Tribunale di Udine, Sez. Lav., 02 marzo 2022, n. 55-1 - Insegnanti no vax sospesi: richiesta di reintegro al lavoro previo tampone molecolare






n.55-1 /2022 R.L.




Tribunale di Udine
in funzione di Giudice del Lavoro
ORDINANZA


nella causa
iscritta al n.55-1/2022 R.L.




il giudice del lavoro, sciogliendo la riserva, osserva quanto segue:
con ricorso ex art.700 c.p.c. in corso di causa, i ricorrenti, insegnanti presso istituti scolastici pubblici aventi tutti sede nella Provincia di Udine, chiedevano in via cautelare di sospendere i provvedimenti impugnati dei Dirigenti scolastici degli Istituti ove prestano servizio, che hanno disposto la loro sospensione dal lavoro per sei mesi, dichiarandoli assenti ingiustificati e senza diritto alla retribuzione; chiedevano le parti ricorrenti che venisse disposto il loro accesso ai locali scolastici previa effettuazione, da parte di tutti i lavoratori, del tampone rapido e/o molecolare ogni 48-72 ore con costo a carico della parte resistente, e con ordine alla resistente di corresponsione di tutti gli stipendi dovuti ai lavoratori dalla sospensione dal lavoro, comprensivi degli oneri previdenziali e di ogni accessorio dovuto, ed in subordine di corresponsione degli importi ex art. 82 DPR n. 3/1957.
Deducevano i ricorrenti che i provvedimenti impugnati sono stati adottati sulla base della recente normativa emergenziale relativa allo stato di pandemia da Sars-Cov-2, con particolare riguardo al decreto legge n.172 del 2021, che ha disposto di estendere l’obbligo di certificazione verde COVID- 19 nei luoghi di lavoro pubblici e privati, al fine di garantire la maggiore efficacia delle misure di contenimento del virus SARS- CoV-2, con la finalità di tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro. Esponevano i ricorrenti come i soggetti vaccinati siano contagiosi e si contagino dal virus SARS-CoV-2, rendendo insicuri i luoghi di lavoro, in conseguenza anche della loro libera circolazione oltre i termini di immunizzazione dalla malattia; evidenziavano che sono invece disponibili mezzi diagnostici preventivi, costituiti dai tamponi, e cure idonei a garantire la totale sicurezza del luogo di lavoro con il loro utilizzo.
I ricorrenti invocavano il disposto dell’art.191 TFUE e dell’art.35 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, e deducevano la violazione della Direttiva n.2000/54/CE e della norma di recepimento, rappresentata dal D.Lgs.n.81/2008.
Lamentavano inoltre i ricorrenti una discriminazione, quanto all’esercizio del diritto al lavoro, tra vaccinati e non vaccinati, in violazione dell’art.3 del Trattato sull’Unione e dell’art.21 della Carta di Nizza, nonchè delle Direttive n.2000/78/CE e 2000/43/CE.
I ricorrenti deducevano che la loro assenza dal luogo di lavoro deve ritenersi giustificata ex art.44 del D.lgs.n.81/2008 ed invocavano l’obbligo di carattere generale incombente sul datore di lavoro di tentare il ricollocamento dei lavoratori prima di procedere alla loro sospensione .
Si costituiva nella fase cautelare il Ministero dell’Istruzione deducendo che i ricorrenti chiedono all’Autorità Giudiziaria di pronunciarsi su questioni di mero fatto, che sfuggono al sindacato giurisdizionale, e rilevando che l’Amministrazione ha fatto pedissequa applicazione della disposizione di legge.
Osservava il Ministero che la materia inerente all’intervento sanitario, e nello specifico alle vaccinazioni obbligatorie, non rientra propriamente nell’attuazione del diritto dell’Unione ma è riservata alla discrezionalità dei singoli stati, e che l’Unione Europea può esercitare solamente le competenze che le sono espressamente attribuite dai trattati costitutivi nelle forme ed entro i limiti da essi sanciti.
Deduceva la parte resistente l’estraneità delle misure adottate dal legislatore rispetto alla materia della sicurezza sul lavoro, avendo queste una finalità di contenimento dell’emergenza pandemica, che coinvolge tutta la società, e rimarcava l’assenza dei presupposti per l’accoglimento dell’istanza cautelare.
La domanda cautelare non può trovare accoglimento.
Si deve premettere che ad avviso di questo giudice essa difetta dell’imprescindibile presupposto del periculum in mora; in relazione ad esso, infatti, parte ricorrente si limita ad allegare genericamente di trarre dal lavoro l’unica propria fonte di sostentamento, dimettendo quale doc.48 le dichiarazioni dei redditi.
Si osserva tuttavia che, per individuare nella mancata percezione della retribuzione, per un periodo limitato a sei mesi, un pregiudizio irreparabile, dovrebbe aversi riguardo ad ulteriori circostanze, quali la composizione del nucleo familiare, la presenza di familiari a carico, la necessità di far fronte a spese periodiche precedentemente assunte, quali mutui o canoni di locazione, mentre il ricorso non contiene al riguardo alcuna allegazione.
Quanto poi al pregiudizio alla professionalità, non è stata allegata la programmazione di specifici eventi formativi nel periodo oggetto di sospensione, e peraltro la formazione personale e generica, costituita da letture ed approfondimenti, ben può essere svolta su base volontaria dal docente.
Aderisce quindi questo giudice all’orientamento già espresso dal giudice del lavoro di Trieste nell’ordinanza citata dal Ministero di data 15.10.2021:
“In questo ambito, si deve ribadire che la tutela strumentale e provvisoria richiesta, può essere concessa soltanto a chi sia minacciato da un pregiudizio imminente ed irreparabile durante il tempo occorrente a farlo valere in via ordinaria. Nel caso di specie, la ricorrente ha innanzitutto, allegato la perdita della retribuzione di ogni altra possibile fonte di sostentamento, ma non ha né dedotto, né dimostrato, che tale circostanza comporterebbe un danno irreparabile, ossia non emendabile con il risarcimento richiesto in via di merito. Può affermarsi che la perdita della retribuzione, da sola, non è un fatto automaticamente comportante un pericolo tutelabile in via cautelare, avendo il ricorrente l’onere di allegare e dimostrare che il mancato guadagno potrebbe determinargli, concretamente, conseguenze irreparabili (cfr. in questo senso da ultimo Tribunale Roma n. 79835/21). L’attrice ha poi dedotto che la violazione di diritti costituzionali non sarebbe sanabile con un semplice risarcimento, ma tale generica ed astratta prospettazione non appare condivisibile. Si ritiene, infatti, che non sussistano ipotesi di pregiudizi, tanto più irreparabili, in re ipsa, dovendosi sempre verificare in concreto, in relazione all'effettiva situazione personale, professionale o socioeconomica del lavoratore, sulla base di puntuali e precise deduzioni di fatto, se possa esserci un effettivo depauperamento della sua professionalità, o una compromissione della situazione personale e familiare o del suo equilibrio psicofisico”.
Tali considerazioni comporterebbero già il rigetto dalla domanda.
Si osserva inoltre quanto al fumus che, dovendo aversi riguardo alla specifica domanda proposta in via cautelare, la stessa sarebbe in ogni caso non accoglibile come formulata, mirando ad ottenere l’accesso al luogo di lavoro, in difetto di vaccinazione, previa effettuazione a spese dello Stato di tampone antigenico o molecolare ogni 48/72 ore a tutti i lavoratori che a tale luogo di lavoro hanno accesso.
Una tale pretesa, che troverebbe fondamento in una maggiore garanzia di sicurezza per la salute proprio dei ricorrenti, si scontra con le caratteristiche del luogo ove questi prestano attività lavorativa.
I ricorrenti sono infatti insegnanti in Istituti scolastici ove quotidianamente hanno accesso centinaia di studenti, prevalentemente minorenni, i quali sono esclusi da obblighi vaccinali ed esentati, per garantire il fondamentale diritto allo studio, anche dall’effettuazione di tampone.
Premesso che non potrebbe il giudice del lavoro imporre anche a soggetti minorenni, peraltro estranei alla causa, la sottoposizione ad un accertamento diagnostico comunque invasivo e non privo di rischi quale quello del tampone, l’accoglimento della domanda cautelare come formulata non otterrebbe il risultato di tutela della salute delle parti ricorrenti prospettato in ricorso, e non sarebbe quindi idonea ad evitare un pregiudizio al diritto alla salute.
E’ notorio infatti che in un Istituto scolastico i docenti hanno un contatto costante e continuativo con gli alunni (con i quali permangono, in numero medio di 20, in un ambiente chiuso per tutto l’orario di lavoro, senza accorgimenti di tutela della salute e strumenti di areazione diversi dall’aprire saltuariamente la finestra e dall’indossare mascherine, che per gli studenti non sono obbligatoriamente FFP2).
L’insegnante è quindi a contatto stretto con soggetti legittimamente non vaccinati e non sottoposti a tampone per l’intero orario di lavoro, mentre i rapporti con i lavoratori dipendenti del Ministero resistente sono limitati a incontri nel corridoio o alla partecipazione ai collegi docenti.
Il legislatore è intervenuto per imporre l’obbligo vaccinale al personale scolastico proprio in considerazione dei maggiori rischi cui esso è esposto.
Il decreto legge n.172 del 26 novembre 2021, convertito con modificazioni dalla legge n.3/2022, all’art.2 ha previsto:
“Dopo l'articolo 4-bis del decreto-legge 1° aprile 2021, n. 44, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 2021, n. 76, e' inserito il seguente:
«Art. 4-ter (Obbligo vaccinale per il personale della scuola, del comparto difesa, sicurezza e soccorso pubblico, della polizia locale, degli organismi della legge n. 124 del 2007, delle strutture di cui all'articolo 8-ter del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 e degli Istituti penitenziari).
- 1. Dal 15 dicembre 2021, l'obbligo vaccinale per la prevenzione dell'infezione da SARS-CoV-2 di cui all'articolo 3-ter, da adempiersi, per la somministrazione della dose di richiamo, entro i termini di validita' delle certificazioni verdi COVID-19 previsti dall'articolo 9, comma 3, del decreto-legge n. 52 del 2021, si applica anche alle seguenti categorie:
a) personale scolastico del sistema nazionale di istruzione, delle scuole non paritarie, dei servizi educativi per l'infanzia di cui all'articolo 2 del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 65, dei centri provinciali per l'istruzione degli adulti, dei sistemi regionali di istruzione e formazione professionale e dei sistemi regionali che realizzano i percorsi di istruzione e formazione tecnica superiore;…
…..
2. La vaccinazione costituisce requisito essenziale per lo svolgimento delle attivita' lavorative dei soggetti obbligati ai sensi del comma 1. I dirigenti scolastici e i responsabili delle istituzioni di cui al comma 1, lettera a), i responsabili delle strutture in cui presta servizio il personale di cui al comma 1, lettere b), c) e d), assicurano il rispetto dell'obbligo di cui al comma 1. Si applicano le disposizioni di cui all'articolo 4, commi 2 e 7. …”.
Le finalità dell’imposizione dell’obbligo vaccinale nell’ambito scolastico sono esposte nelle premesse del decreto legge:
“Considerato che l'attuale contesto di rischio impone la prosecuzione delle iniziative di carattere straordinario e urgente intraprese al fine di fronteggiare adeguatamente possibili situazioni di pregiudizio per la collettivita';
“Ritenuta la straordinaria necessità e urgenza di emanare disposizioni per garantire in maniera omogenea sul territorio nazionale le attività dirette al contenimento dell'epidemia e alla riduzione dei rischi per la salute pubblica, anche alla luce dei dati e delle conoscenze medico-scientifiche acquisite per fronteggiare l'epidemia da COVID-19 e degli impegni assunti, anche in sede internazionale, in termini di profilassi e di copertura vaccinale;
Ritenuta la straordinaria necessità e urgenza di estendere l'obbligo vaccinale ad alcune categorie di soggetti che prestano la propria attività lavorativa in settori particolarmente esposti;…”.
La ratio della disposizione deve rinvenirsi dunque nella riduzione dei rischi per la salute pubblica e nella necessità di estendere l’obbligo vaccinale ad alcune categorie di soggetti che prestano la propria attività lavorativa in settori particolarmente esposti, e costituenti peraltro servizi pubblici essenziali.
Pur negandosi nel ricorso l’efficacia della vaccinazione a fini di prevenzione della malattia, gli stessi ricorrenti (in accordo con ogni evidenza scientifica ufficiale) riconoscono una seppur decrescente nel tempo efficacia della vaccinazione ai fini di prevenzione delle forme gravi di malattia.
Al riguardo si cita quanto indicato a pag.1 del ricorso (“dopo cinque mesi dal completamento del ciclo vaccinale, l’efficacia del vaccino nel prevenire la malattia, sia nella forma sintomatica che asintomatica, scende dal 74% al 39%”), a pag.16 (“il fatto che i vaccinati pervengano a questi esiti gravi in minore numero proporzionalmente rispetto ai non vaccinati (asseritamente 1/6) è circostanza irrilevante nel contesto della presente causa”),.
Sulla base di tale condiviso presupposto, non pare possa quindi autorizzarsi il datore di lavoro a consentire l’accesso ad un soggetto non vaccinato né guarito (condizione quest’ultima non allegata dai ricorrenti), e quindi con anticorpi neutralizzanti pari a 0, in un ambiente in cui la diffusione del virus è possibile ed anzi probabile (sussistendone le condizioni: permanenza di un numero consistente di persone in luogo chiuso per lungo tempo, che possono essere non vaccinate e non sottoposte a tampone, e non tenute ad indossare mascherine maggiormente protettive).
La tutela della salute personale degli insegnanti parrebbe quindi imporre nella attuale fase epidemiologica la cautela della vaccinazione per l’accesso al lavoro, in considerazione della tipologia di attività svolta e delle caratteristiche di particolare rischio dell’ambiente lavorativo; riconosciuta l’efficacia protettiva almeno temporanea della vaccinazione (al cui decremento nel tempo si è ovviato con la previsione di richiami), si deve evidenziare come il tampone sia invece uno strumento meramente diagnostico, che fotografa, per il solo momento in cui viene effettuato, e con margini di errore per quello antigenico, l’attuale assenza di contagio.
Poiché la controversia è relativa al rapporto di lavoro con il Ministero resistente (e non coinvolge determinazioni di competenza del Ministero della Salute, del Governo e del Parlamento, che soli potrebbero imporre trattamenti invasivi a soggetti minorenni, come la sottoposizione a tampone, per l’accesso ai servizi educativi) si deve ritenere che nel peculiare ambiente di lavoro dei ricorrenti siano state adottate le sole misure di protezione ex D Lgs.n.81/2008 allo stato possibili, ovvero vaccinazione del personale, areazione degli ambienti e obbligo di mascherina.
Le parti ricorrenti peraltro hanno rivendicato la propria scelta di non sottoporsi a vaccinazione, non evidenziando alcun motivo di salute potenzialmente ostativo ad essa.
Si osserva poi che la legislazione emergenziale che ha imposto gli obblighi vaccinali mira anche ad una più generale tutela della salute pubblica, che deve estendersi alla garanzia di accesso di pazienti non malati Covid alle strutture sanitarie, anche per trattamenti di emergenza, evitando lo sviluppo di forme gravi di infezione che possono essere invece prevenute.
Non si comprende poi come la disponibilità di “adeguate cure” possa contribuire a rendere sicuro il luogo di lavoro, posto che l’accesso ad una cura presuppone lo sviluppo di una malattia.
Si deve richiamare qui quanto affermato da Tar Lazio con ordinanza n.269/2022, ovvero che “non è irragionevole la decisione adottata con i d.l. n. 44/2021 e n. 172/2021 (e invero ad oggi superata da un’ulteriore estensione dell’obbligo vaccinale) di introdurre l’obbligo di vaccinazione a carico di categorie di lavoratori – quali operatori sanitari, insegnanti, forze
dell’ordine, vigili del fuoco, etc. – la cui attività integra servizi pubblici essenziali o comunque di interesse generale ed è, peraltro, caratterizzata da una dimensione lato sensu di cura e tutela dei consociati oltreché da una generale e frequente condizione di stretto contatto all’interno della collettività di riferimento (colleghi, persone assistite, etc.)».
Quanto poi alla violazione di normative di matrice comunitaria, e alla invocata disapplicazione del diritto interno si osserva che la materia concernente gli obblighi vaccinali non rientra tra quelle di competenza dell’Unione Europea, con impossibilità di applicazione diretta del diritto dell’Unione relativamente ai diritti fondamentali, legittimata esclusivamente per materie rientranti nelle attribuzione dell’Unione (cfr. Cass, n. 23272/2018; Ordinanza Tribunale di Vicenza del 26.1.2022; sentenza n.5/2022 Tribunale di Trieste).
Con riguardo poi al dedotto obbligo di tentare il ricollocamento dei ricorrenti, si dee rilevare che questo viene ritenuto applicabile, oltre che nell’ipotesi di inidoneità alla mansione specifica, anche in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo; si tratta di ipotesi diverse e che comunque mirano entrambe ed evitare il licenziamento del lavoratore, considerato extrema ratio; nel caso di specie il posto di lavoro viene invece conservato, ed in ogni modo trattandosi di attività di insegnamento, pare ben difficile (ed infatti i ricorrenti non la hanno allagata) la possibilità di un ricollocamento che non comporti contatto con i discenti.
Con riguardo infine alla possibilità di erogazione di un assegno alimentare, si osserva che, come affermato già da Tar Lazio Sez.I-quater n.672/2022, “la fattispecie del pubblico dipendente sospeso cautelarmente (ad es. in conseguenza dell’avvio di un procedimento penale) con diritto a percepire parte dello stipendio «non è sovrapponibile alla fattispecie della sospensione in esame in quanto diverse sono le ragioni che determinano le due misure”.
Non pare possa trovare applicazione neppure l’art.82 del DPR n.3/1957, riferito peraltro ad altra fattispecie, posto che il rapporto di lavoro dei docenti è disciplinato dal CNNL.
Per tutti i motivi esposti le domande proposte ex art.700 c.p.c. dai ricorrenti devono essere respinte.
 

P.Q.M.


visti gli artt.700 e 669 septies c.p.c.
respinge le domande proposte dai ricorrenti in via cautelare. Si comunichi.
Udine, 2.3.2022
IL GIUDICE DEL LAVORO
dott.ssa Marina Vitulli