Tribunale Napoli, Sez. Lav., 25 maggio 2022 - Esibizione di un green pass appartenente ad altra persona: legittimo il licenziamento
TRIBUNALE DI NAPOLI
Il Giudice del Lavoro dott.ssa Amalia Urzini
A scioglimento della riserva assunta all'udienza del (...) - esaminati gli atti e i documenti allegati, osserva quanto segue.
Con ricorso ex art. 1, comma 48 e segg. della legge 92/2012, depositato in data 02.03.2022 il ricorrente (...), dipendente dal (...) del (...) S.p.A. - (...) con contratto a tempo indeterminato a tempo pieno, inquadramento nel 6 livello Super del CCNL del settore Turismo e mansioni di addetto mensa, ha impugnato il licenziamento per giusta causa irrogatogli dalla società datrice di lavoro e ha chiesto di "Accertare e dichiarare, per tutti i motivi innanzi esposti, fa illegittimità e/o inefficacia e/o nullità del licenziamento intimato al sig. (...) e, per l'effetto, ordinare ai sensi e per gli effetti dell'art. 1 comma 42 L. 92/2012 alla (...) S.p.a. - (...) - in persona dei suo legale rapp.te pro tempore, la reintegra del sig. (...) nel posto di lavoro e, per l'effetto, condannare (...) S.p.a. (...), in persona del suo legale rapp.te pro tempore, al pagamento in favore del sig. (...) dell'indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto pari ad Euro (...) netti come da busta paga del mese di (...) depositata in atti, dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione o, comunque, nella misura massima ex L. 92/2012 per le causali di cui al presente ricorso, oltre al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali; con vittoria di spese ed onorari di giudizio da attribuirsi ai procuratori antistatali". Egli in relazione ai fatti addebitati, ha dedotto di essere incorso in un errore, di avere agito senza dolo, che l'esercizio del potere di controllo apprestato dal datore di lavoro solleva dubbi di legittimità; che la sanzione applicabile sarebbe dovuta essere la sospensione della retribuzione e non il licenziamento; che il licenziamento è in ogni caso sproporzionato.
La società convenuta ha rappresentato la correttezza del proprio operato e ha concluso chiedendo "in via principale, nel merito: accertata e dichiarata la piena legittimità del licenziamento intimato al ricorrente con lettera del (...) respingere tutte le domande ex adverso proposte, in quanto infondate in fatto e diritto. In via subordinata e salvo gravame: convertire il licenziamento per giusta causa in licenziamento per giustificato motivo soggettivo. Sempre e in ogni caso: con vittoria di spese, diritti ed onorari del giudizio".
Dopo il fallimento di una soluzione transattiva della lite e il libero interrogatorio delle parti, il Giudicante, all'esito della discussione orale, si è riservato la seguente decisione.
Il ricorso è infondato e va pertanto integralmente rigettato.
La ricostruzione dell'accaduto effettuata dalla società convenuta si evince dalla lettera di contestazione del (...) ove si legge ""... in data (...) in cui lei era in turno dalle ore 07.00 alle ore 15.30, Ella si è presentato in servizio alle ore 07.40 circa, quindi con 40 minuti di ritardo rispetto all'inizio dell'orario di lavoro. All'ingresso dello stabilimento, l'operatore della società di Vigilanza (...), addetto in quel momento al controllo della certificazione verde, le ha chiesto di esibire il suo green pass. Ella ha quindi mostrato al suddetto operatore, utilizzando il suo telefono cellulare, la schermata di una certificazione verde che il medesimo ha riscontrato appartenere a persona diversa da lei, essendo ciò evincibile chiaramente dalla schermata della app utilizzata per la verifica. Nello specifico, l'operatore - conoscendola personalmente - ha verificato che il green pass da lei esibito corrispondeva ad altra persona che ha il suo nome di battesimo (...), ma un cognome differente dal suo. Allorché l'operatore le ha segnalato che il documento da lei esibito corrispondeva ad altra persona, e le ha chiesto di esibire il suo ove ne fosse in possesso, lei si allontanava furtivamente dai sito, senza fornire spiegazioni, e contattando poi alle ore (...) il Responsabile impianto, sig. (...) per informarlo genericamente che aveva avuto "problemi di lettura con il green pass", senza invece raccontare come si fossero svolti realmente i fatti. Ebbene, sebbene pienamente consapevole che il possesso e l'esibizione del green pass personale costituisce un obbligo di legge nonché un presupposto indispensabile per poter espletare l'attività lavorativa, lei ha comunque tentato di entrare presso il sito in parola in maniera fraudolenta, facendosi quindi cogliere in flagrante violazione dell'obbligo allorché è stato effettuato il controllo di routine, esponendo la nostra società al rischio di responsabilità civili e penali, oltre a cagionare alla stessa un danno all'immagine i comportamenti di cui sopra, singolarmente e complessivamente considerati, costituisco una grave violazione dei più elementari doveri contrattuali di cui all'art. 2104 cod. civ. e all'art. 213 del CCNL applicato al rapporto di lavoro e sono tali - se confermati - da poter determinare il venir meno dei vincolo fiduciario che caratterizza il rapporto di lavoro. Vista la gravità dei fatti contestati, lei è sospeso dal servizio in via cautelare pur decorrendo la sua normale retribuzione. Con riserva e impregiudicata ogni azione in ogni competente sede".
Risulta quindi essere stato contestato al (...) avere esibito al vigilante, incaricato di effettuare i controlli all'accesso in azienda, un green pass appartenente a terze persone, facendosi cogliere in violazione dell'obbligo di possedere un valido titolo di ingresso in servizio a suo nome, esponendo la società al rischio di responsabilità civili e penali e ad un danno all'immagine.
La posizione assunta dal ricorrente in sede disciplinare si incentra sull'ammissione di avere commesso un errore, dovuto alla convinzione di essere provvisto di una delle condizioni di accesso sul luogo di lavoro, ossia la perdurante validità del tampone COVID-19 effettuato qualche giorno prima; quanto alla contestazione relativa all'esibizione della certificazione verde il c.d. "Green pass", riferibile a terze persone, egli in sede disciplinare non ha preso posizione.
In sede di libero interrogatorio, a specifica domanda, ha confermato di avere effettuato l'ultimo tampone anti-covid per accedere sui posto di lavoro il (...), ha aggiunto di essere a conoscenza che i tamponi anti-covid hanno validità di 48 ore e che quello fatto il (...) era scaduto il (...); di essere stato controllato al varco di accesso dal sig. (...) di avere esibito il QR code relativo al green pass del cognato (...) di cui possedeva l'immagine nella galleria dello smartphone, avendo scaricato il suddetto green pass per consentire al cognato di verificarne la validità mediante un'applicazione in possesso di esso ricorrente; di essersi confuso nel mostrare al (...) detto green pass.
E' possibile dunque assumere come pacifico che il ricorrente, non avendo effettuato le dosi di vaccino anti COVID-19 per sua scelta (essendo un "no vax") era obbligato - in base alla normativa in vigore dal 15.10.2021 ad esibire, per l'accesso sul luogo di lavoro, un tampone COVID-19 negativo, con validità di h. 48. A tale riguardo, il Decreto Legge del 21 settembre 2021, n. 127 recante "Misure urgenti per assicurare io svolgimento in sicurezza del lavoro pubblico e privato mediante l'estensione dell'ambito applicativo della certificazione verde COVID-19 e il rafforzamento del sistema di screening all'art. 3 ha previsto che "Al decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 giugno 2021, n. 87, dopo l'articolo 9-sexies, come introdotto dall'articolo 2, è inserito il seguente:
"Art. 9-septies (Impiego delle certificazioni verdi COVID-19 nel settore privato). -1. Dal 15 ottobre 2021 e fino al 31 dicembre 2021, termine di cessazione dello stato di emergenza, ai fine di prevenire la diffusione dell'infezione da SARS-CoV-2, a chiunque svolge una attività lavorativa nel settore privato è fatto obbligo, ai fini dell'accesso ai luoghi in cui la predetta attività è svolta, di possedere e di esibire, su richiesta, la certificazione verde COVID-19 di cui all'articolo 9, comma 2. Resta fermo quanto previsto dagli articoli 9-ter, 9-ter.1 e 9-ter.2 del presente decreto e dagli articoli 4 e 4-bis dei decreto-legge 1 aprile 2021, n. 44, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 2021, n. 76.
2...
3. Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 non si applicano ai soggetti esentati dalla somministrazione dei vaccino sulla base di idonea certificazione medica rilasciata secondo i criteri definiti con circolare del Ministero della salute.
4. I datori di lavoro di cui al comma 1 sono tenuti a verificare il rispetto delle prescrizioni di cui ai commi 1 e 2. Per i lavoratori di cui al comma 2 la verifica del rispetto delle prescrizioni di cui al comma 1, oltre che dai soggetti di cui al primo periodo, è effettuata anche dai rispettivi datori di lavoro. Per i lavoratori in somministrazione fa verifica del rispetto delle prescrizioni di cui al comma 1 compete all'utilizzatore; è onere del somministratore informare i lavoratori circa la sussistenza delle predette prescrizioni.
5. I datori di lavoro di cui ai comma 1 definiscono, entro il 15 ottobre 2021, le modalità operative per l'organizzazione delle verifiche di cui al comma 4, anche a campione, prevedendo prioritariamente, ove possibile, che i controlli siano effettuati al momento dell'accesso ai luoghi di lavoro, e individuano con atto formale i soggetti incaricati dell'accertamento delle violazioni degli obblighi di cui ai commi 1 e 2, Le verifiche delle certificazioni verdi COVID-19 sono effettuate con le modalità indicate dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri adottato ai sensi dell'articolo 9f comma 10. Al fine di semplificare e razionalizzare le verifiche di cui al presente comma, i lavoratori possono richiedere di consegnare al proprio datore di lavoro copia della propria certificazione verde COVID-19.1lavoratori che consegnano la predetta certificazione, per tutta la durata della relativa validità, sono esonerati dai controlli da parte dei rispettivi datori di lavoro".
Ciò posto, va evidenziato che dalla stampa dei referti dei tamponi effettuati dal ricorrente (cfr. doc. in prod.) si evince una loro periodicità, pressoché coincidente con il loro termine di validità e da tale riscontro può trarsi la ragionevole convinzione che il ricorrente, uso ad effettuare i tamponi per accedere al lavoro, non potesse non essere a conoscenza, nel presentarsi al lavoro il (...) che quello effettuato nella giornata di domenica (...) alle ore (...) aveva avuto efficacia fino al martedì (...) ore (...) peraltro ammesso in ricorso) e non potesse non sapere che con la perdita di validità di tale tampone, egli non poteva accedere in azienda. A sostegno dell'inverosimiglianza dell'errore in cui sarebbe incorso nel ritenere l'ultimo tampone ancora valido, milita la dirimente circostanza che, se la sua tesi difensiva fosse veritiera, egli avrebbe esibito al sorvegliante il QR code dell'ultimo tampone effettuato il quale, dopo la verifica della sua validità, avrebbe dato esito negativo, essendo esso scaduto il giorno (...). La circostanza, del tutto pacifica, che il ricorrente non ha mostrato al vigilante il QR code del suo tampone ed ha invece mostrato al sorvegliante il green pass di terze persone, il quale ha dato segnale verde, supporta la convinzione della consapevolezza da parte del ricorrente che solo con un green pass valido egli sarebbe potuto entrare in azienda, rendendo dunque intenzionale la sua condotta. Del resto, è pacifico che il ricorrente, allorché gli è stato contestato dal vigilante di avergli esibito un green pass a lui non appartenente, si è allontanato senza fornire una giustificazione della propria condotta.
A tale riguardo, va evidenziato che il ricorrente - il quale neanche nel ricorso introduttivo ha dedotto come sia potuto accadere di possedere un green pass valido di un'altra persona - ha offerto per la prima volta in sede di libero interrogatorio una spiegazione che si presenta innanzitutto tardiva, laddove sarebbe stato suo interesse rappresentarla nell'immediatezza dei fatti e con il ricorso giudiziale; inoltre, essa risulta essere sfornita della benché minima prova nonché inverosimile quanto alla motivazione del possesso del green pass di altra persona. Peraltro, il green pass è strettamente personale, contiene dati sensibili e non è cedibile. Dal quadro altamente indiziario emerso e sopra riepilogato, si ricavano elementi sufficienti - nella presente fase processuale - a configurare la volontarietà della condotta posta in essere dal ricorrente, rendendo plausibile l'ipotesi della società secondo cui il ricorrente, conscio di avere il tampone scaduto, ha cercato di superare il controllo all'ingresso mediante una falsa prospettazione della realtà che il vigilante ha tuttavia sventato, per cui risulta del tutto smentita la linea difensiva di parte ricorrente basata sull'assenza di dolo.
Per completezza motivazionale, va detto che, l'incertezza sul nominativo del titolare del green pass esibito dal ricorrente, ossia tale (...) con un cognome differente dal suo, come riscontrato dal vigilante ovvero suo cognato (...), come dichiarato in sede di libero interrogatorio, costituisce circostanza del tutto irrilevante ai fini di causa. Quanto alla valorizzazione della scelta dei ricorrente di essere controllato proprio dal (...), con cui aveva una conoscenza pregressa (a cui i difensori di entrambe le parti hanno dedicato spazio in sede di discussione orale), si osserva che, non potendo conoscerne effettivamente le ragioni, è plausibile ipotizzare sia che (...) il (...) abbia scelto tra i due vigilanti, proprio il (...) sperando che costui avrebbe evitato di controllarlo o, laddove controllato con esito negativo, lo avrebbe fatto comunque entrare in azienda, sia ipotizzare che (...) avendo scelto il (...) essendo da lui conosciuto, non gli avrebbe volontariamente esibito il green pass appartenente ad altri, in quanto sarebbe emerso subito lo scambio di persona.
L'opzione a favore dell'una o dell'altra ipotesi è tuttavia ininfluente, rispetto alla ricostruzione della vicenda, così come emersa.
Il fatto addebitato sussiste dunque nella sua componente oggettiva e soggettiva.
Rispetto a tale riscontro, risulta immeritevole di considerazione l'asserzione attorea che l'emergenza Covid-19 ha determinato una compressione dei diritti fondamentali costituzionalmente garantiti, giacché la situazione pandemica ha reso necessaria l'adozione di misure governative di assoluta necessità nell'ottica prevalente di salvaguardare la salute pubblica con effetti recessivi delle singole situazioni soggettive coinvolte; tra l'altro non è ammissibile che l'ipotizzata compressione, se pur sussistente, giustifichi ciò che il ricorrente ha fatto, esonerandolo da responsabilità.
Risulta altresì priva di conseguenze giuridicamente rilevanti la censura sollevata dal ricorrente nei confronti dell'operato del vigilante, siccome non conforme alla normativa disciplinante le attività di controllo previste e consentite nei confronti dei lavoratori, all'ingresso nei luoghi di lavoro, durante la pandemia e sotto il vigore del di 127/2021. Del resto, tale censura risulta smentita da quanto lo stesso (...) ha rappresentato in ricorso, ricorrendo nell'accaduto in oggetto, un'evidente sostituzione di persona, prontamente colta e segnalata dal vigilante preposto a tale operazione, il quale ha rilevato tale anomalia dal solo esame visivo del (...) e dal nome visualizzato sul display, avendo una pregressa conoscenza delle generalità del ricorrente e non gli ha consentito l'accesso sul luogo di lavoro, come prescritto dalla suddetta legge (cfr. art. 9 septies DL 52/2021).
Ancora, risulta priva di fondamento la deduzione attorea della misura sanzionatoria applicabile al caso in esame della sospensione dal lavoro e dalla retribuzione (e non già del licenziamento), giacché la sospensione è prevista dall'art.9 septies cit., comma 6, nel solo caso in cui il lavoratore comunichi di non essere in possesso di un tampone valido, non già nell'ipotesi quale quella in esame, in tale circostanza sia taciuta dal lavoratore.
Da ultimo, la creazione di una falsa rappresentazione della realtà (possesso di una certificazione sanitaria in corso di validità per l'accesso sul lavoro), è indubbiamente affetta da un disvalore, quantomeno pari se non superiore alla scoperta di trovarsi sul luogo di lavoro, durante l'esecuzione della prestazione lavorativa, privo di una certificazione sanitaria in corso di validità.
Lo stato di malattia che avrebbe indotto il ricorrente ad assumere un farmaco e lo zelo nel recarsi comunque in servizio a causa della carenza di personale pur potendo assentarsi per malattia, costituiscono elementi irrilevanti. Inoltre, il primo non è documentato e comunque l'iniezione di "muscoril-toradol" viene prospettata solo come motivo del ritardo e, quanto al secondo, non è comprovato - e di tanto sarebbe occorsa prova documentale - che egli fosse affetto da una condizione patologica ostativa all'esecuzione della prestazione. Tra l'altro, se davvero egli fosse stato ammalato, si sarebbe potuto assentare dal lavoro, dato l'impedimento oggettivo, non avendo alcun obbligo di essere in servizio (cfr. dichiarazioni rese in sede di libero interrogatorio). La presenza del ricorrente all'ingresso del posto di lavoro il (...) lascia ragionevolmente ipotizzare che egli non abbia avuto uno specifico impedimento di salute (tale da giustificare l'assenza per malattia) ed abbia prescelto di non comunicare la scopertura sanitaria per non subire la trattenuta stipendiale prevista dal Decreto Legge del 21 settembre 2021, n. 127.
La condotta posta in essere dal ricorrente integra la giusta causa di licenziamento, giacché costituisce una evidente e grave violazione dei doveri contrattuali di cui agli artt. 22104 e 2105 cod. civ. avendo il ricorrente cercato di eludere la sorveglianza esibendo il green pass un'altra persona, per accedere al luogo di lavoro seppur privo del requisito previsto dalla legge vigente.
Infatti, allorquando ricorre un grave inadempimento del lavoratore, contrario alle norme della comune etica o del comune vivere civile, esso giustifica il venire meno del rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore" (cfr. Cass. civ. sez. lav., 27 marzo 2020, n. 7567; Cass. civ. sez. lav., 16 luglio 2019, n. 19023). A tale riguardo, ad onta di quanto prospettato nel ricorso, è proprio valutando la condotta addebitata al sig. (...) nel contesto storico contrassegnato dalla emergenza epidemiologica, che se ne apprezza ancora di più la gravità, essendo evidente che il tentativo di entrare in azienda senza lo screening virologico, comportando la violazione delle norme all'epoca vigenti, avrebbe creato, laddove fosse andato a buon fine, l'esposizione degli altri dipendenti al rischio di contagio e la responsabilità della società sia civile che penale.
La suprema Corte, chiamata di recente a pronunciarsi sull'art. 18 della legge 300/70, come modificato dalla legge 92/2012, ha ribadito che "giova rammentare come, nel novellato testo della norma, il giudice debba procedere ad una valutazione più articolata della legittimità dei licenziamenti disciplinari rispetto al periodo precedente alla modificazione della L. n. 300 dei 1970, art. 18, ad opera della L n. 92 del 2012, art. 1, comma 42, lett. b): in primo luogo, accertando se sussistano o meno la giusta causa ed il giustificato motivo di recesso, secondo le previgenti nozioni fissate dalla legge; nel caso poi in cui il giudice escluda la ricorrenza di una giustificazione della sanzione espulsiva, dovendo svolgere, al fine di individuare la tutela applicabile, una disamina ulteriore sulla sussistenza o meno di una delle due condizioni previste dall'art. 18, comma 4, per accedere alla tutela reintegratola, per "insussistenza del fatto contestato" ovvero per fatto rientrante "tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili" e dovendo, in assenza, applicare il regime dettato dal comma 5 (per tutte: Cass. 9 maggio 2019, n. 12365, al p.to 5 della motivazione).
8.2. Un recentissimo arresto di questa Corte, che ha affrontato funditus il tema della tutela applicabile in tema di norme elastiche, ha in particolare osservato che "Quando l'inadempimento addebitato ai dipendente risulti privo della gravità necessaria a giustificare la sanzione espulsiva sono previste forme di tutela diverse a seconda che la non gravità dell'inadempimento sia stata o meno tradotta in fattispecie disciplinari tipizzate, punite con misure conservative, E' stata introdotta una graduazione in base alla quale la reintegrazione è consentita per le ipotesi in cui l'illegittimità del recesso è, per così dire, maggiormente evidente e dunque, in via generale, laddove il fatto addebitato non sussista ovvero nei caso in cui quei fatto sia punito dalla disciplina collettiva applicabile con una sanzione conservativa. Laddove invece, in esito alla valutazione in concreto della fattispecie accertata, il giudice ravvisi una sproporzione tra la condotta non tipizzata e la sanzione irrogata, risolto il rapporto di lavoro, dovrà applicare la tutela indennitaria dettata dall'art. 18 citato, comma 5, rientrandosi in quegli "altri casi" che ai sensi del comma 5 dell'art. 18, sono ristoragli con la c.d. tutela indennitaria forte. In sintesi, al giudice è chiesto di procedere ad un giudizio più completo ed articolato rispetto al passato. Gli è richiesto infatti con una sorta di valutazione bifasica di accertare la sussistenza o meno della giusta causa o del giustificato motivo di recesso e, "nel caso in cui lo escluda, anche il grado di divergenza della condotta datoriale dal modello legale e contrattuale legittimante" (cfr. Cass. 25/07/2017 n. 13178 in motivazione e 14/12/2018 n. 32500)". Inoltre, esso ha ribadito che "In questo procedimento bifasico, poiché al giudice è demandato di interpretare la norma collettiva non solo per stabilire se si possa ritenere sussistente o meno una giusta causa o un giustificato motivo di recesso ma anche per individuare la tutela in concreto applicabile, laddove la fattispecie punita con una sanzione conservativa sia delineata dalla norma collettiva attraverso una clausola generale - graduando la condotta con riguardo ad una sua particolare gravità ed utilizzando nella descrizione della fattispecie espressioni che necessitano di essere riempite di contenuto rientra nel compito del giudice riempire di contenuto la clausola utilizzando standard conformi ai valori dell'ordinamento ed esistenti nella realtà sociale in modo tale da poterne definire i contorni di maggiore o minore gravità. "(Cass. 11 aprile 2022, n. 11665, in motivazione, sub 18.2. e 18.4.). A compendio dell'ampio ragionamento svolto, esso ha affermato il seguente principio di diritto: "in tema di licenziamento disciplinare, al fine di selezionare la tutela applicabile tra quelle previste dalla L 20 maggio 1970, n. 300, art. 18 commi 4 e 5, come novellata dalla L 28 giugno 2012, n. 92, è consentita al giudice la sussunzione della condotta addebitata al lavoratore ed in concreto accertata giudizialmente nella previsione contrattuale che punisca l'illecito con sanzione conservativa anche laddove sia espressa attraverso clausole generali o elastiche. Tale operazione di interpretazione e sussunzione non trasmoda nel giudizio di proporzionalità della sanzione rispetto al fatto contestato restando nei limiti dell'attuazione del principio di proporzionalità come già eseguito dalle parti sociali attraverso la previsione dei contratto collettivo" (cfr. Cassazione civile sez. lav., 02/05/2022, n. 13774).
La riscontrata presenza di un comportamento di gravità tale da impedire la prosecuzione del rapporto, per la lesione irrimediabile del vincolo fiduciario e dell'affidamento datoriale sulla correttezza comportamentale del proprio dipendente, rende legittima la sanzione espulsiva irrogata, senza alcun margine valutativo in ordine all'applicabilità delle ipotesi di cui al comma 4 (correlata all'insussistenza del fatto o alla punibilità con sanzione conservativa-peraltro neanche allegata) nonché all'ipotesi di cui al 5 comma dell'art. 18 della legge 300/70 (correlata all'assenza di proporzionalità).
Pertanto, priva di rilevanza giuridica si rivela l'asserzione del ricorrente che l'art. 213 del CCNL applicato al rapporto di lavoro, nell'elencare le ipotesi in cui le parti sociali hanno previsto l'irrogazione della sanzione espulsiva, non avrebbe inserito la condotta addebitata; tra l'altro, all'epoca in cui è stato sottoscritto il CCNL non era ipotizzabile un comportamento disciplinarmente rilevante, consistente nella tentata elusione della normativa in materia di green pass.
All'esito, sulla base di una delibazione sommaria, resa indispensabile dalla fase processuale in esame, il ricorso va rigettato, assorbita ogni ulteriore valutazione.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza.
P.Q.M.
rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente al pagamento in favore della società delle spese di lite liquidate in Euro (...) oltre spese generali al 15%, IVA e CPA.
Si comunichi.
Così deciso in Napoli il 25 maggio 2022.
Depositata in Cancelleria il 25 maggio 2022.