Cassazione Penale, Sez. 4, 20 aprile 2022, n. 15155 - Lavoratori travolti durante lo scarico delle casseformi da un T.I.R.. Morte intervenuta quattro anni dopo il sinistro: il datore di lavoro responsabile non risponde automaticamente del decesso
Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA
Relatore: NARDIN MAURA Data Udienza: 26/01/2022
Fatto
1. Con sentenza del 28 settembre 2020 la Corte di Appello di Catanzaro ha confermato la sentenza del Tribunale di Castrovillari con cui M.A., nella sua qualità di amministratore della Calabria Lavori s.a.s- -prosciolto dal reato di cui all'art. 590 cod. pen., di lesioni gravi a carico di V.M., per essere il medesimo estinto per prescrizione- è stato ritenuto responsabile del reato di cui all'art. 589, commi 1 e 2 cod. pen., per avere, con colpa consistita in negligenza, imprudenza ed imperizia, nonché nella violazione degli artt. 22 e 43 d. lgs. 626/1994, 28, 70, 71 e 109 d. lgs. 81/2008, cagionato la morte di A.F., a seguito dell'infortunio occorso il 25 settembre 2008, allorquando i lavoratori A.F. e V.M., intenti a scaricare, con l'aiuto di un muletto, delle casseformi da un T.I.R., agganciate ad una catena, nell'area portuale riservata alla Sistema Walcom s.r.l., venivano travolti per effetto del capovolgimento di una delle medesime, riportando V.M. la frattura della clavicola destra, fratture costali e trauma cranico, ed A.F. politraumi vari, trauma cervicale e toraco-addominale, dai quali derivava uno stato comatoso-vegetativo permanente, cui seguiva la morte, intervenuta il 18 dicembre 2012.
2. Avverso la sentenza impugnata propone ricorso M.A., a mezzo del suo difensore, formulando tre motivi di impugnazione.
3. Con il primo fa valere l'erronea applicazione degli artt. 40 e 589, commi 1 e 2 cod. pen. e degli artt. 157 e 590, commi 1 e 3 cod. pen., oltre al vizio di motivazione, sotto il profilo dell'assoluta carenza. Ricorda che con l'atto di appello l'imputato aveva eccepito l'assenza della sussistenza del nesso causale fra le lesioni patite con l'infortunio occorso ad A.F. e la morte, intervenuta ben quattro anni dopo il sinistro. In particolare, aveva messo in evidenza che il giudice di prima cura aveva ritenuto l'evento morte conseguenza diretta dell'infortunio, senza svolgere alcuna indagine medico-scientifica, sostenendo addirittura che fosse onere della difesa dimostrare l'interruzione del nesso causale. In particolare, con il gravame il ricorrente aveva sottolineato che, in assenza di esame autoptico, la documentazione medica acquisita, in assenza di perizia, non poteva essere sufficiente per affermare la correlazione fra l'infortunio ed il decesso. Il primo giudice, infatti, aveva enfatizzato la circostanza che la morte fosse intervenuta per arresto cardiocircolatorio, elemento questo inconferente, posto che siffatta evenienza caratterizza tutti i decessi. Invece, la letteratura medica dimostra che anche nelle ipotesi di coma vegetativo la morte può intervenire per cause del tutto estranee a quella di origine traumatica che ha determinato lo stato di coma. Osserva che la Corte territoriale, a fronte dello specifico motivo, omette la risposta, senza approfondire le cause del decesso del lavoratore, che non vengono neppure indicate. D'altro canto, va escluso, dopo l'intervento della pronuncia delle Sezioni unite Franzese, che possa farsi ricorso alla teoria dell'aumento del rischio, peraltro anch'essa non menzionata dalle sentenze di merito, essendo quantomeno necessario che la motivazione dia conto della legge di copertura scientifica a copertura del caso concreto.
4. Con la seconda doglianza lamenta il vizio di motivazione in ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, negate sulla base della 'gravità del complessivo comportamento tenuto da M.A.', ciò ponendosi in contraddizione con la pena inflitta nel minimo. Invero, la valutazione dei parametri di cui all'art. 133 cod. pen., tenuti in considerazione nella determinazione della sanzione penale, dimostra che la condotta non è stata ritenuta di particolare gravità o pericolosità, sicché la motivazione sul diniego della diminuente invocata si appalesa contraddittoria.
5. Con il terzo motivo censura la falsa applicazione degli artt. 163 e 164 cod. pen., per avere la Corte territoriale parimenti negato la concessione della sospensione condizionale della pena sulla base del medesimo presupposto della gravità delle violazioni in materia di sicurezza e prevenzione degli infortuni sul lavoro. Sostiene che il diverso giudizio caratterizzante la misura della pena mette in luce la mera apparenza della motivazione sul diniego del beneficio. Conclude per l'annullamento della sentenza impugnata.
Diritto
1. Il ricorso deve essere accolto.
2. Il primo motivo è fondato e comporta l'assorbimento di quelli ulteriori.
3. La questione posta riguarda la sussistenza del nesso di causalità fra la condotta ascritta all'imputato, risalente 25 settembre 2008 -consistita nel non essersi assicurato che i due lavoratori coinvolti nell'infortunio avessero conseguito adeguata formazione per le mansioni cui erano adibiti, nell'avere fornito un mezzo inidoneo allo scarico di materiale metallico da un TIR, in quanto non conforme ai requisiti di cui all'art. 70 d. lgs. 81/2008, nel non avere adeguatamente valutato i rischi derivanti dall'attività cui erano addetti i lavoratori, nel non avere verificato la presenza di idonea segnaletica e recinzione dell'area di cantiere- e l'evento morte verificatosi il 18 dicembre 2012.
4. La sentenza impugnata, che pure ricostruisce analiticamente la dinamica dell'infortunio, dal quale sono derivate le lesioni gravissime ad A.F., nel rispondere al motivo di gravame, inerente alla relazione causale fra l'omissione dell'adempimento degli obblighi e delle cautele previste dalla normativa antinfortunistica e l'evento morte, si limita a constatare che A.F., a seguito del sinistro, rimase in stato vegetativo sino al decesso e, riaffermata la posizione di garante dell'incolumità fisica dei lavoratori, integrata dal datore di lavoro e l'obbligo di sanzionare disciplinarmente i dipendenti che non utilizzino i dispositivi di protezione previsti, rigetta il motivo di appello rivolto a derubricare il reato in quello di lesioni gravissime.
5. Occorre, per dare soluzione al quesito posto con il ricorso, affrontare il tema della verifica dell'imputazione causale dell'evento, riferendosi, tuttavia, in questo caso, all'evento morte, non essendo contestato che la condotta del ricorrente abbia cagionato le gravissime lesioni riportate dalla persona offesa, a causa dell'infortunio, determinatosi per una serie di condotte omissive dell'imputato.
Il punto di approdo cui è giunta la giurisprudenza di questa Corte, è segnato dalla nota pronuncia delle Sezioni Unite n. 30328 del 10/07/2002, Franzese, secondo cui il nesso causale va ravvisato quando, alla stregua del giudizio controfattuale condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica - universale o statistica-, si accerti che, ipotizzandosi come realizzata la condotta doverosa, l'evento non si sarebbe verificato. A ciò aggiungendosi, nondimeno, che l'ipotesi accusatoria sulla sussistenza del nesso causale non può trovare automatica conferma solo sulla considerazione del coefficiente. di probabilità espresso dalla legge statistica, poiché il giudice deve verificarne la validità nel caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto, in modo che all'esito del ragionamento probatorio, una volta esclusa l'interferenza di fattori eziologici alternativi di produzione dell'evento (Sez. U, Sez. U, Sentenza n. 30328 del 10/07/2002, Franzese, Rv. 222138; Sez. 4, Sentenza n. 43786 del 17/09/2010, Cazzini, Rv. 248943; Sez. U, sentenza n. 38343 del 24.04.2014, Espenhahn, 261106). Il riscontro della ricorrenza del nesso causale fra la condotta dell'imputato e l'evento deve, dunque, operarsi attraverso un doveroso giudizio controfattuale, ovverosia quell'operazione logica che, eliminando dalla realtà (contro i fatti) la condizione costituita da una determinata condotta umana, verifica se il fatto oggetto del giudizio sarebbe egualmente accaduto, con la conseguenza che nell'ipotesi di indifferenza della condotta nella produzione dell'evento, deve escludersi che essa ne costituisca una causa, mentre, al contrario, laddove senza quella condotta l'evento non si sarebbe prodotto essa è condizione causale dell'evento.
6. Nel caso di specie, il nodo da sciogliere -essendo indubbio che l'infortunio produsse nella vittima uno stato di coma vegetativo- riguarda esclusivamente il decesso, collocatosi ad anni di distanza dalla condotta, e coincide con la verifica della sussistenza di una serie causale alternativa, innescante un rischio nuovo e diverso da quello attivato dalla condotta. E ciò, perché l'eventuale diversità dei rischi interrompe e separa la sfera di responsabilità del garante (datore di lavoro) dall'evento prodottosi, quando una qualunque circostanza -in questo caso l'eventuale instaurarsi di una patologia del tutto indipendente dalle lesioni riportate- radicalmente esorbitante rispetto al rischio che egli è chiamato a governare, inneschi una nuova ed autonoma serie causale.
7. La critica mossa alla sentenza impugnata si muove proprio su questo piano, sottolineando che i giudici di merito hanno del tutto pretermesso l'accertamento della causa della morte di A.F., facendo derivare unicamente dallo stato di coma vegetativo, conseguente l'infortunio, l'evento ascritto all'imputato, senza indagare quale patologia abbia materialmente condotto la persona offesa al decesso, avvenuto a distanza di oltre quattro anni dall'incidente, né il collegamento con le lesioni riportate in quella occasione.
8. Si tratta, nondimeno, di un'indagine indispensabile, che, diversamente da quanto ritenuto dal giudice di primo grado, non smentito sul punto dalla Corte di appello, non può incombere sull'imputato, al quale non compete l'onere di dimostrare la sussistenza di una serie causale alternativa, essendo la prova del collegamento fra la condotta e la morte onere specifico dell'accusa.
9. La sentenza deve, dunque, essere annullata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Catanzaro.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Catanzaro.
Così deciso il 16/01/2022