Tribunale di Pesaro, Sez. 1, 17 febbraio 2022, n. 1711 - DPCM illegittimi: accolto il ricorso del leader del Movimento #IoApro 


 

N. R.G. 1711/2021



REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di PESARO

Prima sezione
Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Flavia Mazzini ha pronunciato la seguente
SENTENZA


nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 1711/2021 promossa da:
LA GRANDE BELLEZZA SRLS (C.F. 02579450418), con il patrocinio dell’avv. NANNELLI LORENZO presso il cui studio in FIRNZE VIA NOVOLI 5 elegge domicilio
RICORRENTE
contro
PREFETTURA - UFFICIO TERRITORIALE DEL GOVERNO DI PESARO E URBINO (C.F.
80006690418 ), con il patrocinio dell’avv. ANGELONI ANTONIO elettivamente domiciliato in C/O PREFETTURA - UFFICIO TERRITORIALE DEL GOVERNO - PESARO

RESISTENTE

CONCLUSIONI

Parte ricorrente La Grande Bellezza S.r.l.s.

Voglia l’Ill.mo Giudice del Tribunale adito, in accoglimento del presente ricorso: In via cautelare:
-) Ritenuto fondato il fumus boni iuris ed il periculum in mora, sospendere inaudita altera parte l'esecuzione dell’impugnato provvedimento emesso dal Prefetto di Pesaro e Urbino; Nel merito, previa fissazione dell’udienza di comparizione delle parti:
-) Accertato e dichiarato che il DPCM 03.11.2020 è illegittimo per carenza del parere del Consiglio di Stato e/o per difetto di motivazione, ovvero inefficace per omessa notifica alla Commissione dell'Unione Europea ex art. 13 D.Lgs 59/2010, annullare l'impugnato provvedimento emesso dal Prefetto di Pesaro e Urbino nei confronti della ricorrente e/o comunque dichiararlo privo di effetti;
-) Accertato e dichiarato che il Prefetto di Pesaro e Urbino ha violato gli artt. 20 e 24 Legge 289/1981, annullare l'impugnato provvedimento emesso dal Prefetto di Pesaro e Urbino nei confronti della ricorrente e/o comunque dichiararlo privo di effetti qualora il Tribunale adito non accogliesse alcuna delle sopra rassegnate conclusioni,
-) Si avanza Istanza affinché il Giudicante sollevi la questione di legittimità costituzionale delle disposizioni legislative indicate nel corpo dell’atto e precisamente: -D.L. 19/2020 (conv. in L. n. 30/2020) e modificato dal D.L. 33/2020 (per come convertito dalla L. 74/2020), per violazione degli articoli 1, 4, 35, 36, 41, 76, 77, 97 e 117 Cost. e art. 1 primo protocollo CEDU (considerata la loro rilevanza ai fini del decidere, poiché il giudizio non può essere definito indipendentemente dalla risoluzione delle questioni stesse, e ritenuta la loro non manifesta infondatezza) e quindi, annullare l'impugnato provvedimento emesso dal Prefetto di Pesaro e Urbino nei confronti della ricorrente e/o comunque dichiararlo privo di effetti;
Nella denegata e non creduta ipotesi di mancato accoglimento delle sopra rassegnate conclusioni,
-) riconoscersi che la condotta di cui al verbale di illecito amministrativo in data 03.11.2020 veniva -in ogni caso- giustificata dallo stato di necessità, costituito dalla necessità di garantire la sopravvivenza della propria attività economica al fine di salvaguardare il proprio sostentamento personale nonché quello dei propri dipendenti e quindi annullare l'impugnato provvedimento emesso dal Prefetto di Pesaro e Urbino nei confronti della ricorrente e/o comunque dichiararlo privo di effetti;
-) In ogni caso, con vittoria di spese, e compensi professionali del presente Giudizio, oneri accessori in rivalsa ex lege.

Parte resistente Prefettura- Ufficio Territoriale del Governo di Pesaro e Urbino

Voglia, pertanto, la S.V.Ill.ma, ogni contraria istanza disattesa e reietta, rigettare l’opposizione perché infondata e conseguentemente dichiarare la legittimità delle ordinanze opposte.
Con vittoria di spese, nel caso che l’ordinanza sia convalidata, forfettariamente determinate nella somma di Euro 250,00, salvo quanto verrà eventualmente ritenuto congruo da codesta A.G. e salvo il diritto di quantificare la stessa qualora in corso di causa dovessero intervenire ulteriori e rilevanti motivi di spesa.”

Esposizione delle ragioni di fatto e di diritto a base della decisione


C.U. in qualità di legale rappresentante della Società “La Grande Bellezza Srls” conveniva in giudizio avanti al Tribunale di Pesaro la Prefettura - Ufficio Territoriale del Governo di Pesaro e Urbino, per ottenere l’annullamento dell’ordinanza di ingiunzione emessa nei suoi confronti in data 07.06.2021 e notificata il 18.6.2021, con la quale veniva ingiunto del pagamento della somma di euro 803,60, nonché della chiusura dell’esercizio commerciale di cui era titolare per un periodo di giorni 20.
Il ricorrente esponeva che in data 15.01.2021 decideva di aprire al pubblico il proprio locale “La Grande Bellezza – Cucina & Cantina” adibito a servizio di ristorazione, nonostante i divieti governativi, ed in particolare in violazione del DPCM 03.12.2020. In quella occasione, a seguito di un accertamento ispettivo veniva emesso il verbale di contestazione n. 67461, poiché alle 23:10, al di fuori quindi della fascia oraria consentita (dalle ore 5.00 alle ore 18.00), in violazione di quanto disposto dall’art. 1 c. 10, lett. gg) del DPCM 03.12.2020, all’interno dell’esercizio vi erano circa 25 avventori che avevano consumato cibi e bevande nelle precedenti ore, dalle 20:00 alle 23:30 circa.
Contestualmente veniva disposta la chiusura provvisoria dell’esercizio per giorni 05 dall’atto dell’accertamento e, ciò ai sensi e per il disposto dell’art. 2 commi 1 e 2 del D.L. n. 33/2020, con applicazione della sanzione in misura ridotta di Euro 280,00.
In data 18.06.2021 veniva notificato al ricorrente da parte della Prefettura – Ufficio Territoriale del Governo di Pesaro e Urbino - ordinanza ingiunzione – Prot. Uscita N. 3889/2021 del 07.06.2021, con la quale gli veniva ordinato di pagare la somma complessiva di Euro 803,60 e la chiusura per giorni 20 dell’attività esercitata.
Il ricorrente agiva in questa sede per ottenere l’annullamento della suindicata ordinanza ingiunzione in quanto originava dal DPCM del 03.12.2020, da ritenersi illegittimo poiché emesso in violazione dell’art. 17 comma IV della Legge 400/1988, e mancante di motivazione in violazione dell’art. 3 della l. 241/1990, oltre che inefficace per omessa notifica alla Commissione Europea in violazione dell’art. 13 D.Lgs. 59/2010.
Il ricorrente eccepiva inoltre l’incompetenza del Prefetto a comminare la sanzione amministrativa accessoria della chiusura provvisoria dell’attività, ed invocava a proprio favore lo stato di necessità atto a costituire causa di esclusione della responsabilità per la violazione comminata.
Da ultimo, il ricorrente sollevava questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 comma 1 del D.L. 19/2020 per violazione dell’art. 76 Cost., dell’art. 4 comma II, lett. V) del D.L. 19/2020 per violazione degli artt. 41 comma I, 117 Cost. e Art. 1 Primo Protocollo C.E.D.U..

Si costituiva ritualmente in giudizio la parte resistente, la quale chiedeva il rigetto del ricorso in quanto infondato in diritto.
In particolare, la resistente rilevava che il ricorrente non aveva presentato ricorso amministrativo avverso il verbale di accertamento, né aveva chiesto di essere sentito a propria difesa, ai sensi dell’art.18 legge n. 689/1981; eccepiva l’inammissibilità e l’infondatezza della questione di legittimità costituzionale sollevata; osservava altresì che i DPCM dovevano intendersi sottoposti al solo controllo della Corte dei Conti ai sensi dell’art. 2 comma 4 del D.L. 19/2020 e che, stante la natura di atto amministrativo generale, i DPCM erano sottratti all’obbligo di motivazione.
Inoltre rilevava la resistente, l’assenza di connessione oggettiva ai sensi dell’art.24 della legge 689/81 atteso che le disposizioni contenute nei DPCM si basavano sulla violazione delle disposizioni recanti norme di comportamento finalizzate ad evitare il dilagare ed il diffondersi del contagio senza configurare ipotesi di reato, e l’assenza dei presupposti previsti dall’art. 54 c.p. per la configurabilità dello stato di necessità ex adverso invocato.

La causa, istruita con produzioni documentali, veniva posta in decisione all’udienza del 09.02.2022. Il ricorso proposto è fondato e merita, pertanto, di essere accolto.
In primo luogo si osserva come sia destituito di fondamento il rilievo preliminare della resistente circa la mancata presentazione da parte del ricorrente di ricorso amministrativo avverso il verbale di accertamento della violazione e l’omessa presentazione di scritti difensivi da parte sua ex art.18 legge 689/1981.
Compiendo infatti una rapida analisi dell’iter sanzionatorio, è possibile osservare che in una prima fase, quella in cui è prevista la contestazione e la notificazione dell’illecito amministrativo commesso tramite apposito verbale, il trasgressore può ai sensi dell’art.18 1° comma della legge 689/81, presentare scritti difensivi e chiedere di essere sentito all’autorità competente a ricevere il rapporto a norma dell’art.17 della suddetta legge.
L’autorità competente, sentiti gli interessati, ove questi ne abbiano fatta richiesta, ed esaminati i documenti inviati e gli argomenti esposti negli scritti difensivi, se ritiene fondato l’accertamento, determina, con ordinanza motivata, la somma dovuta per la violazione e ne ingiunge il pagamento, insieme con le spese, all’autore della violazione e alle persone che vi sono obbligate solidalmente, altrimenti emette l’ordinanza motivata di archiviazione degli atti.
E’ evidente che la natura amministrativa di tale sistema, introduce la possibilità per gli interessati di poter instaurare una prima forma di difesa, che si estrinseca nella possibilità di esternare le proprie ragioni all’Autorità competente. La presentazione di scritti difensivi e memorie, si prospetta pertanto come una facoltà per gli interessati e non certo un obbligo, rappresentando uno strumento utile per poter esprimere le proprie ragioni in merito al verbale di illecito amministrativo a loro notificato a seguito di accertamento ispettivo.

Nel merito, occorre un breve richiamo alla normativa emergenziale di riferimento.
Il D.L. 23 Febbraio 2020, n. 6, convertito, con modificazioni della legge 5 marzo 2020 n. 13, reca misure urgenti dirette a fronteggiare l’evolversi della situazione epidemiologica in Italia, causata dalla diffusione dell’epidemia da Coronavirus. L’art. 2 del D.L. 23 Febbraio 2020, n. 6, rubricato “ulteriori misure di gestione dell’emergenza”, dispone che “le autorità competenti possono adottare ulteriori misure di contenimento e gestione dell’emergenza, al fine di prevenire la diffusione dell’epidemia da COVID -19 anche fuori dai casi di cui all’articolo 1, comma 1”. L’art. 3 dispone che “le misure di cui agli articoli 1 e 2 sono adottate, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro della salute, sentito il Ministro dell'interno, il Ministro della difesa, il Ministro dell'economia e delle finanze e gli altri Ministri competenti per materia, nonché i Presidenti delle regioni competenti, nel caso in cui riguardino esclusivamente una sola regione o alcune specifiche regioni, ovvero il Presidente della Conferenza dei presidenti delle regioni, nel caso in cui riguardino il territorio nazionale. 2. Nelle more dell'adozione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri di cui al comma 1, nei casi di estrema necessità ed urgenza le misure di cui agli articoli 1 e 2 possono essere adottate ai sensi dell'articolo 32 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, dell'articolo 117 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, e dell'articolo 50 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, approvato con decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267. Sono fatti salvi gli effetti delle ordinanze contingibili e urgenti gia' adottate dal Ministro della salute ai sensi dell'articolo 32 della legge 23 dicembre 1978, n. 833. Salvo che il fatto non costituisca più grave reato, il mancato rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto e' punito ai sensi dell'articolo 650 del codice penale. Il Prefetto, informando preventivamente il Ministro dell'interno, assicura l'esecuzione delle misure avvalendosi delle Forze di polizia e, ove occorra, delle Forze armate, sentiti i competenti comandi territoriali. I termini del controllo preventivo della Corte dei conti, di cui all'articolo 27, comma 1, della legge 24 novembre 2000, n. 340, sono dimezzati. In ogni caso i provvedimenti emanati in attuazione del presente articolo durante lo svolgimento della fase del controllo preventivo della Corte dei Conti sono provvisoriamente efficaci, esecutori ed esecutivi, a norma degli articoli 21-bis, 21-ter e 21-quater, della legge 7 agosto 1990, n. 241.” Successivamente il D.L. 19/2020 ha modificato la disciplina introdotta dal D.L. 6/2020, prevedendo all’art. 1 comma 2 che le misure per la prevenzione della diffusione da Sars Covid-2 “possono essere adottate, secondo i principi di adeguatezza e proporzionalità al rischio effettivamente presente su specifiche parti del territorio nazionale ovvero sulla totalità di esso”.
Ciò premesso, ai fini di causa è necessario tentare di dare una qualificazione giuridica ai DPCM previsti dal D.L. 6/2020 e successive modificazioni, senza nascondere che essa natura è controversa e, senza avere alcuna presunzione di dare una risposta certa ed inequivoca in proposito.
Per una prima impostazione dottrinale, i DPCM sarebbero da assimilare sotto il profilo funzionale alle ordinanze extra ordinem contingibili e urgenti di cui all’art. 54 T.U. 18 agosto 2000 n. 267, condividendo con esse la finalità di contrastare una situazione emergenziale che non può essere affrontata e risolta con gli strumenti normativi ordinari, perché subordinata alla minaccia di un pericolo grave in termini di probabilità, fondata su una valutazione concreta dei fatti e su dati scientifici obbiettivi. E’ stato osservato (cfr. E. C. Rafiotta “Sulla legittimità dei provvedimenti del Governo a contrasto dell’emergenza virale da coronavirus” in Biolaw Journal – Rivista di Biodiritto n.2/2020, 4) come i DPCM, nonostante non ne assumano la denominazione, rientrino nella categoria delle ordinanze extra ordinem. Si tratta di atti formalmente amministrativi che regolano i fatti emergenziali a partire da una generica autorizzazione della legge cd. a fattispecie aperta. A sostegno di questa tesi è stata richiamata la sentenza n.4/1977 della Corte Costituzionale la quale, nel punto 2 del “Considerato in diritto”, fa menzione proprio delle cd. ordinanze necessitate i cui poteri di adozione “soltanto genericamente sono prefigurati dalla norme che li attribuiscono e perciò sono suscettibili di assumere vario contenuto per adeguarsi duttilmente alle mutevoli situazioni” e sempre che questi provvedimenti siano dotati di “efficacia limitata nel tempo in relazione ai dettami della necessità e dell’urgenza; adeguata motivazione; efficace pubblicazione nei casi in cui il provvedimento non abbia carattere individuale, conformità del provvedimento stesso ai principi dell’ordinamento giuridico”.
Sul punto, la giurisprudenza della Corte Costituzionale (cfr. Corte Costituzionale 4 aprile 2011, n. 115), ha fornito precise indicazioni circa l’ammissibilità delle ordinanze contingibili ed urgenti, ritenendo indispensabile il ricorso al principio di legalità sostanziale e statuendo: “non è sufficiente che il potere sia finalizzato dalla legge alla tutela di un bene o di un valore, ma è indispensabile che il suo esercizio sia determinato nel contenuto e nelle modalità, in modo da mantenere costantemente una, pur elastica, copertura legislativa dell’azione amministrativa.”
Accostando il DPCM alle ordinanze contingibili ed urgenti, i corollari dei principi di legalità e di riserva di legge, ovvero la tipicità e nominatività dei provvedimenti amministrativi condurrebbero alla temporaneità degli effetti del DPCM stesso. Il principio di riserva di legge viene rispettato giacché il potere di emanare il DPCM trova un suo fondamento legale nel D.L. 6/2020 convertito in legge, nonché nel successivo  D.L. 19/2020; mentre, in forza del principio di nominatività, il Decreto Legge ha individuato nel DPCM, il provvedimento funzionale a quello scopo, la causa giustificativa del potere che il legislatore stesso ha tipizzato, ovvero neutralizzare un pericolo grave per la salute pubblica, altrimenti non contrastabile. Tuttavia, pare non sia rispettato il principio di tipicità, in quanto il contenuto atipico del DPCM permette il suo adattarsi alla peculiarità del caso concreto e all’evolversi della curva epidemiologia. Del resto, l’atipicità contenutistica che caratterizza le ordinanze contingibili ed urgenti è coerente con l’esigenza di elasticità che connota il potere extra ordinem, adattabile alle più imprevedibili o impreviste situazioni di rischio per gli interessi contemplati dalla legge. Tuttavia, il principio di legalità sostanziale impone un limite essenziale all’utilizzo di tale potere: il doveroso rispetto dei principi di ragionevolezza e proporzionalità, in quanto l’ordinanza di necessità adottata a tutela di interessi collettivi, spesso incide su interessi di soggetti determinati, e ciò comporta la soluzione più idonea ed adeguata, con il minor sacrificio possibile per gli interessi compresenti. Con ciò si spiega il motivo per cui le ordinanze di necessità non sono sottratte all’obbligo di motivazione di cui all’art. 3 della l. 241/1990; al contrario, l’eccezionalità del potere, l’atipicità contenutistica degli atti in questione, nonché la devoluzione alla stessa amministrazione del compito di verificare in concreto la sussistenza dei presupposti di adottabilità dell’atto stesso, impongono una più accentuata attenzione nell’esplicitazione dei motivi.
La motivazione deve dare conto, pertanto, non solo della sussistenza dei presupposti di esercizio del potere, ma anche degli elementi istruttori che hanno determinato l’adozione dell’atto (cfr. Consiglio di Stato Sez. V 7 aprile 2003, n. 1831).
Secondo altro orientamento dottrinale (cfr. J. Bracciale “La controversa natura del DPCM” in Salvis Juribus pubblicato il 13.11.2020), lo strumento del DPCM introdotto dal D.L. 6/2020 sarebbe piuttosto assimilabile al regolamento. Quest’ultimo è atto amministrativo nella forma, ma normativo nella sostanza, giacchè connotato da generalità, astrattezza e innovatività, applicabile ad una serie indefinita di destinatari e di casi, nonché capace di apportare all’ordinamento modifiche definitive.
Secondo tale impostazione, il DPCM sarebbe pertanto collocabile nell’ambito dei regolamenti attuativi – integrativi disciplinati dalla legge n. 400/1988, ed ammessi nelle materie coperte da riserva relativa di legge, rivolti all’attuazione di leggi e atti aventi forza di legge in modo dettagliato ed integrativo sul piano tecnico-scientifico.
La legge n. 400/1988 impone per la formazione del regolamento governativo una rigida scansione procedimentale che non risulta sia stata rispettata per il DPCM in esame, prescrivendo la delibera del Consiglio dei Ministri, previo parere obbligatorio del Consiglio di Stato, la registrazione da parte della Corte dei Conti, la pubblicazione in G.U. con decorrenza dell’ordinario termine di vacatio legis di 15 giorni prima dell’entrata in vigore. Peraltro, il parere del Consiglio di Stato, il visto del giudice contabile e la pubblicazione in Gazzetta, sono imposti altresì per i regolamenti adottati con decreto ministeriale o interministeriale, ossia riferibile al singolo dicastero, ovvero all’azione in concerto di più dicasteri.
Ciò premesso, per la questione prospettata è utile riferirsi a talune indicazioni fornite dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato e della Corte Costituzionale.
Il Consiglio di Stato, con parere nr. 850/2021 del 13 Maggio 2021 ha convalidato lo schema normativo utilizzato e inaugurato dal D.L. 6/2020. Pur discostandosi dal modello già previsto dall’ordinamento, la normativa introdotta sarebbe comunque conforme alla Costituzione nella produzione di atti normativi di secondo grado, sostanzialmente equiparabili alle ordinanze emergenziali di protezione civile sotto il profilo della temporaneità, dell’eccezionalità e del presupposto dello stato di emergenza dichiarato con delibera del Consiglio dei Ministri del 31 gennaio 2020, ai sensi dell’art. 24 del codice della protezione civile di cui al D.Lgs. n. 1 del 2018.
Anche la Corte Costituzionale ha fornito alcune considerazioni dirimenti.
La Corte Costituzionale ha riconosciuto la legittimità del meccanismo prescelto dal Governo, qualificando i DPCM come atti amministrativi assoggettati al sindacato del giudice, e non come atti legislativi o normativi (cfr. Corte Costituzionale sentenza n. 198/2021). La discrezionalità amministrativa del Presidente del Consiglio è stata tuttavia adeguatamente limitata a due condizioni: le misure limitative devono rientrare in quelle astrattamente indicate dagli stessi decreti legge; la scelta su quali misure adottare, tra quelle consentite, devono essere ancorate ai principi di proporzionalità ed adeguatezza, nel rispetto dei rischi effettivamente presenti nel contesto pandemico. Naturalmente, la giustificazione di tale ultimo presupposto impone la presenza di una motivazione particolarmente accurata, per dimostrare la sussistenza di tutti requisiti fattuali.
La Corte infatti ha affermato che “la tipizzazione delle misure di contenimento – coerente con l’esigenza di assicurare il corretto rapporto tra fonti primarie e fonti secondarie […] – è stata accompagnata nell’economia del d.l. n. 19/2020 da ulteriori garanzie, sia per quanto attiene alla responsabilità del Governo nei confronti del Parlamento, sia sul versante della certezza dei diritti dei cittadini. Il D.L. n. 19/2020 ha invero disposto la temporaneità delle misure restrittive, adottabili solo per periodi predeterminati e reiterabili non oltre il termine finale dello stato di emergenza. La tipizzazione delle misure di contenimento operata dal d.l. n. 19/2020 è corredata dall’indicazione di un criterio che orienta l’esercizio della discrezionalità attraverso i principi di adeguatezza e proporzionalità del rischio effettivamente presente in specifiche parti del territorio nazionale ovvero sulla totalità di esso. In tal senso assume rilievo – giacchè supporta sul piano istruttorio la messa in atto della disciplina primaria, rendendone più concreta ed effettiva la verifica giudiziale – quanto stabilito dall’ultimo periodo dell’art. 2 comma 1 dello stesso d.l. n. 19/2020, cioè che per i profili tecnico-scientifici e le valutazioni di adeguatezza e proporzionalità, i provvedimenti di cui al presente comma sono adottati sentito, di norma, il Comitato tecnico-scientifico di cui all’ordinanza del Capo del dipartimento della Protezione Civile 3 febbraio 2020 n. 630, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 32 dell’8 Febbraio 2020. La fonte primaria, pertanto, non soltanto ha tipizzato le misure adottabili dal Presidente del Consiglio dei Ministri, in tal modo precludendo all’autorità di Governo l’assunzione di provvedimenti extra ordinem, ma ha anche imposto un criterio tipico di esercizio della discrezionalità amministrativa, che è di per sé del tutto incompatibile con l’attribuzione di potestà legislativa ed è molto più coerente con la previsione di una potestà amministrativa, ancorché ad efficacia generale. D’altronde, come rilevato anche dal Consiglio di Stato in sede consultiva su ricorso straordinario al Presidente della Repubblica per l’annullamento di alcuni D.P.C.M. attuativi del d.l. n. 19 del 2020 (parere 13 maggio 2021, n. 850), la legislazione sulle ordinanze contingibili e urgenti e lo stesso codice della protezione civile non assurgono al rango di leggi “rinforzate”, sicché il Parlamento ben ha potuto coniare un modello alternativo per il tramite della conversione in legge di decreti-legge che hanno rinviato la propria esecuzione ad atti amministrativi tipizzati.”
Pertanto, il DPCM rientra nella categoria degli atti amministrativi, e come tale riveste carattere di fonte normativa secondaria. La funzione dei DPCM introdotti dal D.L. 6/2020 è quella di dare concreta attuazione e regolazione alla situazione di epidemia da Covid 19, proprio perché la sua velocità di emanazione consente di rispondere meglio alla velocità di diffusione del virus.
Individuati i principi fondamentali dal decreto convertito, l’esatta definizione tecnica ed attuazione delle norme per la convivenza civile a seconda del rischio epidemiologico individuato, è affidata allo strumento del DPCM, ma nell’esercizio di una specifica discrezionalità amministrativa. Tuttavia quest’ultima, per espressa previsione del D.L. 19/2020, deve necessariamente rispondere a criteri di proporzionalità, adeguatezza e ragionevolezza che connotano ogni fonte di diritto amministrativo. D’altronde, i momenti essenziali che connotano la discrezionalità, quale attività comparativa tra gli interessi primari e secondari nel minor sacrificio possibile per questi ultimi, si compie in due momenti: il giudizio, nell’individuazione e valutazione di tutti i fatti e gli interessi rilevanti, sulla base di un’adeguata istruttoria; la scelta, con la quale l’Amministrazione, sulla scorta di una logica e ragionevole valutazione delle istanze istruttorie, individua la soluzione più idonea a realizzare l’interesse pubblico primario con il minor sacrificio possibile degli altri interessi compresenti.
Lo strumento attraverso cui si rendono visibili la logicità e la ragionevolezza della decisione, consiste nell’enunciazione dei presupposti e dei motivi su cui si fonda un atto amministrativo “necessitato” come ritenuto dalla stessa pronuncia della Corte Costituzionale (cfr. sentenza 198/2021): da un lato, individua le circostanze di fatto e di diritto a base del provvedimento (la cd. giustificazione), dall’altro l’esposizione dei motivi in senso stretto, vale a dire del percorso logico-giuridico che ha presieduto e condotto ad una determinata decisione. L’atto amministrativo non può mancare di rendere ragione dei suoi presupposti, in quanto l’obbligo per l’amministrazione di rendere noti i fattori legittimanti il potere esercitato con l’adozione di un determinato provvedimento, si pone a presidio del sindacato del giudice sul provvedimento stesso nella tutela giurisdizionale dei diritti individuali, nell’esame sulla congruità dei passaggi logici percorsi dall’Amministrazione per pervenire alla decisione. Del resto, l’espresso riferimento operato dalla Corte Costituzionale alla sindacabilità dei DPCM da parte del giudice, impone di far riferimento unicamente alla logicità della motivazione, giacchè l’opportunità delle scelte riservate all’Amministrazione non consente al giudice di sostituirsi ad essa, ma unicamente di verificare la congruità del percorso logico seguito dalla P.A..
Quanto alla motivazione dell’atto amministrativo occorre che la stessa espliciti i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche in coerenza alle risultanze dell’istruttoria, e ciò anche avuto riguardo all’atto amministrativo necessitato in cui l’Amministrazione si limiti ad un accertamento delle condizioni di fatto che impongono l’adozione dell’atto amministrativo medesimo.
Ammissibile anche una motivazione per relationem, prevedendo che, qualora le ragioni della decisione risultino da altro atto dell’amministrazione, richiamato dalla decisione stessa, insieme alla comunicazione di quest’ultima debba essere indicato e reso disponibile anche l’atto cui essa si richiama. L’omessa esternazione del percorso giustificativo e dell’iter logico seguito dall’amministrazione determina pertanto l’illegittimità del provvedimento, ed il conseguente dovere del giudice civile di disapplicarlo.
La motivazione deve essere esternata chiaramente attraverso espressioni comprensibili, logiche e percepibile all’esterno. Giurisprudenza e dottrina prevalenti hanno peraltro sottolineato la polifunzionalità della motivazione, che assolverebbe a una funzione di garanzia del privato nei confronti dell’operato della pubblica amministrazione, ma che andrebbe soprattutto riconosciuta come fondamentale strumento per l’interpretazione e il controllo sull’esercizio del potere amministrativo, nonché per l’accertamento giudiziale dell’atto conseguente. Su questo sentiero sembra del resto muoversi la stessa interpretazione comunitaria, secondo cui l’obbligo di motivazione risponderebbe alla duplice esigenza di consentire agli interessati di conoscere le giustificazioni del provvedimento adottato, e quindi di difendere i propri diritti, e, dall’altro, di rendere possibile al giudice l’esercizio del suo sindacato sulla legittimità del provvedimento stesso.
In sintesi, l’attestazione dell’avvenuto rispetto dei principi di proporzionalità e ragionevolezza non può emergere se non dalla motivazione dell’atto stesso che garantisce la trasparenza dell’azione amministrativa, rendendola controllabile da parte dell’opinione pubblica, affermando la responsabilizzazione degli organi della P.A. (art. 97 Cost.). Del resto la stessa Corte Costituzionale (sentenza 198/2021) sottolinea come la delimitazione della discrezionalità del Presidente del Consiglio sia stata perseguita attraverso i principi di adeguatezza e proporzionalità al rischio effettivamente presente su specifiche parti del territorio nazionale, ovvero sulla totalità di esso (art. 1 comma 2 D.L. 19/2020).
Poiché la proporzionalità deve essere misurata in concreto in base al livello di rischio, l’adozione dell’atto amministrativo nello specifico, troverebbe giustificazione nelle indicazioni fornite dal Comitato Tecnico-Scientifico, a cui il D.L. 19/2020 fa espressamente riferimento per l’adozione delle misure sanitarie.
Nell’ipotesi di specie, il DPCM del 03 dicembre 2020 indica tra i presupposti di fatto: “l’evolversi della situazione epidemiologica, il carattere particolarmente diffusivo dell’epidemia e l’incremento di casi sul territorio nazionale; […] le dimensioni sovranazionali del fenomeno epidemico e l’interessamento di più ambiti sul territorio nazionale”. Come da indicazioni del D.L. 19/2020, il DPCM del 3 dicembre 2020 fa espresso riferimento al verbale n. 133 della seduta del 3 dicembre 2020 del Comitato Tecnico Scientifico di cui all’ordinanza del Capo del Dipartimento della protezione civile 3 Febbraio 2020 n. 630 e successive modificazioni e integrazioni.
All’interno del Verbale di cui sopra si legge: “il CTS ha ricevuto questa notte dal Ministero della Salute la bozza del DPCM avente ad oggetto l’adozione di nuove misure urgenti di contenimento per l’emergenza COvid-19, efficace dal 4 dicembre 2020 al 15 gennaio 2021, per le valutazioni di competenza del Comitato Tecnico Scientifico. Al riguardo, il CTS valuta congruo l’impianto generale del DPCM relativo all’adozione di ulteriori misure volte al contenimento del contagio dal virus Sars- cov 2 riguardante eminentemente il prossimo periodo natalizio, commisurate all’attuale fase epidemiologia”.

Nello specifico, l’art 1 c. 10 lett. gg) DPCM 03.12.2020 disponeva che “le attivita' dei servizi di ristorazione (fra cui bar, pub, ristoranti, gelaterie, pasticcerie) sono consentite dalle ore 5,00 fino alle ore 18,00; il consumo al tavolo e' consentito per un massimo di quattro persone per tavolo, salvo che siano tutti conviventi; dopo le ore 18,00 e' vietato il consumo di cibi e bevande nei luoghi pubblici e aperti al pubblico; resta consentita senza limiti di orario la ristorazione negli alberghi e in altre strutture ricettive limitatamente ai propri clienti, che siano ivi alloggiati; dalle ore 18,00 del 31 dicembre 2020 e fino alle ore 7,00 del 1° gennaio 2021, la ristorazione negli alberghi e in altre strutture ricettive e' consentita solo con servizio in camera; resta sempre consentita la ristorazione con consegna a domicilio nel rispetto delle norme igienico-sanitarie sia per l'attivita' di confezionamento che di trasporto, nonche' fino alle ore 22,00 la ristorazione con asporto, con divieto di consumazione sul posto o nelle adiacenze; le attivita' di cui al primo periodo restano consentite a condizione che le Regioni e le province autonome di Trento e Bolzano abbiano preventivamente accertato la compatibilita' dello svolgimento delle suddette attivita' con l'andamento della situazione epidemiologica nei propri territori e che individuino i protocolli o le linee guida applicabili idonei a prevenire o ridurre il rischio di contagio nel settore di riferimento o in settori analoghi; detti protocolli o linee guida sono adottati dalle regioni o dalla Conferenza delle regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano nel rispetto dei principi contenuti nei protocolli o nelle linee guida nazionali e comunque in coerenza con i criteri di cui all'allegato 10; continuano a essere consentite le attivita' delle mense e del catering continuativo su base contrattuale, che garantiscono la distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro, nei limiti e alle condizioni di cui al periodo precedente”; alla lettera hh) era inoltre previsto che “restano comunque aperti gli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande siti nelle aree di servizio e rifornimento carburante situate lungo le autostrade, gli itinerari europei E45 e E55, negli ospedali e negli aeroporti, nei porti e negli interporti con obbligo di assicurare in ogni caso il rispetto della distanza interpersonale di almeno un metro”.
Ora, né dalla parte introduttiva del DPCM in commento, né dal Verbale del CTS emergono specifiche indicazioni sulla gravità ed incidenza della diffusione del virus tali da rendere congrue, proporzionate ed adeguate le misure adottate. L’attività comparativa svolta, comportando la compressione di diritti costituzionalmente garantiti, necessitava di un adeguato impianto giustificativo, soprattutto nel momento in cui le decisioni adottate dal DPCM del 3 dicembre 2020 determinavano una modifica delle disposizioni precedentemente adottate, che consentivano senza limitazioni di orario e di luogo lo svolgimento dell’attività di ristorazione, non differenziando ad esempio il ristorante dalle aree di servizio.
In tal caso, la precisa differenziazione, all’interno delle disposizioni richiamate, tra le attività consentite e non consentite, nonché l’identificazione della fascia oraria consentita per lo svolgimento dell’attività di ristorazione, si traduce in una precisa scelta da parte dell’Amministrazione che avrebbe dovuto essere supportata da dati scientifici precisi, nonché da spiegazioni tecniche in relazione al maggior rischio di diffusione del contagio nelle attività e negli orari non consentiti.
Nessuna indicazione è stata fornita sul punto, se non tramite generici riferimenti “all’evolversi della situazione epidemiologica” ed “alla congruità delle misure adottate”. In altri termini, la specificità delle misure adottate non si rivela congrua e logica rispetto alla genericità dei presupposti addotti, privi di specifiche indicazioni di rischio, sia dal punto di vista sanitario che tecnico. Neppure erano state indicate le ragioni per le quali quelle (precedenti) misure restrittive in vigore che elencavano minuziosamente le cautele da osservarsi nell’esercizio dell’attività di ristorazione, non erano ritenute più idonee a prevenire il contagio, tanto da aver determinato la chiusura delle attività.
Ne consegue l’illegittimità del DPCM, sia che lo si intenda assimilare alla tipologia dell’ordinanza contingibile ed urgente, sia che lo si voglia piuttosto assimilare alla tipologia dell’atto amministrativo necessitato, non risultando esplicitato, neanche tramite l’istituto della motivazione per relationem, i presupposti di fatto, nonché le ragioni tecnico-scientifiche poste a fondamento dell’adozione delle misure prescelte. In proposito, non può ritenersi utile allo scopo il richiamo al verbale n. 133 della seduta del 3 dicembre 2020 del Comitato Tecnico Scientifico di cui all’ordinanza del Capo del Dipartimento della protezione civile 3 Febbraio 2020 n. 630 e successive modificazioni e integrazioni, in quanto, all’interno del verbale suddetto altro non è dato leggere se non una valutazione di “congruità” in ordine alle misure adottate con il DPCM qui in commento, per contenere il contagio, rapportate all’imminente periodo natalizio e alla fase epidemiologica in essere. Il tutto senza alcuna specificazione che tenesse conto ad esempio dello specifico livello di contagiosità al momento dell’adozione del DPCM, in relazione alle attività fino a quel momento autorizzate e consentite; della probabile curva di contagio prevista per l’imminenza delle festività, sulla base della diffusività del virus e delle restrizioni che si andavano ad introdurre; senza alcuna specificazione delle motivazioni tecnico scientifiche per le quali veniva prevista una regolamentazione differenziata per la medesima attività di ristorazione (ad esempio ristoranti per i quali veniva introdotto il limite orario di esercizio dalla ore 5.00 alle ore 18.00, ed aree di servizio in cui veniva svolto il servizio di somministrazione di alimenti e bevande senza limitazioni di orario, e ancora, le strutture alberghiere nelle quali era ammesso per la propria clientela il medesimo servizio di ristorazione senza previsione di alcun limite di orario -articolo 1 comma 10 lettere gg) e hh) DPCM 3.12.2020).
Si intende dire che ogni valutazione contenuta nel DPCM deve ritenersi sia mancante di riferimenti specifici utili a giustificare (rectius motivare) l’adozione di un siffatto strumento che, avrebbe imposto la previsione di una motivazione specifica, non soddisfatta da un generico riferimento ai Verbali del Comitato tecnico-scientifico (Cts); Verbali che il governo stesso, non si dimentichi, aveva classificato come “riservati” o “secretati.
Proprio l’insufficienza e l’incompletezza di motivazione nei termini anzidetti che è dato ravvisare nel DPCM 3.12.2020, determina l’impossibilità di ritenere rispettati i parametri di proporzionalità e adeguatezza previsti dall’art.2 comma 1 D.L.19/2020, e autorizza la disapplicazione da parte del giudice ordinario nell’esercizio del potere derivante dall’art.5 della legge n.2248 del 1865 Allegato E), ed il conseguente annullamento dell’ordinanza ingiunzione qui opposta.
Ogni altra questione assorbita.
La peculiare natura della controversia meramente interpretativa e la novità della questione giustificano l’integrale compensazione tra le parti delle spese di lite.
 

P.Q.M.
 

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, nella causa iscritta al nr. 1711/2021di R.G. ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone:

in accoglimento del ricorso in opposizione proposto, previa disapplicazione del DPCM 3.12.2020, annulla l’Ordinanza di Ingiunzione – Prot. Uscita N. 3889/2021 del 07.06.2021, emessa dall’Ufficio Territoriale del Governo di Pesaro e Urbino;
spese compensate.
Pesaro, 17 febbraio 2022
Il Giudice
dott. Flavia Mazzini