Cassazione Penale, Sez. 3, 17 settembre 2021, n. 34586 - Amministratore di condominio e prevenzione incendi
Presidente: SARNO GIULIO
Relatore: CORBO ANTONIO Data Udienza: 28/05/2021
Fatto
1. Con sentenza emessa in data 9 luglio 2020, il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Milano, all’esito di giudizio abbreviato, ha dichiarato la penale responsabilità di N.V. per il reato di cui all'art. 20, comma 1, d.lgs. n. 139 del 2006, e gli ha irrogato la sanzione di 1.200,00 euro di ammenda, con applicazione della diminuente per il rito, ma con diniego delle circostanze attenuanti generiche e della sospensione condizionale della pena.
Secondo i G.u.p., l'imputato, nella sua qualità di amministratore di un condominio, avrebbe omesso di presentare la segnalazione certificata di inizio di attività a fini antincendio, pur essendo l'edificio destinato a civile abitazione e di altezza superiore a 24 metri, fino alla data 14 giugno 2019.
2. Ha presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza del Tribunale indicata in epigrafe N.V., con atto a firma dell'avvocato Stefano Legnaioli, articolando due motivi.
2.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento all'art. 20, comma 1, d.lgs. n. 139 del 2006, a norma dell'art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., avendo riguardo alla ritenuta sussistenza del reato contestato.
Si deduce che il fatto contestato e ritenuto non è riconducibile alla fattispecie prevista dall'art. 20, comma 1, d.lgs. n. 139 del 2006. Si premette che la fattispecie incriminatrice richiede come presupposto della condotta lo svolgimento di un'attività, la quale deve: a) essere individuata con decreto del Presidente della Repubblica; b) essere assoggettata a controlli di prevenzione incendi; c) comportare la detenzione e l'impiego di prodotti infiammabili, incendiabili o esplodenti, da cui derivano, in caso di incendio, gravi pericoli per l'incolumità della vita e dei beni. Si osserva, poi, che la mera altezza di un fabbricato non costituisce "attività", né implica detenzione o impiego di prodotti infiammabili, incendiabili o esplodenti, e che, in relazione alla detenzione o all'impiego di prodotti infiammabili, incendiabili o esplodenti, non è stato fornito alcun elemento di prova. Si precisa che l'osservazione della sentenza impugnata, secondo cui tale detenzione o impiego è una conseguenza della presenza della centrale termica e dei box per le automobili, poggia su una premessa indimostrata, perché la presenza di tali elementi, nel condominio interessato, non è provata in concreto, e non può essere affidata al notorio, essendovi condomini senza centrale termica e senza box.
2.2. Con il secondo motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., avendo riguardo al diniego delle circostanze attenuanti generiche e della sospensione condizionale della pena.
Si deduce, in primo luogo, che la sentenza impugnata non ha indicato alcun elemento in forza del quale negare le circostanze attenuanti generiche, nonostante l'imputato sia incensurato ed il reato sia una contravvenzione per fatto omissivo. Si deduce, in secondo luogo, che manifestamente illogica è la motivazione relativa al diniego della sospensione condizionale della pena, la quale si fonda sull'asserito interesse dell'imputato a non usufruire del beneficio perché la sanzione è esclusivamente di tipo pecuniario.
Diritto
1. Il ricorso è fondato limitatamente al beneficio della sospensione condizionale della pena, mentre è infondato nel reato.
2. Complessivamente infondate sono le censure formulate nel primo motivo, che contestano la ritenuta sussistenza del reato di cui all'art. 20, comma 1, d.lgs. n. 139 del 2006, la quale sanziona la violazione dell'obbligo, per i titolari della attività soggette ai controlli di prevenzione incendi, di presentare la segnalazione certificata di inizio attività o la richiesta di rinnovo periodico della conformità antincendio deducendo sia, in generale, che la disposizione non sarebbe riferibile ad un condominio, tra l'altro esclusivamente in ragione della sua altezza, sia che, comunque, nella specie, non sono indicati elementi dimostrativi della detenzione o dell'impiego, da parte del ricorrente, di prodotti infiammabili, incendiabili o esplodenti.
3. Ai fini dell'esame delle censure, sembra utile partire dal testo delle disposizioni di legge.
Innanzitutto, l'art. 20 d.lgs. 8 marzo 2006, n. 139, rubricato «Sanzioni penali e sospensione dell'attività», al comma 1, nel testo vigente per effetto della riforma recata dall'art. 3, comma 8, d.lgs. 29 maggio 2017, n. 97, così prevede la fattispecie per la quale è stata pronunciata la condanna: «l. Chiunque, in qualità di titolare di una delle attività soggette ai controlli di prevenzione incendi, ometta di presentare la segnalazione certificata di inizio attività o la richiesta di rinnovo periodico della conformità antincendio è punito con l'arresto sino ad un anno o con l'ammenda da 258 a 2.582 euro, quando si tratta di attività che comportano la detenzione e l'impiego di prodotti infiammabili, incendiabili o esplodenti, da cui derivano in caso di incendio gravi pericoli per l'incolumità della vita e dei beni, da individuare con il decreto del Presidente della Repubblica previsto dall'articolo 16, comma 2.».
L'art. 16, comma 2, d.lgs. n. 139 del 2006, rubricato «Procedure di prevenzione incendi», nel testo vigente per effetto della riforma recata dall'art. 3, comma 4, d.lgs. 29 maggio 2017, n. 97, recita: «2. Con uno o più decreti del Presidente della Repubblica, da emanare a norma dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro dell'interno, sentito il Comitato centrale tecnico-scientifico per la prevenzione incendi, sono individuati i locali, le attività, i depositi, gli impianti e le industrie pericolose, in relazione alla detenzione ed all'impiego di prodotti infiammabili, incendiabili o esplodenti che comportano in caso di incendio gravi pericoli per l'incolumità della vita e dei beni ed in relazione alle esigenze tecniche di sicurezza, nonché le disposizioni attuative relative alle procedure di prevenzione incendi e agli obblighi a carico dei soggetti responsabili delle attività.».
Il d.P.R. emanato a norma dell'art. 16 d.lgs. n. 139 del 2006 è il d.P.R. 1° agosto 2011, n. 151, rubricato «Regolamento recante semplificazione della disciplina dei procedimenti relativi alla prevenzione degli incendi, a norma dell'articolo 49, comma 4-quater, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122», come risulta dall'epigrafe che richiama espressamente il d.lgs. 8 marzo 2006, n. 139, e, in particolare, di questo, gli articoli 16, comma 7, comma poi abrogato dall'art, 3, comma 4, d.lgs. n. 97 del 2017, ma anche 20, ossia proprio la disposizione prevedente le sanzioni penali, e 23, articolo successivamente abrogato.
Il d.p.R. n. 151 del 2011, in particolare, all'art. 2, rubricato «Finalità ed ambito di applicazione», precisa che esso regolamento «individua le attività soggette ai controlli di prevenzione incendi» (comma 1), che nel suo «ambito di applicazione [ ...] rientrano tutte le attività soggette a controlli di prevenzione incendi riportate nell'Allegato I [...]>> (comma 2), e che «[l]e attività sottoposte ai controlli di prevenzione incendi si distinguono nelle categorie A, B e C, come individuate nell'Allegato I in relazione alla dimensione dell'impresa, al settore di attività, alla esistenza di specifiche regole tecniche, alle esigenze di tutela della pubblica incolumità» (comma 3). L'Allegato I appena indicato, al n. 77 della categoria A, include, tra le attività soggette ai controlli antincendio gli edifici destinati ad uso civile con altezza superiore a 24 metri fino a 32 metri.
4. Sulla base di questi dati normativi, risulta corretto ritenere che è configurabile il reato previsto dall'art. 20, comma 1, d.lgs. n. 139 del 2006, concernente l'omessa presentazione della segnalazione certificata di inizio attività o della richiesta di rinnovo periodico della conformità antincendio, in relazione all'attività dell'amministratore di un condominio relativo ad un edificio di altezza superiore a 24 metri.
Invero, la norma incriminatrice si riferisce ai «titolari di una delle attività» che: -) debbono essere soggette ai controlli di prevenzione incendi; -) debbono comportare la detenzione e l'impiego di prodotti infiammabili, incendiabili o esplodenti atti a procurare, in caso di incendio, gravi pericoli per l'incolumità personale e dei beni; -) debbono essere individuate con apposito d.P.R., da emanare secondo quanto previsto dall'art. 16, comma 2, d.lgs. n. 139 del 2006.
Ora, la sottoposizione dell'attività dei condomini relativi ad edifici di altezza superiore a 24 metri ai controlli di prevenzione incendi, e l'applicazione di tale disciplina in forza di un d.P.R. emanato secondo quanto previsto dagli artt. art. 16 e 20 d.lgs. n. 139 del 2006, sono elementi che risultano specificamente dal d.P.R. n. 151 del 2011. Questo testo regolamentare, infatti, dopo aver richiamato espressamente in epigrafe il d.lgs. 8 marzo 2006, n. 139, elenca tutte le attività soggette a controlli di prevenzione incendi, mediante il rinvio all'Allegato I, ed indica, in quest'ultimo, al n. 77 della categoria A, espressamente gli edifici di altezza superiore a 24 metri.
Inoltre, la detenzione e l'impiego di prodotti infiammabili, incendiabili o esplodenti, atti a procurare, in caso di incendio, gravi pericoli per l'incolumità personale e dei beni, nei condomini relativi ad edifici, e quindi anche ad edifici di altezza superiore a 24 metri, è un dato di comune esperienza. Invero, prodotti infiammabili o incendiabili atti a procurare, in caso di incendio, gravi pericoli per l'incolumità personale e dei beni sono anche, ad esempio, gli apparecchi alimentati ad energia elettrica funzionali all'illuminazione degli spazi comuni.
Non sembra dubitabile, poi, che dell'attività relativa agli edifici di altezza superiore a 24 metri, quando costituiti in condominio, sia titolare l'amministratore di questo. Invero, a tal proposito, sembra sufficiente rilevare che, a norma dell'art. 1130 cod. civ., l'amministratore del condominio «deve: [...] 4) compiere gli atti conservativi relativi alle parti comuni dell'edificio».
5. Il rilievo concernente la mancata dimostrazione in concreto della disponibilità di prodotti infiammabili, per il difetto di specifica prova concernente la presenza, nel condominio, della centrale termica e dei box per le automobili, evocati dalla sentenza impugnata, d'altro canto, non si confronta compiutamente con la motivazione della di quest'ultima.
Il Giudice, infatti, ha affermato, in linea generale, che «l'amministratore del condominio, nell'ambito dell'attività svolta, "detiene e impiega" prodotti incendiabili, infiammabili ed esplodenti», ed ha fatto riferimento alla centrale termica ed ai box a titolo meramente esemplificativo. Può aggiungersi, infatti, come rilevato in precedenza, che altri prodotti infiammabili o incendiabili atti a procurare, in caso di incendio, gravi pericoli per l'incolumità personale e dei beni sono anche, ad esempio, gli apparecchi alimentati ad energia elettrica funzionali all'illuminazione degli spazi comuni. Ed è estremamente improbabile, nell'attuale epoca, che un condominio, per di più relativo ad un edificio di grandi dimensioni, sia sprovvisto di tali apparecchi. Per questa ragione, la disponibilità, da parte di un condominio relativo ad un edificio di altezza superiore a 24 metri, di prodotti infiammabili o incendiabili atti a procurare, in caso di incendio, gravi pericoli per l'incolumità personale e dei beni, risulta classificabile tra quelle «nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza», le quali, nel processo civile, a norma dell'art. 115, secondo comma, cod. proc. civ., non avrebbero «bisogno di prova». Posta la pressoché certa disponibilità, da parte dell'amministratore di un condominio relativo ad un edificio di grandi dimensioni, di prodotti infiammabili, incendiabili o esplodenti, atti a procurare, in caso di incendio, gravi pericoli per l'incolumità personale e dei beni, quindi, deve ritenersi fosse onere del ricorrente allegare elementi concreti utili a far desumere il contrario, o comunque a far nutrire un ragionevole dubbio in proposito, e non limitarsi a mere enunciazioni di principio.
6. Infondate sono anche le censure esposte nel secondo motivo, nella parte in cui criticano il diniego delle circostanze attenuanti generiche.
Invero, la motivazione fornita nella sentenza impugnata, secondo cui non risultano elementi positivamente apprezzabili a favore dell'imputato, è corretta, né alcuna sostanziale osservazione in contrario è svolta dal ricorrente, il quale si è semplicemente limitato a valorizzare l'incensuratezza, in sé non sufficiente, atteso il disposto di cui all'art. 62-bis, terzo comma, cod. pen., e la natura omissiva e contravvenzionale del reato.
7. Fondate, invece, sono le censure esposte nel secondo motivo, nella parte in cui criticano il diniego della sospensione condizionale della pena.
7.1. Nella specie, in effetti, il diniego della sospensione condizionale della pena è stato disposto, nonostante l'espressa richiesta della difesa, perché «risponde maggiormente all'interesse dell'imputato non usufruire di detto beneficio».
Costituisce però principio ripetutamente enunciato in giurisprudenza, mai contraddetto, e condiviso dal Collegio, quello secondo cui, in tema di sospensione condizionale della pena, è illegittima la decisione con la quale il beneficio, richiesto dal difensore, sia negato dal giudice sulla base di una valutazione di non convenienza per l'imputato. A fondamento di questo principio, possono essere addotti più argomenti. Innanzitutto, si può osservare che la valutazione di non convenienza per l'imputato di fruire della sospensione condizionale è di pertinenza esclusiva di quest'ultimo (così, in particolare, Sez. 4, n. 9204 del 12/02/2014, Barletta, Rv. 259291-01, in relazione a diniego di sospensione condizionale di pena pecuniaria). Si può inoltre rilevare che la motivazione di non convenienza per l'imputato finisce per disapplicare aprioristicamente il beneficio ogni qual volta si irroghi una pena pecuniaria, in contrasto con i criteri di politica criminale che governano l'istituto, in forza dei quali il giudice deve concedere la sospensione condizionale della pena ogni volta che sulla base dei parametri di cui all'art. 133 c.p. ritenga che il colpevole si asterrà dal commettere ulteriori reati e che la stessa sospensione condizionale possa costituire per il condannato una controspinta al delitto (così, tra le altre, Sez. 1, n. 36830 del 27/09/2005, Rv. 232498-01, nonché Sez. 3, n. 4838 del 29/01/1998, Vaccarella, Rv. 210736-01, ma già Sez. 3, n. 7049 del 08/04/1987, Crucé, Rv. 176100-01, tutte relative a diniego di sospensione condizionale di pena pecuniaria).
7.2. Rilevata l'illegittimità del diniego della sospensione condizionale della pena, deve poi procedersi ad annullamento senza rinvio della sentenza impugnata sul punto, con concessione del beneficio.
Invero, la pena irrogata è mite, in quanto pari a 1.200,00 euro di ammenda, l'imputato è incensurato, come osserva la stessa sentenza impugnata, e non sono indicati o emergono elementi ostativi diversi da quello illegittimamente valorizzato per il diniego del beneficio.
Di conseguenza, non ricorrendo l'esigenza di ulteriori accertamenti istruttori, in applicazione del principio generale enunciato dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite, secondo cui la Corte di cassazione pronuncia sentenza di annullamento senza rinvio se ritiene superfluo il rinvio e se, anche all'esito di valutazioni discrezionali, può decidere la causa alla stregua degli elementi di fatto già accertati o sulla base delle statuizioni adottate dal giudice di merito, non risultando necessari ulteriori accertamenti (il riferimento è a Sez. U, n. 3464 del 30/11/2017, dep. 2018, Matrone, Rv. 271831-01), la sospensione condizionale della pena deve essere concessa in questa sede.
8. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio limitatamente al beneficio della sospensione condizionale della pena, che deve essere disposto in questa sede. Nel resto il ricorso deve essere rigettato.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata , limitatamente al beneficio della sospensione condizionale della pena, che dispone. Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso il 28/05/2021