Cassazione Civile, Sez. 3, 05 luglio 2022, n. 21223 - Caduta mortale dalla scala a pioli. Risarcimento del danno patrimoniale


 

Presidente: TRAVAGLINO GIACOMO Relatore: CIRILLO FRANCESCO MARIA
Data pubblicazione: 05/07/2022
 

Fatto


1. In data 23 agosto 2002 B.R., lavoratore dipendente della Italcostruzioni s.r.l., trovandosi a lavorare in un cantiere sito nella Provincia di Trento, cadde da una scala a pioli, rimanendo ucciso.
Nel corso del procedimento penale fu offerta alla vedova A.B., in proprio e quale genitore esercente la potestà sul figlio allora minorenne B., la somma di euro 255.000 a titolo di risarcimento danni, da suddividere in euro 135.000 a favore della moglie ed euro 120.000 a favore del figlio, allo scopo di evitare la costituzione degli stessi quali parti civili nel processo penale, come dall'atto di quietanza del 25 maggio 2005.
Successivamente A.B., in proprio e nella suindicata qualità, convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Bergamo, Sezione distaccata di Clusone, A.C., in qualità di liquidatore della Italcostruzioni s.r.l., D.C., quale direttore del cantiere, la società cooperativa Tridentina, quale società appaltatrice dei lavori, e la Provincia autonoma di Trento, ente locale committente, per il risarcimento degli ulteriori danni derivanti dal sinistro mortale.
Si costituirono in giudizio tutti i convenuti, resistendo alla domanda e nel giudizio fu chiamata la Assicurazioni Generali s.p.a., che pure si costituì; intervenne in causa anche l'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) per far valere il suo diritto, in via di surroga ai sensi dell'art. 1916 cod. civ., nei confronti dei convenuti D.C., Tridentina e Provincia autonoma di Trento, ad essere rimborsato delle somme liquidate in favore dei familiari superstiti del B.R., determinate in complessivi euro 250.000 circa.
Il Tribunale, dopo aver accertato che la responsabilità dell'infortunio era da porre nella misura del 60 per cento a carico della vittima e del 40 per cento a carico dei convenuti, non liquidò nulla in favore della parte attrice, rilevando che la somma di euro 255.000 già percepita fosse più che sufficiente al risarcimento dei danni, tenendo conto anche di quanto versato dall'INAIL; e condannò invece i convenuti in solido a rimborsare a quest'ultimo la somma di euro 226.029, oltre interessi.
2. La pronuncia è stata impugnata da A.B., in proprio e nella suindicata qualità, e la Corte d'appello di Brescia ha pronunciato due sentenze: con la prima, non definitiva, modificando quella del Tribunale, ha ritenuto che la responsabilità dell'infortunio fosse da porre nella misura del 20 per cento a carico della vittima e dell'80 per cento a carico dei convenuti, ha escluso ogni responsabilità del A.C. ed ha rimesso la causa in istruttoria per la determinazione sia del risarcimento che delle somme dovute all'INAIL; con la seconda, definitiva, in data 7 agosto 2019, la Corte bresciana ha condannato D.C. e la Provincia autonoma di Trento, in solido, a pagare alla parte appellante la somma di euro 269.244, oltre interessi dalla data della pronuncia al saldo, e ha condannato i medesimi a rivalere l'INAIL delle somme da questo versate a titolo di danno patrimoniale, per un totale di euro 74.310, con il carico delle relative spese di lite.
Ha osservato la Corte territoriale, per quanto di interesse in questa sede, che ai fini del risarcimento del danno patrimoniale la rendita erogata dall'INAIL ha lo scopo di sollevare i familiari della vittima dallo stato di bisogno conseguente alla morte del congiunto e che di essa deve tenersi conto ai fini della liquidazione del danno residuo, poiché ai familiari è dovuta solo la differenza tra il danno complessivo subito e la somma erogata dall'INAIL a titolo di rendita. Pertanto, allo scopo di determinare l'effettivo danno patrimoniale patito dagli eredi della vittima, si doveva procedere ad accertare il reddito annuo del defunto al momento della morte, sottraendo la quota presumibilmente destinata ai suoi bisogni personali.
Ciò premesso, la Corte di merito ha stimato che il reddito complessivo del B.R., detratta la quota che egli avrebbe destinato ai suoi bisogni individuali, era. da determinare, dalla data della morte fino a quella di pronuncia della sentenza, nella somma complessiva di euro 152.167; che, rivalutata, dava luogo alla somma di euro 247.030. Considerando che la vittima, ove fosse sopravvissuta, avrebbe avuto 64 anni di età alla data di deposito della sentenza, a tale somma andava aggiunta quella di euro 8.557,15, pari ad un anno ulteriore di reddito (fino all'età della pensione, pari a 65 anni). Dal danno patrimoniale complessivo doveva essere detratto «quanto già percepito per tale titolo in forza di acconti». Poiché la moglie del defunto aveva ricevuto un acconto pari ad euro 255.000 a titolo di ristoro sia del danno patrimoniale che di quello non patrimoniale, la sentenza ha stabilito che detta somma, in mancanza di specifiche indicazioni, doveva essere addebitata in parti uguali per le due voci, e quindi dal danno patrimoniale andava defalcata la somma di euro 127.500, rivalutata in quella di euro 162.945. Ragione per cui, in conclusione, il danno patrimoniale residuo è stato determinato nella somma di euro 92.642; calcolando il riparto delle responsabilità nella misura dell'80 e del 20 per cento, lo stesso si riduceva nella minore somma di euro 74.114.
Dopo aver compiuto tale conteggio, la Corte d'appello ha esaminato la domanda di surroga dell'INAIL, ribadendo che essa poteva esercitarsi «solo sulla posta risarcitoria relativa al danno patrimoniale». Nella specie, avendo l'ente previdenziale pagato agli eredi della vittima un indennizzo a titolo di ristoro di quel danno, doveva essere riconosciuto il diritto dello stesso alla surroga «nei confronti del responsabile nei soli limiti in cui un danno patrimoniale è stato da questi effettivamente causato, mentre i responsabili saranno tenuti a risarcire per intero il danno da perdita del rapporto parentale sia a rivalere l'INAIL nei limiti del danno patrimoniale effettivamente causato». Ne derivava, secondo la Corte di merito, il diritto dell'INAIL, «in conseguenza della surroga nei diritti degli assicurati, di rivalersi nei confronti dei responsabili dell'evento dannoso nei limiti del danno patrimoniale da questi causato e giudizialmente accertato pari ad euro 74.114».

In conclusione, dunque, i responsabili della morte del B.R. dovevano essere condannati a risarcire verso l'appellante l'ulteriore danno non patrimoniale, liquidato nella misura di euro 269.264, e a «rivalere l'INAIL sino alla concorrenza del danno patrimoniale causato e accertato pari ad euro 74.130».
3. Contro la sentenza della Corte d'appello di Brescia propone ricorso l'INAIL con atto affidato ad un solo motivo.
Resistono A.B. e B. con un unico controricorso e resiste altresì la Provincia autonoma di Trento con un separato controricorso.
Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede.
 

 

Diritto


1. Con l'unico motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all'art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 1223 e 1916 cod. civ., sul rilievo che la sentenza avrebbe errato nello stabilire il limite di operatività della surroga dell'ente.
Osserva l'INAIL che la Corte d'appello ha liquidato il danno patrimoniale complessivo, a favore degli eredi della vittima, nella somma di euro 255. 587,19 che, detraendo la quota percentuale di responsabilità del 20 per cento, si riduceva ad euro 204.469. Quest'ultima è ben maggiore di quella poi riconosciuta alla parte ricorrente a titolo di surroga, posto che l'INAIL dichiara di aver versato una rendita ai superstiti pari ad euro 378.274,82. La sentenza, però, detraendo l'acconto di euro 127.500 dall'importo complessivo del danno patrimoniale, sarebbe incorsa nella violazione del divieto di compensatio lucri cum damno, nei sensi già fissati dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza 22 maggio 2018, n. 12566; i familiari della vittima, infatti, ricevendo tutela dal sistema di sicurezza sociale gestito dall'INAIL, nel momento stesso in cui percepiscono la rendita perdono «la legittimazione attiva a richiedere il risarcimento del medesimo pregiudizio nei confronti dei responsabili civili». In caso di surrogazione, infatti, «l'INAIL assume la titolarità della pretesa nei confronti dei responsabili civili, al fine di ottenere il rimborso tanto dei ratei già versati quanto del valore capitalizzato delle prestazioni future», con conseguente divieto di cumulo. I familiari, cioè, pur conservando il diritto ad agire per il danno differenziale non coperto dalla prestazione assicurativa, perdono titolo all'azione risarcitoria «per la quota corrispondente all'indennizzo assicurativo riscosso o riconosciuto in loro favore».
Nel caso in esame, osserva l'ente ricorrente, i responsabili D.C. e Provincia autonoma di Trento, pur avendo versato già la somma di euro 255.000 in favore dei superstiti, rimanevano comunque obbligati nei confronti dell'INAIL «al pagamento del maggiore importo di euro 204.469, poiché la successione nel diritto di credito sul risarcimento del danno patrimoniale si era già verificata ope legis al momento del pagamento dell'indennizzo previdenziale, avvenuto in epoca precedente rispetto al raggiungimento dell'accordo transattivo». Ciò significa, secondo la parte ricorrente, che la Corte d'appello avrebbe dovuto imputare la somma suindicata di euro 255.000, versata dai responsabili a titolo di acconto, «solo a ristoro del danno non patrimoniale, pregiudizio estraneo alla tutela sociale», perché gli eredi «avevano perso la legittimazione attiva sul danno patrimoniale, già indennizzato dall'INAIL, che in precedenza era subentrato nel diritto di credito vantato dalle vittime». In ogni caso, anche volendo ammettere la correttezza del ragionamento svolto dalla Corte d'appello circa l'imputazione dell'acconto di euro 255.000 per la metà a risarcimento del danno patrimoniale e per l'altra metà del danno non patrimoniale, l'INAIL sostiene di essere creditore nei confronti dei responsabili civili «per l'intero importo liquidato in ambito civilistico per il danno patrimoniale da lucro cessante, versato nel 2005 ad un soggetto che aveva perso la legittimazione attiva a pretenderlo».
La sentenza impugnata, in definitiva, avrebbe consentito un'indebita locupletazione, perché ai superstiti «nulla sarebbe spettato a titolo di risarcimento per il pregiudizio patrimoniale, neanche a titolo di acconto».

2. Ritiene il Collegio che, per poter rispondere alla complessa e articolata censura, sia necessario riassumere rapidamente i termini fattuali della vicenda per come emergono dalla sentenza e dal ricorso.
2.1. A seguito del tragico infortunio del quale si discute, la vedova e il figlio della vittima hanno ricevuto un acconto di euro 255.000, come da quietanza del maggio 2005 (anche se la sentenza a p. 15, con un chiaro lapsus calami, erroneamente indica la data del 23 agosto 2002, che è invece quella del sinistro mortale). Questa somma, a quanto risulta dallo stesso ricorso, è stata versata dai soggetti poi ritenuti (cor)responsabili della morte, cioè dagli imputati, proprio per evitare la costituzione di parte civile da parte degli eredi della vittima. Non è chiaro come sia stata imputata questa somma da parte di chi l'ha pagata ed è per questo che la Corte di merito, in mancanza di elementi certi (v. sentenza a p. 15), ha stabilito di ripartirla a metà tra il danno patrimoniale e quello non patrimoniale, in assenza di una diversa indicazione. Si tratta, comunque sia, di una somma non versata dall'INAIL.
Ciò premesso, la Corte d'appello ha conteggiato separatamente il danno non patrimoniale e quello patrimoniale e ha concentrato l'attenzione, in ordine alla surroga dell'INAIL, sul solo danno patrimoniale; tale impostazione è corretta, posto che l'INAIL, come questa Corte ha chiarito in più occasioni, risarcisce, con le prestazioni di cui agli artt. 66 e 85 del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, la sola diminuzione di reddito in conseguenza dell'infortunio sul lavoro ( danno patrimoniale), e non certo il danno morale o il danno alla salute il cui risarcimento spetta in aggiunta al danneggiato o ai suoi eredi (v. per tutte, di recente, l'ordinanza 18 ottobre 2019, n. 26647).
Non occorre qui ripercorrere tutti i passaggi logici seguiti dalla Corte bresciana per pervenire alla liquidazione del danno patrimoniale, anche perché su questo punto non ci sono contestazioni. Giova soltanto ricordare il punto di approdo di tale ragionamento, in base al quale la somma complessiva è stata fissata in euro 255.587 (che dovrebbe costituire il totale del danno patrimoniale patito dalla data della morte fino a quella della sentenza). Da questa somma la Corte d'appello ha detratto l'acconto di euro 127.500, rivalutato in euro 162.945, arrivando così alla somma di euro 92.642. Su tale somma, che costituisce il danno patrimoniale residuo, consistente nella differenza tra quello che la vittima avrebbe (presumibilmente) guadagnato e quello che ha ricevuto a titolo di acconto, la sentenza ha operato la riduzione del 20 per cento in ragione della quota di responsabilità del defunto, arrivando alla minore somma di euro 74.114, sulla quale è stata ammessa la surroga dell'INAIL.
2.2. Così ricostruiti i termini fattuali della vicenda, la censura principale esposta nel ricorso in esame si fonda sull'argomento secondo il quale i responsabili dell'evento mortale, pagando il risarcimento agli eredi della vittima, avrebbero, come si suol dire, pagato male, cioè avrebbero adempiuto l'obbligazione senza potersi considerare liberati. E ciò sull'assunto per cui il pagamento in favore degli eredi sarebbe avvenuto dopo che essi avevano cominciato ad incassare la rendita riconosciuta dall'INAIL. Di qui la censura di violazione degli artt. 1223 e 1916 cod. civ., fondata sull'argomento che la surrogazione, determinando una successione a titolo particolare nel diritto di credito, comporta il trasferimento del diritto dal surrogante al surrogato nel momento stesso in cui il pagamento viene effettuato.
Tale premessa in diritto è corretta, ma tuttavia non giova all'INAIL ai fini dell'accoglimento del ricorso.
Rileva la Corte, a questo riguardo, che il ricorso non e particolarmente preciso in termini fattuali, in quanto non indica con la dovuta esattezza quale somma sia stata versata o riconosciuta agli eredi e in quale data.
Ma, anche a prescindere da tale rilievo formale, la censura è priva di fondamento per un'altra decisiva ragione. Le regole in materia di surrogazione dell'assicuratore e di titolarità del diritto che il ricorrente correttamente richiama - le quali sono state più volte enunciate da questa Corte (v., tra le altre, Sezioni Unite, sentenza 29 aprile 2015, n. 8620, ma in tal senso già la sentenza 15 luglio 2005, n. 15022 e, più di recente, l'ordinanza 13 giugno 2019, n. 15870) - devono essere contemperate con la regola dell'art. 1189 cod. civ. in tema di pagamento al creditore apparente (v. in argomento la recentissima sentenza 11 maggio 2022, n. 14981).
Può infatti convenirsi con il ricorrente nel senso che per il verificarsi del subingresso dell'istituto assicuratore basta la semplice comunicazione al terzo responsabile dell'ammissione del danneggiato all'assistenza prevista dalla legge, accompagnata dalla manifestazione della volontà di esercitare il diritto di surroga.
Deve tuttavia aggiungersi che nel caso in esame l'INAIL non sembra aver mai dedotto in sede di merito, né l'ha fatto nel ricorso per cassazione, di aver manifestato ai danneggianti la sua volontà di surrogarsi al danneggiato a seguito del pagamento dell'indennità di cui all'art. 85 del d.P.R. n. 1124 del 1965 e prima del pagamento in acconto. L'odierno ricorrente, in altri termini, non ha palesato a coloro i quali avevano intenzione di risarcire (sia pure in parte) il danno patrimoniale sofferto dalla vittima la circostanza di avere già pagato agli eredi di questa una somma a titolo di rendita per l'infortunio sul lavoro. Allo stesso modo, non risulta dal ricorso che l'INAIL abbia neppure ipotizzato che nel momento del pagamento i responsabili del danno fossero informati, o avrebbero potuto comunque sapere usando l'ordinaria diligenza, che la vedova aveva già cominciato ad incassare una parte della rendita stanziata in suo favore. Deve pertanto trovare necessaria applicazione l'art. 1189, primo comma, cod. civ., secondo cui il debitore «che esegue il pagamento a chi appare legittimato a riceverlo in base a circostanze univoche, è liberato se prova di essere stato in buona fede»; e poiché nessuno ha dedotto la possibile o sicura malafede del solvens, il pagamento compiuto dai danneggianti in favore di A.B. è un pagamento ben fatto, tale per cui l'INAIL non può pretendere da costoro in surroga quanto già versato a titolo di rendita.
È appena il caso di aggiungere, per amore di completezza, che l'incidente mortale di cui si discute non è avvenuto a causa di un sinistro stradale; ne consegue che alla fattispecie qui in esame non poteva applicarsi la complessa procedura di accantonamento regolata dall'art. 142 del codice delle assicurazioni e, in precedenza, dall'art. 28 della legge 24 dicembre 1969, n. 990.
2.3. Si impone, poi, un'ulteriore riflessione.
L'ampia censura del motivo di ricorso contesta anche il presunto errore commessa dalla sentenza impugnata nello stabilire il criterio di riparto dell'acconto versato dai danneggianti, sostenendo che la Corte d'appello avrebbe dovuto imputare l'intero acconto alla voce danno morale, escludendone il danno patrimoniale che sarebbe stato risarcito per intero attraverso la rendita.
Tale censura è infondata, per le stesse ragioni già illustrate in precedenza.
Il rilievo potrebbe essere esatto qualora l'INAIL avesse manifestato ai danneggianti la sua intenzione di surrogarsi nel credito dei danneggiati a seguito del riconoscimento della rendita. In simile ipotesi, infatti, i danneggianti avrebbero dovuto sapere che a loro carico rimaneva soltanto il danno c.d. differenziale, cioè quello non risarcito dall'ente previdenziale, per cui ogni successivo versamento in favore degli eredi della vittima si sarebbe dovuto imputare alle voci di danno non pagate dalla rendita INAIL.
Poiché, però, tale manifestazione non c'è stata, o almeno l'INAIL non ne ha dato conto, deve valere anche in relazione a questo profilo la regola liberatoria dell'art. 1189 cit.; non può quindi sostenersi, come fa il ricorrente, che l'imputazione di pagamento sia stata errata perché l'accipiens non era creditore, ma solo che l'imputazione sarebbe stata errata se il solvens fosse stato a conoscenza che gli eredi della vittima erano stati già risarciti dall'INAIL.
Ne consegue che è privo di fondamento anche tale ulteriore rilievo del ricorso in esame.
2.4. Osserva il Collegio, infine, che la Provincia autonoma di Trento ha eccepito, nel controricorso, la sussistenza di un giudicato favorevole nei suoi confronti, costituito dall'ordinanza 20 novembre 2018, n. 29849, di questa Corte. In quel giudizio, che trae origine dal medesimo incidente di cui alla causa odierna, è stata esclusa dal Tribunale di Verona, con sentenza passata in giudicato (la Corte d'appello di Venezia ha dichiarato l'appello inammissibile e la suindicata ordinanza n. 29849 ha rigettato il relativo ricorso), la sussistenza di una qualche responsabilità in capo alla Provincia di Trento (quella causa era stata promossa da altri familiari del defunto).
La Provincia, peraltro, pur richiamando il citato provvedimento, non ha proposto ricorso incidentale, limitandosi nel giudizio odierno a chiedere che il ricorso dell'INAIL venga rigettato; ne consegue che l'esito del giudizio esime il Collegio dall'obbligo di ulteriori verifiche in ordine alle conseguenze del giudicato in questione.
3. Il ricorso, pertanto, è rigettato.
In considerazione, peraltro, della complessità della vicenda e delle questioni esaminate e della molteplicità dei giudizi ai quali l'incidente ha dato luogo, la Corte ritiene equo compensare integralmente le spese del giudizio di cassazione.
Sussistono tuttavia le condizioni di cui all'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.
 

P.Q.M.


La Corte rigetta il ricorso e compensa integralmente le spese del giudizio di cassazione.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile, il 25 maggio 2022.