Cassazione Penale, Sez. 4, 02 maggio 2022, n. 16824 - Infortunio dello studente incaricato di utilizzare un decespugliatore nell'azienda agricola annessa ad un istituto tecnico agrario


 

 

Presidente: PICCIALLI PATRIZIA
Relatore: VIGNALE LUCIA Data Udienza: 20/04/2022
 

Fatto



1. Con sentenza del 5 gennaio 2021, la Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza emessa il 18 aprile 2019 dal Tribunale di Frosinone con la quale L.R., E.N. e V.M. sono stati ritenuti responsabili del reato di cui agli artt. 113, 590 commi 1 e 3 cod. pen., commesso in Frosinone il 9 giugno 2014, per avere provocato allo studente M.A. lesioni personali dalle quali è derivata una malattia di durata superiore ai 40 giorni.
L.R., E.N. e V.M. sono stati ritenuti responsabili del reato sopra indicato in cooperazione colposa tra loro - L.R. quale direttore della azienda agricola annessa all'Istituto Agrario L. Angeloni e responsabile del servizio di prevenzione e protezione istituito in azienda, V.M. quale assistente tecnico addetto alla azienda agricola, E.N. quale operatore interno alla azienda - e condannati, con le circostanze attenuanti generiche valutate equivalenti all'aggravante contestata, alla pena, condizionalmente sospesa, di mesi uno e giorni quindici di reclusione ciascuno. Tutti gli imputati, inoltre, sono stati condannati, in solido tra loro e con il responsabile civile (Ministero per l'istruzione, l'università e la ricerca), al risarcimento del danno in favore della parte civile costituita, da liquidarsi in separato giudizio. Alla parte civile è stata assegnata una provvisionale, provvisoriamente esecutiva, di€ 100.000,00.

2. Il procedimento ha ad oggetto un infortunio verificatosi in una azienda agricola annessa ad un istituto tecnico agrario. Lo studente M.A. era stato incaricato di svolgere lavori di pulizia di un terreno facendo uso di un decespugliatore a lame rotanti e si infortunò per aiutare un altro studente, A.D., che stava utilizzando il decespugliatore, era scivolato e rischiava di essere colpito dalla lama. In particolare, M.A. cercò di afferrare l'asta dell'attrezzo e fu attinto al polso della mano sinistra dalla lama rotante riportando una ferita lacero contusa con lesione del nervo mediano ulnare.
Secondo la ricostruzione dei fatti fornita dai giudici di merito gli studenti furono incaricati di utilizzare il decespugliatore senza avere ricevuto alcuna istruzione o formazione preventiva e senza che il personale addetto all'azienda agricola fosse presente e fornisse loro assistenza. Al momento del fatto erano presenti in azienda E.N. e V.M. che sono stati ritenuti responsabili del reato per aver consegnato il decespugliatore agli studenti senza sovraintendere ai lavori e vigilare sull'utilizzo di tale attrezzo di lavoro. Non era presente, invece, L.R. che è stato ritenuto responsabile del reato per aver fatto consegnare il decespugliatore agli studenti ancorché i ragazzi non avessero ricevuto alcuna adeguata formazione rispetto all'utilizzo di un attrezzo così pericoloso.

3. Contro la sentenza della Corte d'appello hanno proposto tempestivo ricorso, per mezzo dei rispettivi difensori, L.R. e V.M..

4. Il difensore di L.R. lamenta violazione dell'art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen. per travisamento dei fatti, violazione delle regole che devono presiedere alla valutazione della prova e illogicità della motivazione.
Sostiene, in particolare:
- che L.R., non presente in azienda quando si verificò l'infortunio, è stato ritenuto responsabile del reato ascrittogli sull'assunto che, nel corso di una telefonata intervenuta con E.N. all'inizio della mattinata, avesse incaricato quest'ultimo di consegnare il decespugliatore ai ragazzi;
- che L.R. ha smentito questa circostanza, sostenendo di aver detto a E.N. di tenere impegnati i ragazzi nell'irrigazione delle piante, nella pulizia degli spazi incolti e in altre simili attività in attesa del suo arrivo, che sarebbe avvenuto nella tarda mattinata essendo egli impegnato in istituto per gli scrutini di fine anno.
Osserva che i giudici di primo e secondo grado hanno ritenuto provato il contenuto della telefonata sulla base delle dichiarazioni di E.N., ritenendo che le stesse fossero riscontrate dalla deposizione di M.E. (che ha dichiarato di aver udito la telefonata) e da una fotografia del telefono cellulare di E.N. che documenta la chiamata in entrata. Rileva che si tratta di riscontri insufficienti perché confermano che la telefonata vi fu (e L.R. non l'ha mai smentita), ma non ne provano il contenuto, che emerge soltanto dalle dichiarazioni di E.N. il quale, avendo materialmente consegnato il decespugliatore ai ragazzi, aveva tutto l'interesse a sostenere di averlo fatto su disposizione del direttore.

5. Anche il difensore di V.M. ha proposto ricorso contro la sentenza articolandolo in più motivi.
5.1. Col primo e secondo motivo, il ricorrente lamenta inosservanza dell'art. 415-bis cod. proc. pen. in relazione all'art. 552 comma 2 cod. proc. pen. Espone che, dopo la notifica dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari, V.M. chiese di essere interrogato, ma l'interrogatorio fu omesso. Sostiene che tale omissione ha determinato una nullità di ordine generale a regime intermedio ritualmente eccepita al giudice di primo grado in sede di discussione finale e poi nei motivi di appello. Rileva che l'eccezione è stata respinta per errori di diritto consistiti: in primo luogo, nell'aver ritenuto che, avendo chiesto «di essere sentito», l'imputato non chiese un interrogatorio, ma solo di rendere dichiarazioni spontanee; in secondo luogo, nell'aver valutato l'eccezione tardiva qualificando la nullità prevista dall'art. 552 comma 2 cod. proc. pen. come una nullità relativa che avrebbe dovuto essere dedotta entro il termine previsto dall'art. 491 comma 1 cod. proc. pen.
5.2. Col terzo motivo V.M. lamenta vizio della motivazione, sostenendo che la Corte territoriale avrebbe errato nella lettura e interpretazione dei fatti di causa. In particolare, deduce che dalle testimonianze acquisite non emergerebbe affatto - come sostiene invece la sentenza impugnata - che fu lui a consegnare il decespugliatore ai ragazzi.
5.3. Col quarto e col quinto motivo il ricorrente lamenta vizio di motivazione con riferimento al suo inquadramento professionale e lavorativo. Sostiene che non rientrava tra le sue mansioni quella di consegnare attrezzature agli studenti e coadiuvarli nelle attività pratiche. Sottolinea che tra i suoi compiti non c'era quello di custodire le attrezzature dell'azienda agricola e partecipare alle attività didattiche.
5.4. Col sesto motivo, V.M. lamenta il mancato riconoscimento del concorso di colpa del danneggiato che avrebbe modificato il decespugliatore sostituendo al filo, di cui l'attrezzo era originariamente dotato, la lama rotante che produsse la lesione.

6. Con memoria scritta ai sensi dell'art. 23 comma 8 decreto-legge 28 ottobre 2020 n. 137 (convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020 n. 176, come prorogato ex art. 16 decreto-legge 30 dicembre 2021 n. 228 convertito con modificazioni dalla legge 25 febbraio 2022 n. 15), il Procuratore generale ha concluso per l'inammissibilità del ricorso proposto da L.R. e ha chiesto il rigetto del ricorso proposto da V.M.. Con memoria scritta del 14 aprile 2022, il difensore della parte civile ha chiesto la conferma della sentenza impugnata, contestualmente depositando nota spese.
 

 

Diritto




1. Entrambi i ricorsi sono infondati, quello proposto da V.M. è, in parte, inammissibile.

2. Nell'affermare la penale responsabilità di L.R. la sentenza impugnata sostiene che, la mattina dei fatti, egli telefonò a E.N., gli impartì istruzioni sull'attività da far svolgere ai ragazzi, gli disse di adibirli alla pulizia del terreno e di consegnare loro i decespugliatori presenti in azienda.

Muovendo da questa premessa i giudici di merito osservano che, avendo impartito tali specifiche disposizioni, L.R. era perfettamente consapevole delle attività che gli studenti sarebbero stati chiamati a svolgere. Sottolineano che, quale responsabile della azienda agricola e del progetto formativo al quale gli studenti avevano aderito, egli aveva l'obbligo giuridico di impartire istruzioni adeguate in merito alle attività che gli alunni dovevano svolgere, alle attrezzature che dovevano essere loro affidate ed era tenuto a formarli nell'utilizzo di macchinari pericolosi, quale è un decespugliatore.
La Corte territoriale giunge a tali conclusioni facendo riferimento alla deposizione di M.E.. Come risulta dalla lettura della motivazione, dalle dichiarazioni di questa testimone «si evince che il E.N. la mattina dei fatti ricevette una telefonata dal L.R. con la quale gli vennero impartite istruzioni in merito alle attività da far svolgere ai ragazzi coinvolti nel progetto e presenti nell'azienda agricola». La sentenza aggiunge che tale circostanza è stata «ribadita e confermata dal E.N.».
Indicazioni analoghe sono contenute nella sentenza di primo grado (cui la sentenza d'appello fa rinvio), secondo la quale la circostanza che L.R. abbia incaricato E.N., attraverso una telefonata, di munire i ragazzi di decespugliatore per iniziare le pulizie dell'azienda è dimostrata «da tre elementi di prova» costituiti: dalle «dichiarazioni rese dal E.N. nel corso del suo esame»; dalla fotografia del suo telefono cellulare che documenta una chiamata in entrata dal cellulare di L.R.; dalla «deposizione della M.E., della cui attendibilità non v'è motivo di dubitare». La sentenza di primo grado precisa che M.E. «ha confermato di aver udito la telefonata nella quale L.R. forniva a E.N. le istruzioni di cui si è detto»; fa dunque riferimento a elementi di conoscenza che la teste avrebbe acquisito direttamente, non "de relato" come il ricorrente sostiene. Tale percorso argomentativo non è carente né contraddittorio. Le dichiarazioni rese dal coimputato E.N., infatti, sono state valutate attendibili sulla base di precisi riscontri nel rispetto delle regole di valutazione della prova previste
dall'art. 192 comma 3 cod. proc. pen.


3. Per quanto esposto il ricorso proposto da L.R. è infondato e deve essere respinto.

4. Anche V.M. ha proposto ricorso contro la sentenza della Corte di Appello di Roma.
Con i primi due motivi egli lamenta una nullità conseguente a violazione degli artt. 415-bis e 552 comma 2 cod. proc. pen.
Risulta dagli atti che, dopo aver ricevuto la notifica dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari, il difensore di V.M. ha presentato una memoria difensiva così intitolata: «Memoria ex art. 415-bis cod. proc. pen. nell'interesse di V.M. Vincenzo».
Nella memoria il difensore argomenta sull'infondatezza dell'addebito mosso al suo assistito e poi scrive testualmente: «tanto premesso il sig. V.M. chiede che venga sentito a SIT anche lo studente Q.F., presente il 9.6.2014 insieme alla parte offesa, il quale potrà riferire che, quando era presente il V.M., gli studenti non stavano usando il decespugliatore, di essere sentito, ed insiste affinché la sua posizione venga archiviata».
Secondo i giudici di merito, l'espressione «chiede di essere sentito» sarebbe una mera manifestazione di disponibilità a rendere dichiarazioni. Non si tratterebbe dunque di una formale richiesta di interrogatorio e solo da questa richiesta sorge in capo al pubblico ministero - per il combinato disposto degli artt. 415-bis e 552 comma 2 cod. proc. pen. - il dovere di compiere l'atto.
Il ricorrente obietta: che la richiesta di interrogatorio a seguito della notifica dell'avviso ex art. 415-bis cod. proc. pen. non richiede formule sacramentali; che V.M. ha chiesto di «essere sentito» e la tesi secondo cui questa espressione potrebbe essere considerata equivoca non avendo egli chiesto di «essere interrogato» appare frutto di eccessivo formalismo; che chiedere di essere sentito è cosa diversa dall'offrirsi di rendere dichiarazioni; che l'espressione «chiede» rende evidente la volontà di essere interrogato, non essendovi necessità di una richiesta per presentarsi a rendere dichiarazioni.
4.1. Le argomentazioni del ricorrente non convincono. L'art. 415-bis comma 3 cod. proc. pen. stabilisce che, dopo aver ricevuto la notifica dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari, l'indagato ha facoltà «di presentare memorie, produrre documentazioni, depositare documentazione relativa ad investigazioni del difensore, chiedere al pubblico ministero il compimento di atti di indagine, nonché di presentarsi per rilasciare dichiarazioni ovvero chiedere di essere sottoposto ad interrogatorio». In base al tenore letterale della norma, dunque, l'indagato può «chiedere al pubblico ministero» o di essere interrogato oppure di presentarsi per rendere dichiarazioni. In entrambi i casi egli formula una richiesta, ma solo nel primo caso da tale richiesta discende, a pena di nullità, il dovere per il PM di invitare l'indagato a rendere interrogatorio.
Tanto premesso, il Collegio ritiene che debba essere ribadito il principio secondo il quale il diritto potestativo di chiedere l'interrogatorio, non può ritenersi esercitato se l'indagato ha manifestato una generica disponibilità ad essere sentito (Sez. 2, n.21779 del 18/02/2014, Frattura, Rv 259708).

Senza dubbio la richiesta di interrogatorio avanzata dall'indagato destinatario dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari non necessita di formule sacramentali. Tuttavia, poiché da quella richiesta discende il dovere per il PM di procedere all'interrogatorio (o, comunque, di invitare l'indagato a presentarsi a tal fine) e il mancato adempimento di tale dovere comporta la nullità del decreto di citazione diretta a giudizio, è necessario che tale richiesta sia formulata in maniera esplicita ed inequivocabile (Sez. 3, n. 6922 del 17/12/2018, dep. 2019, Ndoye, Rv. 275002). In altri termini, deve trattarsi di una richiesta chiara, che non possa prestarsi ad equivoci e non sia suscettibile di interpretazioni alternative come era, invece, quella formulata nel caso di specie.
4.2. Da quanto esposto consegue l'infondatezza del primo motivo di ricorso. Il secondo motivo - col quale si lamenta la qualificazione della nullità prevista dall'art. 552 comma 2 cod. proc. pen. come nullità relativa - ne resta assorbito. La nullità lamentata, infatti, non si è verificata e pertanto non v'è ragione di discutere sulla sua natura.

5. Il terzo, il quarto e il quinto motivo di ricorso si limitano a chiedere una rilettura in senso favorevole al ricorrente delle prove raccolte nel corso del giudizio riproponendo argomenti già sollevati e respinti dalle sentenze di merito con motivazioni congrue e non manifestamente illogiche.
Secondo i giudici di appello, le discordanze emerse nelle dichiarazioni degli studenti non dimostrano l'inattendibilità dei testimoni che, fino al momento dell'infortunio stavano vivendo una normale mattinata di lavoro all'aperto in una condizione psicologica che non li predisponeva ad una attenzione particolare. A detta dei giudici di merito, le testimonianze raccolte, valutate nel loro insieme, dimostrano che V.M. e E.N. erano entrambi presenti quando i decespugliatori furono affidati agli studenti, li accompagnarono sul pendio da ripulire e si allontanarono senza preoccuparsi di istruirli nello svolgimento del lavoro né verificare che non si ponessero in situazione di pericolo. Si deve ricordare, allora, che - salva la verifica della congruità e logicità della motivazione, verifica che la sentenza impugnata supera ampiamente - non è sindacabile in sede di legittimità la valutazione del giudice di merito, cui spetta il giudizio sulla rilevanza e attendibilità delle fonti di prova, circa contrasti testimoniali o la scelta tra divergenti versioni e interpretazioni dei fatti». (Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, D'Ippedico, Rv. 271623; Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011, Tosto, Rv. 250362)
5.1. Sulla base della ricostruzione dei fatti fornita dai giudici di merito, l'evento lesivo fu causato da una condotta attiva di V.M. che, consegnando un apparecchio pericoloso agli studenti (o concorrendo con E.N. nella consegna), non istruendoli su come utilizzarlo, non restando a vigilare su tale utilizzo, determinò l'insorgere di una situazione di rischio. Muovendo da queste premesse, le sentenze concludono che V.M. assunse una posizione di garanzia nei confronti degli studenti, conclusione che il ricorrente contesta sottolineando di essere un assistente tecnico, di non avere compiti didattici, di non aver ricevuto indicazioni da L.R. rispetto alle attività che i ragazzi dovevano svolgere, di non avere mai ricevuto l'incarico di custodire l'attrezzatura utilizzata in azienda.
Si osserva in proposito che, secondo la migliore giurisprudenza di legittimità, l'agente che, trovandosi a operare in una situazione di pericolo immediatamente percepibile, contribuisce con la propria condotta cooperativa all'aggravamento del rischio, fornendo un contributo causale giuridicamente apprezzabile alla realizzazione dell'evento è responsabile ai sensi dell'art. 113 cod. pen. a prescindere dalla posizione di garanzia concretamente ricoperta (Sez. 4, n. 46408 del 14/12/2021, Pisaniello, Rv. 282556; Sez. 4, n. 43083 del 03/10/2013; Redondi, Rv. 257197) e che, alla luce di tali assorbenti considerazioni, i rilevi mossi dal ricorrente risultano privi di fondamento.

6. Col sesto e ultimo motivo, V.M. lamenta il mancato riconoscimento del concorso di colpa del danneggiato, che avrebbe modificato il decespugliatore sostituendo al filo, di cui l'attrezzo era originariamente dotato, la lama rotante che produsse la lesione. Sostiene che tale comportamento costituirebbe concausa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l'evento e idonea ad interrompere il nesso di causalità.
Dalla sentenza di primo grado risulta che la sostituzione della lama non è certa e, se avvenne, non fu compiuta dagli studenti bensì dagli assistenti. Risulta, inoltre, che non si trattò della sostituzione di una lama ad un filo, ma, al massimo, della sostituzione di una lama con un'altra. Il ricorso non chiarisce sulla base di quali elementi di prova tali circostanze risulterebbero smentite e la sentenza d'appello sottolinea che, quand'anche la tesi difensiva fosse provata, ciò non varrebbe ad escludere la responsabilità degli imputati, i quali fornirono l'attrezzo agli studenti e, pertanto, avrebbero dovuto impedire loro di modificarlo aumentandone la pericolosità. Tanto premesso si deve osservare che il ricorrente si limita ad allegare un comportamento colposo della persona offesa, ma non indica da quali elementi di prova dovrebbe essere dedotto sicché, per questa parte, il ricorso difetta di specificità e autosufficienza.

7. I motivi di ricorso proposti da Lorenzo V.M. sono dunque in parte infondati in parte inammissibili

8. Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Come si è detto, con memoria scritta del 14 aprile 2022, il difensore della parte civile ha chiesto che i ricorsi fossero respinti o dichiarati inammissibili, contestualmente depositando nota spese. Si ritiene, tuttavia, che nulla debba essere liquidato.
Il Collegio aderisce all'orientamento secondo cui, nel giudizio di legittimità, quando il ricorso dell'imputato viene rigettato o dichiarato, per qualsiasi causa, inammissibile, la parte civile ha diritto ad ottenere la liquidazione delle spese processuali senza che sia necessaria la sua partecipazione all'udienza, purché abbia effettivamente esplicato, anche solo attraverso memorie scritte, un'attività diretta a contrastare l'avversa pretesa, a tutela dei propri interessi di natura civile risarcitoria, fornendo un utile contributo alla decisione. Si osserva in proposito che la mancata partecipazione all'udienza non può essere qualificata come revoca tacita e che la previsione di cui all'art. 541 cod. proc. pen. è svincolata da qualsiasi riferimento alla discussione in pubblica udienza (Sez.2, n. 12784 del 23/01/2020, Tamburrino, Rv. 278834). Nel caso di specie, però, la parte civile si è limitata a rendere le proprie conclusioni, non ha svolto in questo giudizio di legittimità nessuna altra attività diretta a contrastare l'avversa pretesa e non ha fornito un concreto contributo alla decisione sicché nulla deve esserle liquidato.

 

P.Q.M.


Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 20 aprile 2022