Cassazione Penale, Sez. 3, 06 settembre 2021, n. 32860 - Esposizione ad amianto e mesoteliomi 


 

Presidente: DI NICOLA VITO
Relatore: REYNAUD GIANNI FILIPPO
Data Udienza: 07/04/2021
 



Fatto



1. Con sentenza del 20 gennaio 2020, la Corte di appello di Brescia, decidendo in sede di giudizio di rinvio disposto con sentenza di questa Corte, Sez. IV, n. 16715/2018 del 14 novembre 2017, in parziale riforma della decisione di primo grado appellata, per quanto qui interessa, ha assolto gli imputati M.G., G.P., M.P., M.A. (succedutisi nella qualità di amministratore delegato della Montedison Spa e/o della Montedipe Spa e della Montepolimeri Spa) nonché C.A., F.G., P.G., Z.F. (succedutisi nella carica di Direttore dello Stabilimento di Mantova appartenente, nel tempo, alle società più sopra menzionate) dai delitti di omicidio colposo plurimo aggravato loro rispettivamente ascritti in danno di B.N., B.D., D.S., L.F., M.L., F.A., dichiarando l'estinzione dei reati ascritti all'imputato G.D. per sopravvenuto decesso dell'imputato. I predetti imputati erano stati in primo grado riconosciuti colpevoli di tali reati, commessi in cooperazione colposa con riguardo ai periodi di tempo in cui ciascuno aveva rivestito le predette cariche, essendo stata riconosciuta la loro corresponsabilità per i decessi di ex lavoratori dello stabilimento Montedison di Mantova, avvenuti per mesotelioma pleurico ovvero, nel solo caso di  F.A., per tumore polmonare.
Con la menzionata sentenza rescindente, questa Corte aveva annullato la precedente decisione resa dalla Corte di appello di Brescia disponendo nuovo giudizio quanto all'accertamento del nesso causale tra le patologie che causarono i decessi e l'esposizione professionale nei periodi in cui gli imputati avevano rivestito la posizione di garanzia. In particolare, quanto ai decessi per mesotelioma, si demandava al giudice del rinvio la disamina del «tema del riconoscimento da parte della comunità scientifica della tesi del c.d. effetto acceleratore e della identificabilità dei termini temporali delle diverse fasi del processo oncogeno, in specie quello che va dall'inizio dell'esposizione al completamento del processo medesimo» e, quanto al decesso per tumore polmonare di  F.A., la nuova disamina del «tema dell'incidenza causale del tabagismo del lavoratore» (pagg. 144 s.).
Escludendo la sussistenza del nesso causale, il giudice del rinvio ha assolto gli imputati dagli addebiti di cui sopra, contestualmente revocando le statuizioni civili disposte nei confronti loro e del responsabile civile Edison Spa in favore delle parti civili costituite, così come sono state revocate le statuizioni civili disposte in relazione ai decessi per mesotelioma degli ex lavoratori S.C. e C.S., rispetto ai quali le imputazioni di omicidio colposo erano già in precedenza cadute per prescrizione dei reati.

2. Avverso la sentenza pronunciata dal giudice del rinvio hanno proposto ricorso per cassazione il Procuratore generale presso la Corte di appello di Brescia e la parte civile Medicina Democratica Movimento di Lotta per la Salute.

3. Il Procuratore generale ha articolato tre motivi di ricorso.
3.1. Con il primo si contesta l'illogicità della motivazione in ordine alla comparazione - ed alla mancata gerarchizzazione delle fonti - circa il diverso consenso della comunità scientifica alle teorie contrapposte sul carattere meramente probabilistico, piuttosto che universale, del c.d. effetto acceleratore del mesotelioma connesso alla prosecuzione dell'esposizione professionale ad amianto pur dopo l'induzione della malattia a causa di precedenti esposizioni. La sentenza impugnata, in particolare, viene censurata per aver recepito - senza adeguata analisi critica, anche del contrario avviso dei consulenti tecnici del pubblico ministero - la posizione espressa dal collegio peritale nominato dal giudice del rinvio circa il fatto che, allo stato attuale delle conoscenze, la comunità scientifica non avrebbe risolto la valenza del menzionato effetto acceleratore quale legge universale per stabilire il nesso di causa tra esposizione ad amianto e mesotelioma pleurico.
Dopo aver premesso che nel caso di specie non sono contestate né le diagnosi delle patologie che condussero al decesso dei lavoratori, né la loro esposizione ad amianto nei periodi di occupazione presso lo stabilimento Montedison di Mantova, con responsabilità degli imputati per condotte colpevoli tenute nei rispettivi ruoli di garanzia, il Procuratore ricorrente assume che nella comunità scientifica vi sarebbe generalizzato consenso circa il fatto che l'accelerazione del tempo di comparsa clinica della malattia sia intrinsecamente connesso all'aumento dell'incidenza e, dunque, del periodo di esposizione al rischio
- quantomeno sino ai dieci anni precedenti la comparsa dei sintomi - e che tra questi due fenomeni sarebbe sempre verificabile una relazione matematica sussumibile in una legge universale. In altre parole - si sostiene in ricorso - un rischio aumentato inevitabilmente - determina un'anticipazione dei tempi dell'evento, mentre un rischio diminuito li posticipa.
Nell'escludere la sussistenza di questa legge universale per aver rilevato sul punto la difformità - ritenuta non giustificata da acquisizioni scientifiche - delle conclusioni raggiunte nella seconda versione del Quaderno della Salute, pubblicato nel 2013 sotto l'egida del Ministero della Salute, rispetto alla prima versione, pubblicata l'anno precedente, la sentenza impugnata aveva impropriamente sovrapposto i concetti di "induzione" ed "accelerazione", che sono distinti, sicché · tra le due versioni del documento non vi sarebbe reale contraddizione. In ogni caso, la seconda versione avrebbe fatto registrare il dissenso di un solo autore tra gli esperti che avevano partecipato al gruppo di lavoro, ciò che non era sufficiente per metterne in discussione le conclusioni.
Tali conclusioni, inoltre, erano condivise dalla comunità scientifica, anche internazionale, come precisato dai consulenti tecnici del pubblico ministero - che avevano tra l'altro citato gli studi di Lacourt e aa., di Berry, di Consonni e aa. - le cui obiezioni alla perizia non erano state adeguatamente considerate, dandosi preferenza a studi contrari meno documentati ed attendibili (Omissis), così incorrendo nel vizio di mancata gerarchizzazione delle fonti.
Gli studi epidemiologici di coorte sugli ex esposti avevano dimostrato come, in assenza di ulteriori esposizioni, la frequenza di nuovi casi rallenti la propria corsa e declini progressivamente, ciò che è riconducibile al fenomeno biologico della clearance - vale a dire dell'eliminazione delle fibre di asbesto da parte del polmone - che la sentenza impugnata aveva illogicamente svalutato sull'improprio rilievo che esso non avrebbe avuto dimostrazione anche per la pleura. Che l'effetto acceleratore fosse predicabile in forza di una legge universale risultava proprio dalla valutazione retrospettica compiuta sui soggetti ammalatisi, essendo invece errata la valutazione prospettica sugli esposti condivisa dalla sentenza, che aveva portato alla validazione di una mera legge di tipo probabilistico.
3.2. Con il secondo motivo di ricorso, il Procuratore generale lamenta l'omessa motivazione sugli argomenti addotti dai consulenti del pubblico ministero in ordine all'applicazione dei parametri matematici dello studio di Price e Ware per la determinazione dell'incidenza dei singoli periodi nei quali ciascun imputato aveva rivestito la posizione di garanzia. Eppure - si rileva - il tema in questione, espressamente devoluto dalla sentenza rescindente, era decisivo e poteva essere appunto affrontato con quel modello matematico, caratterizzato da solide basi scientifiche, collaudato a livello internazionale e discusso dalla III Conferenza di Consenso sul mesotelioma, del cui report la sentenza impugnata si era limitata a riportare una frase avulsa dal contesto. Il modello - impiegato in sede giudiziaria civile negli Stati Uniti e in Italia in un caso di processo penale - consentirebbe di calcolare la percentuale di componente causale della malattia per ciascun periodo di esposizione professionale, essendo tutti efficaci nella causazione dell'evento, sia pur con diversi "pesi": in assenza anche di un solo contributo di esposizione, per quanto modesto, il mesotelioma si sarebbe probabilmente sviluppato ugualmente, ma certo dopo un positivo intervallo di tempo, seppur di ampiezza variabile.
3.3. Con il terzo motivo di ricorso, si lamentano illogicità e carenza della motivazione in ordine all'impossibilità di escludere che il tabagismo del lavoratore  F.A. sia stato un fattore causale esclusivo dell'insorgenza del carcinoma polmonare che ne determinò il decesso, rendendo irrilevante la sua pur prolungata, e significativa, esposizione professionale alle fibre di amianto. Pur riconoscendo, in via generale, un effetto sinergico tra i due fattori di rischio, la sentenza aveva illogicamente escluso quella interazione nel caso di specie. Ci si duole, inoltre, della mancanza di una equilibrata e ragionata comparazione della letteratura scientifica evocata sul punto in processo.

4. Con il primo motivo del ricorso proposto dalla parte civile Medicina Democratica Movimento di Lotta per la Salute si lamentano la erronea applicazione dell'art. 627, comma 3, cod. proc. pen., e la mancanza di motivazione sulla attendibilità/indipendenza degli esperti che hanno veicolato il sapere scientifico nel processo e sul conflitto d'interesse dei periti nominati dal giudice del rinvio.
Si lamenta, in particolare, che la Corte d'appello abbia nominato quali componenti del collegio peritale due esperti - i proff. Apostoli e Cristaudo - che, unitamente al consulente tecnico della difesa prof. Boffetta (e ad altri esperti nominati consulenti tecnici delle difese degli imputati in altri analoghi processi contro i vertici del gruppo Montedison), avevano sottoscritto un documento "di controtendenza", il c.d. Position Paper, che rappresentava una voce singola nel panorama scientifico e che appariva "troppo vicino alle tesi (negazioniste) dei Consulenti degli imputati". Tutti e tre i periti nominati, poi, non avevano esperienza in materia di consulenza tecnica giudiziaria nei processi aventi ad oggetto malattie asbesto-correlate.
Il giudice del rinvio, pur sollecitato a farlo, non aveva preso posizione sul delineato tema dell'indipendenza e del conflitto d'interessi dei citati esperti - e anche del prof. La Vecchia, consulente tecnico del responsabile civile Montedison, i cui studi vengono riportati in perizia - affrontandolo soltanto in modo marginale e così violando l'obbligo di conformarsi al principio di diritto che la sentenza rescindente aveva al proposito fissato.
4.1. Con il secondo motivo di ricorso, si lamenta il vizio di motivazione, per la mancata gerarchizzazione delle fonti, con riguardo alla ricerca di una legge scientifica di copertura circa il nesso di causalità.
Si sottolinea, in particolare, come le conclusioni, disattese dalla sentenza impugnata, a cui erano giunti i consulenti tecnici dell'accusa pubblica e privata fossero confermate e condivise da tutte le Conferenze di Consenso intervenute sull'argomento, da quelle di Helsinki del 1997 e del 2014, a quelle di Torino (2011) e di Bari ( 2015) . Si lamenta, inoltre, il travisamento della prova per la lettura parziale data al Manuale Metodologico del Ministero della Salute del 2009, le cui indicazioni avrebbero dovuto far rilevare come la III Consessus Conference di Bari rappresenti il sapere scientifico largamente condiviso dagli studiosi in materia.

Analogamente a quanto fatto nel ricorso del Procuratore generale, la sentenza impugnata viene quindi censurata per aver posto sullo stesso piano le opposte tesi scientifiche ricavandone la sussistenza di un dubbio idoneo ad inficiare l'impostazione accusatoria, senza operare la gerarchizzazione delle fonti e senza avvedersi che non vi era contraddizione tra la prima e la seconda versione del Quaderno edito dal Ministero della salute.
Anche la parte civile ricorrente, dunque, sostiene che, secondo gli studi maggiormente accolti all'interno della comunità scientifica, il fenomeno dell'accelerazione del tempo di verificazione della malattia - e, dunque, del decesso - in funzione dell'esposizione all'amianto assume valore di legge universale e non già soltanto probabilistica se, come occorre fare, si compia un'analisi retrospettica rispetto ai soggetti ammalatisi, piuttosto che prospettica rispetto ai soggetti esposti al rischio di contrarre la malattia. La teoria multistadio per i casi di mesotelioma pleurico (dose/ dipendenza) è l'unica che, allo stato attuale delle conoscenze, soddisfa i quattro requisiti richiesti perché un enunciato teorico possa assurgere al rango di legge scientifica.
Ancora, si lamenta che la sentenza non esamini la differenza tra probabilità statistica e probabilità logica con riguardo all'abbreviazione della latenza nei casi delle vittime considerate nel capo d'imputazione.
4.2. Con il terzo motivo di ricorso, dopo aver censurato l'affermazione della sentenza impugnata secondo cui lo studio di Berry sarebbe applicabile soltanto al tumore del polmone, la mancata valutazione degli studi che confermavano la relazione dose/risposta e l'aumento dell'incide nza con l'aumento dell'esposizione cumulativa anche per il mesotelioma e l'illogico ampio risalto dato invece al contrario studio dell'ing. Zocchetti, si lamenta l'omessa motivazione sulla consulenza del dott. Paolo Ricci rispetto all'applicabilità dello studio di Price e Ware per rispondere ai quesiti posti dalla sentenza rescindente. Si svolgono, sul punto, considerazioni analoghe a quelle contenute nel ricorso proposto dal Procuratore generale di cui più sopra si è detto.
4.3. Con l'ultimo motivo di ricorso, la parte civile deduce violazione dell'art. 41 cod. pen. e vizio di motivazione in ordine alle conclusioni raggiunte in sentenza sull'omicidio colposo del lavoratore  F.A.. Si allega che, avendo il medesimo cessato di fumare dieci anni prima della diagnosi della malattia (contrariamente a quanto sostenuto sul punto in sentenza) ed essendo stato fortemente esposto all'amianto nelle sue mansioni di manutentore (tanto da aver manifestato placche pleuriche, circostanza anche questa erroneamente esclusa in sentenza), si sarebbe potuto e dovuto escludere, con alto grado di credibilità razionale, il ruolo esclusivo del fumo nell'insorgenza della patologia e valutare invece l'effetto sinergico dei due fattori cancerogeni. Giusta abbondante e consolidata letteratura scientifica, l'associazione fumo-amianto determina infatti un aumento di casi di tumore secondo un modello additivo o moltiplicativo che la sentenza, rimanendo su un piano di astrattezza, non aveva considerato nel valutare il caso di specie.
 

Diritto




1. Nell'annullare con rinvio per nuovo esame la precedente sentenza resa nella vicenda de qua dalla Corte d'appello di Brescia con riguardo alle imputazioni per omicidio colposo tuttora sub iudice in relazione al decesso di sei ex lavoratori e, ai soli effetti civili, anche con riguardo ai due reati di omicidio colposo dichiarati prescritti, la sentenza rescindente ha innanzitutto fissato i seguenti principi in relazione ai rapporti tra il giudice, le parti ed il sapere dell'esperto.
Richiamando orientamenti precedentemente espressi (v., in particolare, Sez. 4, n. 43786 del 17/09/2010, Cazzini e aa., Rv. 248943;; Sez. 4, n. 12175 del 03/11/2016, dep. 2017, Bordogna e aa., Rv. 270384, massimata su altra questione), la sentenza (pagg. 67 ss.). precisa che «al giudice è precluso di farsi creatore della legge scientifica necessaria all'accertamento (vuoi della causalità generale che di quella individuale, per stare al campo che qui interessa).
Poiché egli è portatore di una 'legittima ignoranza' a riguardo delle conoscenze scientifiche, "si tratta di valutare l'autorità scientifica dell'esperto che trasferisce nel processo la sua conoscenza della scienza; ma anche di comprendere, soprattutto nei casi più problematici, se gli enunciati che vengono proposti trovano comune accettazione nella comunità scientifica...Per valutare l'attendibilità di una teoria occorre esaminare gli studi che la sorreggono. Le basi fattuali sui quali essi sono condotti. L'ampiezza, la rigorosità, l'oggettività della ricerca. Il grado di sostegno che i fatti accordano alla tesi. La discussione critica che ha accompagnato l'elaborazione dello studio, focalizzata sia sui fatti che mettono in discussione l'ipotesi sia sulle diverse opinioni che nel corso della discussione si sono formate. L'attitudine esplicativa dell'elaborazione teorica. Ancora, rileva il grado di consenso che la tesi raccoglie nella comunità scientifica. Infine, dal punto di vista del giudice, che risolve casi ed esamina conflitti aspri, è di preminente rilievo l'identità, l'autorità indiscussa, l'indipendenza del soggetto che gestisce la ricerca, le finalità per le quali si muove....il primo e più indiscusso strumento per determinare il grado di affidabilità delle informazioni scientifiche che vengono utilizzate nel processo è costituto dall'apprezzamento in ordine alla qualificazione professionale ed all'indipendenza di giudizio dell'esperto».
Dando concretezza al discorso, la sentenza aggiunge che «se il giudice ha necessità di conoscere quale sia la tesi scientifica maggiormente accreditata nella comunità degli studiosi, la parte che intende appellarsi a quella tesi ha l'onere di dimostrare tale accreditamento mentre la controparte potrà e dovrà resistere su quel medesimo terreno. Ciò vuol dire che risultano in definitiva incongrui e di scarsa pertinenza tutti quegli argomenti che non pongono in luce la carenza di consenso scientifico e tendono piuttosto a dimostrare - ovviamente attraverso la 'voce' dell'esperto chiamato in ausilio - la intrinseca debolezza di una determinata teoria».
1.1. Ciò premesso, osserva il Collegio che, al fine di approfondire i temi devoluti dalla sentenza rescindente, il giudice del rinvio ha disposto un nuovo approfondimento peritale, nominando un collegio di esperti composto dal prof. Pietro Apostoli (già direttore dell'Unità Operativa di Igiene Tossicologia Prevenzione Occupazionale degli Speciali Civili di Brescia), dal prof. Alfonso Cristaudo (direttore dell'Unità Operativa di Medicina Preventiva del Lavoro dell'Azienda Ospedaliera Universitaria Pisa na) e dal prof. Francesco Donato (titolare della cattedra di Igiene generale ed applicata presso l'Università degli Studi di Brescia).
L'individuazione dei periti è stata censurata dalla parte civile ricorrente e, trattandosi di questione che potrebbe risultare pregiudiziale - pur non essendo stata sollevata anche dal Procuratore generale - occorre dunque muovere dall'esame del primo motivo del ricorso della parte civile, che il Collegio stima tuttavia infondato.
1.2. Occorre innanzitutto distinguere tra il profilo in particolare affrontato dalla sentenza rescindente - vale a dire quello dell'indipendenza degli esperti le cui teorie scientifiche siano sottoposte al giudice - e il diverso profilo posto dalla parte civile ricorrente con riguardo all'indipendenza dei periti nominati. Come si ricava da quanto riferito supra, la sentenza rescindente si occupa soprattutto dell'indipendenza ed autonomia dei ricercatori che hanno elaborato il sapere scientifico veicolato nel processo, che è quello che maggiormente conta ai fini della decisione. Ed invero, questa Corte aveva avvertito (pag. 70) che nell'indagine sul nesso causale che nella specie viene in rilievo risultano «incongrui e di scarsa pertinenza tutte quegli argomenti che non pongono in luce la carenza di consenso scientifico e tendono piuttosto a dimostrare - ovviamente attraverso la 'voce' dell'esperto chiamato in ausilio - la intrinseca debolezza di una determinata teoria. Non ci si avvede, in tal modo, che si pretende di far coincidere il sapere accreditato con l'opinione del singolo esperto attore sul proscenio processuale».
La parte civile ricorrente non contesta la mancanza di indipendenza degli studiosi i cui lavori scientifici sono stati dalla Corte territoriale utilizzati per comparare le diverse teorie affermate sul punto. L'unico rilievo in tal senso concerne il fatto che la perizia avrebbe citato anche opere del prof. La Vecchia, consulente tecnico della difesa degli imputati. Si tratta, tuttavia, di doglianza assolutamente generica, posto che la sentenza non menziona neppure quei contributi scientifici e non può pertanto ritenersi che gli stessi abbiano inciso, tantomeno in modo determinante, sulle conclusioni raggiunte (dai periti e dalla Corte d'appello).
1.3. Rispetto al tema dell'indipendenza del perito, il Collegio intende ribadire l'orientamento - sostanzialmente condiviso anche dalla sentenza rescindente ed affermato in tema di rapporto di causalità tra esposizione ad amianto e morte del lavoratore ai fini dell'accertamento sull'esistenza di una legge scientifica di copertura relativa all'effetto acceleratore sul mesotelioma della esposizione ad amianto, anche nella fase successiva a quella dell'insorgenza della malattia - secondo cui il giudice di merito è tenuto a valutare l'attendibilità di una determinata teoria attraverso la rigorosa verifica di una serie di parametri oggettivi (tra cui la validità degli studi che la sorreggono, le basi fattuali su cui gli stessi sono stati condotti, l'ampiezza e la serietà della ricerca, le sue finalità, il grado di consenso che raccoglie nella comunità scientifica e l'autorevolezza e l'indipendenza di chi ha elaborato detta tesi) tramite una documentata analisi della letteratura scientifica in materia e con l'ausilio di esperti qualificati ed indipendenti (Sez. 3, n. 11451 del 06/11/2018, dep. 2019, Chianura, Rv. 275174; Sez. 4, n. 18933 del 27/02/2014, Negroni e aa., Rv. 262139;). L'indipendenza e la qualificazione degli esperti chiamati in giudizio a prestare ausilio al giudice è, dunque, un elemento importante per valutare la correttezza dei postulati scientifici veicolati nel processo e la logicità della decisione che sugli stessi si fondi, al di là della ricorrenza di ipotesi che possano legittimare l'astensione o la ricusazione del perito ai sensi dell'art. 223 cod. proc. pen. Il riferimento a queste ipotesi, tuttavia, può in concreto essere utile anche ai fini qui in esame, dovendo ad es. confermarsi che - così come non costituisce valido motivo di ricusazione - non inficia l'indipendenza del perito l'avere espresso pareri in altri procedimenti, o in sede scientifica e divulgativa, a meno che non emergano elementi concreti dai quali desumere un ragionevole dubbio circa la riconducibilità dell'opzione dell'ausiliario ad interessi precostituiti invece che al libero ed autonomo convincimento scientifico (Sez. 1, n. 44736 del 15/07/2016, Riva e aa., Rv. 268565; Sez. 4, n. 50362 del 09/10/2014, Ferretti e aa., Rv. 261592). Allo stesso modo, così come, a norma dell'art. 223, comma 3, cod. proc. pen., la ricusazione del perito deve essere presentata, al più tardi, prima che il medesimo abbia espresso il proprio parere, dovendo evitarsi che la dichiarazione di ricusazione possa essere influenzata dal parere espresso (Sez. 4, n. 2356 del 24/11/2017, dep. 2018, Marziello e aa., Rv. 271704) - ciò che nella specie non risulta e neppure si allega essere avvenuto - le contestazioni mosse alla sua indipendenza dalla parte a cui il parere non giova, soltanto dopo che lo stesso è stato reso in giudizio, debbono essere valutate con particolare attenzione, proprio per evitare che la contestazione sull'assenza delle indefettibili qualità di indipendenza e preparazione dei periti sia strumentale ad espungere dal processo una conclusione peritale non gradita.
1.4. La sentenza impugnata si è fatta carico di affrontare il tema - già sollevato in sede di discussione del giudizio di rinvio - dell'indipendenza dei periti nominati e le critiche che la parte civile ha svolto sul punto sono generiche e non soddisfano il principio di autosufficienza del ricorso, posto che nello stesso non si allega chiaramente che il citato Position Paper avesse negato la tesi del c.d. effetto acceleratore, affermandosi - in modo ambiguo - come il documento fosse "troppo vicino alle tesi negazioniste". Che il documento avesse preso netta posizione sul punto, invero, non risulta neppure dalla sentenza impugnata, la quale, nel riportarne un ampio stralcio (pagg. 105 ss.) mostra come ci fosse limitati a dare diffusamente conto delle opposte teorie che si contendevano il campo (pagg. 107, 108 e 109), senza tuttavia avallare l'una o l'altra.
La sentenza impugnata - senza che sul punto sia stata mossa specifica contestazione - considera il Position Paper come un documento concernente temi relativi alle patologie asbesto-correlate sui quali la Società di Medicina del Lavoro (SILM), di cui il perito prof. Apostoli fa parte, aveva provato ad organizzare un convegno, invitando al confronto altre associazioni scientifiche e illustri relatori di fama mondiale che avrebbero dovuto esporre le proprie teorie sul punto e - in prospettiva diametralmente opposta a quella qui evocata dalla ricorrente - non illogicamente attesta come tale circostanza appare indice dell'apertura al dialogo ed al confronto dei promotori. Questa prospettiva, peraltro, trova in qualche modo conferma nello stesso ricorso di parte civile, dove si afferma che il documento era stato sottoscritto anche dal dott. Dario Consonni, il quale - si sostiene - anche nella veste di perito in procedimenti penali analoghi al presente, aveva più volte dato conto, condividendola, di come nella comunità scientifica fosse preponderante la teoria dell'anticipazione: è la stessa ricorrente, dunque, che nei fatti attesta come la sottoscrizione del Position Paper non pregiudichi la risposta peritale sui temi qui in discussione.
1.5. Parimenti generica - anche alla luce della qualità e dei ruoli professionali dei periti quali attestati in sentenza - è la doglianza circa la scarsa competenza degli esperti nominati dalla Corte territoriale, per non aver gli stessi mai prestato l'ufficio di perito in procedimenti giudiziari relativi a vicende analoghe. Disattendendo in modo argomentato una critica che la parte civile aveva mosso all'attendibilità del prof. Apostoli con riguardo ad una perizia dal medesimo svolta per conto dell'autorità giudiziaria in un procedimento di inquinamento - critica che in questa sede non viene riproposta - la sentenza impugnata attesta essersi trattato di «un non particolarmente edificante tentativo di voler minare la reputazione del perito, così da sminuirne il lavoro in questa sede» . Questa valutazione di merito - non illogicamente argomentata - non presta il fianco a censure nella presente sede di legittimità e mostra come il giudice del rinvio si sia correttamente posto nella prospettiva delineata supra, sub § 1.3., in fine.

2. Passando ad esaminare il primo motivo del ricorso proposto dal Procuratore generale ed il secondo motivo della parte civile - come detto, in larga parte sovrapponibili - il Collegio reputa che, sul piano della causalità generale, gli stessi non siano fondati, avendo il giudice del rinvio applicato i principi fissati dalla sentenza rescindente, rendendo sul punto una motivazione non manifestamente illogica che non presta il fianco a censure in questa sede di legittimità.
2.1. Con riguardo alle regole di giudizio da applicarsi nell'individuazione del nesso causale tra l'esposizione professionale e le patologie asbesto-correlate che nel caso di specie hanno provocato il decesso dei lavoratori indicati in imputazione, la sentenza rescindente ha ribadito quanto al proposito già puntualizzato dalla giurisprudenza di questa Corte formatasi in relazione a casi analoghi, vale a dire che «il solo serio dubbio, in seno alla comunità scientifica, attinente un meccanismo causale rispetto all'evento è motivo più che sufficiente per assolvere l'imputato. Viceversa, poiché la condanna richiede che' la colpevolezza dell'imputato sia provata "al di là di ogni ragionevole dubbio" il ragionamento sulla prova deve trovare il proprio aggancio e la propria motivazione in un sapere scientifico largamente accreditato tra gli studiosi. La generalizzazione scientifica, in altri termini, porterà alla condanna oltre ogni ragionevole dubbio, solo qualora sia ampiamente condivisa dalla comunità degli esperti». Alla luce del principio di cui all'art. 533, comma 1, cod. proc. pen., l'affermazione di responsabilità presuppone «che sia acquisito 'oltre ogni ragionevole dubbio' che la legge di copertura sulla quale è assisa l'impostazione accusatoria sia riconosciuta dalla comunità scientifica come quella maggiormente accreditata. Il che non richiede di escludere l'esistenza di ogni tesi avversa o divergente; evenienza - quella della solitudine di una teoria - invero puramente teorica e neppure pretesa dal principio, che si connette all'idea di certezza ottimale».
Esaminando il tema della rilevanza causale dell'esposizione all'amianto rispetto ai decessi determinati da mesotelioma pleurico e peritoneale, la sentenza rescindente (pagg. 72 ss.) ha rilevato che se, da un lato, la decisione di primo grado aveva ritenuto che nella comunità scientifica risultasse sufficientemente condivisa la teoria di una relazione tra dose e incidenza dei casi di mesotelioma, d'altro lato in nessuno degli studi scientifici riportati dal Tribunale, «ad eccezione del Quaderno del Ministero della Salute n. 15, si pone una relazione tra dose e abbreviazione del tempo alla morte. Ed in quest'ultimo si allude allo studio Berry 2007 come allo studio che ha dimostrato l'esistenza di .un effetto acceleratore anche nel mesoteliorna ...In conclusione, il Tribunale aveva fondato la tesi dell'esistenza di una relazione tra dose ed accelerazione della malattia su quanto sostenuto nel Quaderno n. 15, a sua volta incentrato sullo studio Berry 2007».
Nel censurare la sentenza impugnata per non aver risposto alle doglianze che sul punto erano state sollevate dagli appellanti circa il fatto che la letteratura scientifica internazionale non avrebbe mai applicato o ritenuto di poter applicare il modello di Berry al mesotelioma e che la seconda versione del Quaderno n. 15, non sottoscritta da tutti gli autori che solo l'anno precedente avevano invece condiviso la prima, ne aveva radicalmente modificato le conclusioni sul punto, la sentenza rescindente ha rilevato che «la Corte di Appello avrebbe dovuto verificare, in presenza dei dubbi sollevati dalla difesa, quali nuovi elementi erano intervenuti nel panorama di quelle conoscenze che fossero capaci di giustificare un così palese cambio di posizione, peraltro in un arco temporale in definitiva ristretto (prima versione maggio 2012, seconda versione anteriore al novembre 2013».
In conclusione, si rilevava che, «chiamata a verificare se davvero esistesse un diffuso consenso in merito all'effetto acceleratore, tenendo presente le critiche che erano state indirizzate al richiamo operato al Quaderno n. 15 e allo studio Berry 2007», la Corte d'appello aveva sostanzialmente eluso il tema non avendo
«operato un accertamento della rispondenza allo stato dell'arte di quanto ha inteso trarre da quei documenti». Eppure - osserva ancora la sentenza rescindente - «si tratta di uno snodo decisivo. Specie nei casi nei quali la fase dell'iniziazione è particolarmente risalente, è proprio dall'esistenza di una relazione esposizione-progressione della patologia...che si possono trarre conclusioni in merito alla incidenza causale dei comportamenti tenuti da ciascuno o alcuni degli imputati. Segmento del percorso ricostruttivo di tale decisività che una irrisolta ambiguità o una incertezza in ordine all'effettivo riconoscimento di quella legge è in grado di fondare il ragionevole dubbio il cui mancato superamento impone una decisione assolutoria».
2.2. Rinnovando sul punto il giudizio, la sentenza impugnata attesta innanzitutto di come non vi sia «alcuna evidenza scientifica, derivante dagli studi sui meccanismi biomolecolari della cancerogenesi da amianto, che esposizioni successive a quelle necessarie alla trasformazione maligna abbiano un ruolo nello sviluppo/progressione/accelerazione/peggioramento della neoplasia una volta che questa sia stata originata» e che lo stesso consulente tecnico dell'accusa prof. Magnani aveva sostanzialmente concordato con quanto al proposito riferito dai periti circa lo stato della scienza. Questa conclusione non viene fatta oggetto di contestazione da parte dei ricorrenti.
Del pari non contestato è che il modello ricostruttivo più accreditato nella letteratura scientifica per descrivere la relazione tra esposizione ad amianto e insorgenza del mesotelioma maligno sia la c.d. teoria multistadio (descritta nella sentenza impugnata alle pagg. 80-81), che vi sia una relazione del tipo dose­ risposta (che evidenzia l'aumento del rischio di sviluppare il mesotelioma con l'aumentare dell'intensità dell'esposizione), che non sia tuttavia misurabile, rispetto all'inizio dell'esposizione, il momento in cui si completa l'induzione del tumore, vale a dire la formazione del primo clone di cellule neoplastiche che - dopo un periodo di latenza (c.d. vera), di regola piuttosto lungo - condurrà inevitabilmente alla manifestazione clinica della malattia e quindi, nella pressoché totalità dei casi, al decesso, in un tempo peraltro relativamente breve.
Se vi è sostanziale accordo sul fatto che non possano dirsi causalmente collegate all'insorgenza clinica della malattia le esposizioni a rischio del decennio immediatamente anteriore, ciò che è controverso, anche nel presente processo, è se, esclusa la rilevanza di detto decennio, nell'indicato periodo di latenza c.d. vera, la prosecuzione dell'esposizione ad amianto (certamente irrilevante rispetto ad un innesco oramai irreversibile del meccanismo patogenetico che determinerà il mesotelioma maligno) possa accelerare la manifestazione clinica della malattia e, quindi, il tempo del decesso, sì da poter essere considerata come eziologicamente riconducibile all'evento letale.
2.3. Ottemperando all'indicazione contenuta nella sentenza rescindente, il giudice del rinvio (pagg. 81 ss.) ha preso in esame numerosissimi studi, molti dei quali compiuti su coorti di soggetti esposti, di regola lavoratori, italiani e stranieri, dando atto di come essi mostrino «risultati sulla relazione tra latenza e rischio di mesotelioma piuttosto eterogenei, non del tutto consistenti tra loro, né con la formula di Peto, soprattutto per le latenze più lunghe».
Confrontandosi poi specificamente con le censure che la sentenza rescindente aveva mosso alla precedente, annullata, decisione della Corte di appello (pagg. 111 ss.), il giudice del rinvio ha argomentato che:
non può affermarsi, al di là di ogni ragionevole dubbio, che lo studio di Berry (2007) e le sue conclusioni sul tema del cancro al polmone (unico tumore oggetto di analisi da parte dello studioso) siano estensibili anche al mesotelioma;
le conclusioni sul fatto che "l'aumento dell'incidenza e l'accelerazione del tempo all'evento sono fenomeni inestricabilmente connessi", sicché "in ambito strettamente scientifico, dopo il contributo metodologico di Berry nel 2007 la discussione in merito appare definita", in quanto raggiunte nel 2013 nel Quaderno n. 15, a distanza di circa un anno dalla precedente, diversa, versione dello stesso, ed espresse da un g·rup po di lavoro in composizione parzialmente diversa da quella originaria, non possono essere ritenute assistite da valida e condivisa giustificazione sul piano scientifico;
le conclusioni erario indubbiamente difformi e sottendevano un radicale cambiamento di valutazione, indotto non già da sollecitazione provenienti dal mondo accademico, bensì da una richiesta di chiarimenti inoltrata al Ministero della Salute dall'ufficio della Procura della Repubblica di una grande città italiana;
l'unico lavoro scientifico nuovo in quel periodo apparso era infatti lo studio della dott.ssa Frost - «unanimemente riconosciuto come una delle più complete e numericamente importanti indagini per monitorare gli effetti a lungo termine dell'esposizione all'amianto», si legge in sentenza - e lo stesso deponeva invece per l'impossibilità di convalidare la tesi dell'effetto acceleratore;
anche altri studi che condividevano questa conclusione erano da ritenersi autorevoli e ben documentati ed erano stati pubblicati su riviste nazionali indicizzate sulle banche dati internazionali;
anche alla luce delle raccomandazioni contenute nel Manuale Metodologico adottato dal Ministero della Salute sulle Conferenze di Consenso, dovevano nutrirsi riserve rispetto a ciò che spesso avveniva in Italia, dove - si legge nel Manuale - "documenti - definiti di consenso - (che) in realtà rappresentano semplicemente una presa di posizione autoreferenziale da parte di un gruppo di esperti".
La sentenza conclude, dunque, nel senso che, «allo stato delle conoscenze, non possa ritenersi in alcun modo risolta in seno alla comunità scientifica la valenza da attribuire alla teoria dell'effetto acceleratore quale regola universale applicabile al nesso di causa tra esposizione ad amianto e mesotelioma maligno».
2.4. Le doglianze mosse dai ricorrenti a tale conclusione - che, ovviamente, non può assurgere a regola scientifica valida in ogni caso, tantomeno invocabile come precedente in altri analoghi procedimenti, ma riguarda esclusivamente il caso qui deciso (lo ha bene posto in luce la sentenza rescindente, al proposito massimata: Sez. 4, n. 16715 del 14/11/2017, dep. 2018, Cirneco e aa., Rv. 273094) - si appuntano sulla considerazione e valutazione riservate dalla sentenza impugnata agli studi legati ad indagini epidemiologiche che hanno provato a dare risposta all'evidenziato quesito.

Il giudice del rinvio, tuttavia, ha compiuto al proposito una valutazione di merito adeguatamente — e, soprattutto, non illogicamente — argomentata che non viene inficiata dalle circoscritte doglianze proposte dai ricorrenti e che non può ovviamente essere sostituita, in questa sede, da una diversa ricostruzione. I ricorrenti trascurano di considerare che |'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali e senza che sia possibile dedurre nel giudizio di legittimità il travisamento del fatto (Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099; Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 273217). Non sono deducibili, in particolare, censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo, sicché sono inammissibili tutte le doglianze che "attaccano" la persuasività, l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, cosi come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell‘attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, Caradonna, Rv. 280747), ovvero che invocano l'adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 47204 del O7/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, De Vita, Rv. 235507). Le critiche mosse con riguardo al difetto di adeguata comparazione tra i lavori scientifici di opposto segno e la mancata gerarchizzazione degli stessi nel senso preferito dai ricorrenti, per contro, attengono a valutazioni di merito che in questa sede sono insindacabili, a fronte di una motivazione articolata che non presenta aspetti di contraddizione o manifesta illogicità. Né pub ritenersi frutto di travisamento della prova l’aver concluso — ciò che, peraltro, già in qualche modo risultava dalla sentenza rescindente — circa la sostanziale differenza, sul punto in esame, tra le due versioni del citato Quaderno n. 15, essendosi anche al riguardo fornita, una congrua motivazione. In ultima analisi, la pronuncia qui impugnata ha fatto buon governo del principio di diritto, affermato dalla sentenza rescindente, giusta il quale una irrisolta ambiguità o una incertezza in ordine al|'effettivo riconoscimento di una legge scientifica universale è in grado di fondare il ragionevole dubbio il cui mancato superamento impone una decisione assolutoria.
3. A diverse conclusioni reputa invece il Collegio di dover giungere, in relazione all'omicidio colposo di B.N., con riguardo alle conclusioni affermate dalla sentenza impugnata sul diverso piano della causalità individuale.
3.1. Analizzando questo tema, la sentenza rescindente (pagg. 79 ss.) ha rilevato che - a differenza di quanto avvenuto in primo grado - la decisione in allora impugnata aveva «affermato il carattere probabilistico della legge epidemiologica dell'effetto acceleratore», donde la necessità, richiamandosi i principi affermati nella nota sentenza Cazzini (Sez. 4, n. 43786 del 17/09/2010, Rv. 248943), «di accertare se la legge statistica dell'abbreviazione della latenza si era verificata nei singoli casi in esame; quindi di accertare se per ciascun periodo di esposizione presso Montedison dei lavoratori B.N., B.D., S.C., C.S., D.S., L.F., M.L. e R. vi fossero le tracce di un'abbreviazione della latenza. La Corte di Appello ha ritenuto di svolgere il tema affidandosi ad un criterio di credibilità razionale, che nella specie risulta un mero artificio verbale, vuoto com'è di una significativa base fattuale». In sostanza - ha concluso la sentenza rescindente - il giudice d'appello aveva fatto «un utilizzo della legge statistica come se si trattasse di una legge universale. Non solo; ma a fronte di periodi di latenza particolarmente ampi in associazione a maggiore esposizione - dato che contrasta non già con la legge generale ma con l'ipotesi di un suo inveramento nel caso concreto - la Corte di Appello ha utilizzato una chiave di spiegazione priva di dignità scientifica».
Proprio su questo punto - aveva avvertito la sentenza rescindente - era necessaria una più approfondita verifica fattuale. In particolare, il principio di diritto ricavabile dalla sentenza è stato correttamente massimato nel senso che, in tema di accertamento del rapporto di causalità tra esposizione ad amianto e morte del lavoratore, per affermare la responsabilità dell'imputato fondata sull'effetto acceleratore sul mesotelioma della esposizione ad amianto anche nella fase successiva a quella dell'insorgenza della malattia, il giudice, avendo la relativa legge scientifica di copertura natura probabilistica, deve verificare se l'abbreviazione della latenza della malattia si sia verificata effettivamente nei singoli casi al suo esame, essendo a tal fine necessarie informazioni cronologiche che consentano di affermare che il processo patogenetico si è sviluppato in un periodo significativamente più breve rispetto a quello richiesto nei casi in cui all'iniziazione non segua un'ulteriore esposizione e dovendo altresì essere noti e presenti nella concreta vicenda processuale i fattori che nell'esposizione protratta accelerano il processo (Sez. 4, n. 16715 del 14/11/2017, dep. 2018, C.A. e aa., Rv. 273095).
3.2. La sentenza qui impugnata (p. 115) ha tratto dalla approfondita disamina dei pur diversi contributi scientifici conclusioni analoghe a quelle raggiunte dalla precedente decisione di secondo grado, vale a dire che se - giusta le indagini epidemiologiche -«la teoria dell'effetto acceleratore non può ritenersi, alla luce del sapere scientifico attuale, regola universale per affermare che, nel mesotelioma maligno, ogni esposizione ad amianto determini una accelerazione/anticipazione dell'evento, la stessa va interpretata come legge puramente statistica o probabilistica». In quest'ottica, occorreva allora valutare i segni fattuali per verificare se gli stessi permettessero di affermare, con riguardo ai decessi oggetto di valutazione, se l'effetto acceleratore della malattia si fosse in concreto determinato e se ciò fosse accaduto nei periodi in cui gli imputati si erano avvicendati nel ruolo di garante loro contestato, dovendosi in particolare considerare - come si è visto - anche eventuali, significative, abbreviazioni del periodo di latenza rispetto a quello generalmente atteso.
Esaminando sinteticamente la storia lavorativa ed il decorso della malattia dei citati otto ex lavoratori del petrolchimico di Mantova deceduti per mesotelioma pleurico - e richiamando sul punto le singole schede stilate dai periti e contenute alle pagg. da 221 a 228 della perizia - la sentenza impugnata, considerando che, per tutti, in media, l'età dell'inizio dell'esposizione professionale all'amianto in quello stabilimento (che per alcuni lavoratori non rappresentava neppure la prima occupazione) era relativamente avanzata (30 anni), la durata del lavoro discretamente lunga (22 anni), l'età alla diagnosi vicina alla media nazionale (70 anni), la latenza convenzionale in accordo con i valori attesi (40 anni), il tempo intercorso tra la fine dell'esposizione e la diagnosi della malattia relativamente breve (13 anni), ha coricluso che i dati disponibili «non consentono di ritenere riscontrabile la progressione della malattia in relazione ai singoli periodi di esposizione».
Avendo i suddetti lavoratori «pacificamente subito precedenti, protratte ed intense esposizioni ad amianto idonee da sole a determinare la comparsa della malattia e a rendere concretamente verosimile l'esistenza di una serie causale alternativa del verificarsi dell'evento infausto rispetto agli accadimenti verificatisi in epoca successiva» e potenzialmente attribuibili alla condotta contestata agli imputati, la sentenza ha pertanto concluso sulla sussistenza di un ragionevole dubbio circa l'irrilevanza causale delle esposizioni occorse nei periodi temporali in cui gli imputati aveva rivestito la posizione di garanzia.
3.3. In assenza di più specifiche censure rivolte alle singole posizioni lavorative nei ricorsi - come si è visto, sostanzialmente incentranti sulla contestazione dell'esclusione di una legge scientifica universale - il Collegio deve limitarsi alla valutazione delle doglianze siccome proposte. Nulla essendo stato al proposito devoluto nel ricorso presentato dal Procuratore generale, le uniche critiche contenute nel ricorso proposto dalla parte civile all'affermata mancanza di segni fattuali circa la progressione della malattia in relazione alla proseguita esposizione si appuntano (pagg. 34 s.), per un verso, sul fatto che "i segni fattuali non sono stati trovati perché non sono stati ricercati" e, per altro verso, sul confronto tra l'aspettativa media di vita (indicata in 80,8 anni per gli uomini) e l'età che i lavoratori avevano all'epoca del decessi.
Rispetto a tale doglianza, che non sollecita alcun tipo di sindacato su prove eventualmente travisate, reputa il Collegio che la riportata affermazione della sentenza impugnata possa dirsi - in sé - manifestamente illogica ed intrinsecamente contraddittoria in relazione alla posizione del solo lavoratore B.N., la cui scheda personale quale contenuta in perizia, espressamente richiamata in sentenza e dunque tale da integrarne il contenuto e da imporre il vaglio di questa Corte, in alcun moclo si attaglia ai criteri che il giudice del rinvio ha dichiarato di voler applicare.
Dalla scheda (e dal non contestato allegato Cl al capo d'imputazione) risulta che B.N. (nato nel 1944):
dall'età di 14 anni aveva lavorato per quindici anni come marmista, con un'esposizione all'amianto ritenuta dai periti "poco probabile";
assunto in Montedison il 23 luglio 1973, all'età di 29 anni, il suo rapporto di lavoro era durato soltanto 6 anni e 10 mesi (essendo cessato il 23 maggio 1980) ed egli era stato costantemente esposto all'inalazione di fibre di amianto crisotilo nel reparto ST9, sia pur con un'esposizione cumulativa tra le più basse ricostruite dai consulenti del pubblico ministero nel petrolchimico di Mantova;
cessato il rapporto di lavoro in Montedison, il sig. B.N. aveva successivamente ripreso l'originaria attività di marmista, con un'esposizione ad amianto che nella scheda - non se ne comprendono le ragioni rispetto alla diversa indicazione formulata con riguardo al medesimo lavoro inizialmente svolto - viene definita come "possibile";
il mesotelioma pleurico era stato diagnosticato nel 1993, all'età di 49 anni ed il decesso era intervenuto, a causa di tale patologia, nel 2003, all'età di 59 anni (con una sopravvivenza che i periti indicano come "inusualmente lunga").
Or bene, è agevole rilevare - ad avviso del Collegio - come le argomentazioni che hanno condotto il collegio peritale, e successivamente il giudice del rinvio, ad escludere la sussistenza della causalità individuale nei casi scrutinati non si attaglino in alcun modo alla vicenda del sig. B.N., che, anzi (cfr. anche la richiamata perizia collegiale: pagg. 229 ss.) si distacca nettamente, e sotto quasi tutti i parametri d'indagine ritenuti rilevanti, dalla situazione degli altri lavoratori deceduti per mesotelioma pleurico. Il fatto che siano state acriticamente al medesimo estese le conclusioni elaborate sulla base degli altri casi rende dunque la sentenza, sul punto, affetta da, intrinseca, manifesta illogicità. Ed invero:
per o B.N. quella in Montedison non era la prima occupazione - come non è stata l'ultima - ma si ritiene espressamente che gli anni di lavoro come marmista svolti in adolescenza e gioventù determinassero un'esposizione "poco probabile" all'inalazione di fibre di amianto, sicché si è sostanzialmente escluso che quella pregressa esperienza lavorativa potesse essere stata considerata come suscettibile di dar luogo ad iniziazione della malattia;
l'analogo lavoro di marmista svolto successivamente al 1980 viene (come già detto, immotivatamente) indicato come fonte di "possibile esposizione", ma, al di là di questo rilievo, anche tale attività non è stata in sentenza posta in relazione al mesotelioma, trattandosi peraltro di malattia accertata nel 1993, sì che il tempo di latenza convenzionale non sarebbe conforme a quello indicato nella letteratura scientifica che la stessa sentenza mostra di condividere e che addirittura esclude rilievo causale a quanto accaduto nel decennio immediatamente precedente la diagnosi;
stando ai criteri indicati - e seguiti - dalla sentenza impugnata, dunque, il mesotelioma pleurico che determinò il decesso di B.N. fu conseguenza dei 6 anni e 10 mesi di esposizione all'amianto presso il petrolchimico di Mantova, rispetto alla quale la data d'insorgenza è peraltro in linea con il periodo minimo di latenza convenzionale;
contrariamente a quanto verificato negli altri casi esaminati, tuttavia, per il lavoratore in questione la durata dell'esposizione fu tutt'altro che "discretamente lunga" (la media indicata in sentenza è di 22 anni), l'età della diagnosi si distacca significativamente dalla media nazionale (indicata in 70 anni) e la latenza convenzionale fu assai inferiore al valore generalmente atteso (indicato in 40 anni);
l'unico tra i dati indicati in sentenza applicabile al caso di B.N. nella specie confermativo dell'efficacia causale dell'esposizione professionale in Montedison - è il lasso di tempo intercorso tra la fine dell'esposizione e la diagnosi della malattia (in media, qui assolutamente rispettata, indicato in 13 anni);
ictu oculi contraddittorio rispetto alla specificità della vicenda qui in esame, infine, è rilievo - di per sé dotato di un indubbio peso logico - secondo cui «l'inizio dell'esposizione in Montedison per tutti i lavoratori deceduti è avvenuto in un periodo in cui nessuno degli attuali imputati rivestiva ruoli di responsabilità amministrativa o tecnica in Montedison stabilimento di Mantova ed è ben precedente rispetto all'assunzione da parte del primo di questi della rispettiva posizione di garanzia»: mentre nel caso degli altri sette lavoratori tale periodo va dagli 8 ai 16 anni e l'affermazione pertanto si giustifica, ciò non vale per B.N., posto che la stessa sentenza riconosce come nel suo caso uno degli imputati assunse il ruolo di garante dopo neanche tre anni dall'assunzione in Montedison del lavoratore.
In particolare, dall'imputazione (Allegato A, non contestato) si ricava che C.A. fu direttore dello stabilimento di Mantova dal 1° marzo 1976 al 4 maggio 1980 (periodo sostanzialmente coincidente a quello di occupazione del lavoratore B.N., salvo i primi due anni e sette mesi);  G.P. fu amministratore delegato della Montedison Spa dal 1977 al 1981 (vale a dire per circa metà del periodo di occupazione del lavoratore, a partire da pochi anni dopo l'assunzione del medesimo).
3.4. Nei limiti di cui di seguito si dirà (cfr. § 6), nei confronti di costoro - in primo grado ritenuti responsabili dell'omicidio colposo in parola - la sentenza impugnata deve pertanto essere annullata per manifesta illogicità, contraddittorietà e sostanziale mancanza della . motivazione sull'esclusione del nesso di causalità individuale. Non essendo, come detto, applicabili al caso di specie i criteri a cui la sentenza dichiara di essersi attenuta, non sono per altro verso comprensibili le ragioni che hanno determinato il giudice del rinvio ad estendere al medesimo la conclusione raggiunta per gli altri casi esaminati.
In mancanza di una legge di copertura universale che consenta di ricondurre ad una determinata causa tutti gli eventi di un certo tipo - evenienza, peraltro, tutt'altro che frequente, per non dire rara - una legge di copertura statistica come quella nella specie ravvisata dalla sentenza impugnata impone al giudice di merito un'attenta valutazione dei singoli casi per verificare, come già la sentenza rescindente aveva indicato, se e quali tra gli stessi possano essere spiegati alla luce di essa. Una legge statistica in base alla quale certi eventi possano essere con molta probabilità ricondotti a determinati antecedenti causali, peraltro, rappresenta un grave indizio a sostegno del nesso eziologico, tanto più forte quanto più elevata è la significatività dei dati e la persuasività degli studi sui quali essa si fonda. Le Sezioni unite di questa Corte hanno da tempo avvertito che «il sapere scientifico accessibile al giudice è costituito, a sua volta, sia da leggi "universali" (invero assai rare), che asseriscono nella successione di determinati eventi invariabili regolarità senza eccezioni, sia da leggi "statistiche" che si limitano ad affermare che il verificarsi di un evento è accompagnato dal verificarsi di un altro evento in una certa percentuale di casi e con una frequenza relativa, con la conseguenza che quest'ultime (ampiamente diffuse nei settori delle scienze naturali, quali la biologia, la medicina e la chimica) sono tanto più dotate di "alto grado di credibilità razionale" o "probabilità . logica", quanto più trovano applicazione in un numero sufficientemente elevato di casi e ricevono conferma mediante il ricorso a metodi di prova razionali ed empiricamente controllabili» (Sez. U, n. 30328 del 10/07/2002, Franzese, Rv. 222138, in motivazione).
Non si può al proposito trascurare che - stando alla ricostruzione della sentenza impugnata - con riguardo al tema qui in discussione, una larga parte della letteratura scientifica è addirittura orientata nel senso che l'effetto acceleratore della cancerogenesi legata alla prolungata esposizione ad amianto sia predicabile come ineluttabile conseguenza riconducibile ad una legge scientifica universale e che quella parte di esperti che rifiuta la conclusione, non ritenendola sufficientemente dimostrata soprattutto per l'assenza di una spiegazione biologica di supporto, sostanzialmente non nega che in concreto ciò avvenga in un numero statisticamente significativo di casi. Di qui la conclusione - affermata dalla sentenza impugnata, ma di cui la stessa non ha tenuto adeguato conto nella valutazione del decesso qui in discorso - giusta la quale la teoria dell'effetto acceleratore va interpretata come legge statistica o probabilistica che, per quanto detto, integra gli estremi di un grave indizio a sostegno della sussistenza del nesso causale.
Per poter poi affermare, oltre ogni ragionevole dubbio, la sussistenza della causalità nel singolo caso specifico con riguardo all'esposizione in determinati periodi, occorre individuare ulteriori elementi di fatto che supportino la conclusione. Sulla scia della citata decisione resa nel caso Franzese, la giurisprudenza di legittimità insegna che il giudizio di elevata probabilità logica costituisce il criterio con il quale il giudice deve procedere all'accertamento probatorio del nesso causale, verificando se la legge statistica di riferimento trovi applicazione nel caso concreto di giudizio, stante l'alta probabilità logica che siano da escludere fattori causali alternativi (Sez. 4, n. 9695 del 12/02/2014, S., Rv. 260159). Nella specie, in particolare, occorrerà valutare - se del caso attraverso nuova, mirata, indagine tecnica - se possa o meno ritenersi che il mesotelioma pleurico diagnosticato a B.N. nel 1993 sia esclusivamente imputabile al lavoro svolto nei primi due anni e sette mesi di esposizione professionale a fibre di amianto in Montedison (per non dire, eventualmente, in epoca precedente o successiva a quel rapporto di lavoro), ovvero se sia affermabile con alta credibilità razionale, tenendo anche conto del non particolarmente elevato grado di esposizione cumulativa e del contenuto lasso temporale, che sia stata causalmente efficace anche l'esposizione avvenuta nel periodo, di apprezzabile durata rispetto a quello di occupazione complessiva, in cui gli imputati ricoprirono il ruolo di garanzia. Al proposito - come si è detto - non è certo calzante il rilievo, semmai valido per gli altri lavoratori deceduti per la medesima patologia e in altre analoghe vicende non illogicamente speso, secondo cui la mancanza di prova del nesso causale può fondarsi sul fatto che gli imputati abbiano assunto la posizione di garanzia a distanza di molti anni dalla cosiddetta "iniziazione" della malattia tumorale (cfr. Sez. 4, n. 46392 del 15/05/2018, B.D., Rv. 274272-02; Sez. 4, n. 55005 del 10/11/2017, Pesenti e aa., Rv. 271718) . Per contro, com'è possibile fare anche laddove l'accertamento con giudizio controfattuale del nesso di causalità tra condotta ed evento non sia fondato su una legge scientifica di spiegazione di natura universale o meramente statistica dovuta all'assenza di una rilevazione di frequenza dei casi esaminati, saranno utilizzabili - sempre che si superi la soglia del ragionevole dubbio - anche generalizzate massime di esperienza e del senso comune che consentano di dare un giudizio attendibile secondo criteri di elevata credibilità razionale, fondati sulla verifica, anche empirica, ma scientificamente condotta, di tutti gli elementi di giudizio disponibili, criticamente esaminati (Sez. 4, n. 29889 del 05/04/2013, De Florentis, Rv. 257073), così come potrà utilizzarsi anche un giudizio di tipo induttivo elaborato sull'analisi della caratterizzazione del fatto storico e sulle particolarità del caso concreto (Sez. 4, n. 16843 del 24/02/2021, Suarez Cardenas, Rv. 281074; Sez. 4, n. 33749 del 04/05/2017, Ghelfi, Rv. 271052).

4. Alla luce di quanto più sopra argomentato, il secondo motivo del ricorso del Procuratore generale ed il terzo motivo del ricorso della parte civile sono inammissibili per genericità e manifesta infondatezza.
Una volta escluso, di fatti, che il c.d. effetto acceleratore sia coperto da una legge scientifica universale ovvero da una legge statistica verificata nel caso concreto, diviene irrilevante la mancata considerazione ed applicazione del c.d. metodo di Price e Ware, trattandosi - secondo quanto ricostruito dalla sentenza impugnata, senza i ricorrenti abbiano sul punto dedotto e provato il travisamento della prova - di un sistema di ripartizione del grado di incidenza della responsabilità nei diversi periodi di esposizione professionale che presuppone come già accertata l'eziologia di tali esposizioni rispetto all'evento letale.
Solo qualora il giudice del rinvio riconosca la causalità individuale per l'omicidio colposo di B.N. dovrà confrontarsi con l'applicazione dei criteri di Price e Ware quali indicati dal consulente tecnico del pubblico dott. Ricci, che, per quanto qui rileva, ripartiscono la responsabilità all'imputato G.P. nella misura del 22,1% ed all'imputato C.A. in quella del 38,5%.

5. Gli ultimi motivi dei due ricorsi - anche questi da trattarsi unitariamente perché sostanzialmente sovrapponibili - sono in larga parte inammissibili e comunque infondati.
5.1. Con riguardo al profilo della rilevanza causale dell'esposizione all'amianto rispetto, ai decessi determinati da tumore polmonare (pagg. 88 ss.), nel precedente giudizio di legittimità questa Corte ha innanzitutto ritenuto pacifico - in assenza di specifica contestazione da parte degli imputati - il rilievo secondo cui «per l'insorgenza del mesotelioma si ritiene sia sufficiente l'esposizione anche a basse o a bassissime dosi di amianto, essendovi condivisione tra gli studiosi anche in ordine all'assenza di una soglia di esposizione al di sotto della quale il rischio si azzera». Si è del pari ritenuto del tutto coerente l'affermazione secondo cui «esiste una relazione lineare tra dose e (rischio di) malattia; ragion per cui la dimostrazione di elevati livelli di esposizione rende ancor più ragionevole l'affermazione del nesso causale». Passando poi ad esaminare il tema della causalità individuale e delle cause alternative che possono condurre all'insorgenza di patologie multifattoriali come il tumore polmonare, si è affermato che, se «non può essere escluso l'utilizzo di leggi scientifiche probabilistiche, dopo aver rinvenuto una legge di copertura sul piano della causalità generale è ancora necessario rinvenire la prova che quella legge abbia operato nel caso concreto; il che significa escludere l'operatività di quei fattori alternativi ai quali il compendio probatorio abbia dato una reale concretezza nel caso specifico». In tal caso, «per poter affermare la causalità della condotta ascritta all'imputato, rispetto alla patologia sofferta dal lavoratore, è necessario dimostrare che questa non ha avuto un'esclusiva origine nel diverso fattore astrattamente idoneo e che l'esposizione al fattore di rischio di matrice lavorativa è stata una condizione necessaria per l'insorgere o per una significativa accelerazione della patologia».
Si aggiunge che, «se in generale l'affermazione di una relazione causale tra esposizione al fattore di rischio e la malattia manifestatasi richiede che quella possa essere affermata con "un alto o elevato grado di credibilità razionale", secondo la nota formulazione della sentenza Franzese, nel caso di malattia multifattoriale quell'elevato grado non potrà mai dirsi raggiunto prima di e a prescindere da un'approfondita analisi di un quadro fattuale il più nutrito possibile di dati relativi all'entità dell'esposizione al rischio professionale, tanto in rapporto all'entità degli agenti fisici dispersi nell'area che in rapporto al tempo di esposizione, tenuto altresì conto dell'uso di eventuali dispositivi personali di protezione», con la conseguenza che, «per affermare la causalità della condotta del datore di lavoro, nell'insorgenza del tumore polmonare del lavoratore, occorre dimostrare che esso non abbia avuto esclusiva origine dall'azione del diverso fattore in astratto idoneo a provocare la patologia».
Con riguardo al fatto le leggi scientifiche evocate dai giudici di merito indicavano che «l'esposizione all'amianto e il tabagismo inducono un numero di tumori polmonari significativamente maggiore di quello che investe la popolazione dei non esposti; non che per ogni esposizione professionale o che per ogni fumatore vi è insorgenza del tumore», si è dunque stabilita «la necessità, logicamente preliminare all'utilizzo della teoria dell'effetto sinergico, di accertare che nel caso di specie, ferma restando la possibilità concreta che abbia agito l'amianto, non abbia agito, da solo, il fumo (ovviamente, secondo il consueto canone della ragionevole certezza)». Si era dunque censurata la sentenza impugnata perché essa, al contrario, aveva assunto il concetto di sinergia come se da esso discendesse la superfluità della dimostrazione che ciascuno dei fattori abbia realmente operato in concreto, «quindi, come se le leggi scientifiche che attribuiscono all'asbesto e al fumo di tabacco capacità oncogena non fossero probabilistiche ma universali».
5.2. La sentenza impugnata si è attenuta a tali indicazioni e, richiamando la letteratura scientifica in materia - sul punto solo genericamente contestata nei ricorsi - ha in primo luogo attestato che l'effetto di interazione tra i due fattori suscettibili di determinare il tumore polmonare possa, per l'amianto, essere maggiore (effetto moltiplicativo) nel caso di elevata esposizione all'inalazione delle fibre, e minore (effetto solo additivo) per le basse esposizioni ad amianto. In ogni caso - si è specificato - il rischio relativo rispetto all'insorgenza della malattia è maggiore per tabacco piuttosto che per l'amianto e non è ad oggi possibile dire, per un soggetto esposto ad entrambi i rischi che sviluppi un cancro polmonare, a quale dei due fattori sia attribuibile la patologia insorta. Occorre peraltro tenere conto - si rileva ulteriormente - che per gli ex fumatori ed ex esposti all'amianto il rischio di cancro polmonare cala lentamente nel tempo e dipende anche dell'età di cessazione; in ogni caso, per entrambi i fattori, nei primi 5-10 anni dalla cessazione dell'esposizione, il rischio è molto vicino, se non eguale, a quello di soggetti in cui l'esposizione continui.
5.3. Nel caso del sig.  F.A., la sentenza attesta che al medesimo è stato diagnosticato un tumore polmonare con presenza di diffuse lesioni metastatiche all'età di 58 anni ed è deceduto in conseguenza di tale patologia a distanza di circa un anno. Egli aveva avuto un'esposizione professionale all'amianto non elevata (21fibre/ml/anno) nel petrolchimico di Mantova dall'età di 31 anni e per circa 21 anni, e dalla documentazione sanitaria non risultavano identificate lesioni pleuriche indicative di esposizione ad amianto, né asbestosi. Per altro verso, risultava un'abitudine al fumo durata 25 anni dall'età di 27 anni con un quantitativo di sigarette al giorno pari a circa 10-15, secondo le dichiarazioni rese dalla moglie, e di 30 pro die secondo quanto indicato nella cartella clinica. Al momento della diagnosi del tumore - peraltro in fase avanzata - egli aveva dunque cessato entrambe le esposizioni da circa 5-6 anni.
Nel caso di specie, considerato che l'esposizione cumulativa all'amianto era inferiore a 25 fibre/anno, il rischio relativo di contrarre il tumore polmonare rispetto ad un soggetto non esposto era di poco inferiore a 2 (vale a dire, meno che raddoppiato); trattandosi di un fumatore medio da almeno 25 anni - con abitudine cessata in prossimità dell'insorgenza della malattia e, quindi, sostanzialmente irrilevante - il rischio relativo per il fumo era invece circa dieci volte maggiore.
La sentenza, pertanto, conclude che, non potendosi negare che la patologia abbia avuto un'esclusiva origine nell'alternativo fattore fumo, idoneo a cagionare autonomamente l'insorgenza e la progressione della malattia, non era possibile affermare, oltre ogni ragionevole dubbio, che la pur concorrente esposizione professionale ad amianto del sig. F.A. abbia avuto un effetto concausale (e ciò in disparte il problematico tema, più sopra affrontato, dell'individuazione di un effetto acceleratore verificatosi nei periodi in cui gli imputati ebbero a rivestire la posizione di garanzia nell'ambito dell'impresa datrice di lavoro).
5.4. La motivazione - reputa il Collegio - non è manifestamente illogica ed è conforme ai richiamati principi affermati nella sentenza rescindente.
Per contro, le principali doglianze proposte dai ricorrenti sono generiche, sollecitano a questa Corte inammissibili valutazioni di merito e sono manifestamente infondate nella parte in cui muovono da considerazioni che si pongono in chiara antitesi con i principi affermati nel precedente giudizio di legittimità. Ed invero, in particolare il Procuratore generale - ma anche la parte civile - ritenendo che vi sarebbe sempre un effetto sinergico quando il soggetto ammalatosi di tumore polmonare sia stato fumatore ed esposto all'amianto, contesta sostanzialmente il principio di diritto affermato dalla sentenza rescindente e che il giudice del rinvio era tenuto ad applicare.
5.5. Quanto al vizio di travisamento della prova, eccepito dalla parte civile ricorrente sotto due profili, lo stesso è infondato.
5.5.1. A proposito dell'obiezione secondo cui il giudice del rinvio non si sarebbe avveduto del fatto che il lavoratore F.A. avrebbe smesso di fumare dieci anni prima della diagnosi della malattia (piuttosto che cinque anni prima, come invece ritenuto), osserva il Collegio che la sentenza impugnata ha utilizzato il dato indicato nella richiamata scheda di  F.A. riportata dal collegio peritale - e (in parte) allegata allo stesso ricorso della parte civile - dove la fine dell'abitudine fumatoria, iniziata almeno nel 1971, è indicata nel 1997 (pag. 232).
Come si ricava dalle dichiarazioni rese dal dott. Trinco all'udienza del 18 giugno 2013 (riportate a pag. 234) 'tale dato risulta dalla cartella clinica stilata nel 2002 ("ha fumato fino a cinque anni fa"). La parte civile ricorrente si limita a richiamare una dichiarazione (riportata dai periti a pag, 235) resa nel dibattimento dal dott. Bai - a quanto par di capire, consulente tecnico di parte - che riportava invece le dichiarazioni rilasciate dalla moglie di  F.A. allo stesso consulente tecnico del pubblico ministero dott. Trinco, secondo cui il marito avrebbe invece smesso di fumare nel 1992. Ciò premesso, osserva il Collegio come non vi sia travisamento della prova: la Corte territoriale ha semplicemente ritenuto maggiormente attendibile il dato (evidentemente riferito dal paziente) indicato nella cartella clinica del 2002, piuttosto che quello affidato al ricordo della moglie riferito in epoca successiva ed in corso di procedimento: si tratta di una valutazione di fatto tutt'altro che illogica che si sottrae a censure in questa sede di legittimità. Né vale, ovviamente, citare sul punto la sentenza rescindente, dove (pag. 95), si riassumono semplicemente i dati esposti nella precedente sentenza di merito e dove, peraltro, si ribadisce espressamente che, sebbene vi fosse stata una "contrazione del periodo di consumo del tabacco al 1992", il sig. F.A. "era stato fumatore sino al 1997, con un consumo cli circa 10-15 sigarette pro die": lo stesso dato utilizzato dal collegio peritale a pag. 234 e, quindi, dalla sentenza impugnata, ove pure si annota che dalla cartella clinica (ci si riferisce a quella del 27 agosto 1997: cfr. pag. 232 perizia) risultava addirittura un consumo maggiore, pari a circa 30 sigarette al giorno. Il giudice del rinvio, dunque, non è incorso in travisamento della prova nell'aver ritenuto che il sig. F.A. fosse stato un "fumatore medio" per almeno 25 anni e con abitudine cessata cinque anni prima della diagnosi tumorale.
5.5.2. Del pari infondato è l'ulteriore rilievo di travisamento della prova per aver la sentenza impugnata escluso che al lavoratore fossero state rilevate placche pleuriche, secondo la parte civile ricorrente "chiaro indicatore di pregressa esposizione ad amianto secondo i Criteria di Helsinky". Al di là del fatto che dalla scheda personale contenuta in perizia quale allegata al ricorso si ricava come non vi fosse documentazione sanitaria a supporto di un primo certificato medico di malattia professionale redatto il 27 agosto 1997 presso il patronato, in cui si menzionava la presenza di placche pleuriche, la sentenza impugnata (pagg. 127 s.), nel riportare testualmente i Criteri della Consessus Conference di Helsinky, universalmente ritenuti quale punto di riferimento per l'attribuzione di un tumore polmonare ad esposizione ad amianto, li ha non illogicamente applicati. Si riferisce, in particolare, come in essi sia indicato che "le placche pleuriche sono indicatori di avvenuta esposizione a fibre di amianto", ma, "dato che le placche pleuriche possono essere associate a bassi livelli di esposizione, l'attribuzione del tumore del polmone all'amianto deve essere sostanziata da una storia lavorativa di consistente esposizione all'amianto, o da misure del carico polmonare di fibre, e cioè le placche pleuriche da sole non sono sufficienti per l'attribuzione di un tumore del polmone all'amianto", mentre "un diffuso ispessimento pleurico bilaterale è spesso associato a un'esposizione moderata o elevato, del tipo di quella discussa nei casi di asbestosi, e dovrebbe essere trattato alla stessa stregua in termini di attribuzione". E', pertanto, a tali ispessimenti che la sentenza impugnata fa riferimento quando, immediatamente dopo, conclude nel senso che «nel caso di specie nella documentazione sanitaria del F.A. non sono mai state identificate lesioni pleuriche indicative di esposizione ad amianto, né asbestosi». A ben vedere, cioè, non si nega l'avvenuto riscontro di placche pleuriche - non bastevoli per attribuire un tumore polmonare all'amianto - ma si nega l'accertamento di quelle "lesioni" pleuriche, mai accertare nel sig. F.A., che, in quanto indice di maggiore esposizione a fibre di amianto, avrebbero invece dovuto orientare diversamente l'attribuzione.

6. Concludendo, con riguardo al reato di omicidio colposo contestato in danno di B.N., consumatosi in data 20 gennaio 2003, tenuto conto dell'unica causa di sospensione del corso della prescrizione nella specie applicabile, quale già indicata nella sentenza rescindente (cinque mesi e 28 giorni in forza del d.l. 6 giugno 2012, c.d. decreto terremoti), lo stesso si è estinto il 18 giugno 2018. Nei confronti degli imputati C.A. e G.P., la sentenza impugnata deve pertanto essere annullata sul punto, agli effetti penali, per essere tale reato estinto per intervenuta prescrizione. Ai fini civili, la sentenza va invece in parte qua annullata con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello, per nuovo giudizio, da compiersi alla stregua dei principi sopra esposti sub §§. 3 ss. Al giudice del rinvio è rimessa anche la regolamentazione delle spese sostenute nel presente processo dalle parti civili costituite. Entrambi i ricorsi debbono essere rigettati nel resto.

 

P.Q.M.




Annulla la sentenza impugnata nei confronti di C.A. e G.P., agli effetti penali, limitatamente alla posizione del lavoratore B.N. perché il residuo reato di omicidio colposo è estinto per prescrizione e, agli effetti civili, con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello.