Cassazione Penale, Sez. 4, 04 marzo 2022, n. 7857 - Sfruttamento del lavoro. Reclutatore ed utilizzatore di manodopera
Presidente: DOVERE SALVATORE Relatore: BRUNO MARIAROSARIA
Data Udienza: 11/11/2021
Fatto
1. Con decreto del 22/5/2020, il G.i.p. presso il Tribunale di Castrovillari, in accoglimento della richiesta del P.M., ha disposto il sequestro preventivo della omonima ditta individuale di F.T., operante nel settore agricolo, ravvisando in atti il fumus commissi delicti del reato di cui all'art. 603-bis cod. pen. ipotizzato a carico della predetta nella richiesta avanzata dal P.M. presso la Procura di Castrovillari. Il sequestro era disposto a fini di confisca ai sensi dell'art. 603-bis 2 cod. pen.
Il Tribunale del Riesame di Cosenza, in data 1/7/2020, su impugnazione della F.T., annullava il decreto di sequestro preventivo, escludendo la ravvisabilità in atti del fumus del reato in ragione della mancanza di indici sintomatici di uno sfruttamento della manodopera impiegata e dell'approfittamento dello stato di bisogno.
2. Avverso l'ordinanza del Tribunale del riesame ricorre il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Cosenza.
Dopo avere richiamato l'imputazione elevata a carico della ricorrente, evidenzia come l'attività di utilizzazione della manodopera nelle ipotizzate condizioni di sfruttamento si sia realizzata attraverso la intermediazione di A.G.. Questi, coindagato nel medesimo procedimento, si legge nel ricorso, rappresenta una figura chiave nella comprensione della vicenda.
Le indagini avevano infatti rivelato come l'A.G. fosse a capo di una organizzazione avente lo scopo di reclutare manodopera bracciantile che, in condizione di sfruttamento, era posta al servizio di molteplici aziende agricole.
Il tribunale del riesame, lamenta l'Accusa, ha sottovalutato gli elementi indiziari risultanti dalle indagini, pervenendo ad una decisione lacunosa, in cui ha scelto deliberatamente di ritenere insussistenti i gravi indizi di reato nei confronti dell'indagata.
Dopo avere riepilogato gli elementi di fatto a sostegno della richiesta accolta dal giudice della cautela, riportando il contenuto di numerose telefonate intercorse tra l'indagata e l'A.G. e segnalando le circostanze più significative della vicenda, risultanti dalle annotazioni di P.G., ha articolato i seguenti motivi di ricorso.
I) Inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 603-bis cod. pen. e della contrattazione territoriale della provincia di Matera per gli operai agricoli, richiamata dall'art. 603-bis, comma 3, cod. pen.
Rammenta come la norma incriminatrice contestata punisca oltre al reclutatore anche gli imprenditori che utilizzano la manodopera, prima esenti da penale responsabilità.
Il tribunale del riesame avrebbe disapplicato la norma incriminatrice nella parte in cui punisce la condotta di utilizzazione di manodopera per mezzo della intermediazione del reclutatore e nella parte in cui richiede la sussistenza anche di un solo indice di sfruttamento e di un solo lavoratore impiegato in condizioni di sfruttamento per la sua ricorrenza.
Avrebbe omesso di esercitare qualunque vaglio in ordine al corposo materiale intercettivo dal quale risulta che la indagata, unitamente ai suoi familiari, si avvaleva della intermediazione di A.G. per l'impiego di manodopera da destinare al lavoro sui terreni della sua azienda.
Così facendo, lamenta il ricorrente, il tribunale sarebbe pervenuto ad una disapplicazione della disposizione di legge perché rende lecite condotte di utilizzazione mediante intermediazione che, al contrario, costituiscono manifestazioni pienamente rilevanti nell'ambito della previsione di cui all'art. 603-bis cod. proc. pen.
Ove il tribunale avesse valutato il contenuto delle numerose conversazioni registrate e gli esiti dei servizi di osservazione predisposti dal personale di polizia, elementi del tutto negletti, sarebbe dovuto pervenire al riconoscimento di almeno quattro degli indici di sfruttamento della manodopera impiegata.
II) Violazione dell'art. 125, comma 3, cod. proc. pen. per mancanza assoluta di motivazione, motivazione meramente apparente, omesso esame di punti decisivi per l'accertamento del fatto.
Il ricorrente lamenta che la motivazione del provvedimento impugnato avrebbe natura apparente, dissimulando la totale mancanza di un vero e proprio esame critico degli elementi di fatto e di diritto su cui si fonda la decisione, ciò in ordine ai diversi elementi componenti il quadro indiziario esistente a carico dell'indagato in relazione agli indici di sfruttamento e allo stato di bisogno dei lavoratori (orari di lavoro, retribuzione, riposo settimanale, condizioni alloggiative degradanti).
Il tribunale non avrebbe minimamente preso in considerazione il contenuto dell'accusa cautelare, obliterando plurimi elementi investigativi decisivi e sbrigativamente licenziando una parte soltanto di essi, con incedere apodittico e assertivo.
In particolare, il tribunale non esplicita quali sono i dati investigativi che costituiscono la premessa del suo ragionamento, atteso che non ha richiamato i plurimi elementi investigativi risultanti dagli atti.
Non espone le ragioni per cui ritiene di far discendere l'insussistenza dello stato di bisogno dall'asserita assenza degli indici dello sfruttamento penalmente rilevanti, benché l'art. 603-bis cod. pen. sia chiaro nel distinguere i due elementi. Non esplicita quale parte della documentazione prodotta dalla difesa abbia ritenuto significativa per giungere alla conclusione di ritenere che i braccianti impiegati dalla indagata fossero regolarmente assunti.
Le affermazioni contenute in motivazione sarebbero del tutto apodittiche ed ogni profilo lungamente e dettagliatamente valorizzato nel provvedimento applicativo della misura, riguardante l'orario di lavoro, il riposo settimanale, l'assenza di dispositivi di protezione individuale e lo stato di bisogno dei lavoratori, sarebbe stato negletto o sminuito nella ordinanza impugnata.
III) Con un terzo motivo il P.M. ricorrente lamenta inosservanza degli artt. 321 e 322 cod. proc. pen. anche in relazione all'art. 603-bis 2 cod. pen.
Il Tribunale del riesame ha ritenuto insussistente il fumus commissi delicti senza limitarsi al controllo di compatibilità tra la fattispecie concreta e quella legale ipotizzata, ma anticipando la decisione di questioni di merito.
Non avrebbe operato alcun vaglio giudiziale degli elementi indiziari di valenza accusatoria esistenti in atti.
3. Nei termini di legge hanno rassegnato le proprie conclusioni scritte per l'udienza senza discussione orale (art. 23 co. 8 d.l. 137/2020), il P.G., che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso e i difensori dell' indagata .
L'Avv. Angelo Nicotera ha chiesto che il ricorso del PM di Cosenza venga dichiarato inammissibile o rigettato, avendo il tribunale tenuto conto delle risultanze processuali ed avendo espresso valutazioni non sindacabili in sede di legittimità.
L'Avv. Nicola Montagna, oltre ad evidenziare come l'ordinanza del tribunale sia stata congruamente argomentata, lamenta la violazione dell'art. 325 cod. proc. pen. da parte del ricorrente.
Osserva che è l'impugnazione stata firmata dal dott. Flavio Serracchiani, Sostituto Procuratore presso la Procura di Castrovillari. In proposito richiama l'orientamento di questa Corte in base al quale, in tema di sequestro preventivo, la legittimazione a promuovere ricorso per cassazione spetta al solo ufficio requirente presso l'organo la cui decisione viene impugnata (ex multis Sez. 3, n. 25882 del 26/05/2010, Rv. 248055 - 01).
Rileva inoltre come l'impugnazione sia stata proposta per motivi non consentiti, riguardanti la l'irragionevolezza e l'illogicità della motivazione. Secondo consolidato orientamento della Corte di legittimità, avverso le ordinanze in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso ricorrere per cassazione soltanto adducendo il vizio della violazione di legge.
Diritto
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Occorre premettere che in tema di sequestri probatori e preventivi, il ricorso per Cassazione è ammesso solo per violazione di legge. In tale nozione si devono ricomprendere sia gli "errores in iudicando" o "in procedendo", sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice (cfr. Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692 - 01; Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Rv. 269656 - 01).
Con riferimento all'ultimo profilo, si è precisato che, in subiecta materia, il ricorso per cassazione è ammissibile soltanto in caso di motivazione apparente o inesistente. Motivazione assente è quella fisicamente mancante (Sez. 5, n. 4942 del 04/08/1998, Seana; Sez. 5, n. 35532 del 25/06/2010, Angelini) o quella graficamente indecifrabile (Sez. 3, n. 19636 del 19/01/2012, Buzi). Motivazione apparente, invece, è solo quella che <<non risponda ai requisiti minimi di esistenza, completezza e logicità del discorso argomentativo su cui si è fondata la decisione, mancando di specifici momenti esplicativi anche in relazione alle critiche pertinenti dedotte dalle parti» (Sez. 1, n. 4787 del 10/11/1993, Di Giorgio), come, per esempio, nel caso di ricorso a clausole di stile ovvero quando la motivazione dissimuli la totale mancanza di un vero e proprio esame critico degli elementi di fatto e di diritto su cui si fonda la decisione, o sia priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidonea a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice. Anche l'omesso esame di punti decisivi per l'accertamento del fatto, sui quali è stata fondata l'emissione del provvedimento di sequestro, si traduce in una violazione di legge per mancanza di motivazione, censurabile con ricorso per cassazione ai sensi dell'art . 325, comma primo, cod. proc. pen. (Sez. 3, n. 28241 del 18/ 02/ 2015, Baronia, Rv. 264011).
Ciò premesso, nella motivazione espressa dal Tribunale del riesame di Cosenza non sono riconoscibili le connotazioni di una motivazione soltanto apparente o inesistente. Neppure è sostenibile che il Tribunale abbia omesso di esaminare aspetti decisivi inerenti all'accertamento del fatto portato alla sua attenzione, sui quali si fondava il provvedimento di sequestro. Contrariamente a quanto prospettato dalla Procura ricorrente, invero, la decisione poggia su una disamina esauriente del materiale probatorio, che è stato ritenuto dai giudici insufficiente a fondare il convincimento del fumus commissi delicti.
I rilievi del ricorrente, pur se articolati con diffuse argomentazioni, dietro l'apparente prospettazione del vizio di violazione di legge, si soffermano sulla valutazione operata dai giudici di merito del compendio indiziario, sollecitando una non consentita rivisitazione delle argomentazioni poste a fondamento del decisum. Le censure prospettate diffusamente in tutti i motivi di ricorso, nelle parti in cui è avversata la valutazione espressa dal Tribunale in ordine alla ricorrenza dei diversi indici di sfruttamento della manodopera impiegata dalla indagata, risultano quindi inammissibili.
3. In ordine alle censure in diritto riconoscibili nel primo motivo di ricorso si osserva quanto segue.
Nel primo motivo di doglianza la parte ricorrente, dopo avere richiamato le modifiche al testo normativo intervenute con la novella contenuta nella I. 199/2016, si duole del fatto che il tribunale abbia operato una indebita commistione tra gli elementi costitutivi del reato di sfruttamento della manodopera e l'approfittamento dello stato di bisogno, ritenendo insussistente il primo -nonostante l'evidente ricorrenza degli indici di cui all'art 603-bis, comma 3, cod. pen . - sulla base della ritenuta insussistenza del secondo, e di avere disapplicato la norma incriminatrice nella parte in cui punisce chi utilizza, assume o impiega manodopera anche mediante l'attività di intermediazione di cui al n. 1) della citata fattispecie.
Per offrire adeguata risposta alle doglianze espresse occorre rammentare come il legislatore non definisca lo "sfruttamento", condizione che deve caratterizzare tanto l'attività di reclutamento (art. 603 bis, comma 1, n. 1 cod. pen.), quanto quella di utilizzazione, assunzione o impiego della manodopera (art. 603 bis, comma 1, n. 2), preferendo indicare alcuni indici di sfruttamento elencati al terzo comma della disposizione, così individuati: 1) reiterata corresponsione di retribuzioni in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale, o comunque sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato; 2) reiterata violazione della normativa relativa all'orario di lavoro, ai periodi di riposo, al riposo settimanale, all'aspettativa obbligatoria, alle ferie; 3) sussistenza di violazioni delle norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro; 4) sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, a metodi di sorveglianza o a situazioni alloggiative degradanti.
La formulazione del testo della norma rivela come sia sufficiente la ricorrenza di una sola delle circostanze sintomatiche per integrare lo sfruttamento, ma anche che, in relazione alla violazione dei contratti collettivi in tema di salario e delle disposizioni relative all'orario (siano esse di natura pattizia o normativa), è necessaria la "reiterazione" della condotta. Ciò per distinguere il mero ed isolato inadempimento, non rilevante, dallo sfruttamento, che invece vale ad integrare la fattispecie incriminatrice. Il testo normativo suggerisce, non individuando il numero minimo dei lavoratori in relazione ai quali debbono realizzarsi comportamenti integranti sfruttamento, che la condotta sia punibile ancorché riguardi un solo lavoratore.
L'elencazione contenuta nella norma non può ritenersi esaustiva delle condizioni che integrano lo sfruttamento, potendo il giudice individuare anche altre condotte suscettibili di dare luogo al requisito della condotta di abuso del lavoratore, posto che esse costituiscono appunto "indici" del fatto tipico.
Dallo sfruttamento deve tenersi distinto l'approfittamento dello stato di bisogno, presupposto necessario perché la condotta di sfruttamento sia punibile: l'uso della congiunzione nella dizione della norma (" ...sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno...") implica che alle condizioni di sfruttamento debba accompagnarsi l'approfittamento dello stato di bisogno per la sussistenza del reato.
In ordine alla nozione di stato di bisogno questa Corte ha precisato che essa non si identifica "con uno stato di necessità tale da annientare in modo assoluto qualunque libertà di scelta, ma come un impellente assillo e, cioè una situazione di grave difficoltà, anche temporanea, in grado di limitare la volontà della vittima, inducendola ad accettare condizioni particolarmente svantaggiose" (Sez. 4, Sentenza n. 24441 del 16/03/2021, Sanitrasport soc. coop. Soc., Rv. 281405).
4. Quanto ai rapporti tra utilizzatore della manodopera e colui il quale svolga attività d'intermediazione, il ricorrente sostiene che il tribunale sia incorso nella disapplicazione della norma, avendo trascurato di considerare che il titolare dell'azienda si era avvalso della intermediazione del reclutatore per l'impiego della manodopera.
Secondo quanto si prospetta nel ricorso, la condotta di reclutamento con approfittamento dello stato di bisogno posta in essere dall'intermediatore, di cui l'utilizzatore si sia avvalso al fine di utilizzare il lavoratore nella propria azienda, integrerebbe, ipso facto, la fattispecie incriminatrice anche a carico del datore di lavoro.
L'assunto non è fondato.
Il testo della norma introdotto con legge 29 ottobre 2016, n. 199, che ha modificato l'art. 603-bis cod. pen. previgente, distingue l'ipotesi di intermediazione illecita, il cd. "caporalato", da quella di utilizzazione del lavoro, condotta caratteristica ma non esclusiva dal datore di lavoro, equiparandole sul piano sanzionatorio. La struttura del primo comma dell'art. 603 bis -come articolata nelle ipotesi di cui ai nn. 1) e 2), riguardanti soggetti che svolgono attività diverse - consente di affermare che il reclutatore, da un lato, e colui che utilizza, assume o impiega, dall'altro, sono figure differenti e non sovrapponibili.
Sebbene l'inciso "anche mediante l'attività di intermediazione di cui al numero 1)", possa ingenerare fraintendimenti sul punto, l'impiego della congiunzione "anche" fortifica l'interpretazione che la modalità dell'utilizzo della intermediazione del reclutatore oltre a non essere necessaria non implica la sovrapposizione delle due figure.
Da quanto precede discende che non è inesatta la distinzione operata dal giudice del gravame della cautela tra la figura dell'utilizzatore e quella dell'intermediario di manodopera, perché essa è contenuta nel testo della norma.
La ratio dell'intervento legislativo del 2016 è stata, infatti, proprio quella di prevedere quale soggetto attivo del reato, oltre al caporale, l'utilizzatore.
5. Il tribunale del riesame dà conto in motivazione di non avere individuato indici di sfruttamento e di approfittamento dello stato di bisogno dei lavoratori dal compendio captativo e dagli altri elementi d'indagine risultanti a carico degli indagati.
Si legge in motivazione che tali requisiti non sono desumibili dagli atti d'indagine esaminati e che gli elementi indiziari riportati nel provvedimento impositivo della misura in ordine alla inadeguatezza della retribuzione, alla sicurezza e all'orario di lavoro non sono sufficienti a fondare l'ipotesi accusatoria.
Ha quindi considerato, in modo puntuale, le concrete risultanze processuali, esprimendo valutazioni non censurabili in questa sede [ «Non emerge dunque, almeno allo stato, la sussistenza di reiterate corresponsioni di retribuzioni palesemente in spregio delle disposizioni della contrattazione collettiva e/o territoriale ovvero la sussistenza di reiterata violazione delle norme sugli orari di lavoro. Neppure è emersa, sempre allo stato, la reiterata violazione delle norme relative ai periodi di riposo ovvero al riposo settimanale. Con riguardo agli altri indici legali di sfruttamento (la violazione di norme in materia di sicurezza ed igiene sul lavoro; la sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro degradante, anche con riferimento a metodi di sorveglianza e la natura delle situazioni alloggiative offerte), si osserva come non risulta contestata né la violazione specifica di norme in materia di sicurezza ed igiene sul lavoro e né la presenza di metodi di sorveglianza ovvero di situazioni alloggiative degradanti. Non ci sono elementi da cui desumere, allo stato, la sottoposizione dei lavoratori a condizioni di lavoro degradanti. In mancanza del requisito oggettivo relativo all'approfittamento dello stato di bisogno dei lavoratori, deve concludersi per la non configurabilità del delitto ipotizzato nei confronti di F.T.. Tale conclusione non è in alcun modo contraddetta dagli elementi indiziari indicati dal P.M. e riportati dal primo giudice nell'ordinanza impugnata, che confermano esclusivamente l'intermediazione di manodopera da parte dei "caporali" e l'utilizzo di tale intermediazione per l'assunzione di manodopera da parte del datore di lavoro, che non realizza, però, alcuna condotta di sfruttamento dei lavoratori impiegati»].
Si tratta di valutazioni di merito del tutto insindacabili nella presente sede, supportate da una motivazione esistente e non certo apparente, nella quale non compaiono gli errori di diritto lamentati nel ricorso.
5. Quanto all'ultimo motivo di doglianza, relativo ai limiti del sindacato del tribunale del riesame in tema di misure cautelari reali, non è condivisibile l'impostazione della Procura. Si registra, infatti, la graduale tendenza della giurisprudenza di legittimità a valutare con maggiore rigore i presupposti che giustificano l'adozione del sequestro preventivo: si richiede che il giudice verifichi la sussistenza del fumus commissi delicti attraverso un accertamento concreto, basato sulla indicazione obiettiva e seria di elementi dimostrativi, sia pure sul piano oggettivamente indiziario, della sussistenza del reato ipotizzato. Superata, quindi, la tesi, autorevolmente sostenuta, secondo cui, in tema di sequestro preventivo, ai fini della verifica del requisito del fumus, sarebbe sufficiente accertare l'astratta configurabilità del reato ipotizzato (Sez. U, n. 4 del 25/03/1993, Gifuni, Rv. 193118), si è affermato che il giudice del provvedimento cautelare reale debba individuare il presupposto del sequestro preventivo nel!a concretezza degli elementi di reato, pur escludendosi la tesi estrema che richiederebbe la presenza dei gravi indizi di colpevolezza (Sez. 6, n. 45591 del 24/10/2013, Rv. 257816 - 01:«Ai fini dell'emissione del sequestro preventivo funzionale alla confisca il giudice deve valutare la sussistenza del "fumus delicti" in concreto, verificando in modo puntuale e coerente gli elementi in base ai quali desumere l'esistenza del reato configurato, in quanto la "serietà degli indizi" costituisce presupposto per l'applicazione delle misure»; Sez. 3, n. 58008 del 11/10/2018, Rv. 274693 - 01:«Il tribunale del riesame, in sede dì controllo sui presupposti per l'adozione di una misura cautelare reale, deve verificare non solo la astratta configurabilità del reato, ma anche, in modo puntuale e coerente, tutte le risultanze processuali e, quindi, sia gli elementi probatori offerti dalla pubblica accusa, sia le confutazioni e gli elementi offerti dagli indagati che possano avere influenza sulla configurabilità e sulla sussistenza del "fumus" del reato contestato»).
6. Privo di pregio è il rilievo difensivo riguardante il motivo d'inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione. L'impugnazione reca l'intestazione della Procura di Cosenza e reca la firma anche del Procuratore aggiunto di Cosenza.
Dunque l'atto promana dall'ufficio requirente presso l'organo la cui decisione viene impugnata.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
In Roma, così deciso in data 11 novembre 2021