- Datore di Lavoro
- Informazione, Formazione, Addestramento
- Sorveglianza Sanitaria
Responsabilità del legale rappresentante di una ditta edile
per non aver provveduto, all'applicazione delle necessarie
armature di sostegno a tutela dei lavoratori operanti
all'interno di uno scavo; per non aver richiesto l'osservanza
degli obblighi previsti dal D.Lgs.
626/94 (visita medica dei
lavoratori); per non aver provveduto alla necessaria formazione
ed informazione dei lavoratori sui rischi per la sicurezza e
l'attività d'impresa.
Condannato in primo grado, l'imputato propone appello convertito in ricorso in Cassazione (essendo la sentenza inappellabile) - Rigetto.
La Corte afferma che: "in tema di misure
antinfortunistiche, la disposizione di cui al
D.P.R. 7 gennaio 1956, n. 164, art. 13,
esonera dall'obbligo dell'applicazione di
armature di sostegno negli scavi in trincea
profondi oltre un metro e mezzo, solo a
condizione che la consistenza del terreno dia
"sufficiente garanzia di stabilità"; con tale
espressione il legislatore ha voluto imporre
all'imprenditore la predisposizione di un
sistema di prevenzione assolutamente sicuro ed
efficace, che deve essere attuato ogni qualvolta
vi sia anche la sola possibilità di smottamento
del terreno interessato allo scavo.
Se c'è quindi il rischio di smottamento delle pareti di uno scavo che abbia la profondità superiore ad un metro e mezzo insorge l'obbligo per il datore di lavoro di approntare le prescritte misure di prevenzione senza che sussistano limiti di larghezza della sezione dello scavo."
Se c'è quindi il rischio di smottamento delle pareti di uno scavo che abbia la profondità superiore ad un metro e mezzo insorge l'obbligo per il datore di lavoro di approntare le prescritte misure di prevenzione senza che sussistano limiti di larghezza della sezione dello scavo."
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Magistrati:
Dott. DE MAIO Guido - Presidente -
Dott. CORDOVA Agostino - Consigliere -
Dott. GENTILE Mario - Consigliere -
Dott. AMOROSO Giovanni - Consigliere -
Dott. SARNO Giulio - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Magistrati:
Dott. DE MAIO Guido - Presidente -
Dott. CORDOVA Agostino - Consigliere -
Dott. GENTILE Mario - Consigliere -
Dott. AMOROSO Giovanni - Consigliere -
Dott. SARNO Giulio - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
F.B., n. a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 30 novembre 2007 del tribunale di Camerino;
Udita la relazione fatta in pubblica udienza dal Consigliere Dott. AMOROSO
Giovanni;
Udito il P.M., in persona del S. Procuratore Generale Dott. PASSACANTANDO
Guglielmo, che ha concluso per l'inammissibilità e il rigetto del ricorso;
Udito il difensore Avv. CICCARI Gianpaolo.
Fatto
1. F.B. è stato imputato:
a) del reato di cui al
D.P.R. n. 164 del 1956, art. 13 e
art. 77, lett. b), per non avere, quale legale
rappresentante della ditta edile "Edil sud s.a.s.", avente sede
in (OMISSIS) e cantiere edile in (OMISSIS) presso il cimitero di
quel Comune per l'ampliamento dello stesso, provveduto, avendo
effettuato uno scavo di trincea profondo più di mt. 1,5 in un
terreno che non dava sufficiente garanzia di stabilità,
all'applicazione delle necessarie armature di sostegno a tutela
dei lavoratori operanti all'interno dello scavo;
b) del reato di cui al
D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 4, comma 5,
e
art. 89, perchè, nella qualità di cui al capo a) che precede e
pur avendo effettuato la nomina del medico competente, non
richiedeva l'osservanza degli obblighi previsti dal citato testo
normativa (visita medica dei lavoratori) e non li informava sui
processi e sui rischi connessi all'attività produttiva;
c) del reato di cui al
D.Lgs. n. 626 del 1994, artt. 21,
22 e
89, perchè, nella qualità di cui la capo a), non provvedeva a
che i lavoratori dipendenti ricevessero l'adeguata formazione ed
informazione sui rischi per la sicurezza e l'attività d'impresa
(in (OMISSIS), il (OMISSIS)).
Con decreto penale il F. veniva condannato alla pena di Euro 850,00, di ammenda.
F.B., a mezzo del difensore, proponeva opposizione al suindicato decreto penale di condanna.
Con decreto penale il F. veniva condannato alla pena di Euro 850,00, di ammenda.
F.B., a mezzo del difensore, proponeva opposizione al suindicato decreto penale di condanna.
2. Il Tribunale di Camerino, in composizione monocratica, con sentenza del 30 novembre 2007 ha dichiarato F.B. colpevole dei reati a lui ascritti, e per l'effetto, riconosciuto il vincolo di cui all'art. 81 c.p., lo ha condannato alla pena di Euro 2.000,00, (duemila) di ammenda, oltre che al pagamento delle spese processuali.
3. Avverso questa pronuncia l'imputato ha proposto appello articolato in sei motivi.
Diritto
1. Preliminarmente l'atto d'appello va convertito in ricorso per
cassazione non essendo appellabile l'impugnata pronuncia in
quanto sentenza di condanna alla sola pena dell'ammenda.
Infatti il principio di tassatività dei mezzi di impugnazione va contemperato con quello della libertà delle forme degli atti processuali (art. 568 c.p.p.) sicchè l'erronea indicazione, nell'intestazione dell'atto di impugnazione, di un mezzo diverso da quello prescritto non è causa di inammissibilità del gravame, salvo che emerga chiaramente la volontà della parte di utilizzare un tipo di impugnazione non consentito.
Infatti il principio di tassatività dei mezzi di impugnazione va contemperato con quello della libertà delle forme degli atti processuali (art. 568 c.p.p.) sicchè l'erronea indicazione, nell'intestazione dell'atto di impugnazione, di un mezzo diverso da quello prescritto non è causa di inammissibilità del gravame, salvo che emerga chiaramente la volontà della parte di utilizzare un tipo di impugnazione non consentito.
2. Il primo motivo di ricorso, con cui il ricorrente si duole della mancata firma del verbale da parte del tecnico incaricato della stenotipia e della fonoregistrazione, è infondato.
Deve considerarsi che l'art. 135 c.p.p., comma 2, prevede che, quando il verbale è redatto con la stenotipia o altro strumento meccanico, il giudice autorizza l'ausiliario che non possiede le necessarie competenze a farsi assistere da personale tecnico, anche esterno all'amministrazione dello Stato.
L'art. 50 att. c.p.p., regolamenta poi la redazione del verbale in forma stenotipica prescrivendo in particolare che, se lo strumento meccanico impiegato non comporta la immediata impressione di caratteri comuni di scrittura, il relativo nastro è sottoscritto dai soli verbalizzanti.
E quindi - ha affermato questa Corte (Cass. sez. Ili, 14 novembre 2007, Di Girolamo) - le trascrizioni delle fonoregistrazioni e dei nastri stenotipici di deposizioni testimoniali costituiscono parte integrante del verbale di udienza al quale sono allegate e, pertanto, ai fini della loro validità e utilizzabilità, è sufficiente la sottoscrizione di detto verbale da parte dell'ausiliario del giudice, senza che occorra la sua sottoscrizione per ogni atto di trascrizione.
In particolare bisogna distinguere il verbale riassuntivo, che deve necessariamente essere sottoscritto a pena di nullità ai sensi dell'art. 142 c.p.p., dall'ausiliario del giudice, dalla trascrizione stenotipica delle udienze che deve essere unita agli atti del processo insieme ai nastri; in questo ultimo caso la omessa sottoscrizione da parte del tecnico non è prevista a pena di nullità anche perchè è sempre possibile procedere ad una rilettura o trascrizione dei nastri allegati agli atti (Cass. sez. 1^, 11 gennaio 2007, Risaliti).
Non sussiste quindi il denunciato vizio di nullità; non senza considerare che nella specie peraltro il verbale trascritto reca la sigla del cancelliere e comunque il difensore non allega che il contenuto del verbale trascritto non sia corrispondente a quello della fonoregistrazione.
3. Infondato è anche il secondo motivo di ricorso con cui il ricorrente denuncia l'erronea nozione di "scavi in trincea" cui si raccorda la prescrizione di prevenzione degli infortuni sul lavoro D.P.R. n. 164 del 1956, art. 13 e art. 77, lett. b).
In riferimento a tale profilo ha puntualmente osservato il tribunale che il D.P.R. n. 164 del 1956, art. 13, comma 1, prevede che nello scavo di pozzi e di trincee profondi più di m. 1,50, quando la consistenza del terreno non dia sufficiente garanzia di stabilità, anche in relazione alla pendenza delle pareti, si deve provvedere, man mano che procede lo scavo, alla applicazione delle necessarie armature di sostegno.
Quindi la citata disposizione impone l'obbligo dell'apprestamento delle armature di sostegno in relazione alla consistenza del terreno, rapportata anche alla pendenza delle pareti.
Ciò che rileva è la struttura del terreno e la caratteristica
delle pareti dello scavo tenendo presente che la finalità della
norma è quella di proteggere la sicurezza dei lavoratori (Cass.
9 dicembre 1988, Gambardella).
Deve in proposito ribadirsi (Cass. 6 luglio 1988, Guzzi) che in tema di misure antinfortunistiche, la disposizione di cui al D.P.R. 7 gennaio 1956, n. 164, art. 13, esonera dall'obbligo dell'applicazione di armature di sostegno negli scavi in trincea profondi oltre un metro e mezzo, solo a condizione che la consistenza del terreno dia "sufficiente garanzia di stabilità"; con tale espressione il legislatore ha voluto imporre all'imprenditore la predisposizione di un sistema di prevenzione assolutamente sicuro ed efficace, che deve essere attuato ogni qualvolta vi sia anche la sola possibilità di smottamento del terreno interessato allo scavo.
Se c'è quindi il rischio di smottamento delle pareti di uno scavo che abbia la profondità superiore ad un metro e mezzo insorge l'obbligo per il datore di lavoro di approntare le prescritte misure di prevenzione senza che sussistano limiti di larghezza della sezione dello scavo.
Deve in proposito ribadirsi (Cass. 6 luglio 1988, Guzzi) che in tema di misure antinfortunistiche, la disposizione di cui al D.P.R. 7 gennaio 1956, n. 164, art. 13, esonera dall'obbligo dell'applicazione di armature di sostegno negli scavi in trincea profondi oltre un metro e mezzo, solo a condizione che la consistenza del terreno dia "sufficiente garanzia di stabilità"; con tale espressione il legislatore ha voluto imporre all'imprenditore la predisposizione di un sistema di prevenzione assolutamente sicuro ed efficace, che deve essere attuato ogni qualvolta vi sia anche la sola possibilità di smottamento del terreno interessato allo scavo.
Se c'è quindi il rischio di smottamento delle pareti di uno scavo che abbia la profondità superiore ad un metro e mezzo insorge l'obbligo per il datore di lavoro di approntare le prescritte misure di prevenzione senza che sussistano limiti di larghezza della sezione dello scavo.
4. Il terzo motivo di ricorso, con cui si censura il mancato espletamento di una perizia in ordine alla consistenza del terreno oggetto di scavo, è infondato.
Deve infatti considerarsi che la perizia, per il suo carattere "neutro" sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso alla discrezionalità del giudice, non può farsi rientrare nel concetto di prova decisiva: ne consegue che il relativo provvedimento di diniego non è sanzionarle ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d), in quanto giudizio di fatto che se sorretto da adeguata motivazione è insindacabile in cassazione (Cass. sez. 4^, 22 gennaio 2007, Pastorelli).
5. Inammissibile sono poi il quarto ed il quinto motivo di ricorso che attengono alla mancata osservanza dell'obbligo di sottoporre a visita medica i lavoratori e alla mancata formazione ed informazione sui rischi per la sicurezza derivanti dall'attività di impresa.
Trattasi infatti di censure in fatto che non denunciano alcuna mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione dell'impugnata sentenza, la quale ha puntualmente rilevato come la documentazione attestante il rispetto dei suddetti precetti antinfortunistici, la cui violazione era stata contestata all'imputato, non era stata esibita, nonostante fosse stata richiesta.
Ed ha poi aggiunto che in particolare in azienda era utilizzata
un'autogrù, in relazione alla quale sussisteva l'esigenza di un
addestramento specifico, che però non risultava essere stato
fornito secondo quanto riferito dall'ispettore M., sentito come
teste.
6. Inammissibile è infine il quinto motivo che attiene alla mancata audizione dei testi a difesa.
In proposito questa Corte (Cass. sez. 6^, 24 febbraio 1999 - 13 maggio 1999, n. 6026) ha affermato che, qualora la testimonianza a discarico sia stata ammessa su richiesta della parte, questa ha l'obbligo di provvedere alla citazione. Nel caso in cui la parte onerata non abbia allegato di aver citato i testi e di essersi comunque adoperata al fine di ottenerne la presenza in udienza, nel silenzio delle altre parti, non occorre una ordinanza con la quale il giudice revochi il precedente provvedimento di ammissione della prova, in quanto le parti, con il loro comportamento concludente, hanno rinunciato alla prova stessa, dando concreta attuazione al principio di disponibilità della prova di cui all'art. 190 c.p.p., comma 1, versandosi in tal caso in una decadenza dalla prova, per cui sussiste preclusione a richiedere la medesima prova in sede di impugnazione.
L'esigenza di ragionevole durata del processo - elevata a livello di parametro costituzionale (art. 111 Cost., comma 2) - induce a confermare tale orientamento, precisando che, anche se non c'è una vera e propria decadenza dalla prova (Cass. sez. Sez. 5^, 16 giugno 2005 - 12 agosto 2005, n. 30889; Cass. sez. 5^, 23 novembre 2006 - 18 dicembre 2006, n. 41340), la mancata citazione del teste può essere valutata dal giudice come comportamento significativo della volontà della parte di rinunciare alla prova già ammessa.
Nella specie in particolare non risulta - nè è allegato - che i testi non citati dalla difesa avessero un rilievo decisivo e non fossero invece superflui come legittimamente ritenuto dal tribunale ai sensi dell'art. 468 c.p.p., comma 2
7. Pertanto il ricorso va rigettato con conseguente condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte:
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 11 novembre 2008.
Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2009
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 11 novembre 2008.
Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2009