Cassazione Penale, Sez. 4, 20 aprile 2022, n. 15182 - Lavoratore attinto violentemente dal cerchione dello pneumatico scoppiato mentre egli era intento a lavorarvi con una saldatrice. Formazione e valutazione del rischio


 

 

Presidente: PICCIALLI PATRIZIA
Relatore: CAPPELLO GABRIELLA
Data Udienza: 07/04/2022
 

 

Fatto





1. La Corte d'appello di Firenze ha confermato la sentenza con la quale il Tribunale di Lucca aveva condannato C.P. per il reato di omicidio colposo ai danni del lavoratore P.M., aggravato dalla violazione delle norme sulla sicurezza delle condizioni di lavoro, per non avere provveduto a formare e addestrare il lavoratore all'utilizzo di una saldatrice elettrica, anche in relazione al tipo di intervento effettuato dalla vittima, e per non aver elaborato il documento sulla sicurezza (fatti accaduti il 3 marzo 2014).
In particolare, si è contestato al C.P., n.q. di datore di lavoro del P.M., di avere disposto o, comunque, consentito che l'operaio effettuasse interventi di adattamento e montaggio di una coppia di cerchi con gomme usurate a un trattore, mediante impiego di giunti realizzati artigianalmente, interventi eseguiti con una saldatrice generante calore e scintille, con la quale, con lo pneumatico sotto pressione, l'uomo aveva saldato al cerchione di una ruota per trattore agricolo due golfari in metallo, generando per conduzione un surriscaldamento del cerchione, della camera d'aria aderente allo stesso e dello pneumatico, surriscaldamento che, a sua volta, aveva determinato un aumento di pressione e lo scoppio della camera d'aria, con eiezione violenta del cerchione sul qualche l'uomo stava lavorando, che finiva per investirlo, determinando la precipitazione del corpo contro il trattore e il suo immediato decesso per politrauma.

2. Ha proposto ricorso il C.P. con difensore, formulando undici motivi.
Con il primo, la difesa ha dedotto i vizi di cui alle lettere a), b), c), d) ed e) dell'art. 606, cod. proc. pen., con riferimento al mancato espletamento di una perizia.
Si rileva, in particolare, che sul cadavere non era stato disposto esame autoptico e che, in sede di ispezione esterna, non erano state rilevate tracce di sangue, inferendone una incertezza sulla causa della morte, incontestato restando che il P.M. fu colpito dall'esplosione della camera d'aria. Le lesioni riscontrate sul corpo della vittima potrebbero essere state, secondo il deducente, successive al decesso che, a sua volta, poteva essere ascritto a cause diverse mai accertate. In caso di lesioni post mortem, infatti, la diagnosi differenziale è molto complessa, dovendosi distinguere le
lesioni dalle ipostasi. All'atto dell'osservazione esterna, furono riscontrate sia lesioni vitali che non vitali, tutte allocate in regione cranio facciale. Il deducente procede, dunque, a esporre la spiegazione dei propri assunti di tipo scientifico, richiamando letteratura sul punto e contestando gli argomenti attraverso i quali i giudici del merito hanno ritenuto non necessario procedere a ulteriori approfondimenti in ordine alle cause della morte.
Con il secondo motivo, deduce violazione e erronea applicazione della legge penale, violazione di norme processuali stabilite a pena di nullità, inammissibilità, inutilizzabilità o decadenza e vizio della motivazione in ordine alla condotta del lavoratore che la difesa assume esser stata abnorme, eccentrica, esorbitante e, pertanto, interruttiva del nesso di causalità. In particolare, secondo la tesi difensiva, il P.M. avrebbe dovuto effettuare un gemellaggio delle ruote, cioè aggiungere due ruote esterne a quelle già in dotazione del trattore, per rendere il mezzo più stabile su terreni suscettibili di affossamento. La difesa, sul punto specifico, contesta che l'operazione necessitasse della saldatura dei golfari sul cerchione, causa unica e efficiente dello scoppio, o che essa rappresentasse una possibile e prevedibile modalità della lavorazione di gemellatura, come ritenuto dai giudici di merito che sarebbero dunque incorsi in un travisamento dei fatti, avendo utilizzato, nel giudizio inerente al nesso causale tra la condotta di saldatura dei golfari e l'evento verificatosi, elementi di conoscenza o conoscibilità esigibili e predicabili, invece, sul piano dell'operazione agricola di "gemellaggio ruote", alla quale stava, pacificamente, lavorando la vittima. Inoltre, aggiunge la difesa, la gemellatura delle ruote sarebbe operazione molto praticata in agricoltura, che la stessa vittima aveva sempre svolto in azienda in trent'anni di lavoro e in piena sicurezza e autonomia. Essa consterebbe di tre distinte fasi (la disponibilità delle due ruote da gemellare, la loro movimentazione attorno al mezzo e il loro fissaggio con l'ausilio dei coni distanziali, cioè pezzi metallici predisposti per agganciare e avvitare la ruota di supporto a quella già in dotazione del trattore). Rispetto a tale schema, la condotta del lavoratore si sarebbe posta come sviluppo del tutto eccentrico, perché egli stava procedendo alla saldatura diretta sulla ruota, laddove l'uso della saldatrice, nella specie, era richiesto solo per la preventiva preparazione dei coni distanziali, operazione che non viene tuttavia effettuata direttamente sulla ruota. Anche sul punto, il difensore richiama interi passaggi dell'esame del teste C., per contestarne la lettura datane dai giudici territoriali, avendo il teste descritto un'operazione routinaria, da attuare in solitudine e autonomia e senza applicare i golfari che, secondo il dichiarante, sarebbero stati apposti solo per alzare la ruota. Tale colossale travisamento dei fatti, secondo la difesa, avrebbe irreversibilmente inquinato la sentenza impugnata, poiché l'abnormità denunciata, ricollegabile anche al principio di auto-responsabilità del lavoratore, non riguarderebbe la "gemellatura" e neppure l'utilizzo di ruote già in dotazione di altro tipo di mezzo (mietitrebbia), ma la saldatura del golfare sul cerchione con lo pneumatico montato e a pressione di esercizio. La difesa, inoltre, ricollega l'imprevedibilità di tale scelta anche al fatto che l'operazione non è contemplata sul manuale della macchina agricola e neanche su quello della saldatrice.

Con il terzo, il quarto e il quinto motivo, ha dedotto violazione di legge e erronea applicazione della legge penale, oltre a vizio della motivazione, con riferimento alle regole cautelari la cui violazione è stata addebitata al C.P.. Quanto all'obbligo di formazione e addestramento del lavoratore, il deducente rileva che il P.M. era un operaio agricolo specializzato, in possesso di specifiche e complesse conoscenze e capacità professionali, acquisite per pratica e per titolo, cosicché era del tutto legittimo e giustificato che egli effettuasse interventi di manutenzione/piccola carpenteria, non essendo necessaria la qualifica apposita di saldatore e neppure il possesso di relativo patentino in capo all'operaio che lo aveva istruito per circa dieci anni quotidianamente, in tal modo avendo il P.M. ricevuto tutte le nozioni necessarie per svolgere il lavoro in sicurezza. Sotto altro profilo, la difesa aggiunge che al P.M. si richiedeva di effettuare saldature in ordine a consuete attività di piccola carpenteria metallica applicata all'agricoltura (saldatura di una vanga, di un portellino o di altro pezzo rotto di un trattore). Quanto alla natura dell'operazione nel corso della quale è avvenuto il suo decesso, si contesta che la vittima stesse effettuando una operazione di vera e propria trasformazione del trattore, trattandosi di predisporre e attrezzare una macchina per conferirle maggiore stabilità e sicurezza in relazione a certe lavorazioni da effettuarsi in contesti particolari.
Infine, quanto alla mancata valutazione dei rischi in azienda, la difesa rileva che la procedura seguita dal C.P. era di tipo standardizzato, affidata ad autocertificazione che aveva esaustivamente contemplato gli aspetti fondamentali previsti per le procedure standardizzate e nulla avrebbe potuto contemplare circa l'utilizzo di una saldatrice nei termini in cui aveva operato la vittima. La violazione, dunque, avrebbe solo valore formale e non avrebbe potuto svolgere alcuna efficacia causale nella dinamica dell'evento, giacché, anche ove fossero state adottate le nuove procedure standardizzate, il rischio specifico all'origine della tragedia non sarebbe stato considerato, proprio perché trattasi di modelli pre-definiti. S contesta, inoltre, l'affermazione secondo cui in azienda non vi sarebbe stata attenzione agli aspetti della sicurezza, rilevando che il C.P. aveva seguito appositi corsi di formazione, che le attrezzature erano in buono stato, che il lavoratore indossava indumenti di lavoro e presidi individuali, che la saldatrice era in ordine e dotata di maschera protettiva, che il lavoro, del tutto esorbitante dai compiti assegnati, era comunque inteso a conferire maggiore stabilità alla trattrice agricola, infine, che non erano mai accaduti fatti analoghi e che il numero degli infortuni in azienda non era significativo.
Con il sesto motivo, ha dedotto i vizi di cui alle lett. b), c), d), ed e) dell'art. 606, cod. proc. pen., rilevandosi il travisamento degli antefatti in ordine alle disposizioni impartite dal datore di lavoro alla vittima. La difesa richiama, ancora un volta, la testimonianza C. per inferirne la estemporaneità della richiesta delle ruote da parte del lavoratore senza alcuna intromissione del C.P., avendo agito il primo in un contesto in cui egli godeva della assoluta fiducia del suo datore di lavoro. Entrambe le sentenze pretermetterebbero uno dei più significativi aspetti dell'antefatto e cioè lo speciale rapporto tra datore di lavoro e suo dipendente, apprezzato e stimato dal primo per la bravura e operosità e, di fatto, soggetto che si occupava in esclusiva di ogni singolo aspetto della conduzione aziendale. Si propone una diversa ricostruzione dell'antefatto della vicenda che ha portato alla esecuzione della lavorazione durante la quale la vittima ha perso la vita, contestandosi le conclusioni rassegnate dai giudici territoriali, che si assume essere state affidate ad affermazioni indimostrate e del tutto illogiche, smentite da circostanze oggettive mai adeguatamente valutate o addirittura omesse, sorde alla tesi secondo cui il C.P. non avrebbe svolto alcun ruolo in tale antefatto, tutto essendosi svolto tra il fornitore delle ruote e il lavoratore ed essendosi anzi il C.P. opposto all'esperimento elaborato dal P.M. e dal C..
Con il settimo motivo, ha dedotto analoghi vizi con riferimento alla valutazione della testimonianza della figlia dell'imputato, avendo i giudici omesso di procedere alla parcellizzazione di essa in relazione agli specifici contenuti della deposizione. Si assume che la Corte del gravame avrebbe frainteso il significato delle dichiarazioni della figlia dell'imputato, essendo pacifico che quella mattina a Firenze era andata la dichiarante e non che costei avesse falsamente affermato che vi era andato il padre. Si contesta, inoltre, la mancata valutazione delle ulteriori dichiarazioni della donna, dalle quali sarebbe emerso il dissenso del padre circa lo svolgimento di quella lavorazione.
Con l'ottavo motivo, la difesa deduce analoghi vizi con riferimento alla ritenuta violazione dei doveri datoriali, denunciando le contraddizioni e i travisamenti contenuti nella sentenza censurata che trascrive per stralci, rilevando che la Corte non avrebbe esaminato l'intera sequenza fattuale che, ove adeguatamente considerata, avrebbe necessariamente condotto il giudice a conclusioni opposte. Si contesta che il datore di lavoro non avesse fornito le attrezzature adeguate, rilevandosi che in azienda vi era un'altra coppia di ruote da gemellare, a conferma dell'attenzione prestata dal C.P. verso il suo dipendente, e si rileva che l'estraneità del C.P. alla decisione di procedere con quella operazione rischiosa era emersa dalle testimonianze C. (in ordine al fatto che l'accordo era stato raggiunto direttamente con il P.M.) e del gommista CO. (dal quale il C.P. aveva preteso assicurazioni circa il fatto che la lavorazione avvenisse in tutta sicurezza, essendo pronto a rinunciarvi in caso contrario, ma anche in ordine alla idoneità della ruota fornita per effettuare l'operazione di gemellatura). Si denuncia ancora la valutazione della censura circa la attendibilità dei testi P. e E.P., de relato della vittima e si rileva che la lettura incrociata delle stesse e della testimonianza CO. darebbe la prova del fatto che la motivazione è il risultato di errori e travisamenti, oltre che di percepibili illogicità.
Con il nono motivo, ha dedotto violazione di norme processuali previste a pena di nullità, inammissibilità, inutilizzabilità o decadenza, quanto alla valutazione della credibilità soggettiva e attendibilità oggettiva delle testimonianze rese da soggetti che si sono costituiti parti civili nel processo. Le dichiarazioni di costoro sarebbero autoreferenziali, ermetiche e affidate a stereotipi intesi a dare l'idea di un rapporto familiare con la vittima. Tra costoro, la difesa seleziona poi la ex moglie e il fratello della vittima, i quali avevano riferito che C.P. aveva detto loro di aver trascorso la mattinata dell'incidente con il P.M. per aiutarlo, tralasciando però la Corte di vagliarne l'attendibilità e credibilità . Di contro, nessuna traccia è rimasta delle dichiarazioni dell'imputato, non verbalizzate, il cui contenuto è stato ritenuto irrilevante. Con il decimo motivo, ha dedotto i vizi di cui alle lett. c), d) ed e) dell'art. 606, cod. proc. pen., con riferimento alla mancata documentazione delle dichiarazioni spontanee rese dall'imputato, contestando l'assunto speso dalla Corte territoriale, secondo cui le stesse erano state ascoltate dal giudice, rilevandosi che l'assenza di traccia grafica presupporrebbe eccezionali risorse mnemoniche da parte del primo giudice, tenuto conto del tempo trascorso tra l'udienza e il deposito della sentenza. Si osserva, inoltre, che la documentazione dell'attività processuale ha lo scopo di scongiurare la dispersione anche solo parziale degli accadimenti dibattimentali, le spontanee dichiarazioni costituendo prova esplicativa di tesi antitetiche a quelle recepite dai giudici di merito.
Con l'ultimo motivo, infine, ha dedotto analoghi vizi, con riferimento al giudizio di imprudenza e negligenza in ordine alla asserita consegna da parte dell'imputato al lavoratore non istruito e non addestrato di attrezzatture usurate e inadatte: la difesa rileva che, anche a voler ritenere che C.P. seppe della lavorazione e che partecipò al montaggio della prima ruota, non è provato che la stessa fosse stata montata utilizzando i golfari, tutto essendo avvenuto con l'ausilio di una gru e, quindi, senza saldatrice . La prevedibilità della saldatura dei golfari per la seconda ruota sarebbe stata ritenuta, dunque, in maniera del tutto apodittica e risulterebbe smentita da una fattualità straripante, ignorata dai giudici.

3. Il Procuratore generale, in persona del sostituto Lidia GIORGIO, ha depositato conclusioni scritte, con le quali ha chiesto rigettarsi il ricorso.

4. La difesa di C.P. ha depositato memoria, con la quale, in replica alle conclusioni del Procuratore generale, ha sviluppato le proprie difese, insistendo nell'accoglimento del ricorso.

5. L'avv. Fabrizio BARTOLINI, per le parti civili OMISSIS, ha depositato memoria, conclusioni e nota spese, chiedendo il rigetto del ricorso, con condanna del ricorrente alle spese e al risarcimento dei danni da liquidarsi in separata sede.

6. L'avv. Francesco FABERI, per la parte civile P.D., ha depositato memoria, conclusioni e nota spese, chiedendo la declaratoria di inammissibilità o il rigetto del ricorso con condanna del ricorrente alle spese e al risarcimento dei danni.

7. L'avv. Azzurra BENVENUTI, per le parti civili OMISSIS, ha depositato conclusioni e nota spese, chiedendo il rigetto del ricorso, con condanna del ricorrente alle spese.

 

Diritto
 



1. Il ricorso è inammissibile.

2. La Corte territoriale ha richiamato la conforme sentenza appellata ai fini della ricostruzione del fatto, ampiamente contestata nel gravame e in ricorso dalla difesa dell'imputato. In base ad essa, i giudici territoriali hanno ritenuto dimostrato che il cadavere del P.M. era stato trovato dal personale sanitario con il cranio fracassato, all'interno dell'azienda agricola del C.P., presso il rimessaggio dei mezzi agricoli e vicino alle ruote di un trattore. La materia cerebrale era stata espulsa e rinvenuta a distanza. Il cadavere presentava fratture multiple e escoriazioni esterne. Il medico, all'esito dell'esame esterno, attestava la non necessità di procedere con autopsia, poiché le evidenti e imponenti lesioni permettevano di escludere il concorso di cause esterne. Sin da subito, infatti il primo giudice aveva esaminato e confutato l'argomento difensivo esposto in sede di discussione, invero riproposto anche in questa sede, secondo cui la tesi sostenuta dal medico legale non sarebbe stata scientificamente supportata e si sarebbe posta in contrasto con gli elementi probatori emersi in dibattimento. Il Tribunale, a confutazione argomentata di ciò, aveva ritenuto che gli accertamenti della polizia giudiziaria avessero invece consentito di appurare che il P.M. era morto perché attinto violentemente dal cerchione dello pneumatico scoppiato mentre egli era intento a lavorarvi con una saldatrice. In particolare, e questo costituisce argomento dirimente nella valutazione conforme del doppio grado di giudizio, la ruota era appesa in verticale al gancio di una gru, tramite una braca tessile e la persona offesa stava applicando due occhielli in ferro (cc.dd. golfari) al cerchione, servendosi - per l'appunto - di una saldatrice elettrica, trovata ancora accesa nei pressi dei residui dello pneumatico esploso; lo scoppio era stato sentito verso le ore 13. La ruota esplosa era stata fornita dal C. ed era appartenuta a una mietitrebbia; la stessa era stata consegnata, insieme a un'altra, dal C. al P.M.; si trattava di ruote vecchie e in disuso che però il P.M. aveva ritenuto atte al gemellaggio delle ruote di un trattore (egli essendo un trattorista); era stato lo stesso C.P. a portare la ruota esplosa presso il gommista CO. il quale, sostituitavi una valvola, l'aveva restituita al C.P.; delle due ruote, una era già stata applicata al trattore senza golfari, l'altra (quella, cioè, che aveva subito la sostituzione della valvola ed era scoppiata) era ancora sollevata dalla gru e aveva due golfari saldati sul cerchione, operazione che, per come emerso dall'istruttoria, serviva a lavorare sulla ruota per mantenerla stabile, consentendo la lavorazione da parte di una persona sola; nella specie, si era trattato di inserire dei distanziatori preparati artigianalmente e di far combaciare i fori nel cerchione della ruota da installare con le rispettive viti del distanziatore.
Dagli accertamenti era emerso che lo scoppio era accaduto a causa del surriscaldamento del gas interno alla camera d'aria, dovuto all'impiego, direttamente sul cerchione della ruota, della saldatrice elettrica per la saldatura del secondo golfare; lo scoppio era avvenuto pochi attimi dopo che il lavoratore aveva finito la saldatura e stava rimettendo a posto gli attrezzi.
Quanto alle violazioni contestate all'imputato, i giudici territoriali hanno dato atto che il P.M. lavorava nell'azienda del C.P. da vent'anni stabilmente, sebbene assunto come operaio specializzato a tempo determinato; egli era l'unico dipendente dell'azienda; non aveva ricevuto alcuna formazione sulle operazioni di saldatura, né era stato adeguatamente informato della circostanza che l'impiego dell'attrezzo su una ruota gonfia costituiva operazione pericolosa; inoltre, il C.P. aveva presentato una autocertificazione dei rischi in cui attestava genericamente di aver provveduto alla individuazione dei rischi e alle relative misure di prevenzione, senza aver mai redato un DUVR, né individuato specifici pericoli e misure. Era stata poi esclusa l'abnormità e imprevedibilità del comportamento del lavoratore: incontestato, anche dal consulente della difesa, che la causa dello scoppio e della conseguente eiezione del cerchione era da ricondursi alla saldatura dei golfari, il Tribunale aveva ritenuto che il lavoratore stesse espletando un incarico noto al datore di lavoro e funzionale alle lavorazioni aziendali, impiegando mezzi e attrezzature fornite dal datore di lavoro. In particolare, la ruota era stata portata a riparare dal C.P. che, poi, l'aveva riportata in azienda; la stessa doveva essere adattata al trattore, provenendo da una mietitrebbia; i tabulati avevano consentito di accertare che il C.P. era stato in azienda quella mattina, inferendone il giudice che egli aveva aiutato P.M. a montare la prima ruota senza bisogno di saldarvi i golfari, operazione che, invece, era stata necessaria per montare la seconda, allorquando il P.M. era rimasto da solo a completare la lavorazione strumentale che, peraltro, si protraeva già da una settimana, con tutti gli adempimenti preparatori. Il C.P. aveva lasciato il P.M. a completarla senza averlo adeguatamente istruito, facendogli anche predisporre artigianalmente gli strumenti necessari con attrezzi desueti. L'attività che la vittima stava eseguendo era di natura non routinaria, ma di manutenzione straordinaria, implicando una modifica del trattore mediante distanziatori artigianali, operazione che necessitava l'uso di uno strumento (una saldatrice), per la quale era necessario avere un patentino, del quale la vittima non era titolare; a tal fine, non poteva ritenersi sufficiente la pratica effettuata mediante l'affiancamento a un saldatore, il PA., poiché ciò avveniva per riparazioni che non richiedevano le conoscenze richieste per il lavoro durante il quale era avvenuto l'infortunio.
La Corte del gravame ha poi dato atto delle doglianze veicolate con l'appello, prima fra tutte quella della mancata esecuzione di un'autopsia e la circostanza che essa era stata prospettata per la prima volta durante la discussione orale attraverso il richiamo ad argomenti tecnici, a valle dei quali si era sostanzialmente sostenuto che l'uomo si sarebbe appoggiato alla ruota per un malore, così invocando la difesa la riapertura dell'istruzione per sentire nuovamente il medico intervenuto in ordine al mancato rilevamento di tracce di sangue e alla assenza di segni di reazione vitale nelle lesioni riscontrate. Inoltre, la difesa aveva contestato la verifica della sussistenza del nesso di causa tra le condotte contestate e l'evento, in ragione della eccentricità, abnormità e esorbitanza della condotta del lavoratore, stante la non necessità di procedere con la saldatura dei golfari e trattandosi, nella specie, di procedura di ordinaria manutenzione del mezzo agricolo. Ancora, si era contestata la sussistenza dei profili di colpa specifica, da un lato, opponendosi che il P.M. aveva le conoscenze necessarie per usare la saldatrice, acquisite per pratica e per titolo, grazie all'affiancamento al PA.; dall'altro, rilevandosi che il C.P. aveva provveduto a redigere la autocertificazione standardizzata, facendo riferimento dettagliato alle attività svolte, avendo il personale ASL verificato il buono stato delle attrezzature e delle macchine agricole; egli, inoltre, si era opposto all'utilizzo di quelle due ruote, essendovene altre in azienda, la scelta dovendo ricondursi al solo P.M., evidenziandosi la falsità dei testi (ex moglie e fratello della vittima, ritenuti non neutrali siccome interessati al risarcimento) che avevano riferito che il C.P. aveva detto loro di aver aiutato il P.M. a montare una delle due ruote (su tali aspetti avendo l'imputato reso spontanee dichiarazioni che non erano state però trascritte, con conseguente prospettata nullità della sentenza appellata e necessità di procedere anche alla riapertura dell'istruttoria per assumere nuovamente il teste C. sulla circostanza che era stato P.M. a dargli le due ruote). Infine, la difesa aveva pure censurato il ritenuto diritto al risarcimento in capo a taluni soggetti (i figli del primo matrimonio che non avrebbero più avuto rapporti con la vittima).
Il richiamo ai motivi del gravame è necessario per una migliore esposizione della risposta data dalla Corte territoriale, oggetto di critiche difensive intese a svalutarne l'efficacia e a rilevarne la manifesta illogicità e contraddittorietà.
Quanto al primo punto, la Corte d'appello ha ritenuto che la difesa aveva esposto la sua tesi scientifica in sede di discussione orale, senza neppure offrire a supporto un elaborato tecnico, ma allegando direttamente testi dai quali lo stesso difensore aveva tratto le sue dissonanti conclusioni, contestando anche risultati dell'esame esterno del cadavere che pure aveva accettato di acquisire agli atti del processo, rinunciando a porre domande al medico legale, per farne emergere le manchevolezze poi riversate nella discussione.
In ogni caso, la Corte non si è sottratta al suo onere motivazionale, avendo ritenuto l'assunto difensivo del tutto illogico e inverosimile: il P.M. era in piedi al momento dello scoppio, altrimenti non sarebbero stati attinti né la testa né il torace, invece ampiamente colpiti; dallo stato dei luoghi e dalla circostanza che la saldatrice era stata trovata accesa, si era ricavato che l'uomo aveva appena completato la saldatura dei golfari e probabilmente stava rimettendo a posto gli attrezzi (maschera, pinze e elettrodo erano stati messi di lato); ove si fosse ipotizzato che la morte era stata conseguenza di un malore fulmineo, avrebbe dovuto inferirsene che l'uomo era rimasto in piedi, già morto, almeno per qualche attimo fino allo scoppio; le fotografie avevano dimostrato che c'era stato un sanguinamento sotto la testa, la contenuta estensione della macchia potendosi ragionevolmente spiegare con la permeabilità del terreno che aveva assorbito il liquido ematico; la vittima non soffriva di patologie e le riscontrate lesioni erano state giudicate compatibili solo con l'evento traumatico di cui si tratta, del tutto inutile essendo stata giudicata la riassunzione del medico intervenuto, atteso che le fotografie restituivano un dato più affidabile rispetto a un ricordo affidato alla memoria di un fatto avvenuto a quasi sette anni di distanza, anche una perizia essendo superflua e inconducente, stante l'evidenza del meccanismo causale.
Quanto, poi, alla seconda questione, la Corte ha ritenuto pienamente dimostrato che il C.P., nell'occorso, conoscesse il lavoro che il suo dipendente si accingeva a svolgere: fu il C.P. a portare personalmente la ruota (poi scoppiata) a riparare e a ritirarla il giorno dopo, portandola in azienda; si trattava di una ruota di mietitrebbia che doveva essere adattata a un trattore e in azienda non era disponibile un adattatore già pronto; pertanto, il C.P. sapeva che la ruota doveva essere riadattata e che il compito sarebbe stato espletato dal P.M., suo unico dipendente, il quale non aveva avuto formazione e informazioni sui rischi dell'impiego della saldatrice; il teste C. aveva ammesso che per montare una ruota da solo doveva farsi ricorso ai golfari, cosicché il C.P. avrebbe dovuto, quantomeno, rappresentarsi l'eventualità che il P.M. avrebbe fatto ricorso a quell'accorgimento, avendolo lasciato solo a finire il lavoro di gemellatura, poiché insieme avevano montato solo una delle due ruote; del tutto irrilevante, dunque, era il fatto che in azienda ci fossero altre ruote da gemellare; la lavorazione dalla quale era derivata la morte era avvenuta sul luogo di lavoro, in orario di lavoro ed era stata voluta dal datore di lavoro ed effettuata con modalità dallo stesso conosciute o, quantomeno, prevedibili.
Con riferimento, poi, alla terza questione sollevata dalla difesa, quel giudice ha ritenuto che la formazione ricevuta dal P.M. non potesse definirsi adeguata ai sensi dell'art. 71 comma 7, d. lgs. n. 81/2008: essa era stata affidata estemporaneamente a soggetto privo a sua volta della qualifica tecnica di saldatore (il PA.), il quale non era stato appositamente incaricato dal C.P. e si era limitato a dare occasionali consigli al P.M., tant'è vero che questi aveva saldato due golfari su uno pneumatico in pressione e usurato, senza considerare il pericolo di esplosione. L'operazione di gemellaggio, inoltre, non costituiva intervento di "attrezzaggio" della macchina agricola, ma operazione con la quale si sarebbe ottenuta una trasformazione del trattore e che, a norma dell'art. 71 comma 7, d. lgs. n 81/2008, era riservata a lavoratori qualificati in maniera specifica, ciò che il P.M. non era, in quanto operaio agricolo trattorista che, solo per esperienza, aveva imparato a eseguire piccoli interventi di saldatura. Né poteva argomentarsi, come fatto dalla difesa, che il P.M., in quanto operaio agricolo e conduttore meccanico di macchine agricole complesse, potesse eseguire anche interventi di ordinaria manutenzione: ciò infatti non voleva dire che questi non dovesse comunque ricevere una specifica formazione ma solo che, ove formato, poteva esercitare quelle mansioni. In ogni caso e risolutivamente, quel giudice ha escluso che la gemellatura delle ruote del trattore potesse essere considerata operazione di manutenzione o riparazione ordinaria, implicando la trasformazione del macchinario.
In ordine al profilo di colpa inerente alla valutazione dei rischi in azienda, quel giudice ha rilevato che lo stesso consulente della difesa aveva affermato che, al momento dell'infortunio, era già scaduto il termine di validità della autocertificazione, documento solo provvisorio, dissentendo rispetto alla tesi secondo cui dette violazioni avrebbero riguardato solo aspetti formali: il documento era costituito da un modulo prestampato, contenente affermazioni generali circa l'avvenuto adempimento degli obblighi inerenti alla individuazione dei rischi e all'adozione delle misure di prevenzione, nel quale le uniche parti aggiunte erano costituite dalla firma sotto la dicitura "datore di lavoro" e "RSPP" e dall'apposizione di tre crocette circa l'avvenuto adempimento degli obblighi. Inoltre, l'attrezzatura utilizzata dal lavoratore non era sicura (le ruote erano usurate e necessitavano di interventi di adeguamento da realizzarsi artigianalmente dei quali il datore di lavoro ebbe contezza, quantomeno la mattina dell'infortunio mortale). Sul punto, la Corte d'appello ha ritenuto, da un lato, sovrabbondanti le testimonianze attaccate dalla difesa (trattasi della ex moglie e del fratello della vittima), confermative della conoscenza e della partecipazione del C.P. all'operazione di gemellatura svolta quella mattina dal P.M., essendo la prova aliunde emersa (il riferimento è ad altra testimonianza, ai tabulati che avevano confermato la falsità delle dichiarazioni rese dalla figlia dell'imputato e alla fattura sottoscritta); dall'altro, irrilevante l'assunto difensivo sostenuto dall'imputato in sede di spontanee dichiarazioni, secondo quanto asserito dalla difesa, poiché, anche a voler ritenere provata l'opposizione del C.P. all'utilizzo delle ruote usurate e la sua successiva rassegnazione alla decisione del suo dipendente, ciò ne confermava la responsabilità per aver egli consentito che la lavorazione avvenisse con quelle attrezzature e modalità.
Infine, la Corte territoriale ha ritenuto improduttiva di nullità la circostanza che le dichiarazioni spontanee dell'imputato non fossero state trascritte nel verbale di udienza,: esse erano state rese davanti al giudice che aveva deciso, senza che ne derivi un obbligo di darne atto in motivazione, non trattandosi neppure di un mezzo di prova, altresì osservando quel giudice che le dichiarazioni erano state rese a un'udienza precedente a quella conclusiva e l'imputato aveva esercitato la facoltà prevista dalla legge. Inoltre, quel giudice ha ritenuto non necessario per decidere il riesame del teste C., il quale era già stato sentito in ordine all'utilizzo delle due ruote e a come esse erano arrivate nell'azienda del C.P..
Infine, quanto alla quarta questione, la Corte ha rilevato che i soggetti con riferimento ai quali la difesa aveva chiesto il disconoscimento del diritto al risarcimento erano i figli del defunto e ritenuto non adeguatamente provato che i rapporti tra costoro si fossero interrotti, il danno da perdita di tale fondamentale relazione non potendo essere certamente escluso in quella sede, in ogni caso riservata al giudice civile la relativa quantificazione.

3. Sono necessarie alcune premesse alla trattazione che segue.
La difesa ha dedotto vizi che evocano, in alcuni casi, anche la lettera a) dell'art. 606, cod. proc. pen., senza che, tuttavia, nella parte espositiva delle relative ragioni, sia stato chiarito quale potestà riservata a organi legislativi o amministrativi ovvero non consentita ai pubblici poteri sia stata esercitata dai giudici del processo.
Oltre a ciò, rilevandosi che la gran parte delle censure è introdotta sulla scorta del presupposto che la valutazione conforme dei due gradi di merito avrebbe preso le mosse da un travisamento dei fatti, deve intanto rimarcarsi che la veemenza a tratti riscontrabile nell'esposizione delle argomentazioni difensive non è comunque idonea a trasformarne il comune connotato, quello cioè di costituire null'altro che la contestazione della lettura delle evidenze raccolte da parte dei giudici territoriali, articolata previa esposizione degli elementi valutati e del significato ad essi attribuito.
Fatta tale premessa è, poi, necessario richiamare i principi ai quali questa Corte si atterrà nella disamina dei singoli motivi, tenuto conto del fatto che, nella specie, si tratta, per l'appunto, di due decisioni conformi di merito; che le censure riguardano il significato dei dati probatori; che esse prospettano conclusioni dissonanti rispetto a quelle rassegnate nella sentenza impugnata, mediante la sollecitazione a rileggere le evidenze probatorie che si assumono malamente valutate nei due gradi di giudizio di merito; che esse non sono state precedute dal necessario confronto con gli argomenti utilizzati dai giudici per confutare le tesi difensive, proposte in maniera sostanzialmente pedissequa anche in questo grado.

4. La precisazione che, nella specie, ci si trovi di fronte a una conforme valutazione dei giudici del doppio grado di merito introduce il primo tema: in tale ipotesi, la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando i giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall'appellante con criteri omogenei a quelli

del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione (cfr. sez. 3 n. 44418 del 16/7/2013, Argentieri, Rv, 257595; sez. 1 n. 1309 del 22/11/1993, 1994, Rv. 197250), a maggior ragione allorché i motivi di gravame non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione impugnata (cfr. sez. 3 n. 13926 del 1/12/2011, dep. 2012, Valerio, Rv. 252615). Di qui, l'ulteriore principio per il quale sono estranei al vaglio di legittimità gli aspetti del giudizio che si sostanziano nella valutazione e nell'apprezzamento del significato degli elementi probatori che attengono interamente al merito e non possono essere apprezzati dalla Corte di cassazione se non nei limiti in cui risulti viziato il percorso giustificativo sulla loro capacità dimostrativa, con la conseguente inammissibilità di censure che siano sostanzialmente intese a sollecitare una rivalutazione del risultato probatorio. Tale principio costituisce il diretto precipitato di quello, altrettanto consolidato, per il quale sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482), stante la preclusione per questo giudice di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (sez. 6, n. 25255 del 14/2/2012, Minervini, Rv. 253099).

5. Inoltre, come già sottolineato, l'intera impalcatura difensiva si fonda sul presupposto che i giudici abbiano travisato i fatti: trattasi di un tema che ne introduce direttamente un altro, quello dell'esatta individuazione del vizio motivazionale deducibile in sede di legittimità. È vero che - a seguito della modifica apportata all'art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen., dall'art. 8, comma primo, della legge n. 46 del 2006 - il legislatore ha esteso l'ambito della deducibilità di tale vizio anche ad altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame, così introducendo il travisamento della prova quale ulteriore criterio di valutazione della contraddittorietà estrinseca della motivazione il cui esame nel giudizio di legittimità deve riguardare uno o più specifici atti del giudizio, non il fatto nella sua interezza (cfr. sez. 3 n. 38341 del 31/01/2018, Ndoja, Rv. 273911); ma è altrettanto pacifico che, anche a seguito di tale modifica, resta pur sempre non deducibile nel giudizio di legittimità il travisamento del fatto, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (sez. 3 n. 18521 del 11/1/2018, Ferri, RV. 273217; sez. 6 n. 25255 del 14/2/2012, Minervini, cit.).

In ogni caso, un ricorso per cassazione con il quale si deduca il travisamento (e non soltanto l'erronea interpretazione) di prova decisiva, o l'omessa valutazione di circostanze decisive risultanti da atti specificamente indicati, impone di verificare l'eventuale esistenza di una palese e non controvertibile difformità tra i risultati obiettivamente derivanti dall'assunzione della prova e quelli che il giudice di merito ne abbia inopinatamente tratto, ovvero di verificare l'esistenza della decisiva difformità, fermo restando il divieto di operare una diversa ricostruzione del fatto, quando si tratti di elementi privi di significato indiscutibilmente univoco (sez. 4, n . 14732 del 1/3/2011, Molinario, Rv . 250133), essendo parimenti indispensabile che l'errore accertato sia idoneo a disarticolare l'intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa dell'elemento frainteso o ignorato, fermi restando il limite del devolutum in caso di cosiddetta "doppia conforme" e l'intangibilità della valutazione nel merito del risultato probatorio {sez. 5, n. 48050 del 2/7/2019, 5., Rv. 277758).
Infine, il tenore di alcuni motivi, con i quali si è sostanzialmente lamentato un asserito "silenzio" motivazionale in ordine a specifiche osservazioni difensive, impone di precisare che - in sede di legittimità - non è censurabile una sentenza per il suo silenzio su una specifica deduzione prospettata con il gravame, quando risulti che la stessa sia stata disattesa dalla motivazione della sentenza complessivamente considerata (sez. 1, n. 27825 del 22/5/2013, Caniello, Rv. 256340; sez. 5, n. 6746 del 13/12/2018, dep. 2019, Currò, Rv. 275500).

6. Il primo motivo è manifestamente infondato.
In linea generale, deve ricordarsi che il mancato esercizio del potere di cui all'art. 507, cod. proc. pen., da parte del giudice del dibattimento non richiede neppure un'espressa motivazione, quando dalla effettuata valutazione delle risultanze probatorie possa implicitamente evincersi la superfluità di una eventuale integrazione istruttoria (sez. 1, n. 2156 del 30/9/2020, dep. 2021, Atilem, Rv. 280301). Quanto, poi, al giudizio di appello, poiché il vigente codice di rito pone una presunzione di completezza della istruttoria dibattimentale svolta in primo grado, la rinnovazione, anche parziale, del dibattimento ha carattere eccezionale e può essere disposta solo qualora il giudice ritenga di non poter decidere allo stato degli atti. Pertanto, mentre la decisione di procedere a rinnovazione deve essere specificamente motivata, occorrendo dar conto dell'uso del potere discrezionale derivante dalla acquisita consapevolezza di non poter decidere allo stato degli atti, nel caso, viceversa, di rigetto, la decisione può essere sorretta anche da motivazione implicita nella stessa struttura argomentativa posta a base della pronuncia di merito, che evidenzi la sussistenza di elementi sufficienti per una valutazione -in senso positivo o negativo- sulla responsabilità, con la conseguente mancanza di necessità di rinnovare il dibattimento (sez. 5. n. 6379 del 17/3/1999, Bianchi, Rv. 213403; n. 8891 del 16/5/2000, Callegari, Rv. 217209, in cui si è precisato che, nella ipotesi di rigetto, la motivazione potrà anche essere implicita e desumibile dalla stessa struttura argomentativa della sentenza di appello, con la quale si evidenzia la sussistenza di elementi sufficienti alla affermazione, o negazione, di responsabilità; sez. 1, n. 19022 del 10/10/2002, dep. 2003, Di Gioia, Rv. 223985; n. 38177 del 11/10/2002, Giovannei/i, Rv. 222469; sez. 6, n. 22526 del 17/2/2003, Tateo, Rv. 226295; sez. 5, n. 13767 del 18/3/2003, Prospero, Rv. 225633; sez. 6, n. 5782 del 18/12/2006, dep. 2007, Gagliano, Rv. 236084). Tali principi sono stati anche successivamente ribaditi (sez. 5, n. 15320 del 10/12/2009, dep. 2010, Pacini, Rv. 246859; sez. 3, n. 24294 del 21/5/2010, 0.5.8., Rv. 247872; sez. 6, n. 30774 del
16/7/2013, Trecca, Rv. 257741; n. 11907 del 13/12/2013, dep. 2014, Coppola, Rv. 259893; n. 40496 del 21/5/2009, Messina, Rv. 245009, in cui si è precisato che il rigetto dell'istanza di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale in appello si sottrae al sindacato di legittimità quando la struttura argomentativa della motivazione della decisione di secondo grado si fondi su elementi sufficienti per una compiuta valutazione in ordine alla responsabilità].
Nel caso in esame, la Corte del gravame ha diffusamente spiegato le ragioni per le quali, a prescindere dalla tempistica della deduzione difensiva, con la quale i giudici di merito si sono comunque confrontati, la perizia non solo non era possibile, ma era, soprattutto, non indispensabile ai fini del decidere, così come di nessuna utilità a tali fini è stata ritenuta la assunzione testimoniale del medico del 118: la tesi difensiva dell'improvviso malore immediatamente antecedente allo scoppio, infatti, per come affermato in maniera risolutiva dalla Corte del gravame, non reggeva al semplice dato, rimasto accertato sulla scorta delle evidenze raccolte, che la vittima era stata colpita mentre si trovava in posizione eretta, cosicché, a voler ipotizzare che l'uomo fosse stato stroncato da un malore improvviso, egli sarebbe rimasto in posizione eretta (o, al più, in ginocchio) mentre era già cadavere, per essere poi colpito dagli effetti dello scoppio. Con tali risolutive considerazioni la difesa ha omesso ogni effettivo confronto.

7. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
È certamente vero che - in materia di prevenzione antinfortunistica - si è passati da un modello "iperprotettivo", interamente incentrato sulla figura del datore di lavoro investito di un obbligo di vigilanza assoluta sui lavorator i a un modello "collaborativo", in cui gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti, compresi i lavoratori, in tal senso valorizzandosi il testo normativo di riferimento (cfr. art. 20 d.lgs. n. 81/2008), il quale impone anche ai lavoratori di attenersi alle specifiche disposizioni cautelari e agire con diligenza, prudenza e perizia (cfr., sul punto, sez. 4 n. 8883 del 10/2/2016, Santini e altro, Rv. 266073). Tuttavia, pur dandosi atto che - da tempo - si è individuato il principio di auto responsabilità del lavoratore e che è stato abbandonato il criterio esterno delle mansioni, sostituito con il parametro della prevedibilità, intesa come dominabilità umana del fattore causale (cfr., in motivazione, sez. 4 n. 41486 del 2015, Viotto), passandosi, a seguito dell'introduzione del d.lgs 626/94 e, poi, del T.U. 81/2008, dal principio "dell'ontologica irrilevanza della condotta colposa del lavoratore" al concetto di "area di rischio" (sez. 4, n. 21587 del 23.3.2007, Pelosi, Rv. 236721) che il datore di lavoro è chiamato a valutare in via preventiva, resta in ogni caso fermo il principio secondo cui non può esservi alcun esonero di responsabilità all'interno dell'area di rischio, nella quale si colloca l'obbligo datoriale di assicurare condizioni di sicurezza appropriate anche in rapporto a possibili comportamenti trascurati del lavoratore (cfr. sez. 4 n. 21587 del 2007, Pelosi, cit.).
All'interno dell'area di rischio considerata, quindi, deve ribadirsi il principio per il quale la condotta del lavoratore può ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo ove sia tale da attivarne uno eccentrico o esorbitante dalla sfera governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (sez. 4 n. 15124 del 13/12/2016, dep. 2017, Gerosa, Rv. 269603; n. 5007 del 28/11/2018, dep. 2019, Musso, Rv. 275017); oppure ove sia stata posta in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli e, come tale, al di fuori di ogni prevedibilità da parte del datore di lavoro, oppure vi rientri, ma si sia tradotta in qualcosa che, radicalmente quanto ontologicamente, sia lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (sez. 4 n. 7188 del 10/1/2018, Bozzi, Rv. 272222).
Nella risposta approntata dalla Corte d'appello alle doglianze formulate con il gravame di merito in ordine all'efficacia interruttiva dell'azione del lavoratore rispetto al nesso causale tra le condotte addebitate e l'evento, non si riviene alcun vizio che infici il complessivo ragionamento probatorio svolto nella sentenza censurata, le cui argomentazioni, al contrario, tengono in debito conto i principi testé richiamati, così come le censure svolte con il gravame, sostanzialmente riproduttive del motivo di ricorso. Nella specie, il lavoratore ha agito nel contesto delle lavorazioni espressamente assegnategli, delle quali il datore di lavoro era stato edotto, per averlo aiutato con il primo pneumatico, lasciando il P.M. a eseguire l'intervento sul secondo da solo, con la prevedibile necessità, per la vittima, di procedere alla stabilizzazione della ruota mediante la saldatura dei golfari.

8. Anche il terzo, il quarto e il quinto motivo sono manifestamente infondati.
La Corte del merito ha spiegato analiticamente perché, da un lato, la formazione del P.M., attraverso l'affiancamento del PA., fosse insuscettibile di essere considerata adeguata ai sensi dell'art. 71, comma 7, d. lgs. n. 81/2008. È la stessa difesa, peraltro, a riconoscere che alla vittima non competeva fare lavorazioni del tipo di quella effettuata il giorno dell'infortunio (cfr. pag. 41 del ricorso) e dalla valutazione delle prove effettuata dai giudici territoriali era emerso che egli era un operaio agricolo che poteva al più occuparsi di piccoli interventi di manutenzione, ma certamente non della lavorazione durante la quale aveva perso la vita. Inoltre, anche laddove gli interventi di manutenzione avessero richiesto l'impiego di una saldatrice, ciò non avrebbe esentato comunque il datore di lavoro dal fornirgli la necessaria formazione in ordine al corretto utilizzo della saldatrice. In via risolutiva, peraltro, la Corte del merito ha escluso che, nella specie, si fosse trattato di manutenzione ordinaria o di riparazione di piccoli attrezzi: l'attività alla quale il P.M. era intento al momento dell'infortunio mortale era un intervento su un trattore che ne avrebbe modificato la capacità di procedere su terreni difficili, mediante il raddoppio delle ruote in dotazione.
La Corte ha poi ritenuto non adeguatamente adempiuto l'obbligo di predisporre un documento di valutazione dei rischi e di ricognizione di quelli ai quali le lavorazioni aziendali esponevano la vittima, cioè l'unico lavoratore dipendente, laddove l'inadeguatezza della strumentazione è stata correlata alla dotazione di ruote usurate, una delle quali oggetto di riparazione e entrambe necessitanti di un adeguamento mediante la predisposizione di pezzi da realizzarsi artigianalmente.
La difesa ha ripreso gli stessi temi in ricorso, tuttavia tralasciando di confrontarsi in maniera effettiva con il ragionamento condotto in maniera del tutto congrua e logica dai giudici territoriali, incorrendo in tal modo nel giudizio di manifesta infondatezza in base ai principi sopra richiamati.

9. Anche il sesto, il settimo e l'ottavo motivo sono manifestamente infondati: quanto al sesto e all'ottavo, in particolare, il giudizio deriva dalla circostanza che le argomentazioni difensive muovono da un asserito travisamento dei fatti, tuttavia non deducibile in questa sede cosicché il vaglio di inammissibilità non è che la diretta conseguenza dell'applicazione dei principi richiamati al §4; quanto all'evocato travisamento probatorio in riferimento alla testimonianza, ritenuta inattendibile, della figlia dell'imputato (settimo motivo), la inammissibilità del ricorso deriva dai principi affermati al §5, non emergendo alcuna macroscopica incongruenza nel ragionamento della Corte di merito, la presenza del C.P. presso la sua azienda essendo stata dimostrata da un insieme di prove convergenti, analiticamente esposte nella sentenza impugnata, idonee a dimostrare il dato ritenuto anche a prescindere dal significato attribuito alle parole della figlia.

10. Gli ultimi tre motivi sono anch'essi manifestamente infondati.
Intanto, va precisato che le dichiarazioni del soggetto danneggiato dal reato che si sia costituito parte civile possono essere legittimamente poste da sole a fondamento della responsabilità dell'imputato, senza la necessità di applicare le regole probatorie di cui all'art. 192 commi 3 e 4, cod. proc. pen., purchè il narrato sia soggetto ad un più rigoroso controllo di attendibilità, opportunamente corroborato dall'indicazione di altri elementi di riscontro (sez. 4, n. 410 del 9/11/2021, dep. 2022, Aramu, Rv. 282558) e che, anche ove risulti opportuna l'acquisizione di riscontri estrinseci, questi possono consistere in qualsiasi elemento idoneo a escludere l'intento calunniatorio del dichiarante, non dovendo risolversi in autonome prove del fatto, né assistere ogni segmento della narrazione (sez. 5, n. 21135 del 26/3/2019, Rv. 275312).
Nella specie, la Corte di merito non ha ricavato la prova della presenza del C.P. in azienda la mattina del fatto e dell'aiuto approntato nella predisposizione della prima ruota esclusivamente sulla scorta di quanto riferito dai testi P. e E.P.: ancora una volta, la difesa ignora il ragionamento esplicativo con il quale si era addirittura ritenuta la irrilevanza di tali apporti dichiarativi, essendo essi intervenuti su dati aliunde accertati (fattura, tabulati e dichiarazioni di soggetto terzo disinteressato).
Quanto, invece, alla verbalizzazione delle spontanee dichiarazioni dell'imputato, la Corte ha dato atto che esse, per come rappresentate dalla stessa difesa, erano intese a ribadire la tesi che il C.P. era stato contrario alla esecuzione della lavorazione con le modalità prescelte dal lavoratore. Di qui la ritenuta irrilevanza delle stesse, dal momento che la responsabilità era da ravvisarsi nella dimostrata consapevolezza, da parte del C.P. o, comunque, nella prevedibilità del fatto che il P.M. avrebbe modificato la seconda ruota servendosi dei golfari per la sua stabilizzazione, dal momento che avrebbe dovuto procedere da solo.
In ogni caso e risolutivamente, deve precisarsi che la facoltà di legge è stata garantita all'imputato e che nessuna nullità si è prodotta (né invero è prevista dalla legge) per non avere i giudici disposto la verbalizzazione delle dichiarazioni rese. Sul punto, questa Corte ha più volte ribadito che la facoltà dell'imputato di rendere in ogni stato del dibattimento le dichiarazioni che ritiene opportune, purché esse si riferiscano all'oggetto dell'imputazione, va coordinata con la previsione del comma sesto dell'art.
523 cod. proc. pen., in base al quale l'interruzione della discussione può essere giustificata solo dall'assoluta necessità di assunzione di nuove prove, talché, non essendo assimilabili le dichiarazioni spontanee dell'imputato a nuove prove, deve escludersi la facoltà dello stesso imputato di rendere dette dichiarazioni, anche attraverso un memoriale in forma scritta indirizzato al giudice, fermo restando il suo diritto di avere la parola per ultimo, se lo richiede (sez. 5, n. 12603 del 2/272017, Segagni, Rv. 269518; sez. 2, n. 33666 del 6/5/2014, Oliviero, Rv. 260049; sez. 3, n. 16677 del 2/3/2021, Ballarini, Rv. 281649) . Ciò trova ulteriore conferma nel principio per il quale le dichiarazioni spontanee, rese ai sensi dell'art. 494 cod. proc. pen., in appello prima della discussione dall'imputato sottrattosi al contraddittorio, non sono idonee a confutare il quadro probatorio complessivamente considerato, non potendo essere equiparate alle dichiarazioni rese in sede di esame, né utilizzate come prove a carico di terzi (sez. 2, n. 30653 del 24/9/2020, Capasso, Rv. 279911)
Da tali principi, si ricava quello ulteriore per il quale il presidio sanzionatorio della nullità riguarda la sola facoltà dell'imputato e del difensore ad avere la parola per ultimi, come espressamente previsto dall'art. 523, comma 5, cod. proc. pen., ma non anche la mancata verbalizzazione integrale delle spontanee dichiarazioni eventualmente rese nel corso del dibattimento (sempre che inerenti all'oggetto dell'imputazione e non di ostacolo all'istruzione), delle quali il giudice può addirittura disporre la sola verbalizzazione in forma riassuntiva (art. 494, comma 2, cod. proc. pen.).

11. All'inammissibilità segue, a norma dell'art. 616, cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della causa di inammissibilità (cfr. C. cost. n. 186/2000), nonché la rifusione delle spese sostenute dalle costituite parti civili, liquidate come da dispositivo, con accessori secondo legge.
 

P.Q.M.


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende nonché alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili costituite, così liquidate: euro 3.000,00, oltre accessori come per legge, a favore di P.D.; euro 4.800,00, oltre accessori come per legge, a favore di Omissis; euro 5.400,00, oltre accessori come per legge, a favore di Omissis.
Deciso il 7 aprile 2022