Cassazione Penale, Sez. 4, 14 giugno 2022, n. 23137 - Infortunio sul lavoro durante la pulizia nella parte sottostante di un nastro trasportatore. Posizioni di garanzia di fatto e illecito amministrativo dell'ente


 

 

Presidente: DI SALVO EMANUELE
Relatore: PAVICH GIUSEPPE Data Udienza: 31/05/2022
 

 

Fatto




1. La Corte d'appello di Milano, in data 3 febbraio 2021, ha confermato la sentenza con la quale il Tribunale di Milano, il 19 marzo 2018, aveva condannato C.C. e A.R. alla pena ritenuta di giustizia, nonché la CARIS VRD s.r.l. alla sanzione pecuniaria da illecito amministrativo in relazione al delitto di lesioni personali colpose con violazione di norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro (e, quanto all'anzidetta società, al connesso illecito amministrativo di cui all'art. 25-septies comma 3, D.Lgs. 231/2001) contestato come commesso in Lainate il 16 agosto 2013 in danno di T.M..
Questi riportava le lesioni meglio descritte in atti nell'esecuzione di lavori di pulizia nella parte sottostante il nastro trasportatore denominato ITEM 102, ubicato all'interno di un capannone sito nell'area ex Alfa Romeo, mentre il nastro era in movimento e non risultava protetto dalle griglie di protezione: per l'esattezza, nel corso dell'attività di pulitura, la vittima si abbassava sotto il nastro trasportatore e, a un certo punto, urtava con il capo uno dei rulli di azionamento; istintivamente portava le braccia a protezione della testa e così il braccio destro rimaneva agganciato e veniva trascinato.
1.1. Il C.C. risponde del reato in qualità di legale rappresentante della CARIS VRD e, in specie, nella sua qualità di datore di lavoro di fatto del T.M.: la CARIS, che utilizzava il capannone, aveva affidato in appalto alla Media Service Europe s.r.l. la selezione dei rifiuti per la raccolta differenziata; la Media Service aveva a sua volta subappaltato l'esecuzione dei servizi, d'intesa con la CARIS, alla consociata Roma Servizi soc.coop., dalla quale formalmente dipendeva il T.M.. Al di là del dato formale, secondo i giudici di merito, la posizione del T.M. era, nell'occorso, quella di dipendente di fatto della CARIS, con conseguente assunzione della qualità datoriale, in via di fatto, da parte del C.C., atteso che quella della Roma Servizi veniva qualificata come una prestazione di somministrazione di lavoro. Gli addebiti mossi al C.C. (ex artt. 71 e 36 D.Lgs. 81/2008) riguardano in particolare il non aver messo a disposizione dei lavoratori di fatto dipendenti dalla CARIS attrezzature idonee sotto il profilo della sicurezza; nonché l'avere omesso di assicurare agli stessi lavoratori un'adeguata formazione e informazione in materia di sicurezza (in particolare si assume che il T.M. non fosse a conoscenza della procedura PS2 per la pulizia dell'impianto ed operativa presso la società da epoca antecedente il sinistro).
1.2. Il A.R., dipendente della Roma Servizi, risponde del reato in qualità di preposto di fatto (art. 19, D.Lgs. 81/2008), in relazione alle disposizioni che egli avrebbe impartito al T.M. (per il tramite di un altro dipendente della cooperativa, tale X.W.) di effettuare le pulizie in corso di esecuzione al momento dell'incidente.
1.3. La CARIS VRD risponde dell'accaduto a titolo di illecito amministrativo (art. 25-septies, comma 3, D.Lgs. 231/2001) in quanto l'esecuzione del servizio di pulizia con macchine in movimento costituiva un vantaggio per l'impresa, consistente nel risparmio derivante dall'omessa interruzione del funzionamento dell'impianto; ulteriore vantaggio veniva ravvisato nella mancanza di formazione e di informazione dei lavoratori, di fatto sottoposti al potere direttivo della CARIS.
1.4. Nel confermare la sentenza di primo grado, la Corte ambrosiana, a fronte della pacifica ricostruzione del sinistro, ha in primo luogo disatteso le doglianze del C.C. a proposito dell'attribuzione, in capo al medesimo, del ruolo di datore di lavoro di fatto e della correlata posizione di garanzia nei riguardi della persona offesa, nonché del fatto che quest'ultimo fosse a conoscenza delle procedure di pulizia vigenti presso la società; é stata inoltre esclusa la natura abnorme del comportamento della vittima. Anche con riguardo alla posizione del A.R., la Corte di merito ha disatteso le doglianze riguardanti la posizione di preposto di fatto a lui attribuita, sul rilevo che egli, pur organico alla Poma Servizi, era il referente di quest'ultima presso CARIS ed incaricato di veicolare gli ordini della società ai lavoratori della cooperativa. Infine la Corte territoriale ha respinto le censure mosse dalla CARIS all'assunto della responsabilità da illecito amministrativo e, in specie, della configurabilità dell'addebito come collegato a un vantaggio che la società avrebbe ottenuto, deducendo che, contrariamente a quanto sostenuto dalla società stessa, il requisito del vantaggio é nella specie configurabile, essendo ravvisabile ex post su base oggettiva e in relazione agli effetti che ne derivavano, ed essendo inoltre evidente il collegamento causale tra le carenze addebitate alla società e al suo titolare (il C.C.) e l'evento lesivo verificatosi.

2. Avverso la prefata sentenza d'appello ricorrono C., C.C., A.R. e la CARIS VRD s.r.l..

3. Il ricorso del C.C. consta di un unico, ampio motivo, con il quale si denuncia vizio di motivazione in relazione a molteplici profili: rivendicando l'esclusività del rapporto contrattuale intercorso tra la CARIS e la Media Service e l'autonomia organizzativa e decisionale di quest'ultima, l'esponente sottolinea che non vi era alcun rapporto tra la CARIS e la Roma Servizi, che rispondeva alle direttive della Media Service; e ciò rappresentava non solo un dato formale, ma anche la realtà sostanziale rispetto alla suddivisione dei compiti. Anche la Roma Servizi, peraltro, era dotata di piena capacità gestionale ed era il vero datore di lavoro della vittima, come emerso da una serie di prove raccolte in dibattimento. Perciò il ricorrente contesta che tale qualifica sia stata attribuita al C.C.: il quale, nella scelta della ditta appaltatrice del servizio di selezione e raccolta differenziata dei rifiuti, ha certamente vagliato l'idoneità tecnico-professionale del Gruppo Media Service, impresa leader del settore; non risulta invece adeguatamente motivato l'assunto, apoditticamente sostenuto nella sentenza impugnata, secondo cui Roma Servizi, impresa subappaltatrice, forniva esclusivamente manodopera eterodiretta, a fronte dell'autonomia organizzativa e gestionale della Roma Servizi, comprovata da alcune fonti dichiarative, tra cui i testi P. e G., cui la Corte di merito inopinatamente non attribuisce alcuna rilevanza. Vengono poi richiamati alcuni precedenti giurisprudenziali a sostegno della tesi esposta dal ricorrente, riferiti a casi per alcuni versi analoghi a quello che occupa; e si ribadisce che le prestazioni della Roma Servizi erano quelle di un'impresa subappaltatrice, non già quelle di una somministrazione di lavoro in favore della CARIS VRD. Ne discende che anche le violazioni attribuite al C.C. quale datore di lavoro, ivi comprese quelle relative all'omessa formazione e informazione dei lavoratori, muovono da una premessa errata e peraltro non veritiera, come risulta da alcune dichiarazioni testimoniali richiamate in nota.
In epoca successiva alla presentazione del ricorso il difensore del C.C. ha depositato conclusioni scritte, nelle quali ribadisce gli argomenti posti a base dell'impugnazione.

4. Quanto al ricorso presentato per conto della CARIS VRD, che consta a sua volta di un unico motivo di doglianza, esso risulta articolato in termini pressoché testualmente identici a quello presentato per conto del C.C., risolvendosi in sostanza nella confutazione del ruolo datoriale attribuito alla società nei riguardi del T.M.. Pertanto può farsi richiamo a quanto esposto a proposito dell'unico motivo del ricorso C.C., da intendersi qui integralmente richiamato.
Anche per la CARIS VRD sono state successivamente presentate conclusioni scritte.

5. Il ricorso del A.R. consta invece di tre motivi.
5.1. Con il primo motivo si denuncia violazione di legge e - di fatto - vizio di motivazione in relazione alla ritenuta responsabilità del ricorrente quale preposto, qualifica che la Corte di merito ha ritenuto di scorgere in via di fatto nella posizione del A.R. rispetto al T.M., laddove - alla luce delle prove anche testimoniali assunte nel dibattimento di primo grado, di cui si richiamano alcuni stralci - la veste del A.R. era al più limitata a mansioni di natura contabile, senza alcuna responsabilità in tema di sicurezza sul lavoro, ma con il compito di verificare le ore di lavoro del personale della cooperativa in funzione dell'esecuzione del contratto. Del resto la qualifica di preposto non può essere riconosciuta in capo al A.R. neppure alla stregua delle prove documentali e, peraltro, neppure negli accertamenti eseguiti dall'ASL Milano 1 é stata formulata alcuna contestazione o prescrizione nei confronti del A.R..
5.2. Con il secondo motivo si denuncia vizio di motivazione in ordine all'assunto che il A.R. avrebbe impartito all'infortunato l'ordine di eseguire la sua prestazione lavorativa nel contesto pericoloso di cui si é detto. L'esponente censura in particolare che la prova che l'ordine di lavoro sarebbe stato dato al T.M. dal A.R. (per il tramite del X.W.) é costituita unicamente dalle dichiarazioni della persona offesa, sebbene sia emerso che il A.R. era assente in occasione dell'infortunio; si richiamano inoltre le dichiarazioni rese dal A.R. nel descrivere quello che potrebbe essere stato il suo ruolo nella vicenda, certamente non assimilabile a quello di un preposto.
5.3. Con il terzo motivo si denuncia vizio di motivazione in relazione al contributo causale che sarebbe stato dato dal A.R. al verificarsi dell'incidente: il deducente evidenzia la contraddittorietà tra il ruolo attribuito al A.R. nella vicenda e la circostanza, pure asserita in sentenza, che le prestazioni dei soci lavoratori della Roma Servizi dipendevano esclusivamente dall'organizzazione e dalla gestione della CARIS; inoltre deve escludersi il contributo causale del A.R. all'accaduto se si considera che l'incidente si é verificato perché le porte d'accesso all'area sottostante all'impianto in movimento erano state aperte e l'operaio vi aveva fatto ingresso.

 

Diritto




1. Il ricorso del C.C. é inammissibile, perché manifestamente infondato e proteso, nell'essenziale, a sottoporre alle valutazioni della Corte di legittimità una rilettura del materiale probatorio, ciò che non é consentito nel giudizio di cassazione, trattandosi di scrutinio demandato al giudice di merito. Si ricorda al riguardo che sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, De Vita, Rv. 235507).
In sostanza il ricorrente impernia il suo ricorso, in modo pressoché integrale, sul tentativo di escludere che il C.C. rivestisse una posizione datoriale, assumendone le conseguenti responsabilità e i conseguenti obblighi giuridici nei confronti del T.M.. Tuttavia, a fronte del suo richiamo ad alcune fonti di prova a suo dire deponenti per l'autonomia gestionale e organizzativa della Roma Servizi nell'espletamento delle attività lavorative subappaltate dalla Media Services, la lettura congiunta dei percorsi argomentativi resi dal Tribunale: con la sentenza di primo grado, e dalla Corte d'appello con la sentenza oggi impugnata (trattandosi di "doppia conforme": cfr. Sez. 2, Sentenza n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218), rende evidente l'assoluta logicità e correttezza della valutazione resa dai giudici di merito nell'affermare che, di fatto, la manodopera fornita dalla Roma Servizi era effettivamente eterodiretta dal personale CARIS e non poteva considerarsi come impresa subappaltatrice in esclusivo rapporto con l'appaltatrice Media Services: le indicazioni provenienti dai testimoni assunti nel corso dell'istruzione dibattimentale, di cui viene dato conto in particolare nella sentenza di primo grado, forniscono numerosi indicatori in tal senso, ad esempio affermando che i soci lavoratori della Roma Servizi ricevevano disposizioni di lavoro dai capiturno CARIS per il tramite dei "capioperai" della Roma, o che l'accesso all'area sottostante l'impianto poteva essere consentito solo dal capoturno CARIS, unico depositario delle chiavi (pp. 3, 4 sentenza di primo grado). In base alle argomentazioni poste a base della sentenza impugnata e, prima ancora, di quella del Tribunale emerge pertanto che la Roma Servizi, presso l'area ex Alfa Romeo, pur formalmente in forza del contratto di subappalto concluso con la Media Services, erogava in realtà una vera e propria somministrazione di manodopera direttamente in favore della CARIS, così delineandosi una situazione di fatto assimilabile a quella del rapporto di dipendenza organica dei soci lavoratori della Roma Servizi dalla CARIS, dal cui personale essi prendevano ordini.
Di tal che, il C.C. aveva assunto la qualità di datore di lavoro di fatto e, dunque, di assuntore della correlata posizione di garanzia e dei connessi obblighi giuridici, ivi compresi quelli a lui contestati, a norma dell'art. 299, D.Lgs. 81/2008, in base al quale «Le posizioni di garanzia relative ai soggetti di cui all'articolo 2, comma 1, lettere b), d) ed e), gravano altresì su colui il quale, pur sprovvisto di regolare investitura, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti a ciascuno dei soggetti ivi definiti».
Ciò comportava che egli assumesse, anche nei riguardi del T.M., il debito di sicurezza correlato alla sua posizione datoriale di fatto, sia con riferimento all'obbligo di impedire che egli venisse a operare a contatto con apparecchiature pericolose (perché in movimento e non debitamente comandate da griglie di protezione), sia con riferimento all'obbligo di fornire i lavoratori della necessaria formazione e delle necessarie informazioni a fini di sicurezza. A tale ultimo riguardo, le censure del ricorrente formulate a pagina 9 del ricorso sono prive di pregio, atteso che le testimonianze dei lavoratori ivi riportate in nota forniscono indicazioni generiche sui corsi frequentati, laddove nella specie la formazione e il patrimonio conoscitivo di cui si richiedeva la trasmissione al T.M. erano riferiti specificamente al compito al quale egli era stato assegnato in occasione dell'incidente e ai pericoli cui egli rischiava di sottoporsi nell'ambito di dette mansioni: si legge a pagina 8 della sentenza impugnata che l'infortunato, al momento del sinistro, era all'oscuro della procedura PS2, elaborata in epoca antecedente l'incidente per la pulizia dell'impianto, a fronte del fatto che la CARIS aveva omesso di impedire ai lavoratori di avvicinarsi alle zone dell'impianto con macchine in movimento.

2. Il ricorso della CARIS, benché finalizzato a contestare la condanna per l'illecito amministrativo di cui all'art. 25-septies comma 3, D.Lgs. 231/2001, é graficamente quasi identico a quello presentato per conto del C.C. ed ha in definitiva analoghe finalità, che si pongono "a monte" della questione (non affrontata nel ricorso) del perseguimento dell'interesse o del vantaggio dell'ente (questione non toccata nel ricorso, ma che é stata corretta mente affrontata e risolta dalla Corte ambrosiana), limitandosi a confutare la veste datoriale della società e l'inquadramento del T.M. alle dipendenze di fatto della stessa. Ne consegue che anche il ricorso della CARIS va dichiarato inammissibile, per ragioni del tutto analoghe a quelle viste per il ricorso C.C., di cui in definitiva ripete l'argomentare.

3. A non miglior sorte é destinato il ricorso del A.R., anch'esso inammissibile.
3.1. Quanto al primo motivo, é evidente anche in questo caso il tentativo di sollecitare una diversa valutazione delle fonti di prova, non consentita in sede di legittimità; ma la tesi sostenuta dal ricorrente, che contesta l'attribuzione della qualità di preposto ed allega l'esercizio di mansioni contabili estranee ad obblighi in tema di sicurezza del lavoro, é smentita dalle fonti di prova richiamate nelle due sentenze di merito (a cominciare dalla persona offesa, che ha dichiarato di avere ricevuto l'ordine di effettuare la pulizia dal A.R. tramite lo X.W.; proseguendo per V., che lo ha indicato come soggetto che veicolava gli ordini di CARIS ai lavoratori della cooperativa anche con riguardo alle aree da pulire), nonché dalle stesse dichiarazioni dell'imputato A.R., che ha affermato di essere colui che faceva da referente per qualsiasi cosa tra la CARIS e la cooperativa (pag. 5 sentenza di primo grado; pp. 10-11 sentenza impugnata). In sostanza il A.R. era in una condizione di interposizione fra le disposizioni date dalla CARIS, anche con riguardo all'esecuzione delle pulizie, e i soci lavoratori della Roma Servizi, cui trasmetteva le predette disposizioni, così assumendo la veste di "preposto di fatto" in base al combinato disposto degli articoli 2, comma 1, lett. E, e 299 del D.Lgs. 81/2008: si ricorda che, ai sensi dell'art. 2, comma 1, lett. e del citato decreto legislativo, é " preposto" la persona che, in ragione delle competenze professionali e nei limiti di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell'incarico conferitogli, sovrintende alla attività lavorativa e garantisce l'attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa.
3.2. Il secondo motivo di ricorso é, conseguentemente, altrettanto inammissibile, risolvendosi in una confutazione - a sua volta non consentita in sede di legittimità - della valutazione di attendibilità del T.M. T.M., laddove costui riferisce che era stato proprio il A.R., tramite lo X.W., a ordinargli di effettuare le pulizie nella parte sottostante il macchinario, così esponendosi al rischio successivamente concretizzatosi al momento dell'incidente.
3. 3. Infine, anche il terzo motivo é affetto da inammissibilità: il contributo causale delle disposizioni date dal A.R. é di palmare evidenza ove si consideri che, con esso, veniva ordinato al T.M. di recarsi a effettuare pulizie nella parte sottostante a un macchinario che, in quella giornata (era venerdì) doveva essere in movimento, oltreché situato in un'area che normalmente doveva essere interdetta ai lavoratori qualora l'impianto fosse attivo. E' poi privo di pregio, oltreché non scevro da elementi di capziosità, l'assunto secondo il quale vi sarebbe contraddittorietà fra la tesi che vuole la CARIS come titolare di poteri gerarchici di fatto sui soci lavoratori della Roma Servizi e la tesi che attribuisce anche al A.R. (anch'egli dipendente della Roma Servizi ) una posizione di garanzia: risulta ben chiarito dalla sentenza impugnata - come già da quella di primo grado - che il A.R., per sua stessa ammissione, versava in una condizione di interposizione tra il personale CARIS e i lavoratori della cooperativa, ai quali dava comunque disposizioni sulle modalità esecutive delle prestazioni lavorative.

4. La manifesta infondatezza dei ricorsi priva di rilevanza il decorso del termine di prescrizione.

5. Alla declaratoria d'inammissibilità consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali; ed inoltre, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», i ricorrenti vanno condannati al pagamento di una somma che si stima equo determinare in € 3.000,00 per ciascuno in favore della Cassa delle ammende.

 

P.Q.M.
 



Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 31 maggio 2022.