Cassazione Penale, Sez. 4, 14 giugno 2022, n. 23123 - Cantiere privo di divieto di accesso a soggetti estranei: frattura del femore della signora di passaggio


 

 

Presidente: FERRANTI DONATELLA Relatore: PEZZELLA VINCENZO
Data Udienza: 04/05/2022
 

Fatto


1. Con sentenza del 13/12/2019 il Tribunale di Pavia, ad esito di dibattimento celebrato nelle forme del rito ordinario, condannava gli odierni ricorrenti A.M. e A.G. alla pena di euro 300 di multa ciascuno oltre al pagamento delle spese processuali, riconoscendoli colpevoli del delitto p. e p. dagli artt. 113, 590 co. 1, 2 e 3 - in relazione all'art. 583 co. 1 n. 1) cod. pen., perché in cooperazione tra loro, rispettivamente A.M. in qualità di rappresentante legale della società - A.P. IMMOBILIARE S.r.l, incaricata dell'esecuzione dei lavori nel cantiere edile sito a San Martino Siccomario - Via della Stazione-, A.G. direttore dei lavori e G.M. (assolto) coordinatore per l'esecuzione dei lavori ai sensi del D.lgs. 81/08, per colpa, consistita in negligenza, imprudenza, imperizia, nonché con violazione della normativa antinfortunistica di seguito richiamata, omettevano di dotare il cantiere edile sopra indicato di idonee misure di protezione atte ad impedire l'accesso a soggetti estranei alle lavorazioni, ed in particolare, non impedivano alla signora T.M. di accedere alla scalinata sita nell'area di cantiere nei pressi del negozio da parrucchiere - opera non ancora ultimata e priva di apposito corrimano- contribuendo così, in seguito alla perdita di equilibrio, a cagionarne la caduta e procurandole una lesione consistita nella "frattura periprotesica femore DX su PTA-. lesioni personali dalle quali derivava un'incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo di 41 giorni. Con la circostanza aggravante del fatto commesso cagionando alla persona offesa una incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore ai quaranta giorni, con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro.
Con violazione anche delle seguenti norme specifiche:
- art. 109 co. 1 del D.lgs. n. 81/2008, perché durante l'esecuzione dei lavori di costruzione del complesso commerciale nel cantiere sito a San Martino Siccomario - Via della Stazione - in relazione al tipo dei lavori effettuati, omettevano di dotarlo di apposita recinzione avente caratteristiche idonee ad impedire l'accesso agli estranei alle lavorazioni.
Fatto commesso in San Martino Siccomario il 20/12/2012
La pena inflitta veniva determinata, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche ritenute equivalenti alle contestate aggravanti.
Ad A.G. venivano concessi i doppi benefici della sospensione condizionale della pena inflitta e della non menzione della condanna sul casellario giudiziale.
Entrambi gli imputati venivano anche condannati, in solido tra loro, al risarcimento del danno a favore della parte civile T.M., da liquidarsi in separata sede ed al pagamento di una provvisionale provvisoriamente esecutiva di € 20.000,00 oltre alla rifusione delle spese di giudizio.
La Corte d'Appello di Roma, sull'appello proposto da entrambi gli imputati, in data 10/2/2021, imparziale riforma della sentenza di primo grado dichiarava non doversi procedere nei confronti di A.M. e A.G., essendo i reati ai medesimi ascritti estinti per intervenuta prescrizione, confermando nel resto l'appellata sentenza e condannando 1gli appellanti, in via tra loro solidale, alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile nel grado di appello.

2. Avverso tale provvedimento hanno proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del comune difensore di fiducia, A.M. e A. G., deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, co. 1, disp. att., cod. proc. pen.
Con un primo motivo si deduce erroneé11 applicazione de,gli artt. 129 co. 2 e 530 cod. proc. pen.
Rilevano i ricorrenti che, secondo la sentenza di secondo grado sarebbe emersa la non evidenza dell'insussistenza del fatto o della sua commissione da parte degli imputati o della sua irrilevanza penale.
Tale affermazione -ci si duole- non risponde al vero, in quanto, fin dall'inizio del processo è stato sollevato il tema della corretta identificazione dei soggetti (ritenuti) responsabili. Si è infatti contestata la presenza di un cantiere che interessasse la scala e in generale l'area ove è avvenuto l'infortunio della persona offesa, e si è sostenuto che il complesso immobiliare, e in particolare la particella relativa alle parti comuni esterne (scale di accesso incluse), fossero conformi alle norme urbanistiche vigenti.
Tali elementi sarebbero decisivi al fine della corretta identificazione dei sog­ getti responsabili, perché, qualora fosse confermata l'assenza di un cantiere e la conformità dell'opera, la responsabilità per un fatto accidentale occorso a un terzo ricadrebbe sui proprietari del bene (sempre che, ovviamente, sia provata la colpa di questi).
Si afferma in ricorso che risulterebbe in modo evidente e immediato dagli atti che in data 20/12/2012 non vi fosse alcun cantiere che coinvolgesse la scala esterna del complesso immobiliare ove è avvenuto l'infortunio della persona offesa, e che lo stesso avesse ricevuto tutte le attestazioni e autorizzazioni per l'apertura al pubblico. Di ciò vi sarebbe sia prova documentale - rappresentata dall'attestazione di agibilità rilasciata dal Comune di San Martino Siccomario (PV), dagli atti di compravendita delle unità immobiliari, che non sarebbero stati conclusi in assenza dei requisiti di agibilità e conformità edilizia, e dalla documentazione fotografica prodotta - sia testimoniale, rappresentata dalle dichiarazioni della medesima persona offesa, che ha più volte escluso la presenza di lavori in corso o di un'area di cantiere, e del testimone M.A., il quale ha sì menzionato la presenza di un cantiere, ma all'interno del complesso immobiliare e comunque non nell'area della scala esterna ove si è verificato l'infortunio, e alle domande sulla presenza dell'agibilità al momento della compravendita del negozio ha risposto in modo affermativo, poiché, viceversa, non gli sarebbe stato possibile aprire la sua attività (il richiamo è alle pagg. 5-6, 13-16 delle trascrizioni del 2.07.2019, nel processo di primo grado).
Pertanto, risulterebbe evidente, anche da una lettura anche superficiale degli atti, l'erroneità dell'identificazione dei due (originariamente 3) imputati quali responsabili del fatto contestato, in quanto gli stessi sono coinvolti nel procedimento quali rappresentante legale e direttore dei lavori della società che ha realizzato l'immobile, mentre il fatto sarebbe dovuto essere contestato ai proprietari del complesso immobiliare.
Con un secondo motivo si deduce violazione dell'art. 578 cod. proc. pen. Evidenziano i ricorrenti che la sentenza di secondo grado consta di 11 pagine, 6 delle quali riportano pedissequamente un estratto della sentenza di primo grado. Al termine di tale trascrizione la Corte territoriale osserva che "per quanto concerne il merito dell'appello, pacifica essendo l'intervenuta prescrizione dei reati, ut supra, ritiene la Corte che tale accertamento sia destinato a prevalere sulla richiesta di assoluzione inoltrata dal difensore degli imputati" (così a pag. 9). Si aggiunge, poche righe oltre: "... così che la valutazione del giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di "constatazione" ossia di percezione ictu oculi che a quello di "apprezzamento" e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento." (pag. 10).
Con tali affermazioni - lamentano i ricorrenti - non si opera una corretta applicazione all'art. 578 cod. proc. pen., secondo cui, in caso di condanna al risarcimento del danno, il giudice di appello, nel dichiarare l'estinzione del reato per intervenuta prescrizione, decide sull'impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili.
Nel caso di specie si evidenzia che la prescrizione del reato è maturata nell'intervallo di tempo intercorrente tra il deposito della sentenza di primo grado (8 gennaio 2020) e la fissazione dell'udienza di appello (10 febbraio 2021).
L'atto di appello interposto in favore dei due imputati, come anche menzionato dalla sentenza della Corte di Appello, si articolava in diversi motivi, tra cui l'insussistenza del reato, l'errata individuazione dei soggetti responsabili del fatto, la carenza dell'elemento psicologico, e l'erroneità delle statuizioni a favore della parte civile, anche in riferimento all'eccessività della provvisionale (pag. 2 della sentenza impugnata).
I motivi dedotti nell'atto di appello, riguardanti il merito della vicenda sotto molteplici aspetti, e la presenza della parte civile come parte processuale, imponevano al giudice di secondo grado, pur in presenza di una causa di estinzione del reato, di affrontare con puntualità i temi sollevati nell'atto di impugnazione.
Ciò - ci si duole- non è avvenuto e costituiirebbe una palese violazione dell'art. 578 cod. proc. pen.
Invero, ricorda il difensore ricorrente che, secondo un recente arresto di questa Suprema Corte allorquando, in sede di appello, sia sopravvenuta una causa estintiva del reato, il giudice è comunque chiamato a valutare, per la presenza della parte civile, il compendio probatorio ai fini delle statuizioni civili. In tal caso, infatti, in presenza di amnistia o prescrizione, la valutazione approfondita che il giudice deve effettuare ai fini civilistici in adempimento del disposto di cui all'art. 578 cod. proc. pen., e che porti, anche solo per insufficienza o contraddittorietà delle prove, all'accertamento della mancanza di responsabilità penale, esplica i suoi effetti sulla decisione penale, con la conseguenza che deve essere pronunciata in tal caso formula assolutoria nel merito (il richiamo è a Sez. 3, n. 41124/2019). Tale principio, costantemente applicato fin dalla pronuncia a Sezioni Unite n. 35490/2009, comporta che, nei processi con la parte civile costituita, il giudice di appello, nel dichiarare estinto per prescrizione il reato per il quale in primo grado sia intervenuta condanna anche al risarcimento del danno, è tenuto a decidere su tale ultima questione effettuando una "piena cognitio" sulla responsabilità dell'imputato, esaminando i motivi di gravame proposti sui capi o punti della sentenza relativi all'affermazione di responsabilità (Sez. 5, n. 24469/2019; Sez. 2, n. 29499/2017; Sez. 2, n. 28959/2017).
Viceversa, la Corte di Appello, come dalla stessa affermato, si è limitata a una mera "constatazione", ritenendo che qualsiasi accertamento o approfondimento sarebbe stato incompatibile con la sopravvenienza di una causa estintiva del reato. Peraltro, a sostegno di tale, errata, tesi, è stato richiamato un precedente di questa Corte che tuttavia, pur riportando esattamente quanto affermato dal giudice dì merito in tema di "constatazione" e "apprezzamento' poco dopo passa ad esaminare le doglianze del ricorrente ai soli effetti civili (ritenute inammissibili), così di fatto smentendo quanto affermato dallo stesso giudice di appello nelle motivazioni della sentenza impugnata (punti nn. 6 e ss. Sez. 2, n. 10792/2016).
Con un terzo motivo di deduce mancanza di motivazione., in quanto quest'ultima sarebbe assolutamente carente, al punto da potersi ritenere mancante.
L'atto impugnato infatti riporta: "Il fatto, come riconosciuto nella sentenza appellata ... " (pag. 4). Segue un lungo stralcio della sentenza di primo grado, di cui la Corte di Appello ha fatto un "copia e incolla" nel proprio provvedimento.
Successivamente prosegue: "Per quanto concerne il merito dell'appello... " (pag. 9).
Appare pertanto evidente, per il ricorrente, che il richiamo letterale della sentenza di primo grado era funzionale a una mera ricostruzione del fatto, senza l'intenzione di attuare una motivazione per relationem.
In effetti, non vi sarebbe alcun riferimento ai motivi di doglianza sollevati nell'atto di appello, né può ritenersi sufficiente il conciso riferimento alle statuizioni civili e all'assenza di un comportamento abnorme ascrivibile alla persona offesa.
Ne consegue che, anche qualora si ritenesse che la sentenza impugnata abbia affrontato il merito della questione, dovrebbero essere ritenute mancanti o comunque del tutto carenti le motivazioni della sentenza di appello relative ai motivi di doglianza dell'atto di impugnazione.
Mancherebbe, in poche parole, qualsiasi risposta alle domande sollevate dagli imputati nell'atto di appello.
I ricorrenti chiedono pertanto in via principale annullarsi senza rinvio la sentenza impugnata o, in subordine, annullarsi la stessa con rinvio al giudice civile competente in grado di appello per la decisione sulle statuizioni civili.

3. Nei termini di legge ha rassegnato le proprie conclusioni scritte per l'udienza senza discussione orale (art. 23 co. 8 d.l. 137/2020 conv. dalla I. n. 176/2020, come prorogato ex art. 16 d.l. 228/21 conv. con modif. dalla 1.15/22), il P.G., che ha chiesto l'annullamento della seintenza impugnata con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello.
 

Diritto


1. Il primo ed il terzo motivo di ricorso sono infondati.
Il secondo motivo di ricorso, invece, è fondato, per cui la sentenza impugnata va annullata con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello.
2. Ed invero, quanto alla non evidenza delle condizioni per procedersi ad un'assoluzione degli imputati, la sentenza impugnata, nel richiamare legittimamente il dictum del giudice di primo grado, dà conto con motivazione logica di avere operato tale verifica (cfr. pag. 6). Né - e da ciò l'infondatezza del terzo motivo- la motivazione della sentenza impugnata può dirsi inesistente.
Tuttavia va ricordato che, secondo i consolidati dicta di questa Corte di legittimità, il giudice di appello, nel dichiarare estinto per prescrizione il reato, per il quale in primo grado è intervenuta condanna, è tenuto a decidere sull'impugnazione agli effetti civili ed a tal fine i motivi di impugnazione proposti dall'imputato devono essere esaminati compiutamente, non potendo essere confermata la condanna al risarcimento del danno sulla base della mancata prova dell'innocenza dell'imputato ai sensi dell'art. 129, co. 2, cod. proc. pen. (Sez. 5, n. 3869 del 7/10/2014 dep. 2015, Lazzari, Rv. 262175; Sez. 2, n. 29499 del 23/05/2017, Ambrois, Rv. 270322).
Le Sezioni Unite di questa Corte di legittimità hanno anche precisato che all'esito del giudizio, il proscioglimento nel merito, in caso di contraddittorietà o insufficienza della prova, non prevale rispetto alla dichiarazione immediata di una causa di non punibilità, salvo che, in sede di appello, sopravvenuta una causa estintiva del reato, il giudice sia chiamato a valutare, per la presenza della parte civile, il compendio probatorio ai fini delle statuizioni civili, oppure ritenga infondata nel merito l'impugnazione del P.M. proposta avverso una sentenza di assoluzione in primo grado ai sensi dell'art. 530, comma secondo, cod. proc. peno (Sez. Un. n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244273). Ed in motivazione le Sezioni Unite Tettamanti precisavano che la disposizione di cui al secondo comma dell'art. 129 cod. proc. pen. deve coordinarsi con la presenza della parte civile e con una pronuncia di una condanna in primo grado: in tal caso, infatti, il giudice dell'appello nel prendere atto di una causa estintiva del reato verificatasi nelle more del giu­ dizio di secondo grado è tenuto a pronunciarsi, ai sensi dell'art. 578 cod. proc. pen., sull'azione civile; deve quindi necessariamente compie-re una valutazione approfondita dell'acquisito compendio probatorio, senza essere legato ai canoni di economia processuale che impongono la declaratoria della caU1sa di estinzione del reato quando la prova della innocenza non risulti ictu oculi.
Ne era quindi derivata l'affermazione che, ove vi sia presenza della parte civile, la sussistenza di una causa estintiva non esclude il dovere del giudice di appello di valutare la fondatezza dei motivi proposti ed ove ritenga gli stessi fondati pronunciare assoluzione dell'imputato revocando le statuizioni civili quale statuizione accessoria e necessaria. Al proposito altre pronunce hanno affermato che il proscioglimento nel merito all'esito del giudizio, in caso di contraddittorietà o insufficienza della prova, prevale rispetto alla dichiarazione immediata di una causa di non punibilità, oltre che in caso di necessaria valutazione, in sede di appello, ai fini civilistici, del compendio probatorio, e in caso di ritenuta infondatezza nel me­ rito dell'impugnazione del P.M. avverso una sentenza di assoluzione pronunciata ai sensi dell'art. 530, comma secondo, cod. proc. pen., anche laddove il giudice di appello debba valutare compiutamente gli elementi di prova al fine di pronunciarsi, per confermarla o revocarla, sulla confisca dei beni disposta con la sentenza di primo grado (Sez. 3, n. 6261 del 12/01/2010 Rv. 246187); la previsione di cui all'art. 578 - per la quale il giudice di appello o quello di legittimità, che dichiarino l'estinzione per amnistia o prescrizione del reato per cui sia intervenuta in primo grado condanna, sono tenuti a decidere sulla impugnazione agli effetti delle disposizioni dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili - comporta che i motivi di impugnazione dell'imputato devono essere esaminati compiutamente, non potendosi dare conferma alla condanna (anche solo generica) al risarcimento del danno in ragione della mancanza di prova dell'innocenza degli imputati, secondo quanto previsto dall'art. 129, comma secondo, cod. proc. pen (Sez. 5, n. 14522 del 24/03/2009, Rv. 243343).

3. Dunque, l'appello proposto dall'imputato avverso la sentenza di condanna per un fatto delittuoso alla quale acceda anche la statuizione di condanna al risarcimento del danno, obbliga il giudice di secondo grado al compiuto esame dei motivi proposti pur in presenza di una causa estintiva del reato ed ove si ritengano le doglianze proposte fondate, legittimamente il giudice di appello pronuncia ai sensi dell'art. 605 cod. proc. pen. sentenza di riforma della condanna di primo grado contestualmente revocando le statuizioni civili; a null21 vale in tal caso il disposto dell'art. 578 cit. e la presenza della causa estintiva della prescrizione ovvero della amnistia sulle quali prevale la statuizione assolutoria adottata in sede di appello. Opinando diversamente dovrebbe, infatti, affermarsi che la presenza della parte civile e della causa estintiva del reato limiterebbero lo spazio operativo del gravame proposto dall'imputato avverso sentenza di condanna, con conseguenza evidentemente non condivisibile e contraria ai principi generali della devoluzione in appello.
Viceversa, in presenza di causa estintiva di amnistia o prescrizione, l'art. 578 cod. proc. pen. prevede espressamente che il giudice di secondo grado che dichiari la causa di proscioglimento ex art. 531 cod. proc. pen. confermi le statuizioni civili di condanna adottate in primo grado laddove ritenga, all'esito del compiuto esame degli stessi, i motivi di appello proposti non fondati.

4. Ebbene, ha ragione il difensore ricorrente nel rilevare che la sentenza impugnata non lascia adito a dubbi sul mancato compiuto esame dei motivi di appello e sulla fondatezza del lamentato errore di diritto.
La Corte territoriale, a pag. 4, ricorda che, avverso la sentenza di condanna in primo grado hanno proposto appello, per il tramite del difensore i due imputati facendo valere quali motivi: 1. l'insussistenza del reato e l'errata individuazione dei soggetti responsabili del fatto, sul rilievo che, in data 20.12.2012 l'area del Centro Commerciale "Le cascate", ove si trova la scala sulla quale è scivolata la p.o. non era oggetto di alcun cantiere edile ed il passaggio sulla predetta scala era libero ed accessibile a tutti gli utenti, in quanto i lavori erano stati ultimati; 2. Il fatto che gli imputati non erano portatori di alcuna posizione di garanzia nei con­ fronti dei terzi; 3. La mancanza di prova della difformità della scala realizzata alle norme in vigore al tempo dell'esecuzione dei lavori; 4. l'assenza dell'elemento psicologico costitutivo del reato in capo agli imputati, per avere i medesimi realizzato la scala in conformità alle direttive impartite; 5. l'assenza di nesso di causalità tra la condotta e l'evento, dipeso dalla condotta colposa della p.o.; 6. l'erronea contestazione dell'aggravante di cui all'art. 590 co. 3 cod. pen. ovvero della violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni del lavoro; 7. l'eccessività della pena;
8. la mancata concessione del beneficio della sospensione anche a favore di A.M.; 9. l'erroneità delle statuizioni a favore della parte civile, anche con riferimento all'eccessività della provvisionale.
Il difensore aveva chiesto, pertanto, l'assoluzione degli imputati, con revoca delle statuizioni civili e, in via subordinata, la rinnovazione dibattimentale a mezzo dell'escussione del teste M.. In via di estremo subordine, era stata richiesta la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena anche a favore di A.M., con riconoscimento dell'apporto concausale colposo della p.o. e la rideterminazione dell'importo liquidato a titolo di provvisionale esecutiva.
Ebbene, a fronte di tali motivi di gravame nel merito la sentenza impugnata, da pag. 4 a 9, opera un "copia-incolla" della sentenza di primo grado, e quindi, a pag. 9, esplicita il proprio errore di diritto laddove si legge: "Per quanto concerne il merito dell'appello, pacifica essendo l'intervenuta prescrizione dei reati, ut supra, ritiene la Corte che tale accertamento sia destinato a prevalere sulla richiesta di assoluzione inoltrata dal difensore degli imputati".
In particolare, erra la Corte territoriale laddove richiama la giurisprudenza di questa Corte di legittimità che afferma che in presenza di una causa di estinzione, il giudice è legittimato a pronunziare sentenza di assoluzione a norma dell'art. 129 comma 2 cod. pen. soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l'esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell'imputato e la sua rilevanza penale, emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione del giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di "constatazione", ossia di percezione ictu oculi che a quello di "apprezzamento" e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento.
Ciò vale, in presenza delle parti civili, agli effetti penali, e si è detto in precedenza che a tal fine può bastare, ma, ai fini del risarcimento del danno, la valutazione dei motivi di appello dev'essere piena.

La sentenza impugnata, quanto agli effetti penali, rileva che: "Nel caso di specie, alla luce degli elementi enucleati nella sentenza di condanna di primo grado, qui impugnata, emerge la non evidenza dell'insussistenza del fatto o della sua commissione da parte degli imputati o della sua irrilevanza penale, fattori ostativi alla prevalenza della dichiarazione di assoluzione. La sentenza di primo grado ripercorre infatti in dettaglio la vicenda occorsa alla p.o. ed individua correttamente sia lo stato dei luoghi, che l'attribuzione delle posizioni di garanzia in capo agli imputati e fornisce contezza - al di là di ogni ragionevole dubbio - degli elementi probatori a sostegno dell'impianto accusatorio. Le fonti di prova appaiono inequivocabilmente e correttamente interpretate. Esclusa pertanto l'evidenza di cui alla citata norma ex art. 129 comma 2 cod. proc. pen, consegue dunque la dichiarazione di estinzione dei reati per intervenuto decorso del termine massimo prescrizionale".(pag. 10 della sentenza impugnata)
Quanto alle statuizioni civili, disattendendo in toto il suo dovere di valutare compiutamente le doglianze proposte si limita ad affermare: ''Per quanto attiene le statuizioni civilistiche non vi è motivo per discostarsi dal ritenere corretto e prudente del primo Giudice, con conseguente conferma delle stesse. Nessun comportamento abnorme risulta infatti ascrivibile, in via di causazione esclusiva o di concorso causale, alla p.o." (pag. 11 della sentenza impugnata)

5. La sentenza impugnata, che ha erroneamente applicato il canone probatorio dell'art. 129, co. 2, cod. proc. pen., omettendo il doveroso, esame dei motivi di appello in punto di responsabilità ai fini civili, va dunque annullata con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello. E le Sezioni Unite di questa Corte hanno precisato che, nel caso in cui il giudice di é1ppello dichiari non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato senza adeguatamente motivare in ordine alla responsabilità dell'imputato ai fini delle statuizioni civili, l'eventuale accoglimento del ricorso per cassazione proposto dall'imputato impone l'annullamento della sentenza con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello, a norma dell'art. 622 cod. proc. pen. (così Sez. Unite, n. 40109 del 18/07/2013, Sciortino, Rv. 256087; Sez. !:i, n. 3869 del 7/:l0/2014 dep. 2015, Lazzari, Rv. 262175; Sez. 6, n. 44685 del 23/09/2015, N., Rv. 265561 - Sez. 2, n. 29499 del 23/05/2017, Ambrois, Rv. 270322).
 

P.Q.M.
 

Annulla agli effetti civili la sentenza impugnata e rinvia al giudice civile competente per valore in grado di appello.