Cassazione Penale, Sez. 4, 07 aprile 2022, n. 13212 - Infortunio con una linea taglio. Nonostante l'anomalo comportamento della vittima la presenza di una protezione che impedisse l'accesso alla lama in movimento avrebbe scongiurato l'evento


 

Presidente: FERRANTI DONATELLA Relatore: CAPPELLO GABRIELLA
Data Udienza: 09/03/2022
 

 

Fatto




1. La Corte d'appello di Brescia ha confermato la sentenza, con la quale il Tribunale di Bergamo aveva condannato S.E., nella qualità di procuratore speciale per la sicurezza della O. G. SpA, per le lesioni subite dalla lavoratrice D.D., cagionate per negligenza, imprudenza, imperizia e per violazione di norme in materia di igiene e sicurezza sul lavoro, nella specie omettendo di valutare i rischi connessi all'utilizzo dell'attrezzatura utilizzata dalla lavoratrice nell'occorso (una linea taglio), con specifico riferimento al contatto di parti del corpo del lavoratore con elementi mobili pericolosi del macchinario, durante il processo lavorativo e per aver messo a disposizione della lavoratrice un macchinario che permetteva il contatto dell'arto ferito con il rullo pressore e la lama taglio in movimento (in Comun Nuovo il 24 ottobre 2014).

3. Ha proposto ricorso il S.E. con difensore, formulando tre motivi.
Con il primo, la difesa ha dedotto vizio della motivazione per travisamento probatorio (e, per il caso in cui questa Corte non lo ravvisasse, carenza di motivazione), in ordine alla valutazione della consulenza tecnica della difesa, dell'esame del consulente della difesa e della testimonianza dell'ispettore della ASL.
Secondo il deducente, la affermazione di responsabilità si fonderebbe unicamente sull'assunto che il macchinario era carente sotto il profilo della sicurezza. Il ragionamento probatorio, tuttavia, sarebbe disarticolato dalla lettura difforme che la difesa offre dei dati probatori richiamati: non sarebbe esatto che la macchina presentava la lama taglia-fogli mancante dì protezioni o ripari, l'ispettore della ASL avendo affermato che la lama era abbastanza coperta dal rullo pressore, sebbene avvicinandosi molto alla zona lavoro si poteva andare incontro a eventuali tagli; il consulente della difesa aveva rilevato che la lama non era nemmeno visibile nelle fotografie; l'eventuale esistenza della griglia (poi apposta a seguito dell'infortunio e su prescrizione della ASL) non avrebbe scongiurato il rischio concretizzatosi, poiché l'apertura del cancello determinava sì l'arresto della macchina, ma il lavoratore poteva accedere all'interno e chiedere a un altro operatore di riattivarla. Sotto altro profilo, poi, il comportamento della lavoratrice era stato del tutto imprevedibile, poiché le operazioni di pulizia venivano periodicamente svolte a macchinario fermo, come emergeva dal cartellone che campeggiava nei pressi e il lavoratore era tenuto a usare i presidi individuali di protezione disponibili.
Con il secondo, ha dedotto i vizi di cui alle lett. a) ed e) dell'art. 606, cod. proc. pen., quanto al comportamento abnorme della vittima. La stessa Corte territoriale ha ammesso che il caso si collocava su una linea di confine tra il comportamento anomalo del lavoratore e l'adempimento incompleto delle regole di sicurezza da parte del soggetto che ricopriva la posizione di garanzia. Tuttavia, erroneamente, i giudici territoriali avrebbero escluso che la condotta della lavoratrice avesse generato un rischio eccentrico, secondo l'orientamento espresso da più recente giurisprudenza, atteso che il garante, nella specie, non avrebbe potuto prevedere, né evitare quel rischio che neppure gli interventi strutturali successivi avrebbero potuto scongiurare. In maniera, poi, del tutto contraddittoria e illogica la Corte territoriale avrebbe attribuito la responsabilità all'imputato solo in base all'asserita idoneità della griglia a prevenire l'infortunio, senza considerare che il comportamento interruttivo del lavoratore può esser posto in essere anche allorquando la sua condotta non esorbiti dalle mansioni affidate.
Con il terzo motivo, infine, la difesa ha dedotto violazione di legge e vizio della motivazione, con riferimento ai principi della causalità della colpa e di esigibilità del comportamento dovuto, affermando che la Corte d'appello si sarebbe limitata a individuare la colpa dell'imputato per la mancata dotazione del macchinario dei dispositivi di protezione e sicurezza ulteriori rispetto a quelli presenti, con ciò travisando tuttavia affermato dal consulente della difesa, come sopra già esposto, e non considerando che non vi era alcuna evidenza di un rischio di contatto accidentale tra le parti del corpo del lavoratore e le parti taglienti della macchina per le operazioni da effettuarsi; inoltre, la dipendente era perfettamente edotta di quale fosse la manovra corretta e dei pericoli insiti nella sua scelta; un cartello posto a fianco del macchinario ricordava di spegnere la macchina prima di qualsiasi intervento su di essa; infine, la griglia non avrebbe scongiurato il pericolo.
Nel disattendere tali considerazioni, i giudici di merito avrebbero omesso di procedere alla personalizzazione del rimprovero colposo, finendo per attribuire la responsabilità in relazione alla posizione ricoperta, rilevandosi che l'imputato, all'epoca dei fatti, era direttore di stabilimento e che al medesimo non spettava neppure la vigilanza sulle concrete modalità operative di ciascuna attività da parte dei lavoratori, una volta determinate le procedure e considerato che non vi erano state segnalazioni di anomalie o di altri pericoli o problematiche da parte dei preposti e dei capi reparto.
 

Diritto


1. Il ricorso è inammissibile.


2. La Corte territoriale, con analitica e puntuale descrizione della dinamica, suffragata dalle risultanze processuali indicate in sentenza, mediante un richiamo a quella appellata, nel rispondere alle doglianze difensive riproposte in questo grado (assenza di profili di pericolosità del macchinario; interruzione del nesso causale per comportamento abnorme della lavoratrice; non esigibilità della condotta ascritta), ha precisato che effettivamente il caso si poneva su una linea di confine tra il comportamento anomalo della vittima e il mancato completo adempimento delle prescrizioni di sicurezza da parte del responsabile di essa, risolvendosi nel senso che la condotta della persona offesa, nella specie, pur indiscutibilmente imprudente e inosservante del corretto metodo lavorativo, non era stata tuttavia eccentrica, rispetto alla lavorazione assegnata, né imprevedibile, tenuto conto del contesto in cui l'evento era avvenuto e delle caratteristiche del macchinario: questo, realizzato in epoca risalente, era completamente accessibile in prossimità della lama tagliente, anche se la stessa era abbastanza coperta dal rullo pressore; il difetto era certamente attribuibile al costruttore, ma anche all'imputato che non aveva provveduto per adeguare il macchinario, non più rispondente ai requisiti di legge e alle nuove norme di sicurezza, nonostante la certificazione CE, precisando che nessun affidamento poteva esonerare il garante, soprattutto nel caso di specie, in cui la macchina non era stata neppure costruita secondo le prescrizioni comunitarie.
Il nesso causale tra la pericolosa inadeguatezza del macchinario e le lesioni era stata dimostrata al di là di ogni dubbio: la lavoratrice si era procurata la lesione durante l'attività di pulizia del macchinario con l'utilizzo di un tubetto di cartone; la sua mano era stata trascinata verso la lama non protetta; la stessa aveva certamente violato le prescrizioni datoriali, poiché non aveva spento la macchina e neppure utilizzato l'aria compressa per eliminare i residui della lavorazione. Il comportamento, però, non poteva essere considerato eccezionale, né imprevedibile, come prospettato a difesa: l'operazione alla quale era intenta la vittima faceva parte delle sue assegnazioni e la pericolosità intrinseca del gesto non rendeva il comportamento eccezionale. Secondo la Corte d'appello, il primo giudice aveva correttamente valutato la fattispecie concreta, essendo indubbio che, nonostante l'anomalo comportamento della vittima, la presenza di una protezione che impedisse l'accesso alla lama in movimento avrebbe scongiurato l'evento.

3. I motivi sono manifestamente infondati.
In linea generale, deve intanto ribadirsi che, in caso di doppia sentenza conforme (e tali devono considerarsi le due sentenze di merito quanto alla ricostruzione dei fatti e al giudizio di imputabilità dell'evento alla condotta dell'imputato), la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando i giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall'appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione (cfr. sez. 3 n. 44418 del 16/7/2013, Argentieri, Rv, 257595; sez. 2, n. 37295 del 12/6/2019, Rv. 277218), a maggior ragione allorché i motivi di gravame non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione impugnata (cfr. sez. 3 n. 13926 del 1/12/2011, dep. 2012, Valerio, Rv. 252615).
Tale tema introduce direttamente quello dell'esatta individuazione del vizio motivazionale deducibile in sede di legittimità. È vero che - a seguito della modifica apportata all'art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen. dall'art. 8, comma primo, della legge n. 46 del 2006 - il legislatore ha esteso l'ambito della deducibilità di tale vizio anche ad altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame, così introducendo il travisamento della prova quale ulteriore criterio di valutazione della contraddittorietà estrinseca della motivazione il cui esame nel giudizio di legittimità deve riguardare uno o più specifici atti del giudizio, non il fatto nella sua interezza (cfr. sez. 3 n. 38341 del 31/1/2018, Ndoja, Rv. 273911); ma è altrettanto pacifico che, anche a seguito di tale modifica, resta non deducibile nel giudizio di legittimità il travisamento del fatto, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (cfr. sez. 3 n. 18521 del 11/1/2018, Ferri, RV. 273217; sez. 6 n. 25255 del 14/2/2012, Minervini, Rv. 253099).
In ogni caso, va ribadito che un ricorso per cassazione che deduca il travisamento (e non soltanto l'erronea interpretazione) di una prova decisiva, ovvero l'omessa valutazione di circostanze decisive risultanti da atti specificamente indicati, impone di verificare l'eventuale esistenza di una palese e non controvertibile difformità tra i risultati obiettivamente derivanti dall'assunzione della prova e quelli che il giudice di merito ne abbia inopinatamente tratto, ovvero di verificare l'esistenza della decisiva difformità, fermo restando il divieto di operare una diversa ricostruzione del fatto, quando si tratti di elementi privi di significato indiscutibilmente univoco (cfr. sez. 4 n. 14732 del 1/3/2011, Molinario, Rv . 250133; sez. 5, n. 9338 del 12/12/2012, dep. 2013, Maggio, Rv. 255087, in cui, con riferimento alla prova dichiarativa, si è precisato che il vizio di travisamento di essa, per essere deducibile in sede di legittimità, deve avere un oggetto definito e non opinabile, tale da evidenziare la palese e non controvertibile difformità tra il senso intrinseco della singola dichiarazione assunta e quello che il giudice ne abbia inopinatamente tratto ed è pertanto da escludere che integri il suddetto vizio un presunto errore nella valutazione del significato probatorio della dichiarazione medesima; nello stesso senso, anche sez. 5, n. 8188 del 4/12/2017, dep. 2018, Grancini, Rv. 272406).
Peraltro, nella motivazione della sentenza, il giudice del gravame non è tenuto a compiere un'analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una loro valutazione globale, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo, sicché debbono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr. sez. 6, n. 34532 del 22/6/2021, Depretis, Rv. 281935)
4. Fatta tale premessa, si osserva che l'intera impalcatura difensiva si fonda su un asserito travisamento delle risultanze probatorie, smentito dalle prove esposte nella sentenza impugnata, risultanti da una lettura conforme da parte dei giudici dei due gradi di merito: la protezione della lama per mezzo del rullo compressore non era risolutiva, atteso che la lama era comunque accessibile; il presidio successivamente applicato avrebbe interdetto l'accesso alle parti taglienti mentre il macchinario era in movimento. La ricostruzione proposta a difesa, per dimostrare che l'evento non avrebbe, nella specie, concretizzato il rischio alla cui prevenzione era finalizzata la regola cautelare violata, è del tutto congetturale: in base ad essa, anche ove la presenza della grata avesse impedito di avvicinare il macchinario in movimento, la sua apertura determinandone l'arresto, ciò non avrebbe impedito, comunque, che un lavoratore accedesse all'interno della grata, salvo poi chiedere a un altro operatore di rimettere in moto il macchinario. Tale argomentare è inammissibile in sede di legittimità, poiché propone una diversa ricostruzione fattuale, rispetto agli elementi disponibili, ipotizzando peraltro una azione complessa del tutto eccentrica e diversa da quella posta in essere, sull'assunto, anch'esso virtuale, che altri soggetti possano assecondare un lavoratore disattento e imprudente.

5. Con un ragionamento del tutto corretto, poi, i giudici territoriali hanno escluso una incidenza del comportamento della vittima sulla esigibilità dell'osservanza della regola violata da parte del garante: la difesa, infatti, non ha tenuto conto che all'agente si è addebitato di non aver adeguato la sicurezza di un macchinario datato, sì da scongiurare comportamenti del tipo di quello tenuto dalla vittima, ma non anche di controllare affinché non si instaurassero prassi elusive di presidi cautelari approntati. Ne deriva che il riferimento fatto nel terzo motivo alla esigibilità del comportamento corretto da parte dell'imputato è del tutto de-assiale rispetto alla imputazione di cui si discute.

6. Quanto, poi, al comportamento del lavoratore, agli obblighi collaborativi che il sistema prevenzionistico impone anche a tale figura e all'invocato effetto interruttivo del collegamento tra la condotta addebitata e l'evento, deve rilevarsi che le conclusioni dei giudici territoriali sono coerenti con i principi più volte affermati in sede di legittimità [rilevandosi incidentalmente l'improprio richiamo alla lett. a) dell'art. 606, cod. proc. pen., nel secondo motivo di ricorso.
È certamente vero che - in materia di prevenzione antinfortunistica - si è passati da un modello "iperprotettivo", interamente incentrato sulla figura del datore di lavoro investito di un obbligo di vigilanza assoluta sui lavoratori (non soltanto fornendo i dispositivi di sicurezza idonei, ma anche controllando che di questi i lavoratori facessero un corretto uso, imponendosi contro la loro volontà), a un modello "collaborativo", in cui gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti, compresi i lavoratori, in tal senso valorizzando il testo normativo di riferimento (cfr. art. 20 d.lgs. n. 81/2008), il quale impone anche ai lavoratori di attenersi alle specifiche disposizioni cautelari e agire con diligenza, prudenza e perizia (cfr., sul punto, sez. 4 n. 8883 del 10/2/2016, Santini e altro, Rv. 266073).
Tuttavia, pur dandosi atto che - da tempo - si è individuato il principio di auto responsabilità del lavoratore e che è stato abbandonato il criterio esterno delle mansioni, sostituito con il parametro della prevedibilità, intesa come dominabilità umana del fattore causale (cfr., in motivazione, sez. 4 n. 41486 del 2015, Viotto), passandosi, a seguito dell'introduzione del d. lgs 626/94 e, poi, del T.U. 81/2008, dal principio "dell'ontologica irrilevanza della condotta colposa del lavoratore" al concetto di "area di rischio" (sez. 4, n. 21587 del 23/3/2007, Pelosi, Rv. 236721) che il datore di lavoro è chiamato a valutare in via preventiva, resta in ogni caso fermo il principio secondo cui non può esservi alcun esonero di responsabilità all'interno dell'area di rischio, nella quale si colloca l'obbligo datoriale di assicurare condizioni di sicurezza appropriate anche in rapporto a possibili comportamenti trascurati del lavoratore (cfr. sez. 4 n. 21587 del 2007, Pelosi, cit.).
All'interno dell'area di rischio considerata, quindi, deve ribadirsi il principio per il quale la condotta del lavoratore può ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo ove sia tale da attivarne uno eccentrico o esorbitante dalla sfera governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (cfr. sez. 4 n. 15124 del 13/12/2016, dep. 2017, Gerosa e altri, Rv. 269603; cfr. sez. 4 n. 5007 del 28/11/2018, dep. 2019, PMT e/ Musso Paolo, rv. 275017); oppure ove sia stata posta in
essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli e, come tale, al di fuori di ogni prevedibilità da parte del datore di lavoro, oppure vi rientri, ma si sia tradotta in qualcosa che, radicalmente quanto ontologicamente, sia lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (cfr. sez. 4 n. 7188 del 10/1/2018, Bozzi, Rv. 272222).
Nella risposta approntata dalla Corte d'appello alle doglianze formulate con il gravame non si riviene alcun vizio motivazionale che infici il complessivo ragionamento probatorio svolto che, al contrario, tiene in debito conto i principi testé richiamati. Nella specie, il lavoratore ha agito nel contesto delle lavorazioni espressamente assegnate e la scelta di alzare la copertura della lama della sega circolare è stata resa possibile proprio dalla inidoneità del sistema di separazione del lavoratore dalle parti taglienti del macchinario.

8. Alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della causa di inammissibilità (cfr. C. cost . n. 186/ 2000) .
 

P.Q.M.


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende
Deciso il 9 marzo 2022