Cassazione Penale, Sez. 4, 04 marzo 2022, n. 7856 - Sequestro preventivo dell'azienda agricola: verifica del fumus del reato di sfruttamento della manodopera


 

 

Presidente: DOVERE SALVATORE Relatore: BRUNO MARIAROSARIA
Data Udienza: 11/11/2021
 

 

Fatto




1. Con decreto del 22/5/2020, il G.i.p. presso il Tribunale di Castrovillari, in accoglimento della richiesta del P.M., ha disposto il sequestro preventivo dell'azienda agricola di Z.R., ravvisando in atti il fumus commissi delicti del reato di cui all'art. 603-bis cod. pen. a carico della predetta, in concorso con i figli C.F., C. e R., ipotizzato nella richiesta avanzata dal P.M. presso la Procura di Castrovillari. Il sequestro era disposto a fini di confisca ai sensi dell'art . 603-bis 2 cod. pen.
Il Tribunale del Riesame di Cosenza, in data 29/6/2020, adito dalla titolare dell'azienda, Z.R., annullava il decreto di sequestro preventivo, escludendo la ravvisabilità in atti del fumus del reato in ragione della mancanza di indici sintomatici di uno sfruttamento della manodopera impiegata.
2. Avverso l'ordinanza del Tribunale del riesame ricorre il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Cosenza.
Dopo avere richiamato l'imputazione elevata a carico della ricorrente, evidenzia come l'attività di utilizzazione della manodopera nelle ipotizzate condizioni di sfruttamento si sia realizzata attraverso la intermediazione di A.G.. Questi, coindagato nel medesimo procedimento, si legge nel ricorso, rappresenta una figura chiave nella comprensione della vicenda.
Le indagini avevano infatti rivelato come l'A.G. fosse a capo di una organizzazione avente lo scopo di reclutare manodopera bracciantile che, in condizione di sfruttamento, era posta al servizio di molteplici aziende agricole.
Il tribunale del riesame, lamenta l'Accusa, ha sottovalutato gli elementi indiziari risultanti dalle indagini, pervenendo ad una decisione lacunosa, in cui ha scelto deliberatamente di ritenere insussistenti i gravi indizi di reato nei confronti degli imprenditori-utilizzatori della manodopera.
Dopo avere riepilogato gli elementi di fatto a sostegno della richiesta accolta dal giudice della cautela, riportando il contenuto di numerose telefonate intercorse tra gli indagati e l'A.G. e segnalando gli episodi più significativi della vicenda, risultanti dalle annotazioni di P.G., ha articolato i seguenti motivi di ricorso.
I) Inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 603-bis cod. pen. e della contrattazione territoriale della provincia di Matera per gli operai agricoli, richiamata dall'art. 603-bis, comma 3, cod. pen.
Rammenta come la norma incriminatrice contestata punisca oltre al reclutatore anche gli imprenditori che utilizzano la manodopera, prima esenti da penale responsabilità.

Il Tribunale del riesame, nel provvedimento impugnato, avrebbe operato una non consentita scissione tra la figura del reclutatore e quella dell'utilizzatore di manodopera, avendo espressamente affermato, in motivazione, che è necessario operare una netta distinzione tra gli odierni indagati, titolari delle aziende presso cui i braccianti erano impiegati, e gli intermediari che hanno interagito tra questi ed i lavoratori.
Così facendo, lamenta il ricorrente, il Tribunale sarebbe pervenuto ad una disapplicazione della disposizione di legge perché rende lecite condotte di utilizzazione mediante intermediazione che, al contrario, costituiscono manifestazioni pienamente rilevanti nell'ambito della previsione di cui all'art. 603-bis cod. proc. pen.
D'altro canto lo stesso Tribunale riconosce che l'indagata utilizzava manodopera bracciantile ricorrendo all'intermediazione dell'A.G..
A questo fine, nella valutazione del fumus, avrebbe trascurato di prendere in esame plurimi elementi indiziari di significativa rilevanza nell'economia della decisione da assumere. In particolare avrebbe omesso di considerare, tra le tante, le conversazioni n. 398 del 14/3/2018, n. 1026 del 14/3/2018, n. 1415 del 10/5/2018, n. 4591 del 6/5/2018, n. 1391 del 5/4/2018, n.4598 del 6/5/2018, n. 1026 del 6/5/2018, n. 480 del 26/3/2018, che rendono evidente come l'utilizzazione dei braccianti da parte dell'azienda nella titolarità dell'indagata avvenga servendosi dell'intermediazione del "caporale" A.G..
Avrebbe poi trascurato di valutare il servizio di O.C.P. dell'11/03/2018, dal quale risulta che, sui terreni nella disponibilità dell'indagata, veniva rinvenuto il furgone targato CH1417AC utilizzato dal sub-caporale di A.G., S.S.K.., per trasportare i braccianti; l'esito del controllo di polizia del 3/4/2018, allorquando nella disponibilità di A.G. veniva rinvenuto un foglio manoscritto con la dicitura "C.", recante l'indicazione delle giornate lavorative effettuate dai braccianti reclutati, documentazione attestante anche la retribuzione percepita dal sub-caporale S.S.K., pari ad euro 33,00 a giornata di lavoro.
II) Violazione dell'art. 125, comma 3, cod. proc. pen. per mancanza assoluta di motivazione, motivazione meramente apparente, omesso esame di punti decisivi per l'accertamento del fatto.
Il ricorrente lamenta che la motivazione del provvedimento impugnato avrebbe natura apparente, dissimulando la totale mancanza di un vero e proprio esame critico degli elementi di fatto e di diritto su cui si fonda la decisione, ciò in ordine ai diversi elementi componenti il quadro indiziario esistente a carico dell'indagato in relazione agli indici di sfruttamento e allo stato di bisogno dei lavoratori (orari di lavoro, retribuzione, riposo settimanale, condizioni alloggiative degradanti).
Il tribunale non avrebbe minimamente preso in considerazione il contenuto dell'accusa cautelare, obliterando plurimi elementi investigativi decisivi e sbrigativamente licenziando una parte soltanto di essi, con incedere apodittico e assertivo.
In particolare, non ha esposto le ragioni per cui ritiene che non sia stata approfondita nel provvedimento del G.i.p. di Castrovillari la separazione tra condotte degli utilizzatori e quelle dei caporali. Non ha chiarito realmente le ragioni per cui, nonostante il dato normativo, occorreva procedere ad una separazione tra la posizione del reclutatore e quelle dei titolari delle aziende.
Alla luce degli insegnamenti della giurisprudenza di legittimità riguardanti la valutazione del materiale intercettivo, il Tribunale del riesame avrebbe dovuto confrontarsi con il contenuto delle conversazioni e, laddove avesse voluto disconoscerne la rilevanza accusatoria, richiamare gli elementi indiziari di segno contrario, atti a sostenere il suo convincimento.
In ordine alle retribuzioni corrisposte omette di motivare sulle ragioni per cui ritiene che il riconoscimento della paga giornaliera di euro 40 - inferiore a quella prevista nella contrattazione territoriale, pari ad euro 41,378 - sia indizio inidoneo a ritenere integrato l'indice di sfruttamento di cui all'art. 603-bis, comma 3 n. 1 cod. pen.
Il vizio della motivazione risulterebbe anche dal passaggio argomentativo nel quale si accenna alla irrilevanza del comportamento del caporale, che, in forza di un "patto leonino", tratteneva per sé una parte delle retribuzioni, aggiungendo che la indagata e i suoi familiari non ne erano al corrente, non risultando elementi dai quali potersi desumere la consapevolezza di tale circostanza. L'assunto contrasterebbe con il contenuto delle plurime conversazioni registrate tra A.G. e gli indagati dai quali emerge palese la consapevolezza, da parte della titolare dell'azienda, dell'illecita attività di utilizzazione della manodopera reclutata da A.G..
Il vizio della carenza motivazionale sarebbe tangibile anche con riferimento alla parte in cui si omettono di esplicitare le ragioni per cui l'indagata non avrebbe avuto alcun interesse alla utilizzazione di manodopera bracciantile reclutata in condizioni di sfruttamento, a fronte di un'ampia disamina di tale aspetto rinvenibile nel provvedimento di accoglimento della misura reale.
Ogni profilo lungamente e dettagliatamente valorizzato nel provvedimento applicativo della misura, riguardante l'orario di lavoro, il riposo settimanale, l'assenza di dispositivi di protezione individuale e lo stato di bisogno, sarebbe stato negletto o sminuito nella ordinanza impugnata.

III) Con un terzo motivo il P.M. ricorrente lamenta inosservanza degli artt. 321 e 322 cod. proc. pen. anche in relazione all'art. 603-bis 2 cod. pen.
Il Tribunale del riesame ha ritenuto insussistente il fumus commissi delicti senza limitarsi al controllo di compatibilità tra la fattispecie concreta e quella legale ipotizzata, ma anticipando la decisione di questioni di merito.
3. Nei termini di legge hanno rassegnato le proprie conclusioni scritte per l'udienza senza discussione orale (art. 23 co. 8 d.l. 137/2020), il P.G., che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso e il difensore dell'indagata, che, con memoria difensiva del 25/10/2021, ha chiesto che il ricorso del PM di Cosenza venga dichiarato inammissibile o rigettato.
La difesa, oltre ad evidenziare come l'ordinanza del tribunale sia stata congruamente argomentata, osserva che il ricorso è a firma del dott. Flavio Serracchiani, Sostituto Procuratore presso la Procura di Castrovillari. In proposito richiama l'orientamento di questa Corte in base al quale, in tema di sequestro preventivo, la legittimazione a promuovere ricorso per cassazione spetta al solo ufficio requirente presso l'organo la cui decisione viene impugnata (ex multis Sez. 3, n. 25882 del 26/05/2010, Rv. 248055 - 01).
Rileva inoltre come l'impugnazione sia stata proposta per motivi non consentiti, riguardanti la l'irragionevolezza e l'illogicità della motivazione. Secondo consolidato orientamento della Corte di legittimità, avverso le ordinanze in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso ricorrere per cassazione soltanto adducendo il vizio della violazione di legge.

 

Diritto


1. Il ricorso è inammissibile.
2. Occorre premettere che in tema di sequestri probatori e preventivi, il ricorso per Cassazione è ammesso solo per violazione di legge. In tale nozione si devono ricomprendere sia gli "errores in iudicando" o "in procedendo", sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice (cfr. Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692 - 01; Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Rv. 269656 - 01).
Con riferimento all'ultimo profilo, si è precisato che, in subiecta materia, il ricorso per cassazione è ammissibile soltanto in caso di motivazione apparente o inesistente. Motivazione assente è quella fisicamente mancante (Sez. 5, n. 4942 del 04/08/1998, Seana; Sez. 5, n. 35532 del 25/06/2010, Angelini) o quella graficamente indecifrabile (Sez. 3, n. 19636 del 19/01/2012, Buzi). Motivazione apparente, invece, è solo quella che <<non risponda ai requisiti minimi di esistenza, completezza e logicità del discorso argomentativo su cui si è fondata la decisione, mancando di specifici momenti esplicativi anche in relazione alle critiche pertinenti dedotte dalle parti » (Sez. 1, n. 4787 del 10/11/1993, Di Giorgio), com e, per esempio, nel caso di ricorso a clausole di stile ovvero quando la motivazione dissimuli la totale mancanza di un vero e proprio esame critico degli elementi di fatto e di diritto su cui si fonda la decisione, o sia priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidonea a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice. Anche l'omesso esame di punti decisivi per l'accertamento del fatto, sui quali è stata fondata l'emissione del provvedimento di sequestro, si traduce in una violazione di legge per mancanza di motivazione, censurabile con ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 325, comma primo, cod. proc. pen. (Sez. 3, n. 28241 del 18/ 02/ 2015, Baronia, Rv. 264011).
Ciò premesso, nella motivazione espressa dal Tribunale del riesame di Cosenza non sono riconoscibili le connotazioni di una motivazione soltanto apparente o inesistente. Neppure è sostenibile che il Tribunale abbia omesso di esaminare aspetti decisivi inerenti all'accertamento del fatto portato alla sua attenzione, sui quali si fondava il provvedimento di sequestro. Contrariamente a quanto prospettato dalla Procura ricorrente, invero, la decisione poggia su una disamina esauriente del materiale probatorio, che è stato ritenuto dai giudici insufficiente a fondare il convincimento del fumus commissi delicti.
I rilievi del ricorrente, pur se articolati con diffuse argomentazioni, dietro l'apparente prospettazione del vizio di violazione di legge, si soffermano sulla valutazione operata dai giudici di merito del compendio indiziario, sollecitando una non consentita rivisitazione delle argomentazioni poste a fondamento del decisum. Le censure prospettate diffusamente in tutti i motivi di ricorso, nelle parti in cui è avversata la valutazione espressa dal Tribunale in ordine alla ricorrenza dei diversi indici di sfruttamento della manodopera impiegata dalla indagata, risultano quindi inammissibili.
3. La censura in diritto, contenuta nel primo motivo di ricorso, necessita di alcune precisazioni riguardanti l'ambito applicativo del reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro di cui all'art . 603-bis cod. pen. attualmente vigente.
La Procura ricorrente lamenta violazione di legge con riferimento alla citata norma, mettendo in rilievo che il tribunale ha operato una non consentita scissione tra la posizione di colui il quale si occupa della intermediazione di manodopera in condizioni di sfruttamento ed il titolare dell'azienda che utilizza, assume o impiega manodopera, anche mediante l'attività di intermediazione altrui, sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno.
Il testo della norma introdotto con legge 29 ottobre 2016, n. 199, che ha modificato l'art. 603-bis cod. pen. previgente, distingue l'ipotesi di intermediazione illecita, il cd. "caporalato", da quella di utilizzazione del lavoro, caratteristica ma non esclusiva del datore di lavoro, equiparandole sul piano sanzionatorio.
Da quanto precede discende che non è inesatta la distinzione operata dal giudice del gravame della cautela tra la figura dell'utilizzatore e quella dell'intermediario di manodopera, perché essa è contenuta nel testo della norma.
La ratio dell'intervento legislativo del 2016 è stata, infatti, proprio quella di prevedere quale soggetto attivo del reato, oltre al caporale, il datore di lavoro o comunque l'utilizzatore della manodopera.
4. Il tribunale del riesame dà conto in motivazione di non avere individuato indici di sfruttamento e di approfittamento dello stato di bisogno dei lavoratori dal compendio captativo e dagli altri elementi d'indagine a carico degli indagati. Si legge in motivazione che tali requisiti non sono desumibili ipso facto dalla dimora dei braccianti presso il centro di accoglienza, e che gli elementi indiziari riportati in ordine alla inadeguatezza della retribuzione, alla sicurezza e all'orario di lavoro non sono sufficienti a fondare l'ipotesi accusatoria.
Ha quindi considerato, in modo puntuale, le concrete risultanze processuali, esprimendo valutazioni non censurabili in questa sede.
In ordine alla retribuzione, elemento senz'altro significativo nella fattispecie in oggetto, esamina la questione della adeguatezza della retribuzione, disattendendo puntualmente le deduzioni che il G.i.p. ha tratto dal contenuto di alcune intercettazioni e dalla disponibilità del foglio manoscritto con la dicitura "Carlo Magno". Perviene ad una diversa valutazione del materiale probatorio offerto sul rilievo che le retribuzioni corrisposte sono in linea con quelle delle tabelle in uso e che non sono emersi elementi da cui desumere che il titolare dell'azienda fosse consapevole della ripartizione del corrispettivo tra intermediario e bracciante. In ordine ai dispositivi di protezione ritiene, motivatamente, che l'uso delle scarpe da ginnastica per la raccolta delle fragole non possa ritenersi una grave violazione delle misure di sicurezza. Eguali considerazioni vengono espresse in ordine allo stato di bisogno dei braccianti, che il tribunale non reputa significativamente emergente dalle SIT richiamate, da cui risulta che molti lavoratori avevano provveduto autonomamente al reperimento di un alloggio. Si tratta di valutazioni di merito del tutto insindacabili nella presente sede laddove supportate da una motivazione esistente e non certo apparente.
5. Quanto all'ultimo motivo di ricorso, relativo ai limiti del sindacato del tribunale del riesame in tema di misure cautelari reali, non è condivisibile l'impostazione della Procura. Si registra, infatti, la graduale tendenza della giurisprudenza di legittimità a valutare con maggiore rigore i presupposti che giustificano l'adozione del sequestro preventivo: si richiede che il giudice verifichi la sussistenza del fumus commissi delicti attraverso un accertamento concreto, basato sulla indicazione obiettiva e seria di elementi dimostrativi, sia pure sul piano oggettivamente indiziario, della sussistenza del reato ipotizzato. Superata, quindi, la tesi, autorevolmente sostenuta, secondo cui, in tema di sequestro preventivo, ai fini della verifica del requisito del fumus, sarebbe sufficiente accertare l'astratta configurabilità del reato ipotizzato (Sez. U, n. 4 del 25/03/1993, Gifuni, Rv. 193118), si è affermato che il giudice del provvedimento cautelare reale debba individuare il presupposto del sequestro preventivo nella concretezza degli elementi di reato, pur escludendosi la tesi estrema che richiederebbe la presenza dei gravi indizi di colpevolezza (Sez. 6, n. 45591 del 24/10/2013, Rv. 257816 - 01:<<Ai fini dell'emissione del sequestro preventivo funzionale alla confisca il giudice deve valutare la sussistenza del "fumus delicti" in concreto, verificando in modo puntuale e coerente gli elementi in base ai quali desumere l'esistenza del reato configurato, in quanto la "serietà degli indizi" costituisce presupposto per l'applicazione delle misure»; Sez. 3, n. 58008 del 11/10/2018, Rv. 274693 - 01: «Il tribunale del riesame, in sede di controllo sui presupposti per l'adozione di una misura cautelare reale, deve verificare non solo la astratta configurabilità del reato, ma anche, in modo puntuale e coerente, tutte le risultanze processuali e, quindi, sia gli elementi probatori offerti dalla pubblica accusa, sia le confutazioni e gli elementi offerti dagli indagati che possano avere influenza sulla configurabilità e sulla sussistenza del "fumus" del reato cont estat o») .
6. Privo di pregio è il rilievo difensivo riguardante il motivo d'inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione. L'impugnazione reca l'intestazione della Procura di Cosenza e reca la firma anche del Procuratore aggiunto di Cosenza. Dunque l'atto promana dall'ufficio requirente presso l'organo la cui decisione viene impugnata.
 

P.Q.M.




Dichiara inammissibile il ricorso.
In Roma, così deciso in data 11 novembre 2021