Cassazione Penale, Sez. 4, 19 aprile 2019, n. 17189 - Esplosione ed incendio nel reparto produzioni chimiche. Annullamento con rinvio


 

 

Presidente: DI SALVO EMANUELE
Relatore: BRUNO MARIAROSARIA
Data Udienza: 11/01/2019
 

 

Fatto




1. Con sentenza emessa in data 24.11.2017 la Corte di appello di Torino, in riforma della pronuncia assolutoria resa dal Tribunale di Novara in data 13/10/2011, ha dichiarato V.R. e A.F. responsabili del delitto di omicidio colposo, commesso con violazione delle norme antinfortunistiche, condannando i predetti alla pena di mesi dieci di reclusione ciascuno.
L'infortunio mortale avvenne nel reparto produzioni chimiche della "Divisione Unibios" della Soc. ABC farmaceutici S.p.a. in data 4 maggio 2007. Il M.P., deceduto, prendeva servizio alle ore 22, essendo addetto alla macchina centrifuga C11, utilizzata per la centrifugazione dei prodotti chimici con solventi infiammabili ed utilizzata anche per la produzione dell'acido colico. Per la corretta esecuzione di tale ciclo produttivo, a fini di sicurezza, occorreva tenere sotto controllo la concentrazione di ossigeno tramite l'aggiunta di gas inerti e la pressione all'interno della macchina. Prima di avviare il ciclo in sicurezza, era necessario inertizzare l'apparecchiatura, il che avveniva in modalità automatica.
La centrifuga doveva essere caricata progressivamente con dosi parziali della miscela che riempivano la vasca della quantità di prodotto dovuta, per verificare la quale non esisteva alcun sistema strumentale essendo rimessa al controllo visivo del lavoratore.
All'inizio del suo lavoro, il M.P. aveva effettuato lo scarico dei prodotti, l'insaccamento dell'acido colico presente della centrifuga dopo l'esaurimento completo del ciclo di lavoro, lo svuotamento del sacco e il reinserimento del suo contenuto nella centrifuga, la chiusura della macchina e l'avviamento della stessa. A quel punto, secondo quanto si ricava dalla lettura degli atti, si verificava l'esplosione e l'incendio. Il M.P. veniva colpito al capo dal coperchio della centrifuga e raggiunto dalle fiamme. La causa della esplosione era individuata nella mancata inertizzazione dell'apparecchiatura: la valvola che consentiva ii passaggio dell'azoto nella centrifuga esplosa, infatti, era stata trovata chiusa e il commutatore risultava in posizione "manuale", il che aveva consentito l'avvio della centrifuga nonostante che la percentuale di ossigeno presente rispetto a quella dell'azoto, fosse al di sopra dei livelli di sicurezza in relazione all'infiammabilità del composto che vi circolava all'interno.
Il M.P. aveva potuto avviare il ciclo, sebbene la valvola di azoto fosse chiusa, perché l'impianto si trovava in modalità "manuale" che era attivabile mediante l'inserimento della chiave di sicurezza nel selettore.
Il Tribunale aveva assolto gli imputati perché il fatto non sussiste. Aveva ritenuto che la causa dell'infortunio fosse da ascriversi alla condotta esorbitante del lavoratore che aveva attuato una procedura del tutto differente da quella prevista. Riteneva privo di consistenza il rilievo riguardante la pretesa mancata informazione del lavoratore rispetto alle "corrette modalità di inertizzazione" del macchinario, da effettuarsi in modalità "automatico", perché relative a dettagli operativi di una fase che egli aveva completamente omesso di attuare e rilevando che il lavoratore aveva partecipato ad attività di informazione e formazione per un totale di 22 ore e 15 minuti.
La Corte d'appello, ribaltando il verdetto assolutorio ha ritenuto erroneo l'inquadramento giuridico offerto dal Tribunale. Ha quindi affermato che il sovvertimento dell'esito assolutorio non è dipeso da una diversa valutazione delle prove dichiarative decisive, ma da una diversa e più appropriata valutazione giuridica della vicenda, dovendosi ritenere escluso il comportamento eccentrico ed esorbitante del lavoratore. Ha ritenuto, in sostanza, che l'infortunio fosse dipeso da una gestione sconsiderata del possesso delle chiavi che permettevano il passaggio dalla modalità automatica - che garantiva la inertizzazione del macchinario prima dell'avvio del ciclo produttivo - alla modalità manuale. Quindi, ha ravvisato la responsabilità dì chi, a diverso titolo, non aveva provveduto alla procedimentalizzazione in modo rigoroso della custodia e dell'utilizzo della chiave di sicurezza. Con riferimento al V.R., delegato in materia di sicurezza della divisione, ha individuato profili di colpa nel suo disinteresse verso l'aspetto della gestione delle chiavi, da reputarsi di rilievo determinante per la sicurezza dello svolgimento dell'attività produttiva. Con riferimento al A.F., RSSP, ha individuato profili di colpa nella mancata valutazione di tale rischio.
2. Avverso la sentenza d'appello hanno proposto ricorso per Cassazione gli imputati a mezzo dei rispettivi difensori i quali, in sintesi, giusta il disposto di cui all'art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., hanno dedotto i seguenti motivi.
 

Per V.R.
2.1 Primo motivo: inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, nonché mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione all'art. 6 CEDU ed agli artt. 192, e 603 cod. proc. pen. in riferimento alla ritenuta insussistenza dei presupposti per la rinnovazione della istruttoria dibattimentale. Si afferma nel ricorso che la esclusione del comportamento esorbitante del lavoratore presuppone un accertamento sulle modalità in fatto. Tale accertamento doveva essere ripetuto dalla Corte territoriale. La sentenza sarebbe totalmente elusiva del principi di diritto in materia di acquisizione della prova espressi dalla giurisprudenza della Corte europea dei Diritti Dell'Uomo in relazione all'art. 6 CEDU ribaditi nella pronuncia a Sezioni Unite Patalano. La centralità della prova dichiarativa non emergeva soltanto in relazione all'accertamento della modalità del fatto, ma anche in relazione al contenuto dell'atto di appello del P.M. in cui la principale censura mossa alla sentenza di primo grado si sostanziava nell'acritico recepimento delle dichiarazioni di S.M. - capo turno uscente - il quale, oltre ad informare il M.P. dei compiti da svolgere aveva dichiarato di avere lasciato la centrifuga in modalità automatica. A ciò deve aggiungersi che il P.G., all'esito della requisitoria richiedeva la nuova escussione di numerosi testimoni e dei periti ai fini dell'accertamento dei profili fattuali dell'infortunio.
2.2 Secondo motivo: mancanza e contraddittorietà della motivazione, in relazione alla ravvisata responsabilità del datore di lavoro ed alla sussistenza del nesso causale; violazione di legge in relazione a tutte le imputazioni di colpa specifica In materia di obblighi del datore di lavoro. La Corte di merito, dopo avere premesso che la valutazione sul tenore esorbitante della condotta serbata dal lavoratore in occasione dell'infortunio non implicava alcun apprezzamento della prova dichiarativa raccolta in primo grado avrebbe tuttavia, in modo contraddittorio, messo in discussione gli esiti delle risultanze acquisite dal primo giudice in punto di ricostruzione del fatto e di individuazione dei processi produttivi. La certezza circa il fatto che il selettore fosse stato posizionato in modalità automatica e con la valvola dell'azoto aperta, era venuta dalla non controversa testimonianza del teste S.N. -capoturno uscente - che passò le consegne a M.P., il quale riferì a dibattimento che al momento dell'infortunio il M.P. stava effettuando una lavorazione che non gli era stata ordinata, dunque da considerarsi estranea rispetto alle sue mansioni.
Quanto al profilo dell'asserita inconsapevolezza in capo al lavoratore circa la mancata inertizzazione, l'Impugnata sentenza reputando indeguata la formazione del lavoratore, sarebbe incorsa in travisamento della prova, in quanto la documentazione prodotta attestava la formazione del lavoratore e, comunque, si trattava di un rischio di elementare portata, ben conosciuto dal lavoratore esperto.
 

Per A.F.
3.1 Primo motivo: violazione di legge con specifico riferimento agli artt. 581 lett. B) e C); 591; 597, comma 2, lett. B), cod. proc. pen. con riferimento all'atto di appello proposto dal P.M.; violazione delle norme processuali di cui agli artt, 192 cod. proc. pen. e 533 cod. proc. pen.
La doglianza riguarda la struttura argomentativa dell'appello promosso dal P.M. il quale, secondo la difesa, doveva essere dichiarato inammissibile per non avere richiesto la rinnovazione della istruttoria dibattimentale per la escussione dei testi e dei consulenti tecnici, nonché per difetto di specificità. Rileva che il P.M. che aveva impugnato la sentenza di primo grado invocandone la riforma, non aveva richiesto nell'atto di appello la rinnovazione della istruttoria dibattimentale, con indicazione dei testi e dei consulenti da esaminarsi nuovamente ai fini della riforma della pronuncia assolutoria. Solo in sede di conclusioni il P.G. di udienza sollecitò l'escussione dei testi e dei consulenti indicati alle pagine 12 e 13 dell'atto di appello. Il vizio che caratterizza l'impugnazione sarebbe quello di non avere proposto la riassunzione di quel testi, la cui valutazione si contestava. li teste S., la cui deposizione era stata valorizzata nella sentenza di primo grado, è stato invece reputato inconferente dai giudici di appello i quali hanno trascurato di considerare le plurime raccomandazioni che il teste aveva rivolto al M.P. (riportate a pag. 77 del verbale di deposizione). Dal canto suo il P.M. nella parte finale del gravame, ne metteva n dubbio l'attendibilità sulla base di quanto avevano riferito i testi L. e C. (si vedano le pagine 16, 17 e 20 dell'appello).
Orbene, venendo posti in dubbio i criteri valutativi applicati dal Tribunale con riferimento alla prova dichiarativa resa dallo S., sarebbe stato preciso onere della parte che contesta la non genuinità della dichiarazione sollecitarne una nuova audizione ai fini della riforma della sentenza di primo grado. Ne deriverebbe un sovvertimento del principio fondamentale dell'onere della prova che è a carico del P.M. e che deriva dalla presunzione di non colpevolezza di cui all'art. 27 comma 2 della Costituzione e dall'art. 6 CEDU.
3.2 Secondo motivo violazione di legge, erronea applicazione di altre norme di cui si deve tenere conto nell'applicazione della legge penale, con particolare riferimento all'art. 26 Cost. ed art. 6 CEDU, in relazione alla mancata rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale.
3.3 Terzo motivo violazione degll artt. 533; 581 lett. B); 591; 597, comma 2, lett. B) cod. proc. pen.
L'atto di appello, secondo la prospettazione difensiva, è meramente ripropositivo di temi già ampiamente affrontati dal primo giudice in sentenza e ritenuti inidonei a fondare un giudizio di responsabilità. Ciò avrebbe dovuto comportare la inammissibilità della impugnazione proposta dall'Accusa.
3.4 Quarto motivo: travisamento delle prove. La difesa indica le testimonianze rese dai testi L. e CU., sostenendo che la Corte di merito ne aveva frainteso il significato, avendo trascurare di considerare che garante della tenuta delle chiavi del macchinario dovesse essere ritenuto proprio il M.P., anche alla luce delle raccomandazioni che gli erano state rivolte da S.N.. L'istruttoria, come emerge dal verbale di accesso del giorno 13/7/2011 e dalla sentenza dì primo grado, avrebbe dimostrato che il macchinario era dotato di sistemi di allerta, che non potevano essere ignorati dal M.P.. Non si sarebbe tenuto conto delle dichiarazioni del CT B. che avvalorano la interpretazione del primo giudice in ordine alla abnormità ed alla esorbitanza della condotta serbata dal M.P..
3.5 Quinto motivo: vizio di motivazione e travisamento delle prove. la Corte di appello, secondo la difesa, sostiene erroneamente che il M.P. non fosse titolato a mantenere le chiavi dell'apparecchiatura e che non fosse stato adeguatamente formato. Non si sarebbe tenuto conto della straordinarietà del suo agire, in rapporto alla sua esperienza lavorativa decennale.
3.6 Sesto motivo: violazione di legge con riferimento agli artt. 521 cod. proc. pen. e 178 lett . c) cod. proc.pen.
Lamenta la difesa che la Corte territoriale avrebbe ampliato le contestazioni elevate a carico del ricorrente ritenendo integrate fattispecie contravvenzlonall mal contestate (art. 72 quater e 4 comma 2 d.lgs. 626/94).
3.7 Settimo motivo violazione dell'art. 603, comma 3-bis cod. proc. pen.;
art. 11 Cost. e art. 6 CEDU; vizio di motivazione. La Corte d'appello non avrebbe applicato correttamente i principi della nota sentenza Dasgupta e avrebbe disatteso l'art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen. che impone la rinnovazione della Istruttoria dibattimentale laddove la sentenza di primo grado e quella d'appello siano fondate su prove dichiarative nella ipotesi di una rivisitazione delle stesse. la qualificazione del comportamento non abnorme della persona offesa su cui è fondata la sentenza, rappresenta una conclusione a cui si può giungere solo attraverso la rinnovazione istruttoria.

 

Diritto



1. I motivi di ricorso sono parzialmente fondati e devono essere accolti nei termini di seguito precisati.
2. Il motivo promosso dalla difesa di A.F. (paragrafo 3.1) riguardante l'originaria inammissibilità dell'atto di appello del P.M. non è fondato.
L'atto di impugnazione è stato depositato il 2/12/2011, data di gran lunga anteriore alla novella introdotta dalla legge 103/2017, in vigore dal 3 agosto 2017; che impone, a pena di inammissibilità, all'art. 581, lettere b) e e), cod. proc. pen. di indicare nell'atto di impugnazione le prove di cui si deduce l'inesistenza, l'omessa assunzione o l'erronea valutazione e le richieste anche istruttorie. Egualmente è a dirsi con riferimento al richiamato art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen., di nuova introduzione, che codifica l'obbligo per il Giudice della rinnovazione della istruzione dibattimentale nel caso di appello del P.M. contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa - di cui si dirà infra - la cui violazione non ha l'effetto di determinare alcuna sanzione in relazione all'appello del P.M.

Vale tuttora con riferimento all'impugnazione promossa dal P.M. il principio più volte affermato daUa giurisprudenza di legittimità secondo H qua{e l'atto di gravame del P.M. ha effetto pienamente devolutivo, consentendo al Giudice di merito di esercitare gli ampi poteri previsti dall'art. 597, comma 2 lett. b} cod. proc. pen. (si veda ex multis Sez. 5, Sentenza n. 46689 del 30/06/2016, Rv. 268671 - 01, così massimata: "L'appello del P.M. contro la sentenza dì assoluzione emessa all'esito del dibattimento, salva l'esigenza di contenere la pronuncia nei limiti della originaria contestazione, ha effetto pienamente devolutivo, attribuendo al giudice "ad quem" gli ampi poteri decisori previsti dall'art. 597, comma secondo lett. b) cod. proc. pen.; ne consegue che non è inammissibile, per genericità dei motivi, l'appello in cui il P.M. non abbia fatto specifico riferimento a tutti I termini dell'Ipotesi accusatoria, ma solo a quelli presi in considerazione dalla decisione impugnata").
A ciò deve aggiungersi, per completezza argomentativa, che nell'atto di appello promosso dal P.M., in cui non si individuano i lamentati difetti di mancanza di specificità, vi era una dettagliata indicazione delle ragioni di fatto e diritto per le quali era richiesta la riforma della sentenza di primo grado ed erano contenuti ampi riferimenti ad alcune deposizioni testimoniali ritenute rilevanti a questo fine.
2. E' preliminare ad ogni approfondimento rispetto alle questioni proposte dai difensori, interrogarsi sul significato della nuova interpretazione dei fatti fornita dalla Corte di merito e sulla necessità della rinnovazione della istruttoria dibattimentale conseguente al ribaltamento del verdetto assolutorio operato nella sentenza d'appello, oggetto dei motivi di ricorso di entrambi difensori degli imputati (paragrafi 2.1; 2.2; 3.2 e 3.7 della parte in fatto).
A seguito detta entrata in vigore, della già richiamata legge 23 giugno 2017, n. 103, in base all'art. 603, comma 3-bis cod. proc. pen., nella formulazione introdotta dall'art. 1, comma 58, la rinnovazione è obbligatoria ove l'impugnazione del P.M. sia proposta «per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa». In realtà, già prima della sua codificazione si riteneva doverosa la rinnovazione quale approdo di una cospicua evoluzione della giurisprudenza di legittimità formatasi sul tema del ribaltamento del verdetto assolutorio e della reformatio in peius della sentenza dì primo grado.
Deve ricordarsi in proposito che, anche prima degli interventi della Corte EDU nelle decisioni che hanno fatto seguito alla nota pronuncia Dan c. Moldavia del 5 novembre 2011 (tra le quali Manolachi c. Romania del 5 marzo 2013), la Corte di legittimità aveva elaborato l'orientamento che imponeva un particolare dovere di motivazione incombente sul giudice di appello che intendeva affermare la responsabilità dell'imputato assolto in primo grado: nel solco di tale orientamento si colloca la pronuncia delle Sezioni unite n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231679 e, Quanto alle Sezioni semplici, le ulteriori pronunce Sez. 3, n. 6817 del 27/11/2014, dep. 2015, S., Rv. 262542, Sez. 1, n. 12273 del 05/12/2013, dep. 2014, Ciaramella e altro, Rv. 2622261, Sez. 6, n. 45203 del 22/10/2013, Paparo e altri, Rv. 256869, Sez. 2, n. 11883 del 08/11/2012, dep. 2013, Berlingieri, Rv. 254275, Sez. 6, n. 22120 del 29/04/2009, Tatone e altri, Rv. 243946, che hanno ribadito unitariamente il principio della motivazione cosiddetta "rafforzata".
La pronuncia delle Sezioni Unite della Cassazione nel caso Dasgupta, chiamata a risolvere il profilo della rilevabilltà d'ufficio - in sede di giudizio di Cassazione - della violazione dell'art. 6 CEDU, per avere, il giudice d'appello, riformato la sentenza assolutoria di primo grado, esclusivamente sulla base di una diversa valutazione delle dichiarazioni di testimoni e senza procedere a nuovo esame degli stessi, ha puntualizzato importanti principi in materia. In particolare, si è ivi affermato che: il mancato rispetto, da parte del giudice dell'appello, del dovere di procedere alla rinnovazione delle fonti dichiarative, in vista di una reformatio in peius, va inquadrato non nell'ambito di una violazione di legge ma in quello di un vizio di motivazione; l'esigenza di rinnovazione detta prova dichiarativa si può prospettare anche nell'ambito di un giudizio abbreviato o In caso di Impugnazione ai soli effetti civili; la necessità, per il giudice di appello, di procedere anche d'ufficio alla rinnovazione dibattimentale, nel caso di riforma della sentenza di assoluzione, sulla base dì un diverso apprezzamento dell'attendibilità di una dichiarazione ritenuta decisiva, non consente distinzioni a seconda della qualità soggettiva del dichiarante; il dovere di rinnovare gli apporti dichiarativi si configura con riguardo a quelli ritenuti decisivi al fini del giudizio assolutorio di primo grado.
La pronuncia in commento si fa carico di specificare quali siano le prove decisive, affermando il seguente principio: «Costituiscono prove decisive al fine della valutazione della necessità di procedere alla rinnovazione della istruzione dibattimentale delle prove dichiarative nel caso di riforma in appello del giudizio assolutorio di primo grado fondata su una diversa concludenza delle dichiarazioni rese, quelle che, sulla base della sentenza di primo grado, hanno determinato, o anche soltanto contribuito a determinare, l'assoluzione e che, pur in presenza di altre fonti probatorie di diversa natura, se espunte dal complesso materiale probatorio, si rivelano potenzialmente idonee ad incidere sull'esito del giudizio, nonché quelle che, pur ritenute dal primo giudice di scarso o nullo valore, siano, invece, nella prospettiva dell'appellante, rilevanti - da sole o insieme ad altri elementi di prova- ai fini dell'esito della condanna» (Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta, Rv. 267491).
Il principio della necessità della rinnovazione è stato ancora ribadito dalle Sezioni Unite nella pronuncia Patatano che lo ha esteso anche all'ambito del giudizio abbreviato (Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017 Ud. (dep. 14/04/2017 ) Rv. 269785 - 01, così massimata «È affetta da vizio di motivazione, per mancato rispetto del canone di giudizio "al di là di ogni ragionevole dubbio", la sentenza di appello che, su impugnazione del pubblico ministero, affermi la responsabilità detl'imputato, in riforma di una sentenza assolutoria emessa all'esito di un giudizio abbreviato non condizionato, operando una diversa valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, senza che nel giudizio di appello si sia proceduto all'esame delle persone che abbiano reso tali dichiarazioni»). Infine, a coronamento di tale evoluzione giurisprudenziale, si colloca l'introduzione dell'art. 603, comma 3-bls cod. proc. pen. che, come già detto In precedenza, impone la rinnovazione della istruzione dibattimentale nel caso di appello del P.M. contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa.
3. Calando nello specifico caso concreto i principi sopra richiamati, si osserva, con rilievo di carattere assorbente rispetto ad ogni altra deduzione difensiva, che la Corte d'appello avrebbe dovuto procedere alla rinnovazione della istruzione dibattimentale, provvedendo ad escutere nuovamente quei testimoni che dovevano ritenersi decisivi sia rispetto alla valutazione operata dal Giudice di primo grado, sia rispetto alla diversa valutazione operata in sentenza dalla Corte territoriale, la quale nella prova dichiarativa trova indubitabilmente il suo centro, a cominciare dalla stessa ricostruzione del fatto.
Deve all'uopo rilevarsi che l'affermazione contenuta in sentenza, secondo la quale non sarebbe necessaria la rinnovazione, essendo la condanna incentrata sulla valutazione giuridica del comportamento del lavoratore - di cui la Corte di merito ha escluso la esorbitanza - è da ritenersi riduttiva e non soddisfacente: essa non esaurisce le reali problematiche sottese alla questione del ribaltamento del verdetto assolutorio. Come insegna la richiamata pronuncia a Sezioni Unite Dasgupta (le cui linee guida, pure a seguito della introduzione dell'art. 603, comma 3-bis cod. proc. pen., costituiscono riferimento ineludibile in caso di ribaltamento dell'esito assolutorio), la esigenza di rinnovazione della istruzione non può intendersi circoscritta entro il perimetro della prova utilizzata dal giudice per giungere all'assoluzione, ma deve essere estesa anche alle prove ritenute necessarie per giungere al diverso verdetto di condanna.
Trascura di considerare la Corte di merito che, nel caso in esame, la valutazione circa l'esorbitanza o meno della condotta del lavoratore deceduto passa necessariamente attraverso la ricostruzione della dinamica dell'accadimento, rispetto alla quale rivestono carattere essenziale le dichiarazioni del teste S.N. (che aveva passato le consegne alla vittima ed aveva assicurato nel corso della sua deposizione di avere lasciato la centrifuga in modalità "automatico") e di tutti coloro che hanno reso un contributo essenziale a questo fine.
Non esente dalla esigenza della rinnovazione è anche la parte ricostruttiva delle responsabilità dei ricorrenti, incentrata, nella motivazione, sulla necessità di procedimentalizzare la tenuta delle chiavi che permettevano il passaggio alle diverse modalità automatico-manuale dell'avviamento dell'apparecchiatura.
4. Occorre pertanto annullare la sentenza impugnata, con rinvio, per nuovo giudizio, ad altra Sezione della Corte d'appello di Torino.

 

P.Q.M.
 


Annulla la sentenza impugnata e rinvia, per nuovo giudizio, ad altra sezione della Corte d'appello di Torino.