, intercorse con tale A.G. (n. 72 del 24 febbraio 2018 e n. 290 del 14 marzo 2018) ed altre ancora dalle quali emerge che lo S.N. si occupava di predisporre la documentazione utile all'assunzione dei braccianti. Nel corso della conversazione n. 49 del 12 aprile 2018 lo S.N. dava informazioni alla propria interlocutrice, S.C. (interessata all'assunzione nel settore della raccolta delle fragole), in merito alla retribuzione prevista, pari ad euro 30 al giorno, per 7 ore di lavoro, e all'attività lavorativa, da svolgersi tutti i giorni.

4. Coerente appare il rilievo che le conclusioni del GIP in punto di indici sintomatici della condizione di sfruttamento dei braccianti agricoli, siano meramente assertive e si siano limitate a riprodurre il contenuto della norma di cui all'art. 603 bis cod. pen.
Ciò sul rilievo che, al di là degli spunti investigativi emergenti dalle intercettazioni telefoniche, rimane del tutto pretermesso un approfondimento sulle effettive condizioni di lavoro cui venivano sottoposti i braccianti ovvero sulla ricorrenza di situazioni di degrado o di violazione della disciplina sulla sicurezza sul lavoro, situazioni che, semmai, addirittura, vengono escluse dai medesimi interlocutori.
A tal proposito viene evidenziato il contenuto della conversazione n. 106 del 15 aprile 2018, intercorsa tra S.C. e V.E., compagna dello S.N., la quale, al fine di rassicurare ed invogliare la S.C. a lavorare nella raccolta delle fragole, le dice non solo che non si tratta di un lavoro pesante (tanto che riesce a svolgerlo anche lei, che è in stato di gravidanza), ma anche che si tratta di attività lavorativa svolta in ambiente sereno e tranquillo ("non senti voci, non ti dice nessuno... lavori a modo tuo, bello, tranquillo ... non ti dice nessuno vai veloce ... fai così, nessuno niente non ti dice, quando hai bisogno di andare al bagno puoi andare al bagno, senza chiedere, eh voglio andare al bagno, senza problemi C."). Nel corso di altra conversazione (la n. 75 del 14 aprile 2018), la lavoratrice R.I. contatta, invece, lo S.N., al fine di avvisarlo che non può recarsi a lavoro, per motivi di salute, affermazione a fronte della quale lo S.N. non solleva alcuna obiezione.
La sussistenza di indici sintomatici di sfruttamento - prosegue la logica motivazione del provvedimento impugnato- non si può d'altronde rinvenire dagli esiti dell'unico controllo su strada e dai successivi servizi di OCP, che consentivano esclusivamente di verificare la presenza di alcuni braccianti su un automezzo condotto dallo S.N. e sui terreni di proprietà del G.G., impegnati nella raccolta delle fragole, dato giammai smentito dalla difesa.
Allo stesso modo, per il tribunale del riesame la sussistenza di condizioni degradanti o di significative alterazioni del rapporto sinallagmatico non si evince dalle dichiarazioni rese dalla bracciante S.C., la quale dichiarava di essere stata assunta alle dipendenze del G.G., grazie alla intermediazione di S.N. e di aver lavorato nei mesi di aprile, maggio e giugno, per un totale di circa 25/30 giornate, dietro retribuzione di euro 30,00 al giorno. La donna aggiungeva di non essere andata a lavorare tutti i giorni e di non avere mai ricevuto intimidazioni o minacce da chicchessia, aggiungendo che il corretto svolgimento dell'attività lavorativa era sottoposto al controllo dello S.N., il quale provvedeva, altresì, a prelevarla giornalmente per accompagnarla sul luogo di lavoro.
Il giudice del riesame cautelare, in difetto di elementi investigativi di segno contrario, che non vengono evidenziati nemmeno nel ricorso in esame, conclude perciò logicamente per l'insussistenza di qualsivoglia profilo di violazione delle norme in materia di ferie e riposi festivi, evidenziando anche come, d'altronde, a tutto concedere, occorre rammentare che si trattava di lavoro stagionale, limitato a due o tre mesi all'anno, con conseguente maturazione di un diritto a pochissimi giorni di ferie. E che l'eventuale svolgimento di attività lavorativa durante una giornata festiva (volontario e non frutto di coercizione, profilo non emerso dalle intercettazioni) veniva poi evidentemente compensata dal riposo in altro giorno.
Analogamente il provvedimento impugnato, con riferimento alla normativa in materia di orario di lavoro, conclude nel senso che la durata della giornata lavorativa (7 ore) appare di poco superiore al tetto massimo di 6 ore e 45 minuti, previsto dai vigenti contratti.
Non provato, inoltre, viene ritenuto il profilo afferente la violazione della normativa sulla sicurezza ed igiene sui luoghi di lavoro, trattandosi di mera attività di raccolta di fragole che non necessitava di dispositivi di protezione o presidi particolari, ad eccezione dei guanti. E ritenendo, in ogni caso, che l'eventuale indisponibilità di tali strumenti di lavoro non avrebbe d'altronde determinato un grave rischio o pregiudizio per l'incolumità dei lavoratori, ma esclusivamente il rischio di una errata manipolazione del frutto e conseguente deterioramento dello stesso.
Il tribunale del riesame dà anche conto che dall'attività d'indagine compiuta dagli investigatori, non è emersa alcuna intromissione dello S.N. nel reperimento di alloggi per i braccianti, né tantomeno risulta comprovata la sussistenza di una clausola vessatoria in base alla quale questi ultimi avrebbero dovuto corrispondere parte del loro compenso al caporale.

5. Il provvedimento impugnato, pertanto, dà atto di avere esaminato, sotto il profilo del fumus commissi delicti, tutti gli indici di sfruttamento dei lavoratori atti ad integrare il reato contestato e conclude logicamente che l'obiettiva insussistenza di una situazione di sfruttamento eclatante, intollerabile e tale da mortificare la dignità umana non consente, pertanto, di ritenere integrata la fattispecie in esame, rendendo, altresì, superflua qualsivoglia indagine in merito all'elemento psicologico.
Le doglianze proposte debbono quindi ritenersi inammissibili, in quanto, pur apparentemente deducendo la violazione di legge, finiscono con il contestare la ricostruzione dei fatti, effettuata dai giudici di merito, i quali hanno ritenuto, con una motivazione non solo effettiva, ma del tutto adeguata, che dagli elementi d'indagine non si evincono gli indici legali di sfruttamento richiesti dalla norma.
Ha quindi il tribunale tenuto conto, in modo puntuale e coerente, delle concrete risultanze processuali e dell'effettiva situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti, richiamando il materiale accusatorio e quello difensivo, indicando, sia pur sommariamente, le ragioni che rendono insostenibile l'impostazione accusatoria, senza che debba potersi individuare un dovere del giudice, di fronte a così ampio materiale, di indicare analiticamente e specificamente quali siano gli atti ed il loro contenuto sulla base dei quali si fonda la ricostruzione fattuale , diversa da quella prospettata dalla procura ricorrente.
Si tratta quindi di valutazioni di merito del tutto insindacabili nella presente sede laddove supportate - come detto - da una motivazione esistente e non certo apparente.
 

P.Q.M.
 

Dichiara inammissibile il ricorso.