• Appalto e Contratto d'opera
  • Cantiere Temporaneo e Mobile
  • Apparecchio di Sollevamento, Trasporto ed Immagazzinamento

Responsabilità del titolare di una ditta - che a sua volta era subappaltatrice della "Impresa G. Costruzioni s.r.l." (di cui era rappresentante legale Gi.Gi., figlio del ricorrente), incaricata di eseguire opere di costruzione di più edifici di civile abitazione - perchè poneva in essere una serie di violazioni delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro nelle costruzioni edili.

Ricorre in Cassazione - Manifestamente infondato.

La Corte osserva:
"1. che G.G., quale titolare della ditta subappaltatrice dei lavori edili in fase di realizzazione, era destinatario delle norme di prevenzione infortuni, di cui alla citata normativa, perchè responsabile in concreto delle condizioni di sicurezza del cantiere edile de quo;
2. che il G. è stato ritenuto colpevole delle violazioni di cui al capo g), perchè responsabile delle condizioni di sicurezza del cantiere; il tutto anche in relazione all'apparecchio di sollevamento "San Marco", installato nel cantiere medesimo; apparecchio del quale peraltro era anche proprietario; circostanza quest'ultima che non modificava il fatto materiale contestato allo stesso, con conseguente esclusione della asserita violazione del principio del contraddittorio. "


 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE MAIO Guido - Presidente -
Dott. GENTILE Mario - Consigliere -
Dott. LOMBARDI Alfredo Maria - Consigliere -
Dott. MULLIRI Guicla I. - Consigliere -
Dott. GAZZARA Santi - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza


sul ricorso proposto da:
G.G., nato il (OMISSIS);
Avverso la Sentenza Tribunale di Asti, emessa il 22/04/08;
Visti gli atti, la sentenza denunziata ed il ricorso;
Udita in Pubblica udienza la relazione del Consigliere Dott. Mario Gentile;
Udito il Pubblico Ministero in persona del Dott. PASSACANTANDO Guglielmo, che ha concluso per: Rigetto del ricorso.

 
Fatto


Il Tribunale di Asti, con sentenza emessa il 22/04/08, dichiarava G.G. colpevole dei reati di cui al D.P.R. n. 164 del 1956, art. 4, comma 1, (capo a) della rubrica); D.P.R. n. 164 del 1956, art. 12, comma 2, (capo b)); D.P.R. n. 164 del 1956, art. 24 (capo c)); D.P.R. n. 164 del 1956, art. 69 (capo d)); D.P.R. n. 547 del 1955, artt. 10, 282 e 41 (capi e), f), g)) e lo condannava alla pena di Euro 4.800,00 di ammenda.
L'interessato proponeva ricorso per Cassazione deducendo violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e).
In particolare il ricorrente sostanzialmente esponeva:
1. che la decisione impugnata si fondava su un'errata interpretazione del quadro probatorio come emergente dalle risultanze processuali (motivo 1 e 2 del Q ricorso);
2. che, comunque nella fattispecie, non ricorrevano gli elementi costitutivi, soggettivo ed oggettivo dei reati contestati, come si evinceva dall'esame delle risultanze processuali (motivi 2 e 3);
3. che in ordine all'imputazione di cui al capo g) della rubrica, sussisteva difetto di motivazione nonchè modifica del fatto contestato a G.G., ritenuto responsabile della contravvenzione de qua non più quale titolare della omonima ditta (che era a sua volta sub appaltatrice dei lavori edili in esame affidati all'impresa Gibelli Costruzioni s.r.l.) ma quale proprietario della gru (motivo 4 del ricorso).
Tanto dedotto il ricorrente chiedeva l'annullamento della sentenza impugnata.
Il P.G. della Cassazione, nella pubblica udienza del 05/02/09, ha chiesto il rigetto del ricorso.

Diritto


Il ricorso è manifestamente infondato.


Il Tribunale di Asti ha congruamente motivato in ordine ai punti fondamentali della decisione.
In particolare il giudice di merito ha accertato che G. G., nelle condizioni di tempo e di luogo come individuata in atti, quale titolare della omonima ditta - che a sua volta era subappaltatrice della "Impresa G. Costruzioni s.r.l." (di cui era rappresentante legale Gi.Gi., figlio del ricorrente), incaricata di eseguire opere di costruzione di più edifici di civile abitazione in località (OMISSIS) - poneva in essere una serie di violazioni delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro nelle costruzioni edili, come analiticamente indicati nei capi di imputazione D.P.R. n. 164 del 1956, artt. 4, 12, 24, 69, lett. a), b), c), d), e), f), g);  D.P.R. n. 547 del 1955, artt. 10, 282 e 41 (norme ora riprodotte rispettivamente nel D.Lgs. n. 81 del 2008, artt. 108, 118, 126, 147, 80, 81, 115, 71).
Ricorrevano, pertanto, gli elementi costitutivi, soggettivo ed oggettivo, delle contravvenzioni come contestati in atti.
Per contro le censure dedotte nel ricorso sono infondate perchè in contrasto con quanto accertato e congruamente motivato dal giudice di merito.
Dette doglianze, peraltro, quantunque prospettate - come violazione di legge o vizio di motivazione ex art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) - costituiscono nella sostanza eccezioni in punto di fatto, poichè non inerenti ad errori di diritto o vizi logici della decisione impugnata, ma alle valutazioni operate dai giudici di merito.
Si chiede, in realtà, al giudice di legittimità una rilettura degli atti probatori, per pervenire ad una diversa interpretazione degli stessi, più favorevole alla tesi difensiva del ricorrente.
Trattasi di censura non consentita in sede di legittimità perchè in violazione della disciplina di cui all'art. 606 c.p.p. (Giurisprudenza consolidata: Cass. Sez. Unite Sent. n. 6402 del 02/07/97, rv 207944; Cass. Sez. Unite Sent. n. 930 del 29/01/96, rv 203428; Cass. Sez. 1 Sent. n. 5285 del 06/05/98, rv 210543; Cass. Sez. 5^, Sent. n. 1004 del 31/01/2000, rv 215745; Cass. Sez. 5^, Ord. N. 13648 del 14/04/2006, rv 233381).
Ad abundantiam si osserva:
1. che G.G., quale titolare della ditta subappaltatrice dei lavori edili in fase di realizzazione, era destinatario delle norme di prevenzione infortuni, di cui alla citata normativa, perchè responsabile in concreto delle condizioni di sicurezza del cantiere edile de quo;
2. che il G. è stato ritenuto colpevole delle violazioni di cui al capo g), perchè responsabile delle condizioni di sicurezza del cantiere; il tutto anche in relazione all'apparecchio di sollevamento "San Marco", installato nel cantiere medesimo;
apparecchio del quale peraltro era anche proprietario; circostanza quest'ultima che non modificava il fatto materiale contestato allo stesso, con conseguente esclusione della asserita violazione del principio del contraddittorio.
Va dichiarato, pertanto, inammissibile il ricorso proposto da G.G. con condanna dello stesso al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria che si determina in Euro 1.000,00.

P.Q.M.

La Corte, dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 5 febbraio 2009.

Depositato in Cancelleria il 24 marzo 2009