Tribunale di Genova, Sez. Lav., 06 ottobre 2021 - Obbligo o onere di vaccinazione?






TRIBUNALE DI GENOVA

SEZIONE LAVORO


Il Giudice, nel procedimento in epigrafe, visto il ricorso proposto ex art 700 cpc il 12.8.2021 da (omissis) nei confronti del (omissis) per l'ottenimento dell'immediata reintegra nelle proprie prestazioni lavorative e mansioni, attualmente sospese, con diritto alla percezione della retribuzione, o, in via subordinata, per l'assegnazione, ove possibile, a mansioni anche inferiori, con il trattamento corrispondente, ordinando a parte resistente, accertata l'assenza di valutazioni in tal senso, di compiere quelle dovute circa la possibilità di modificare la organizzazione lavorativa della ricorrente affinchè non abbia contatto alcuno con gli altri tecnici di laboratorio o in merito alla possibilità di attribuzione di altre mansioni, anche inferiori, che non implichino rischi di diffusione del contagio, visti gli atti e le difese delle parti, istruito il procedimento e viste le loro conclusioni, a scioglimento della riserva, provvedendo fuori udienza
 

OSSERVA

Con ricorso depositato il 12 agosto 2021, la dott.ssa (omissis), dipendente a tempo indeterminato del (omissis) di Genova dal 1991, inquadrata al livello D, con mansioni di tecnico sanitario di laboratorio biomedico, addetta al Laboratorio di (omissis), ha premesso, in primo luogo, nell'adempimento delle proprie mansioni, di non aver alcun contatto con i soggetti destinatari delle prestazioni di cura ed assistenza rese dall'Ospedale, né con loro parenti o accompagnatori. Ciò attese le modalità di accesso al luogo di lavoro, al secondo piano della struttura, sito in un corridoio dove vi sono solo laboratori con accesso vietato al pubblico, riferendo al contempo di ritenere normale o comunque facilmente organizzabile il proprio isolamento anche durante le attività svolte durante il turno di lavoro, distribuito fra quattro operatori in alternanza tra loro.

Ulteriormente, la ricorrente ha evidenziato la sostanziale assenza di contatti con riferimento al recapito del materiale biologico da analizzare, con riguardo alle formalità di registrazione e all'attività di preparazione dei campioni biologici e loro esame, svolte rispettivamente in locali ampi e con postazioni distanziate, da tecnici dotati di dispositivi di protezione individuale e rispetto alla stanza macchinari riferendo come la stessa sia stata ricavata riunendo tre stanze di fatto separate da un muro, e ha rilevato, nel complesso, la mancanza di contiguità con i colleghi anche rispetto alle operazioni finali relative ai risultati degli esami.
La dott.ssa (omissis) ha quindi riferito e contestato di essere stata sospesa dal servizio e dalla retribuzione con delibera datoriale del 21 luglio 2021, in ragione della mancata sottoposizione alla vaccinazione anti Covid, fino all'assolvimento dell'obbligo vaccinale o al completamento del piano vaccinale nazionale e comunque e allo stato, non oltre il 31 dicembre 2021. Ciò sulla base del disposto dell'art. 3  Dl 44/2021 e successiva conversione con L. 76/2021, in materia di Misure urgenti per il contenimento dell'epidemia da COVID-19, in materia di vaccinazioni anti SARS-CoV-2, di giustizia e di concorsi pubblici, norma che contiene Disposizioni urgenti in materia di prevenzione del contagio da SARS-CoV-2 mediante previsione di obblighi vaccinali per gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario.
Non contestando su un piano generale di rientrare nell'ambito applicativo della predetta disposizione, in quanto, effettivamente "operatore di interesse sanitario" ai sensi della normativa in materia, la ricorrente ha ritenuto di evidenziare la differenza, riscontrabile in detta normativa, fra operatori che eseguono metodiche diagnostiche solo su materiali biologici e operatori che le eseguono direttamente sulla persona, sul punto richiamando l'art. 4 comma 1 del DM Ministero della Sanità 29.3.2001 in virtù del quale l'area diagnostica risulta distinta in quattro diverse figure professionali (il tecnico audiometrista, il tecnico sanitario di laboratorio biomedico, il tecnico sanitario di radiologia medica e quello di neurofisiopatologia) per alcuni dei quali il contatto personale con il soggetto da esaminare sarebbe escluso.
Dalla presenza di tale distinzione, secondo parte ricorrente tenuta presente anche nella normativa applicabile al suo caso, discenderebbe la chiave interpretativa dell'espressione usata nell'art. 4 D.L. 44/2021 ai fini di circoscrivere i limiti dell'obbligo vaccinale imposto, finalizzato alla tutela della salute pubblica e al mantenimento di adeguate condizioni di sicurezza nel solo settore della "erogazione delle prestazioni di cura e assistenza" al quale i tecnici di laboratorio sarebbero estranei, ponendo in essere solo un servizio a ciò strumentale.
Sostenendo ciò, la ricorrente ha argomentato quindi la propria esclusione dall'obbligo vaccinale, richiamando a sostegno anche altre disposizioni del medesimo testo normativo, conclusivamente sostenendo che detto obbligo riguardi unicamente chi abbia contatti interpersonali con i soggetti beneficiari delle prestazioni di cura e assistenza, mentre gli addetti ad altre mansioni, quali, per l'appunto i tecnici di laboratorio, che tali contatti non hanno, sarebbero tenuti a rispettare le sole prescrizioni di sicurezza previste dettate per ogni ambiente di lavoro.

Quale ulteriore, dedotto, motivo di ritenuta illegittimità del provvedimento sospensivo impugnato, la ricorrente ha poi sostenuto l'assenza, da parte del datore di lavoro e in contrasto con quanto espressamente previsto dal citato art. 4 dl 44/2021, dell'adozione di soluzioni organizzative idonee ad escludere il pericolo di contatto, evidenziando la sostanziale assenza di sforzi in tal senso, la inadeguata e contraddittoria motivazione circa l'impossibilità di collocazione alternativa e la inidoneità dei provvedimenti presi anche a dar contezza della consistenza numerica dei casi necessitanti una eventuale ricollocazione, tenendo conto dei costi e rendendo possibile una comparazione a riguardo, il tutto in contrasto con principi costituzionali di buon andamento della P.A. e di uguaglianza.
A tale ultimo proposito, la dott. (omissis) ha altresì sottolineato la ritenuta disparità di trattamento, nelle ipotesi di sospensione dal servizio, tra la propria situazione e quella dei dipendenti pubblici sia in generale, sia nel comparto sanità, qualora sottoposti a procedimento penale, attesa la previsione, in tale caso, per disposizione normativa e contrattuale, solo di una riduzione della retribuzione e non dell'intera privazione.
Palesando infine le motivazioni personali in punto decisione di non sottoporsi a vaccinazione nei loro riferimenti costituzionali e alla giurisprudenza e normativa eurounitaria, la ricorrente ha quindi complessivamente concluso per la piena sussistenza del fumus boni iuris del proprio diritto.

In punto periculum in mora, la dott.ssa (omissis) ha evidenziato, nel presupposto della natura alimentare della retribuzione e del valore costituzionale del diritto al lavoro, le difficoltà derivante dalle spese di sostentamento anche relative alla propria madre, unico suo familiare stretto e la presenza di scarse risorse in termini di liquidità, ritenendoli elementi idonei a integrare l'urgenza nel provvedere e concludendo come riportato in epigrafe.
Si è costituito nel procedimento (omissis) – Sistema Sanitario (omissis) - integralmente e con ampie difese, in fatto ed in diritto, ogni deduzione e argomentazione di parte ricorrente e concludendo per il rigetto del ricorso.

Il procedimento è stato trattato ed istruito in più udienze, con la concessione di termine alle parti anche per il deposito di note difensive, ed è stato trattenuto a decisione all'udienza del 30 settembre. Alla luce della trattazione e dell'istruttoria svolta, il ricorso proposto si ritiene infondato e non va, pertanto, accolto.

L'analisi della fattispecie rende in primo luogo opportuna una riflessione sul dato normativo presupposto della sospensione applicata alla ricorrente, la quale, come detto, sostiene di non rientrare in luogo delle mansioni attribuite e svolte, nell'ambito degli operatori nel settore sanitario per i quali sussiste un obbligo di vaccinazione.

La circostanza che, con riferimento alla somministrazione del vaccino anti Covid, si possa propriamente parlare della creazione di un obbligo in senso proprio e giuridico, non appare affatto scontata, anche al di là della terminologia utilizzata dal legislatore in merito.

La posizione giuridica soggettiva di obbligo, nell'ambito di interesse per la controversia, che è quello di un rapporto di lavoro (o di pubblico impiego) si ritiene infatti che debba intendersi quella in cui si trova chi è costretto a sacrificare radicalmente un proprio interesse e a tenere un determinato comportamento consistente, in particolare, in un fare o non fare.
Nella fattispecie, seguendo l'impostazione della stessa parte ricorrente, che fa valere nel presente giudizio propri diritti, la posizione della dott.ssa (omissis) sembrerebbe piuttosto rispondere al concetto di onere. In esso si identifica infatti la posizione di chi, al fine di poter realizzare un interesse proprio (la prestazione dell'attività lavorativa) è tenuto a porre in essere un determinato comportamento (sottoporsi a vaccinazione) in mancanza del quale, il diritto vantato non può essere fatto valere. Ciò che viene pregiudicato, nel caso, a seguito della mancata vaccinazione, non è 1'esistenza, ma l'attuazione concreta di un diritto che è e rimane tale.
In altre parole, il diritto vantato dalla ricorrente al lavoro (e alla libera espressione delle proprie scelte) non viene nel caso negato, ma solo compresso, a tempo, peraltro, determinato, difettando un presupposto per il suo concreto esercizio.

Le considerazioni che precedono costituiscono un primo presupposto di importanti conseguenze, in termini di valutazione e comparazione della compressione che l'onere comporta, rispetto al controvalore in gioco, che, nel caso, corrisponde alla esigenza di tutelare, come riconosciuto dalla stessa ricorrente, il diritto alla salute pubblica e alla sicurezza nel luogo lavoro (il cui mantenimento, per il datore di lavoro, è peraltro riconducibile ad uno specifico dovere).
Vera la premessa, è evidente come la tutela che deve essere apprestata nel settore di appartenenza della dott. (omissis) quello sanitario, vede i predetti diritti dotati di particolare forza, in quanto riferiti ad un ambiente di persone che, presuntivamente e comunque secondo la scelta del legislatore, appartengono ad una categoria particolarmente vulnerabile in modo diretto, o in modo indiretto, in quanto partecipi di un ambiente nel complesso di indubbia criticità per i problemi di salute che vi si riscontrano. La circolazione e diffusione di un virus in tali ambienti costituisce quindi oltre che un pericolo di normale intensità, rapportata al fenomeno, per gli operatori presenti (ad esempio per i colleghi del non vaccinato) o per chi l'ambiente comunque frequenta, un rischio di intensità maggiore per l'utenza (o comunque per gli operatori) che da tali problemi è affetta. E sul fatto che queste esigenze di tutela costituiscano la ratio della normativa già menzionata, e in particolare dell'art. 4 dl 33/2021, contestualmente ed espressamente diretta ad evitare anche il rischio di diffusione del contagio, non si ritiene possano esservi dubbi (il che costituisce un secondo presupposto delle conseguenze che seguono).
Ciò premesso una interpretazione, ritenuta sostanzialmente ingiustificata e troppo estensiva da parte ricorrente, dell'inciso contenuto in detta disposizione "al fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni dì sicurezza nell'erogazione delle prestazioni di cura e assistenza", tanto da ricomprendere tra chi eroga tali prestazioni anche figure quali il tecnico di laboratorio, non pare affatto tale, rispondendo, per contro, pienamente, alle finalità che la stessa normativa persegue, quale legislazione dal carattere speciale e emergenziale, che ai fini della tutela di fondamentali diritti, in un'ottica di bilanciamento, ben quindi può imporre pesi, in termini, come detto, di meri oneri, per quanto indubbiamente gravosi, a chi tale tutela, sempre secondo la legge, in qualche modo preclude.
Peraltro una lettura nel senso ora proposto, non sembra neppure preclusa dalla lettera della norma in esame, atteso che nel prosieguo, la stessa pone il vincolo di vaccinazione, in connessione alle predette finalità, in capo a soggetti, tra cui gli operatori di interesse sanitario, quali la ricorrente, che " svolgono la loro attività " (ovviamente sanitaria) in strutture (sanitarie, sociosanitarie ecc...) tra le quali è indubbio che rientri l'Ospedale resistente, non operando alcun riferimento espresso alle modalità con cui tale attività deve essere svolta per essere rilevante a riguardo.
Per quanto precede, non si ritiene che l'art. 4 dl 44/2021 fondi una distinzione fra operatori nel settore sanitario che hanno un contatto interpersonale con chi beneficia delle prestazioni e chi questo contatto, in ragione dei compiti affidati, normalmente non abbia. Né si reputa che tale distinzione possa trovare, come sostenuto da parte ricorrente, un appiglio normativo in altre disposizioni quali l'art. 4 comma 1 del DM Ministero della Sanità 29.3.2001, norma dalla portata meramente definitoria ed integrativa delle figure professionali di cui alla L 251/00 tracciate a fini di classificazione e disciplina del tutto diversi.
Infine, va evidenziato a sostegno di quanto sino ad ora argomentato, come il comma 6 dell'art. 4 dl 44/2021, laddove introduce la conseguenza della mancata vaccinazione, e cioè la sospensione, in prima battuta da parte della A.S.L. si riferisca espressamente alle "prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARD - CoV-2", ribadendo, nella sostanza, tale concetto nel comma 8, che, con riguardo alla ricerca di soluzioni alternative da parte del datore di lavoro, precisa la necessità che le diverse mansioni esercitate "non implichino rischi di diffusione del contagio", prescindendo questa volta totalmente dal riferimento al contatto interpersonale.

Conclusivamente, il rischio di diffusione del contagio appare ciò che la norma, per le sue finalità, vuole evitare sotto ogni profilo, rischio che la norma configura, per quanto osservato, anche come "ambientale", a prescindere dalla necessità che lo stesso si manifesti nel contesto di contatti interpersonali.

La tutela particolarmente avanzata e preventiva che la norma offre, implica che in merito a tale rischio debba operarsi ovviamente una valutazione ex ante, in termini di potenzialità lesiva, laddove la natura del medesimo, legato all'ampiezza di un contagio virale che le recenti e notorie esperienze riportano come di particolare rapidità e facilità proprio di diffusione, si ritiene che, ulteriormente, renda una quantificazione dello stesso rischio, meno rilevante di quanto a prima vista possa apparire. E' evidente infatti che la frequentazione di molte persone possa percentualmente comportare maggiori contagi, ma la pericolosità anche di contatti quantitativamente limitati, se sicuramente può ridurre il pericolo di diffusione, non può di certo evitarlo o contenerlo in modo determinante.
Riportando quanto fino ad ora osservato al caso concreto e alla luce di quanto emerso dalla istruttoria, quanto affermato dalla ricorrente circa la sostanziale assenza di rischio legato alle condizioni ambientali e alle modalità del suo operare quotidiano, non ha comunque trovato idonea e sufficiente conferma.

L'informatrice (omissis) di dichiarata buona conoscenza dei luoghi ove la ricorrente presta il suo servizio in quanto direttrice della U.O. Governo Clinico e Organizzazione Ospedaliera di riferimento della Direzione Sanitaria, ha in primo luogo chiarito come il tipo di cure prestate nel padiglione dell'(omissis), di collocazione del laboratorio di appartenenza della dott.ssa (omissis), riguardi persone ultrafragili, in quanto pazienti oncologici, precisando che per raggiungere il piano del laboratorio, così come altre destinazioni, ci si muova attraverso tutti i piani del padiglione, compreso quello, il secondo, di collocazione del laboratorio medesimo, anche se i degenti/pazienti non vi accedono direttamente.
L'informatrice, riferendo come il flusso di persone nel padiglione sia molto elevato, senza possibilità che la presenza di cartelli di divieto di accesso ne garantisca il rispetto, ha poi ulteriormente specificato come l'accesso al piano del laboratorio sia possibile da vari piani, tutti occupati da pazienti o utenti, come detto molto fragili, in assenza di ascensori riservati e in presenza di una sola scala, laddove tale organizzazione è stata pensata proprio al fine di isolare e proteggere i pazienti oncologici dagli altri reparti, concentrandoli in un'unica struttura, con rigide regole, soprattutto in questo periodo di pandemia, per le visite degli esterni ai degenti.

La dott.ssa (omissis) ha poi indicato la presenza di servizi igienici e spogliatoi comuni per la ricorrente e i suoi colleghi dando contezza, complessivamente, dell'amplissima tipologia e numero di persone che quotidianamente per ragioni non solo lavorative, accede quotidianamente alla struttura, facendo anche particolare riferimento alla presenza di squadre di trasporto di materiali destinati all'analisi del laboratorio di cui si discute, senza alcuna certezza, allo stato, della sostituzione dell'opera personale in tale settore con un sistema di posta pneumatica.
Nello stesso senso risultano le dichiarazioni dell'ulteriore informatore, (omissis), Direttore da circa due anni delle Professioni Sanitarie all'interno dell'Ospedale resistente e anch'egli specificamente emerso, anche per il recente sopralluogo dichiarato come effettuato, come particolarmente edotto sullo stato dei luoghi. Quest'ultimo ha anche precisato, per quanto di sua conoscenza, dell'impossibilità di predisporre percorsi isolati per raggiungere il laboratorio dove opera la ricorrente e di isolare servizi igienici e spogliatoi, confermando l'assetto della struttura già riferito dalla precedente informatrice, e ha fornito ulteriori notizie su presenze e trasporto materiali biologici, specificando anche in merito ad un uso promiscuo dei macchinari utilizzati per fattività in laboratorio, attivi peraltro a servizio di tutto l'Ospedale e non solo dell'(omissis).
Ulteriori e univoci riscontri, in senso opposto alle affermazioni di parte ricorrente, si rinvengono nelle dichiarazioni del Prof. (omissis) Direttore di (omissis) di appartenenza del laboratorio della ricorrente e del Dipartimento (omissis).

L'informatore, all'evidenza particolarmente edotto sulle modalità di operare della struttura da lui diretta, oltre a confermare quanto già dichiarato dagli altri, ha ben delineato la situazione in esame esprimendo un concetto chiarificatore: "l'idea che l'attività del tecnico di laboratorio come la ricorrente possa operare in modalità isolate rispetto ad altre persone è irrealizzabile ed anzi comporterebbe un rischio clinico essendo da un lato il coordinamento tra le varie figure presenti (biologi e tecnici) del tutto indispensabile e dall'altro lato l'accesso a e da i luoghi ove si svolge l'attività e la prossimità con altre parti della struttura altrettanto necessariamente implicante il contatto con altre persone." specificando ulteriormente "il contatto tra le figure professionali che si occupano in particolare degli esami citofluorimetrici è essenziale, frequente e personale anche se non in via esclusiva. Peraltro si tratta di esami che necessitano altissima specializzazione e coordinamento anche sotto il profilo della comunicazione fra operatori anche in ragione della esperienza che viene maturata sul campo." riportando della frequenza di contatti anche con riguardo a "i risultati delle analisi compiuti dai macchinari" che "entrano in rete e sono consultabili direttamente dai biologi per le loro valutazioni" aggiungendo "ma è evidente che dette valutazioni possano richiedere un interazione diretta coi tecnici ciò che porta al confronto diretto cui ho fatto riferimento."

Tutto questo in un riferito contesto di assenza di postazioni assegnate personalmente, con turni di più usuale composizione di due biologi e due tecnici contestualmente, operanti su due o tre macchinari, oggetto di manutenzione molto frequente da personale esterno anche in presenza dei tecnici e dei sanitari, in locali meramente divisi da paratie.

L'informatore, anche visionando la pianta della struttura prodotta in atti da parte resistente, ha poi chiarito come sul piano del laboratorio (riferito come di possibile accesso accidentale di terzi o a seguito, comunque, dell'utilizzo dell'ascensore promiscuo) si trovino effettivamente anche un laboratorio di analisi citologica, frequentato anche da utenza esterna e un'unità operativa per i tumori ereditari, anch'essa di accesso pubblico, ulteriormente dimostrando come l'attività svolta dalla ricorrente non possa affatto intendersi isolata come sostenuto.
Le dichiarazioni che precedono risultano poi essere state particolarmente avvalorate dalle dichiarazioni degli informatori indicati dalla stessa parte ricorrente, colleghi diretti della medesima, e quindi, presuntivamente, ancora a più precisa conoscenza dello stato dei luoghi dove opera e delle modalità concrete di svolgimento della sua attività.

Dall'insieme dei dati traibili dalle descrizioni operate dai tecnici di laboratorio, dott. (omissis) e (omissis) oltre che un espresso ed ulteriore riscontro di quanto già riportato, emergono infatti elementi ancora più pregnanti e significativi, riportati in modo ancora più dettagliato sugli aspetti ora esaminati.

Tra questi vanno menzionati quelli sulla normale compresenza in turno di almeno due tecnici, sulla comunanza di zone, quali l'atrio e servizi, quali l'ascensore, utilizzato anche dai pazienti, in posizione centrale al secondo piano, sull'uso contemporaneo di macchinari per l'analisi di campioni di pazienti diversi, sulla frequente necessità di contatto tra tecnici o tra tecnici e biologi, o con i manutentori, per capire i problemi verificatisi sui macchinari, o con i trasportatori di materiali, sulla unicità della stanza di preparazione del materiale da analizzare e, ancora, sul possibile accesso al secondo piano anche di pazienti per il ritiro di referti, sulla presenza, al secondo piano, anche di un settore di biologia molecolare e, infine, sulla esiguità degli spazi a disposizione sia nei locali di processamento dei campioni (circa 2,5 mq) sia di posizionamento dei macchinari (circa 3 mq) ed altri ancora.
Tutti gli elementi sopra considerati portano nel complesso ad affermare non solo, come chiarito, che la ricorrente operi in modo tutt'affatto che isolato, ma che neppure sia verosimilmente ipotizzabile che sia l'assetto della struttura, generale così come nella porzione nella quale la dott.ssa (omissis) specificamente lavora, sia le modalità di accesso e di attività della stessa, possano essere modificate a garanzia del suo isolamento (tralasciando il problema della possibilità di verifica e controllo del loro relativo rispetto) per arginare il rischio di diffusione del contagio sul quale la norma si propone di intervenire (tanto più se le dimensioni del rischio, come si è accennato, possano assumere una valenza relativa).

L'ulteriore aspetto affrontato dalla ricorrente nelle proprie censure sull'operato datoriale riguarda il problema del suo eventuale ricollocamento, che, coerentemente, va risolto richiamando le considerazioni fino ad ora espresse (sul punto, richiamando quanto riferito dalla informatrice: "il problema di un eventuale ricollocamento deve prendere in considerazione non solo il contatto con i pazienti ma anche con personale o comunque persone. Oltre ai non vaccinati per scelta ci sono anche i dipendenti che non possono essere vaccinati per motivi di salute").
L'art. 4 dl 44/2021, al comma 8, affronta anche questo aspetto, laddove prevede, una volta accertata la mancata sottoposizione a vaccino da parte del sanitario e previo intervento sospensivo della A.S.L. e comunicazione all'Ordine Professionale di appartenenza (commi 6 e 7) che il datore di lavoro adibisca "il lavoratore, ove possibile, a mansioni, anche diverse da quelle indicate al comma 6, con il trattamento economico corrispondente alle mansioni esercitate, e che, comunque, non implichino rischi di diffusione del contagio. Quando l'assegnazione a mansioni diverse non è possibile, per il periodo di sospensione di cui al comma 9, non è dovuta la retribuzione, altro compenso o emolumento, comunque denominato".
La ricorrente ha espresso sul punto decise doglianze sul modo di operare e provvedere di parte resistente, assumendo l'assenza di adeguato attivarsi e motivare sul punto da parte di quest'ultima. Riprendendo ulteriormente le dichiarazioni della informatrice (omissis) e (omissis) sul punto, a sostegno delle difese di parte resistente va sottolineato, in primo luogo, come il problema del ricollocamento, in una struttura quale l'Ospedale datore di lavoro, non si ponga affatto come di semplice soluzione.
La dott.ssa (omissis) ha specificamente affermato a riguardo "Oltre ai non vaccinati per scelta ci sono anche i dipendenti che non possono essere vaccinati per motivi di salute e il numero complessivo è difficile da stimare perché la Asl non lo fornisce se non di volta in volta. Per ora sono state individuate solo due postazioni da magazziniere destinate a chi tra i dipendenti ha problemi di propria protezione in quanto ultra fragile."

La circostanza del dover tener conto di più persone interessate al ricollocamento è stata riscontrata anche dal dott. (omissis).

Peraltro, la stessa quantificazione di dette persone è emersa quale operazione complessa, atteso che, come incontestato in causa (cfr. anche la dichiarazione a riguardo del dott. (omissis)) l'identificazione del personale non vaccinato, di quello non tenuto a vaccinarsi e di quello fragile o ultrafragile, che presentano al presente fine, problematiche identiche o analoghe, che costituiscono dati, necessari ad ogni ragionamento, necessariamente provengono dalla ASL di riferimento, in più ondate e/o potrebbero porre problemi di tempestiva conoscenza, tanto da rendere difficile una comparazione in linea con i tempi di ricezione medesimi.

Nonostante tali difficoltà, si ritiene che parte resistente abbia nel procedimento dimostrato di essersi ampiamente attivata, dando esito recente dell'istruttoria compiuta nel verbale di sopralluogo prodotto in atti, preceduto, comunque da altra attività di monitoraggio e ricerca (cfr la nota già del 26.4.2021 del Direttore delle U.U.O.O. Sviluppo e Gestione Risorse Umane prodotta sub 4 da parte resistente) diretta a verificare sul campo la presenza effettiva e rispondente ai criteri normativi di posti di lavoro da assegnare secondo i criteri di cui al dl 44/2021, riservandosi di ricollocare in via prioritaria il personale esentato dalla vaccinazione per accertato pericolo per la salute.
Quest'ultimo criterio, ammesso che le scelte organizzative datoriali siano sotto questo profilo in qualche modo passibili di eventuale censura, pare del tutto corretto, atteso che tale personale non può essere, per legge, sospeso dal lavoro. A ciò va aggiunto, che, per espressa disposizione normativa, come pure sottolineato dalla difesa di parte resistente, i dipendenti ricollocati non possono neppure essere sostituiti, ciò che risponde sia ad esigenze di contenimento della spesa pubblica, sia e soprattutto a ragioni di dovuta continuità del servizio, posto a garanzia della salute collettiva (cfr., in particolare, l'art. 4 comma 12 dl 44/2021).
A riguardo e con riferimento alla posizione specifica della ricorrente non può infine tralasciarsi come la stessa svolga mansioni - come verosimilmente altri nella sua situazione - altamente specializzate e necessitanti una apprezzabile esperienza, tanto da non potersi ritenere in alcun modo fungibili (cfr anche le già ricordate dichiarazioni dei sommari informazioni sul punto).

Gli esiti del sopralluogo hanno prodotto sotto quest'ultimo profilo - e anche più in generale - risultati molto modesti. Il dott. (omissis) che al sopralluogo ha partecipato personalmente, ha confermato, come, al momento delle sue dichiarazioni risultassero individuate solo due postazioni utilizzabili allo scopo, entrambe di qualifica O.S.S. e con profilo di magazziniere, una presso lo smistamento provette e una al triage del padiglione 30, con una terza ancora in fase di valutazione.
A questo proposito e quale notazione di mero contorno, non si vuole certo trascurare la indicazione normativa di ricollocare il dipendente anche in mansioni inferiori rispetto a quelle svolte prima della sospensione (art 4 comma 8 dl 44/2021), ma è un dato di fatto che le mansioni di tecnico di laboratorio risultano molto distanti da quelle di magazziniere rispondenti ad una qualifica di O.S.S. (sotto ogni aspetto e verosimilmente anche con riferimento al trattamento economico che sarebbe percepito) né, del resto, la ricorrente,

appreso il dato, ha manifestato una qualche forma di eventuale accordo rispetto a questo tipo di sistemazione.

Ciò che invece rileva è la già accennata particolare complessità dell'operazione in esame, a riprova della quale si evidenzia come, dalle dichiarazioni del Dott. (omissis), il predetto, limitatissimo, risultato sia il frutto di una dovuta e ulteriore scrematura rispetto a sette postazioni individuate in un primo momento, risultate poi in parte inidonee, dovendo essere la valutazione compiuta da più figure competenti e congiuntamente (cfr. anche la copia del verbale di sopralluogo in atti preceduta da comunicazioni dello stesso Dott. (omissis) e del Direttore Generale (omissis) docc. da 2 a 4 di parte resistente).
Detto informatore ha inoltre prospettato come possibile soluzione per la ricollocazione dovrà in ogni caso prevedere anche meccanismi di rotazione tra il personale richiedente.

La circostanza che al momento il numero di interessati risulti di circa 50 persone (cfr. le difese finali di parte resistente sul punto) rende però di fatto, come sottolineato da parte resistente, soprattutto sul breve periodo, il criterio della rotazione sostanzialmente inapplicabile (non bisogna dimenticare infatti come ricoprire mansioni, soprattutto se del tutto diverse da quelle ordinariamente svolte implichi notevoli sforzi di riconversione, economici e non oltre a comportare una pre valutazione di idoneità ai nuovi compiti).
Tutti gli elementi ora analizzati portano a ritenere non solo la sussistenza di un pieno adempimento della struttura resistente agli obblighi normativi di ricerca di soluzioni alternative rispetto alla situazione concretamente verificatasi in azienda, ma anche la verosimile impossibilità, allo stato, di una ricollocazione della ricorrente, in ragione dell'assetto della struttura in cui opera, considerato nel suo complesso.

Anche sotto tale profilo, pertanto, le doglianze della dott.ssa (omissis) devono essere disattese.

Per quanto concerne i rilievi di contrasto con principi costituzionali, derivanti dalle limitazioni imposte a chi non intenda vaccinarsi, si rinvia, per il caso specifico della ricorrente, a quanto già osservato in punto posizioni giuridiche di riferimento e bilanciamento di interessi.

Con riguardo peculiare alla dedotta violazione dell'art. 3 della Costituzione, derivante, in tesi di parte, dalla totale privazione della retribuzione, a fronte della parziale conservazione in casi di sospensione dovuta all'apertura di procedimenti penali - questione che, per contro, si ritiene di dover brevemente affrontare - si ritiene che, invero, tra le due situazioni siano riscontrabili differenze idonee a giustificare il dedotto, diverso trattamento.

Come anche in parte evidenziato da parte resistente, il dipendente sottoposto a processo penale è infatti soggetto ad un accertamento di un'eventuale colpevolezza indeterminato

non solo nell'esito ma anche nei tempi, mentre la limitazione derivante dalla sospensione per mancata vaccinazione trova fonte in un presupposto già accertato e una vigenza temporale predeterminata nel massimo.

Aderendo quindi ad un orientamento di merito diffuso sulle tematiche discusse nella presente sede, di recentissima insorgenza, con il conforto anche della pronuncia 24.8.2021 della Corte Europea dei Diritti Umani resa su ricorso avverso disposizioni normative francesi analoghe a quelle italiane (L 5.8.2021, ricorso n. 41950 Abgral e altri, in cui si è invocato - ma negato - un provvedimento d'urgenza nei confronti della sospensione da servizio e stipendio di alcuni vigili del fuoco) e non ravvisando, infine, per tutto quanto detto, l'assenza di una giustificazione oggettiva e ragionevole rispetto ai limiti imposti a chi non intenda vaccinarsi tale da comportare una incompatibilità con la Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, si ritiene di concludere per l'assenza, nella prospettazione della dott.ssa (omissis) di un fumus di fondatezza dei pretesi diritti in causa, difettando pertanto uno dei presupposti richiesti, in via assorbente, per tutti i provvedimenti di urgenza che hanno formato oggetto delle sue istanze.
Quanto precede sarebbe già sufficiente per respingere il ricorso, per completezza ritenendo comunque di aggiungere come anche rispetto all'ulteriore requisito del periculum in mora, attese pure le contestazioni di parte resistente, si ravvisi in quanto dalla dott.ssa (omissis) affermato, una carenza deduttiva, ancor prima che probatoria, risultando ciò che è stato prospettato inidoneo, anche in ragione della già accennata temporaneità della sospensione dal lavoro e retribuzione alla stessa applicata, a dare adeguata ed idonea contezza della sua effettiva situazione patrimoniale a fini di valutare una effettiva urgenza nel provvedere.
Tutto quanto sopra premesso e ritenuto il ricorso proposto risulta complessivamente infondato e va pertanto rigettato, risultando l'operato di parte resistente, allo stato e nei limiti del presente procedimento, non meritevole di censure.

La novità delle questioni trattate giustifica la compensazione delle spese del procedimento tra le parti.


 

P.Q.M.
 


Visti gliartt. 669 septies e700 cpc:

Respinge il ricorso;

Compensa tra le parti le spese del procedimento. Si comunichi.

Genova 6 ottobre 2021 Il giudice
Maria Giovanna Dito