• Cantiere Temporaneo e Mobile
  • Lavoratore
  • Infortunio sul Lavoro
  • Coordinatore per l'esecuzione

S., responsabile dei lavori della A. ISP, in concorso con il preposto della società stessa, viene imputato per aver cagionato la morte di un dipendente che, al momento del sinistro, era intento a sollevare un induttore attraverso un paranco al quale era assicurata una corda che, spezzandosi, aveva fatto ricadere il pezzo di montaggio sul lavoratore, mentre questi era intento a svolgere la sua attività nella zona di azione del carico in tiro. Al  S., nella sua qualità di responsabile dei lavori veniva contestato di avere consentito la prosecuzione dei lavori nel cantiere in cui si è verificato l'evento, senza che fosse presente un coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione ed egli altrimenti assicurasse l'attività di controllo necessaria (D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 3, comma 4).
Condannati entrambi in primo grado, solo il preposto fu assolto in secondo grado per non aver commesso il fatto.

Ricorre in Cassazione il S. - Rigetto.

La Corte afferma che: "il cit. D.Lgs., art. 2 è stato modificato dal successivo D.Lgs. n. 528 del 1999, ma tale modifica ne ha, contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente, ampliato l'ambito di applicazione, prevedendo nell'art. 21 la modifica all'allegato 1 del D.Lgs. n. 494 del 1996, includendovi anche "gli scavi, ed il montaggio e lo smontaggio di elementi prefabbricati utilizzati per la realizzazione di lavori edili o di ingegneria civile". Pertanto i lavori in corso quando si verificò il sinistro, che consistevano nella realizzazione di una vasca e nel montaggio di opere fisse di tipo metallico rientrano nella previsione della disposizione di cui sopra."

Ai sensi del D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 3, comma 4, come rileva lo stesso ricorrente,  il responsabile dei lavori è tenuto alla nomina del Coordinatore per l'esecuzione quando nel cantiere è prevista la presenza di più imprese, derivando in tale caso la necessità di nominare un coordinatore dalla esigenza di gestire quei rischi aggiuntivi dovuti all'interferenza che può crearsi tra attività facenti capo a diverse imprese che operano nello stesso cantiere.

"E' evidente" - continua la Corte di Cassazione - "che nella fattispecie di cui è causa, nel cantiere si registrava la convivenza di più imprese, anche se eventualmente non materialmente presenti al momento del fatto. Anzi, le circostanze in cui si è verificato l'infortunio erano particolarmente pericolose; in relazione alla particolare fase della lavorazione, che richiedeva la vigilanza del coordinatore per l'esecuzione, che doveva dare le specifiche disposizioni,sia finalizzate ad assicurare il controllo alle squadre di operai, sia finalizzate a rendere effettiva la pulizia del cantiere, specialmente in un momento in cui si doveva provvedere alla prima manutenzione di un'opera che veniva consegnata con ritardo, in un cantiere reso particolarmente disordinato a causa della compresenza di più imprese. Neppure può condividersi l'assunto del ricorrente, secondo cui il G. avrebbe posto in essere una condotta assolutamente imprevedibile, tale costituire da sola la causa dell'incidente, decidendo, nonostante l'avviso contrario dei colleghi, di utilizzare la corda rinvenuta nel cantiere, mentre nel deposito della società Welding per cui lavorava vi erano gli strumenti necessari ad operare in sicurezza, quali funi di acciaio e catene.
Sul punto si osserva che, se pure è ravvisabile un concorso di colpa della vittima, al G., nonostante si trovasse in una fase di lavorazione assolutamente delicata, è stato consentito di lavorare in assenza del coordinatore per l'esecuzione che desse le corrette prescrizioni anche per assicurare la pulizia del cantiere e comunque in assenza di un sovraordinato che gli desse le dovute istruzioni e valutasse l'idoneità degli strumenti che si era procacciato, sebbene, sul piano della colpa specifica, a prescindere anche dalla applicazione del D.Lgs. n. 494 del 1996, il S., nella sua qualità di responsabile dei lavori, fosse tenuto, ai sensi dell'art. 2087 c.c., a preservare l'incolumità fisica del dipendente."


Vd. artt. 88 e seguenti del D.Lgs. 81/08 aggiornato al D.Lgs. 106/09.



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCALI Piero - Presidente

Dott. MARZANO Francesco - Consigliere

Dott. IACOPINO Silvana Giovanna - Consigliere

Dott. MAISANO Giulio - Consigliere

Dott. MARINELLI Felicetta - rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA/ORDINANZA

 



sul ricorso proposto da:

1) S.G., N. IL (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 2266/2007 CORTE APPELLO di BRESCIA, del 02/04/2008;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 28/01/2010 la relazione fatta dal Consigliere Dott. FELICETTA MARINELLI;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. FRATICELLI Mario, che ha concluso per l'annullamento senza rinvio per prescrizione.


Fatto

 


S.G. è stato tratto a giudizio davanti al Tribunale di Cremona per rispondere del reato di cui agli artt. 113 e 589 c.p. per avere, quale responsabile dei lavori della ACCIAIERIA ISP di (OMISSIS), in concorso con B.C.G., preposto della società stessa, cagionato la morte del dipendente G. G.R. che, al momento del sinistro, era intento a sollevare un induttore attraverso un paranco al quale era assicurata una corda che, spezzandosi, aveva fatto ricadere il pezzo di montaggio sul lavoratore, mentre questi era intento a svolgere la sua attività nella zona di azione del carico in tiro. Al S., nella sua qualità di responsabile dei lavori veniva contestato di avere consentito la prosecuzione dei lavori nel cantiere in cui si è verificato l'evento, senza che fosse presente un coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione ed egli altrimenti assicurasse l'attività di controllo necessaria (D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 3, comma 4); così consentendo che la vittima, aperto l'induttore, imbracato il paranco che lo sosteneva e sistemandosi sul basamento della vasca per lavorare nel raggio d'azione del carico in tiro, finisse per essere schiacciato dall'induttore richiusosi all'atto dello spezzarsi della corda che non aveva retto la tensione.

Con sentenza del 26 febbraio 2007 il tribunale di Cremona in composizione monocratica aveva dichiarato B.C. G. e S.G. responsabili del reato di cui sopra e, concesse le attenuanti generiche, da ritenere prevalenti rispetto all'aggravante contestata, li aveva condannati alla pena di mesi 4 di reclusione ciascuno e alle spese di giudizio, pena condonata nella misura di anni 3. Aveva altresì condannato gli imputati al risarcimento dei danni subiti dalle parti civili da liquidarsi in separata sede, concedendo una provvisionale di euro 15.000 per ciascuna parte civile, nonchè al pagamento delle spese di costituzione e giudizio sostenute dalle stesse il cui importo veniva specificato nel dispositivo.

Contro la decisione del Tribunale di Cremona hanno proposto appello i difensori degli imputati.
La Corte di Appello di Brescia, con la sentenza oggetto del presente ricorso emessa in data 2 aprile 2008, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Cremona, assolveva B.C.G. dall'imputazione ascrittagli per non avere commesso il fatto; convertiva la pena inflitta a S. G. nella pena della multa di Euro 4560,00, revocava le statuizioni civili; confermava nel resto la sentenza impugnata.

Contro la sentenza della Corte d'appello di Roma il S. proponeva ricorso per Cassazione a mezzo del suo difensore e concludeva chiedendo di annullare la sentenza impugnata. All'udienza pubblica del 28/01/2010 il ricorso era deciso con il compimento degli incombenti imposti dal codice di rito.


Diritto

 


Il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per i seguenti motivi:

1) nullità della sentenza (ex art. 606 c.p.p., lett. b) per inosservanza del D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 2, lett. a) e art. 1.

Osservava il ricorrente che il D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 1, comma 1, vigente all'epoca dell'infortunio, definiva il cantiere temporaneo o mobile come "qualunque luogo in cui si effettuino lavori edili o di ingegneria civile il cui elenco è riportato nell'allegato 1" e che l'allegato 1 risultava totalmente modificato e non conteneva più alcuna equiparazione del montaggio o smontaggio di impianti ai lavori edili o di ingegneria civile.

Secondo il ricorrente, quindi, il montaggio di impianti industriali era escluso dall'applicazione del D.Lgs. n. 494 del 1996, fermo restando l'obbligo di conformarsi a tale disciplina solo quando contestualmente si svolgano nello stesso luogo di lavoro lavori edili o di ingegneria civile. Rilevava il ricorrente che i lavori di edificazione erano terminati ed anche il montaggio degli impianti era stato ultimato. Restava da effettuare solo l'operazione di sigillatura degli induttori alla vasca di zincatura, operazione che per le sue caratteristiche (assemblaggio di due parti di un impianto) non aveva nulla a che vedere con la normativa di cui sopra.

Riteneva, pertanto, il ricorrente che il mancato rinnovo dell'incarico al coordinatore per la esecuzione, essendo conclusi i lavori soggetti alla disciplina dal D.Lgs. n. 494 del 1996, non costituiva affatto una sua omissione e che egli, nella sua qualità di responsabile dei lavori, non rivestiva più al momento del fatto la posizione di garanzia per cui era stato condannato.

2) nullità della sentenza (ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b, c) ed e) per inosservanza del D.Lgs. n. 494 del 1996, artt. 3, 4 e 5 e per mancanza della motivazione sulla sussistenza di una posizione di garanzia in capo al Coordinatore per l'esecuzione e conseguente irrilevanza della omissione contestata all'ing. S..

Rilevava sul punto il ricorrente che, ai sensi del D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 3, comma 4, il responsabile dei lavori era tenuto alla nomina del Coordinatore per l'esecuzione quando nel cantiere era prevista la presenza di più imprese, derivando in tale caso la necessità di nominare un coordinatore dalla esigenza di gestire quei rischi aggiuntivi dovuti all'interferenza che può crearsi tra attività facenti capo a diverse imprese che operano nello stesso cantiere. Nella fattispecie de qua, secondo il ricorrente, all'atto della sigillatura degli induttori della vasca di zincatura, l'unica impresa che stava operando era la Welding di cui il G. era dipendente e i rischi connessi a tale attività erano i rischi propri dell'azienda presso cui il G. lavorava e non i rischi connessi alla presenza in cantiere di altre imprese, circostanza questa che avrebbe comportato la configurabilità di una posizione di garanzia in capo al coordinatore in fase di esecuzione.

3) Nullità della sentenza (ex art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) per inosservanza dell'art. 41 c.p., comma e per difetto di motivazione in relazione all'interruzione del nesso di causalità. Rilevava sul punto il ricorrente che la Corte di Appello non aveva rilevato che la condotta del G., assolutamente imprevedibile, (il G. si era posizionato sotto un carico sospeso di alcune tonnellate sostenuto in trazione soltanto da una fune logora, sebbene i suoi colleghi lo invitassero a desistere per l'evidente pericolosità) era stata idonea ad interrompere il rapporto causale con qualunque violazione della normativa infortunistica fosse stata ravvisata.

Tanto premesso si osserva preliminarmente che il reato di cui il S. è accusato non è prescritto (il Procuratore Generale aveva chiesto l'annullamento senza rinvio per intervenuta prescrizione).

Invero, essendo l'infortunio accaduto il (OMISSIS), la prescrizione avrebbe dovuto maturare il 10.6.2009. Ci sono però dei periodi di sospensione di cui si deve tenere conto perchè procrastinano il termine di prescrizione. In particolare la decorrenza del termine risulta sospesa ex art. 159 c.p. nel periodo dal (OMISSIS) e dal (OMISSIS), a seguito dell'adesione da parte dei difensori alle due astensioni dalle udienze proclamate dalle organizzazioni di categoria per il 21.9.2006 ed il 14.12.2006. Il corso della prescrizione risulta inoltre sospeso a seguito del rinvio per legittimo impedimento del difensore di S.G. relativo all'udienza del 24.11.2005.

Poichè per calcolare il periodo di sospensione deve aversi riguardo al tempo dell'impedimento aumentato di 60 giorni, e poichè l'impedimento, come comunicato nell'istanza del difensore in atti, era destinato a protrarsi per circa due mesi decorrenti dal 14.11.2005 (quindi sino al 13.1.2006), la sospensione ha avuto termine il 14.3.2006. Il reato contestato a S.G. non è quindi, alla data odierna, prescritto.

Tanto premesso si osserva che i motivi proposti nel ricorso non appaiono fondati.

Secondo la difesa del ricorrente, nella fase di lavorazione in cui è avvenuto l'infortunio (l'attività in corso riguardava solo l'impiantistica produttiva, in quanto le opere edili erano terminate da tempo), era cessato in capo al S., nella sua qualità di responsabile della sicurezza, l'obbligo di nominare il coordinatore per l'esecuzione dei lavori, qualifica che era stata rivestita da C.B. fino al 30.11.2001, fino a pochi giorni quindi prima dell'infortunio, data in cui la carica era cessata.

L'assunto della difesa non è condivisibile, in quanto il D.Lgs. n. 494 del 1996 appare applicabile alla fattispecie "de qua".

Come hanno correttamente fatto rilevare i Giudici della Corte di Appello nella sentenza impugnata, infatti, il cit. D.Lgs., art. 2 è stato modificato dal successivo D.Lgs. n. 528 del 1999, ma tale modifica ne ha, contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente, ampliato l'ambito di applicazione, prevedendo nell'art. 21 la modifica all'allegato 1 del D.Lgs. n. 494 del 1996, includendovi anche "gli scavi, ed il montaggio e lo smontaggio di elementi prefabbricati utilizzati per la realizzazione di lavori edili o di ingegneria civile". Pertanto i lavori in corso quando si verificò il sinistro, che consistevano nella realizzazione di una vasca e nel montaggio di opere fisse di tipo metallico rientrano nella previsione della disposizione di cui sopra.

Ad avviso di parte ricorrente, poi, non troverebbero applicazione il D.Lgs. n. 494 del 1996, artt. 3, 4 e 5 in quanto, al momento dell'infortunio, nel cantiere non lavoravano più imprese. Sul punto si osserva che nel cantiere era in corso la prima manutenzione della struttura, antecedente alla sua consegna. Si procedeva quindi, come correttamente hanno rilevato i Giudici della Corte di Appello, in una situazione non protocollata quanto a modalità di intervento nella compresenza di più imprese, in un contesto quindi chiaramente pericoloso, in considerazione del disordine del cantiere, in cui i lavoratori della ditta in azione in quel momento potevano facilmente reperire materiali residuati dalla lavorazione di altre imprese.
Situazione che si è puntualmente verificata, allorquando il G. decise di usare una corda in fibre tessili artificiali, abbandonata in seguito a precedenti lavorazioni, con la conseguenza di finire schiacciato dall'induttore, richiusosi all'atto dello spezzarsi della corda che non aveva retto alla tensione.

E' evidente pertanto che nella fattispecie di cui è causa, nel cantiere si registrava la convivenza di più imprese, anche se eventualmente non materialmente presenti al momento del fatto. Anzi, le circostanze in cui si è verificato l'infortunio erano particolarmente pericolose; in relazione alla particolare fase della lavorazione, che richiedeva la vigilanza del coordinatore per l'esecuzione, che doveva dare le specifiche disposizioni,sia finalizzate ad assicurare il controllo alle squadre di operai, sia finalizzate a rendere effettiva la pulizia del cantiere, specialmente in un momento in cui si doveva provvedere alla prima manutenzione di un'opera che veniva consegnata con ritardo, in un cantiere reso particolarmente disordinato a causa della compresenza di più imprese. Neppure può condividersi l'assunto del ricorrente, secondo cui il G. avrebbe posto in essere una condotta assolutamente imprevedibile, tale costituire da sola la causa dell'incidente, decidendo, nonostante l'avviso contrario dei colleghi, di utilizzare la corda rinvenuta nel cantiere, mentre nel deposito della società Welding per cui lavorava vi erano gli strumenti necessari ad operare in sicurezza, quali funi di acciaio e catene.
Sul punto si osserva che, se pure è ravvisabile un concorso di colpa della vittima, al G., nonostante si trovasse in una fase di lavorazione assolutamente delicata, è stato consentito di lavorare in assenza del coordinatore per l'esecuzione che desse le corrette prescrizioni anche per assicurare la pulizia del cantiere e comunque in assenza di un sovraordinato che gli desse le dovute istruzioni e valutasse l'idoneità degli strumenti che si era procacciato, sebbene, sul piano della colpa specifica, a prescindere anche dalla applicazione del D.Lgs. n. 494 del 1996, il S., nella sua qualità di responsabile dei lavori, fosse tenuto, ai sensi dell'art. 2087 c.c., a preservare l'incolumità fisica del dipendente.

 Il ricorso deve essere quindi rigettato e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese di giudizio.


P.Q.M.

 




Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.

Così deciso in Roma, il 28 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 9 febbraio 2010