Cassazione Penale, Sez. 4, n. 27603 - Ribaltamento mortale della trattrice agricola: mancanza di utilizzo dell'arco abbattibile (roll-bar) e della cintura di trattenuta
- Agricoltura
- Datore di Lavoro
- Dispositivo di Protezione Individuale
- Informazione, Formazione, Addestramento
- Macchina ed Attrezzatura di Lavoro
Presidente: DOVERE SALVATORE
Relatore: CAPPELLO GABRIELLA
Data Udienza: 11/05/2022
Fatto
1. La Corte d'appello di Palermo, in riforma della sentenza del Tribunale di Agrigento, con la quale C.F. era stato condannato per il reato di omicidio colposo ai danni del lavoratore P.D., occorso il 4/7/2014, in conseguenza dell'infortunio avvenuto all'interno dell'azienda agricola del primo, "Associazione Agricola Giglio", il 2/7/2014, ha assolto l'imputato perché il fatto non sussiste, revocando le statuizioni civili.
In particolare, si era contestato al C.F., secondo l'editto accusatorio recepito dal primo giudice e smentito, invece, da quello d'appello, nella qualità di titolare dell'azienda agricola suindicata e datore di lavoro della vittima, assunta con mansioni di bracciante agricolo, di avere omesso la vigilanza dell'effettivo utilizzo, da parte della stessa, dei dispositivi di protezione, dei quali era dotata la trattrice utilizzata dal lavoratore al momento dell'infortunio, avvenuto mentre costui era impegnato in attività di fertirrigazione di palme all'interno di un appezzamento in zona collinare, connotato da pendenze e dislivelli, in violazione degli artt. 18 bis e 20 del d. lgs. n. 81 del 2008, così cagionandone la morte per colpa, non avendo il lavoratore utilizzato l'arco abbattibile e la cintura di trattenuta presenti sul mezzo che si ribaltava con eiezione del corpo del lavoratore che veniva schiacciato dalla stessa macchina, riportando lesioni che ne determinavano il decesso due giorni dopo il fatto.
2. La sentenza assolutoria è stata impugnata con ricorso sia dal Procuratore generale presso la Corte d'appello di Palermo, che dalla costituita parte civile, con atti con i quali sono stati formulati quattro motivi in maniera sostanzialmente sovrapponibile.
Con il primo motivo, il Procuratore generale ha dedotto erronea applicazione della legge penale, la difesa di parte civile anche la violazione di norme processuali stabilite a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza e vizio della motivazione, quanto alla ritenuta inutilizzabilità, da parte dei giudici del gravame, del verbale di sopralluogo 7/10/2014 e del suo contenuto, ivi comprese le dichiarazioni spontanee rese dal C.F. al teste Pi., ispettore ASP di Agrigento, dalle quali erano emerse notizie rilevanti in ordine alla prassi invalsa in azienda di utilizzare la strada secondaria, in luogo di quella sterrata principale, per passare anche con i trattori, al fine di salvaguardare la strada principale dal logorio provocato dal passaggio dei mezzi e, quindi, l'ordinario impiego della trattrice, a fini di irrigazione del palmeto, sulla fascia di terreno sottostante alla pista battuta.
Entrambi i ricorrenti rilevano che la Corte d'appello avrebbe erroneamente ritenuto fondata l'eccezione difensiva di inutilizzabilità dell'atto, derivante dalla presunta violazione del disposto di cui all'art. 63, cod. proc. pen., di fronte della qualifica di pubblici ufficiali dei tecnici del servizio di prevenzione infortuni ASP. Al contrario, trattandosi di atto irripetibile, lo stesso era transitato nel fascicolo del dibattimento nella non opposizione delle parti entro il termine di cui all' art . 491, comma 2, cod. proc. pen., come evidenziato dal primo giudice. Sotto altro profilo, i deducenti rilevano l'erroneità dell'ulteriore assunto sostenuto nella sentenza impugnata, secondo cui le dichiarazioni del C.F. all'ufficiale di PG Pi. sarebbero patologicamente inutilizzabili, siccome acquisite contra legem: al contrario, nella specie, si tratterebbe di dichiarazioni spontanee per le quali non trova applicazione la norma richiamata e il relativo verbale è utilizzabile ove acquisito al fascicolo del dibattimento con il consenso delle parti; né sarebbe applicabile la disciplina dell'art . 64, cod. proc. pen., riguardando tale norma un atto diverso, cioè l'interrogatorio. Inoltre, del tutto irrilevante sarebbe la circostanza che le dichiarazioni non siano state raccolte in verbale autonomo, avendo la giurisprudenza di legittimità più volte riconosciuto la utilizzabilità della dichiarazione autoaccusatoria, a prescindere dall'atto che la include e sempre che la stessa sia stata acquisita al fascicolo su accordo delle parti senza condizioni in ordine a specifici contenuti diversi dalla dichiarazione stessa.
Con il secondo motivo, entrambi i ricorrenti hanno dedotto vizio motivazionale, anche per travisamento probatorio, la difesa di parte civile anche violazione di legge, con riferimento alla ricostruzione della dinamica del sinistro e al comportamento interruttivo della vittima come eccentrico o esorbitante rispetto alle mansioni affidate. La utilizzabilità del verbale di sopralluogo di cui al motivo che precede avrebbe determinato una diversa ricostruzione dei fatti; tuttavia, anche a prescindere da tale dato, pur rilevante, i deducenti richiamano le dichiarazioni CH., il quale aveva affermato che, nella specie, il tubo per la concimazione non arrivava a coprire tutte le palme e che, per questa ragione, il P.D. era salito sul trattore per spostarlo, allorché avveniva il fatale ribaltamento. Pertanto, la manovra posta in essere era ricompresa tra quelle funzionali all'espletamento della lavorazione in atto e non poteva ritenersi abnorme, siccome neppure ontologicamente lontana dalle condotte, anche se imprudenti, purtuttavia prevedibili del lavoratore. Ciò varrebbe a maggior ragione in un caso, quale quello all'esame, in cui, secondo i deducenti, i luoghi erano altamente insidiosi e la loro intrinseca pericolosità era stata sottovalutata dai giudici d'appello, i quali avevano svalutato gli esiti del sopralluogo del PI. e le sue dichiarazioni testimoniali (con le quali il teste aveva precisato che il trattore è un'attrezzatura ad alto rischio, il suo ribaltamento uno degli infortuni più frequenti nella casistica e che il sito era da "attenzionare" in quanto presentava dislivelli con rischi evidenti), in uno con il relativo corredo fotografico, per enfatizzare, di contro, le conclusioni del consulente dell'imputato. Inoltre, la Corte del merito avrebbe travisato la prova testimoniale ricavabile dalle dichiarazioni del B., il quale aveva confermato che il roll-bar (ossia la barra antiribaltamento o arco abbattibile) del mezzo ribaltato non era alzato.
Con il terzo motivo, i ricorrenti hanno dedotto erronea applicazione della legge penale, la difesa di parte civile anche vizio della motivazione, quanto alla valutazione dell'addebito specifico della omessa vigilanza da parte del C.F.. La Corte d'appello avrebbe svalutato i plurimi elementi a conferma dell'accusa, le dichiarazioni del lavoratore CH. (che si era trovato con il P.D. nell'occorso dell'infortunio) essendo sul punto fondamentali, poiché costui aveva confermato l'assenza del datore di lavoro in quel frangente, la cui presenza essendo tanto più necessaria, invece, in mancanza di specifiche deleghe e tenuto conto della delicatezza della lavorazione, effettuata con un trattore gommato al quale era collegato un atomizzatore (il cui effetto destabilizzante sul mezzo era stato confermato dal teste B.) e in un punto del terreno oggettivamente pericoloso. Inoltre, la Corte del merito non avrebbe valorizzato un altro dato oggettivo, costituito dalle notevolissime dimensioni dell'azienda che non consentivano a una sola persona, cioè l'imputato, di esercitare il dovuto controllo. Nella specie, il C.F. non era stato presente sul luogo della lavorazione; il rollbar del trattore non era stato attivato e P.D. non indossava la cintura di trattenuta, essendo precipuo obbligo del datore non solo dotare i lavoratori dei presidi di sicurezza, ma anche sorvegliare perché essi siano utilizzati.
Infine, con il quarto motivo, i ricorrenti hanno dedotto erronea applicazione della legge penale, la parte civile anche vizio della motivazione, anche per travisamento probatorio delle dichiarazioni rese dal figlio della vittima in ordine all'obbligo di formazione e informazione da parte datoriale, quanto alla esclusione di alcuni profili di colpa. Da un lato, la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto un difetto di correlazione tra la sentenza di condanna e l'accusa, per avere il Tribunale affermato addebiti colposi non contestati, quali, segnatamente, la violazione dell'obbligo di formare e informare il lavoratore, impiegato peraltro in mansioni diverse e superiori (trattorista) rispetto alla qualifica di assunzione (bracciante agricolo), l'unico addebito contenuto in imputazione essendo quello inerente alla omessa vigilanza. I ricorrenti rilevano che, nel capo d'imputazione, al contrario, era contenuto un espresso richiamo alle mansioni di bracciante del P.D., elemento fattuale dal quale discendono gli ulteriori addebiti di colpa specifica; inoltre, il fatto oggetto di imputazione è quello di cui all'art. 589, cod. pen., il cui comma 1 contempla tutte le possibili ipotesi di colpa generica che, pertanto, devono ritenersi compiutamente contestate al C.F.; in ogni caso e risolutivamente, l'aggiunta di particolari profili di colpa rispetto a quelli originariamente contestati, non avrebbe avuto l'effetto di realizzare diversità o immutazione del fatto, ai fini dell'obbligo di contestazione suppletiva e del conseguente difetto di correlazione, tenuto conto di tutte le risultanze istruttorie portate a conoscenza dell'imputato che hanno formato oggetto di sostanziale contestazione e rispetto alle quali l'imputato ha potuto esercitare i propri diritti di difesa.
Sotto altro aspetto, continuano i ricorrenti, erra la Corte di merito nel ritenere insussistenti tali ulteriori profili di colpa: la vittima era stata assunta come bracciante e tale inquadramento non gli consentiva la guida di mezzi semoventi come, nella specie, il trattore ribaltatosi; il mezzo meccanico, peraltro, per le sue caratteristiche e la destinazione d'uso, implicava l'adozione di particolari misure di sicurezza, in relazione alle quali vige un generale obbligo datoriale di formazione del lavoratore, ai sensi degli artt. 18 e 37, d. lgs. n. 81/2008, e uno specifico, riguardante le attrezzature che richiedono particolari conoscenze o responsabilità, ai sensi dell'art. 71, comma 7, stesso decreto.
Sul punto, si rileva anche il travisamento delle dichiarazioni del figlio della vittima: costui, invero, aveva confermato la circostanza che il datore di lavoro aveva provveduto soltanto a fornire una formazione finalizzata a conoscere i rischi del ribaltamento dei mezzi, non già in relazione alla guida degli stessi da parte dei trattoristi, bensì avuto riguardo alle lavorazioni che potevano impegnare i lavoratori nelle loro immediate vicinanze.
Né vi era stato un addestramento della vittima all'utilizzo di trattori, tantomeno gommati e collegati a un atomizzatore sbilanciante, ritenendo i deducenti privo di fondamento il riferimento fatto alla circostanza che, nel 2014, la formazione del bracciante agricolo e del trattorista sarebbero state identiche, come sostenuto dal teste B.: trattasi di assunto smentito dall'art. 71, comma 7, sopra richiamato, ma anche dal principio di matrice giurisprudenziale, secondo cui la catalogazione dei trattori come mezzi per i quali è necessaria una specifica abilitazione e formazione, operata in sede di Conferenza Stato-Regioni, ai sensi dell'art. 73, comma 5, stesso decreto n. 81/2008, avrebbe un valore solo ricognitivo, atteso che le ragioni che l'hanno giustificata erano necessariamente preesistenti, sul piano sostanziale, all'accordo Stato Regioni entrato in vigore solo nel 2017 (sul punto richiamando principi affermati dalla Corte di legittimità). Quanto, poi, al DUVR, prodotto all'udienza del 12/9/2018, lo stesso era privo di data certa, l'unico riferimento temporale essendo una presa visione da parte del medico competente due giorni dopo l'infortunio (esattamente il giorno in cui il P.D. era morto).
Infine, i deducenti negano rilievo sia alla esperienza eventualmente maturata dal lavoratore, atteso che la responsabilità datoriale non può essere esclusa per il fatto che la persona offesa sia un lavoratore esperto, che al principio dell'affidamento, non evocabile nella specie, stante la totale assenza di controllo da parte datoriale.
3. La difesa del C.F. ha depositato memoria, con la quale ha affrontato le questioni poste dai ricorsi articolati specularmente, contestandone il contenuto, anche mediante il richiamo ai mezzi di prova, riportati per stralci, e concludendo per il rigetto.
Diritto
1. I ricorsi vanno accolti.
2. Prima di esaminare i motivi, pare utile ricostruire la vicenda processuale, sia pure per sommi capi. Il Tribunale ha ritenuto provata in giudizio la penale responsabilità del C.F. muovendo da una valutazione critica delle evidenze anche di tipo dichiarativo, rispetto alle quali ha parimenti condotto un attento vaglio di attendibilità del loro contenuto. Il riferimento è principalmente al teste F., figlio del defunto, danneggiato dal reato e costituitosi parte civile, rispetto al quale ha evidenziato la costanza e linearità del riferito e i riscontri provenienti dalle altre prove orali; ma anche alle dichiarazioni di soggetti non del tutto indifferenti alle sorti del processo, siccome ancora alle dipendenze dell'imputato. È anche sulla scorta di una di queste testimonianze (quella del dipendente B., con le conferme ricavate da altri apporti testimoniali, quali quella del figlio del defunto e dell'ispettore ASP, Pi.) che quel giudice ha ritenuto accertato, da un lato, il luogo in cui la vittima si era venuta a trovare allorché il trattore si ribaltò, una stradina sterrata scoscesa (c.d. secondaria), cioè, e non la strada battuta principale (c.d. primaria), come avevano tentato di accreditare le fonti dichiarative ritenute meno attendibili; dall'altro, la prassi per la quale la barra antiribaltamento non veniva utilizzata dai trattoristi e la circostanza che, nell'occorso, il P.D. non aveva indossato la cintura di sicurezza. Le ragioni del ribaltamento erano rimaste ignote, neppure il CH. (cioè il lavoratore che si era trovato con la vittima al momento dell'infortunio) essendo stato in grado di darne conto.
Ha, poi, ridimensionato l'apporto dichiarativo del teste B., escusso quale soggetto informato dei fatti, che aveva in realtà riferito proprie opinioni tecniche circa la normativa di settore che il Tribunale ha ritenuto appannaggio del giudice.
Quanto, invece, alle prove documentali, il primo giudice ha rilevato che la ricostruzione dei fatti operata attraverso gli apporti dichiarativi era rimasta riscontrata dal verbale di sopralluogo del 2/7/2014, acquisito agli atti in originale, redatto dal personale ASP, mal conciliandosi, di contro, la versione proposta dal consulente della difesa (secondo cui non vi erano fattori di rischio né pendenze pericolose nel fondo dell'azienda agricola), innanzitutto con la documentazione fotografica, ma anche con le prove testimoniali, segnatamente quella del B. sopra richiamata.
Sotto altro profilo, poi, ha svalutato la prova documentale intesa a confermare l'adempimento da parte del C.F. degli obblighi di formazione, informazione e addestramento del lavoratore rispetto all'utilizzo del trattore: trattavasi, infatti, di copia fotostatica non conforme, il cui originale poteva essere reperito.
In merito alla ricostruzione dell'infortunio, il Tribunale ha ritenuto accertato che il P.D., la mattina del 2/7/2014, insieme al CH., stava eseguendo lavori di irrigazione di un palmeto del fondo del C.F., utilizzando un trattore al quale era collegato un atomizzatore per concimare, allorquando era precipitato da uno scoscendimento insieme al mezzo pesante che si era capovolto, schiacciandolo.
Quanto agli addebiti colposi, il Tribunale ha ritenuto dimostrato quello dell'omessa vigilanza del datore in ordine all'utilizzo, da parte dei trattoristi, dei presidi presenti sui mezzi, oltre a quello di non aver impedito l'impiego del trattore su un terreno scosceso e, quindi, ad alto rischio. Il datore non aveva apprestato le cautele necessarie per governare il rischio della lavorazione alla quale era stato assegnato il P.D.. La condotta di costui non era stata imprevedibile, avendo il B. riferito che il luogo era già stato percorso da altri dipendenti con escavatori per estirpare le palme; ma neppure abnorme, poiché non avulso o esorbitante rispetto alla mansione da svolgere. Era stata peraltro provata l'esistenza della prassi aziendale di non utilizzare i presidi pur forniti ai trattoristi e di consentire il transito su terreni scoscesi e ad alto rischio; l'imputato aveva violato gli obblighi formativi e informativi, laddove una condotta appropriata avrebbe scongiurato l'evento con ragionevole certezza.
Le condotte così ricostruite, poi, sono state valutate anche sotto il profilo dell'elemento psicologico, ritenendo il Tribunale integrati tutti gli elementi costitutivi del coefficiente soggettivo colposo tratteggiato dall'accusa. Il nucleo degli addebiti era rappresentato da condotte di tipo omissivo e nell'azienda era pratica diffusa la non attivazione del roll-bar, costituendo tale presidio, secondo il dipendente B., un intralcio per la lavorazione; tale pratica non poteva essere ignorata dal C.F. per la semplice ragione che le risorse aziendali erano limitate (complessivamente c'erano 4 trattori) e che egli era costantemente presente sui luoghi, prima dell'inizio delle lavorazioni; l'imputato non si era neppure avvalso di un preposto o di un soggetto delegato specificamente per fronteggiare la necessità di una effettiva vigilanza, cumulando su di sé, al contrario, i compiti di responsabile del servizio di prevenzione e protezione e di addetto di primo soccorso; nello stesso DUVR si dava atto dell'esistenza dei fattori di rischio (tra cui i dislivelli) riscontrati dal Pi. in sede di sopralluogo.
Quanto agli obblighi formativi e informativi, poi, il Tribunale ha tenuto conto della qualifica della vittima (bracciante agricolo), rispetto alla quale poteva essere affidata al lavoratore solo la guida di macchine agricole semplici e non semoventi, come quella sulla quale il P.D. si era trovato al momento dell'infortunio, non essendo mai stato sottoposto alla relativa verifica sanitaria richiesta dalla legge (art. 41 d. lgs. n. 81/2008) con riferimento al controllo di alcol dipendenza o tossicodipendenza. In altri termini, secondo lo scrutinio documentale effettuato dal Tribunale, il P.D. non era stato "trattato" come un lavoratore addetto alla guida di macchine semoventi, come il trattore gommato di che trattasi e come era avvenuto per altri dipendenti, tra i quali il B. e il G., trattorista e mulettista. Il DVR, pur indicando, quanto alle macchine e all'attività di trasporto, la specifica misura della informazione e formazione dei lavoratori circa l'uso dei mezzi, non dava conto della data di esecuzione di tale attività, da ritenersi pertanto non esperita. Il relativo rischio "macchine", poi, era stato valutato come "improbabile", in maniera del tutto inadeguata, come gli eventi avrebbero dimostrato. Infine, il DUVR non recava neppure una data certa, l'unico riferimento temporale (visto del medico competente) risalendo al giorno della morte del lavoratore, due giorni dopo, dunque, l'infortunio.
L'obbligo di informazione e formazione non poteva ritenersi assolto neppure alla stregua della documentazione acquisita, solo in copia non conforme agli originali, tuttavia evidenziando quel giudice come, in ogni caso, da tale documentazione fosse emersa solo una formazione teorica e non pratica, avente a oggetto mansioni diverse da quella di trattorista.
3. La ricostruzione operata dal primo giudice, tuttavia, ha subìto un capovolgimento nel secondo grado di giudizio, anche per effetto della diversa consistenza del compendio probatorio ritenuto utilizzabile dal giudice del gravame. Da esso, intanto, è stato espunto, ritenuta la violazione dell'art. 63, cod. proc. pen., il verbale di sopralluogo del 7/10/2014 del personale ASP di Agrigento, in uno con le notizie acquisite dallo stesso imputato in quella circostanza, peraltro smentite dal C.F., in base a quanto risultava nella relazione del consulente tecnico V.. La Corte d'appello ha precisato che i tecnici ASP erano ufficiali di polizia giudiziaria, svolgendone le relative funzioni e che il C.F., nel momento in cui rese quelle dichiarazioni auto indizianti, in assenza di difensore e di verbalizzazione, era già individuabile quale soggetto cui poteva essere ricondotta - astrattamente e giuridicamente - la responsabilità dell'infortunio.
La Corte, pur convenendo sul fatto che il P.D., al momento dell'infortunio, si trovasse sulla stradella c.d. secondaria, ha tuttavia ritenuto non adeguatamente provato che il sito fosse abitualmente percorso con mezzi meccanici, valorizzando le testimonianze svalorizzate dal primo giudice (G.), interpretandone diversamente altre (B.) o ritenendole non esaustive (CH.). Di qui, la conclusione secondo cui la condotta del lavoratore infortunato era stata del tutto eccentrica o esorbitante rispetto alle mansioni assegnategli, tale quindi da interrompere il nesso causale.
Peraltro, il giudice di secondo grado, operando un passo indietro rispetto a una più logica scansione ricostruttiva della imputazione, ha ritenuto non adeguatamente provato l'addebito colposo relativo all'omessa vigilanza del C. circa l'uso dei dispositivi da parte dei suoi dipendenti: i dispositivi erano stati messi a disposizione; il datore di lavoro vigilava quotidianamente sul loro corretto utilizzo (dichiarazioni G. e B.); l'obbligo non poteva essere inteso come costante e continuativo; la impossibilità di usare il roll-bar in certi contesti lavorativi (teste G.) non valeva a dimostrare una tolleranza datoriale per il mancato impiego del presidio di sicurezza; era irrilevante il fatto che, al momento del sopralluogo ASP, quindi a distanza di tre mesi dall'infortunio, l'arco abbattibile fosse legato con una corda al contrappeso anteriore della trattrice, poiché tale circostanza non provava che il presidio si fosse presentato così anche il giorno dell'infortunio.
Quanto, poi, all'obbligo di formazione e informazione, la Corte d'appello ha ritenuto che il giudice di primo grado avesse violato l'art. 521, comma 2, cod. proc. pen., ritenendo in sentenza un profilo di colpa non contestato in imputazione, nella quale si faceva riferimento unicamente alla violazione dell'obbligo di vigilanza. In ogni caso, quel giudice ha considerato insussistente detto profilo di colpa specifica alla stregua della documentazione prodotta, pur se in copia fotostatica, delle dichiarazioni del consulente aziendale B. e del figlio della vittima, secondo cui erano stati tenuti specifici corsi di formazione per la conduzione dei trattori, ai quali la vittima aveva preso parte, lo stesso C. avendo affermato che il padre aveva acquisito negli anni una buona esperienza nella guida dei trattori, restando del tutto irrilevante la qualifica del lavoratore (bracciante agricolo amiché trattorista), poiché corsi di formazione erano uguali per l'una e per l'altra figura (teste B.).
4. I motivi sono fondati.
Il giudizio assolutorio si fonda su due valutazioni giuridiche errate che modificano in maniera consistente e decisiva sia la valutazione del compendio probatorio esaminato dai giudici del doppio grado ai fini dell'accertamento di un comportamento del lavoratore interruttivo del nesso causale tra l'evento e la condotta addebitata al datore di lavoro, ma anche la consistenza dell'addebito colposo al medesimo attribuito.
Il primo errore riguarda il verbale di sopralluogo del personale ASP del 7/10/2014, ritenuto inutilizzabile dai giudici dell'appello.
La Corte del gravame ha ricavato la dedotta nullità dalla violazione del disposto di cui all'art. 63, cod. proc. pen., a tenore del quale « l. Se davanti all'autorità giudiziaria o alla polizia giudiziaria una persona non imputata ovvero una persona non sottoposta alle indagini rende dichiarazioni dalle quali emergono indizi di reità a suo carico, l'autorità procedente ne interrompe l'esame, avvertendola che a seguito di tali dichiarazioni potranno essere svolte indagini nei suoi confronti e la invita a nominare un difensore. Le precedenti dichiarazioni non possono essere utilizzate contro la persona che le ha rese. 2. Se la persona doveva essere sentita sin dall'inizio in qualità di imputato o di persona sottoposta alle indagini, le sue dichiarazioni non possono essere utilizzate».
La disposizione di cui al comma 2 richiamato presuppone, intanto, che nei confronti del dichiarante sussistano già elementi indiziari di reità, conosciuti dall'autorità procedente, non rilevando a tale proposito eventuali sospetti o intuizioni personali dell'interrogante (Sez. U, n. 23868 del 23/4/2009, Fruci, Rv. 243417), indizi che devono inerire al medesimo reato ovvero al reato connesso o collegato attribuito al terzo (sez. 2, n. 20936 del 7/4/2017, Minuto/o, Rv. 270363).
Nel caso di specie, tale condizione effettivamente ricorre. Il C.F. era certamente già indiziato dell'omicidio colposo conseguente all'infortunio occorso il 2/7/2014 al suo dipendente, più di tre mesi prima, cioè, del sopralluogo (14/10/2014) effettuato dai tecnici ASP presso l'azienda dell'imputato, nel corso del quale questi aveva reso spontaneamente alcune dichiarazioni a contenuto auto indiziante.
Tuttavia, la norma postula anche un altro requisito, chiaramente desumibile dalla formulazione dell'art. 63, comma 1, cod. proc. pen.: deve, cioè, trattarsi di dichiarazioni rese nel corso di un "esame", atto processuale in cui un soggetto è convocato dall'autorità procedente (sia essa autorità giudiziaria o di polizia) per essere escussa sui fatti per cui si procede, con l'obbligo di comparire, di rispondere e di dire la verità (vale a dire, l'esame testimoniale nel corso del giudizio, le sommarie informazioni testimoniali, nel corso delle indagini preliminari). Come è stato efficacemente evidenziato da questa Corte di legittimità, sono la natura e la struttura dell'atto processuale compiuto che consentono di comprendere la ratio di garanzia sottesa al divieto, evidentemente informato al principio del nemo tenetur se detegere ed essa va utilizzata ai fini della sua interpretazione: la confessione della propria partecipazione al reato da parte di soggetto legittimamente sentito in origine come testimone o come persona informata sui fatti impone la immediata interruzione dell'esame, con conseguente inutilizzabilità erga omnes delle dichiarazioni ad essa successive (sez. 3, n. 29641 del 14/372018, Ermo, in motivazione).
Da queste premesse è agevole comprendere l'interpretazione della norma da parte dei giudici di legittimità. Questi hanno, per esempio, ritenuto che la stessa non sia invocabile laddove un soggetto, anche se sospettato di reità, renda dichiarazioni indizianti ad un appartenente alle forze dell'ordine al di fuori di un atto processuale qualificabile come esame: alle dichiarazioni rese ad agente "infiltrato" da soggetto poi qualificato come indagato o imputato non si applica né il divieto posto dall'art. 62 cod. proc. pen., né il limite di utilizzabilità previsto dall'art. 63, comma secondo, cod. proc. pen., quando le stesse non possono considerarsi rese nel corso di un esame o di sommarie informazioni in senso proprio, ma si inseriscono in un contesto commissivo in atto di svolgimento, sì da integrare esse stesse le condotte materiali del reato (Sez. 2, n. 14714 del 22/12/2016, dep. 2017, Macera, Rv. 269670); allo stesso modo - e più in generale - hanno precisato che alle dichiarazioni spontanee non si applica la disciplina di cui all'art. 63 cod. proc. pen., la quale concerne l'esame di persone non imputate e non sottoposte ad indagini, mentre le dichiarazioni spontanee provengono precisamente dalla persona nei confronti della quale vengono svolte indagini (art. 350, comma 7, cod. proc. pen.) e sono utilizzabili se il relativo verbale è stato acquisito al fascicolo per il dibattimento con il consenso delle parti; nemmeno è applicabile alle dichiarazioni spontanee la disciplina di cui all'art. 64 cod. proc. pen., perché concerne l'interrogatorio, che è atto diverso (sez. 5, n. 12445 del 23/2/2005, Di Stadio, Rv. 231689; sez. 6, n. 34151 del 27/6/2008, Vanese, Rv. 241466; sez. 3, n. 29641 del 14/3/2018, cit., Rv. 273209; sez. 4, n. 15018 del 25/2/2011, Amata, Rv. 250228; sez. 3, n. 20466 del 3/4/2019, 5., Rv. 275752; sez. 4, n. 2124 del 27/10/2020, Minauro, Rv. 280242; sez. 1, n. 15197 del 8/11/2019, Fonaro, Rv. 279125).
L'errore in diritto dei giudici d'appello non si è limitato all'inquadramento dell'atto contenuto in un verbale di sopralluogo, ma si è esteso anche alla ravvisata operatività del meccanismo sanzionatorio processuale.
Quei giudici non hanno infatti considerato che l'inutilizzabilità degli atti che siano stati eventualmente inseriti per errore nel fascicolo del dibattimento non è automatica, ma consegue alla tempestiva eccezione di parte, da proporre entro il termine previsto dall'art. 491, comma 2, cod. proc. pen., posto che la legge consente l'acquisizione, su accordo delle parti, di atti ulteriori rispetto a quelli previsti dall'art. 431, comma 1, cod. proc. pen. (sez. 3, n. 24635 del 4/2/2021, Hongfeng, Rv. 281781; sez. 6, n. 15968 del 8/3/2016, Carrara, Rv. 266995; sez. 5, n. 15624 del 15/12/2014, dep. 2015, De Luca, RV. 263261). Tale consenso, peraltro, può essere espresso anche tacitamente attraverso l'assenza di opposizione, se il complessivo comportamento processuale della parte interessata è incompatibile con una volontà contraria (sez. 5, n. 15624 del 2015, cit., Rv. 263260). È, poi, principio consolidato quello secondo cui le dichiarazioni autoaccusatorie spontaneamente rese nell'immediatezza dei fatti dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini sono pienamente utilizzabili se l'atto che le include, come la comunicazione della notizia di reato, sia stato acquisito al fascicolo per il dibattimento su accordo delle parti, senza che queste ultime abbiano formulato espresse limitazioni circa l'utilizzabilità di detto atto soltanto in relazione a specifici contenuti diversi dalle dichiarazioni stesse (sez. 2, n. 26209 del 23/2/2017, Panetta, Rv. 270314 ), poiché la mancata verbalizzazione di tali dichiarazioni, pur in contrasto con quanto prescritto dall'art. 357, cod. proc. per., non le rende nulle o inutilizzabili, in quanto nessuna sanzione in tal senso è prevista da detta norma, sicché, salvi i limiti di cui all'art. 350, commi 6 e 7, cod. proc. pen ., l'agente o l'ufficiale di polizia giudiziaria può fare relazione del loro contenuto all'autorità giudiziaria e rendere testimonianza de relato (sez. 1, n. 33821 del 20/6/2014, M., Rv. 263219; sez. 6, n. 8675 del 26/10/2011, dep. 2012, Labonia, Rv. 252279, in cui il principio è stato affermato con riferimento alla utilizzabilità nel giudizio abbreviato delle dichiarazioni spontanee rese dalla persona sottoposta alle indagini alla polizia giudiziaria, inserite in un verbale di perquisizione o sequestro e non in un autonomo verbale).
5. Una volta venuto meno l'assunto della pretesa inutilizzabilità delle dichiarazioni riportate nel verbale di sopralluogo e riconosciuta, viceversa, come correttamente aveva fatto il Tribunale nella sentenza di condanna, la piena utilizzabilità di quelle informazioni, in uno con l'intero contenuto del verbale, acquisito agli atti con il consenso delle parti, l'intero percorso giustificativo rinvenibile nella sentenza impugnata viene travolto, non avendo i giudici d'appello tenuto conto di un elemento (l'ordinario impiego di trattori in quel punto del terreno e l'esistenza di una prassi aziendale in ordine al loro utilizzo) ritenuto dirimente dal primo giudice al fine di scrutinare la esorbitanza o eccentricità del comportamento del lavoratore che gli stessi giudici d'appello hanno ritenuto interruttivo del nesso etiologico tra l'addebito colposo e l'evento mortale.
Profilo, questo, rispetto al quale vanno certamente confermati i principi cui ormai da tempo si attiene questo giudice di legittimità nel valutare gli obblighi di protezione che gravano sugli stessi lavoratori: in materia di prevenzione antinfortunistica, infatti, si è certamente passati da un modello "iperprotettivo", interamente incentrato sulla figura del datore di lavoro investito di un obbligo di vigilanza assoluta sui lavoratori (non soltanto fornendo i dispositivi di sicurezza idonei, ma anche controllando che di questi i lavoratori facciano un corretto uso, imponendosi contro la loro volontà), a un modello "collaborativo", in cui gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti, compresi i lavoratori, in tal senso valorizzando il testo normativo di riferimento (cfr. art. 20 d.lgs. n. 81/2008), il quale impone anche ai lavoratori di attenersi alle specifiche disposizioni cautelari e agire con diligenza, prudenza e perizia (cfr., sul punto, sez. 4 n. 8883 del 10/2/2016, Santini, Rv. 266073). In altri termini, si è passati, a seguito dell'introduzione del d.lgs 626/94 e, poi, del T.U. 81/2008, dal principio "dell'ontologica irrilevanza della condotta colposa del lavoratore" al concetto di "area di rischio" (sez. 4, n. 21587 del 23.3.2007, Pelosi, Rv. 236721) che il datore di lavoro è chiamato a valutare in via preventiva .
Tuttavia, e ciò va fermamente ribadito in questa sede, è sempre valido il principio secondo cui non può esservi alcun esonero di responsabilità all'interno dell'area di rischio, nella quale si colloca l'obbligo datoriale di assicurare condizioni di sicurezza appropriate anche in rapporto a possibili comportamenti trascurati del lavoratore (cfr. sez. 4 n. 21587 del 2007, Pelosi, cit.). All'interno dell'area di rischio considerata, quindi, deve ribadirsi il principio per il quale la condotta del lavoratore può ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo ove sia tale da attivarne uno eccentrico o esorbitante dalla sfera governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (cfr. sez. 4 n. 15124 del 13/12/2016, dep. 2017, Gerosa, Rv. 269603; cfr. sez. 4 n. 5007 del 28/11/2018, dep. 2019, Musso, Rv. 275017); oppure ove sia stata posta in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli e, come tale, al di fuori di ogni prevedibilità da parte del datore di lavoro, oppure vi rientri, ma si sia tradotta in qualcosa che, radicalmente quanto ontologicamente, sia lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (cfr. sez. 4 n. 7188 del 10/1/2018, Bozzi, Rv. 272222).
6. Quanto al secondo errore di diritto, esso inerisce alla interpretazione che la Corte territoriale ha dato alle regole processuali fissate nell'art. 521, cod. proc. pen., con particolare riferimento al principio di correlazione tra accusa e sentenza. Perché possa dirsi integrata una violazione di esso, intanto, non è sufficiente qualsiasi modificazione dell'accusa originaria, ma è necessaria una modifica che pregiudichi la possibilità di difesa dell'imputato. Ne consegue che detta violazione non sussiste quando, nel capo di imputazione, siano contestati gli elementi fondamentali idonei a porre l'imputato in condizioni di difendersi dal fatto successivamente ritenuto in sentenza, da intendersi come accadimento storico oggetto di qualificazione giuridica da parte della legge penale, che spetta al giudice individuare nei suoi esatti contorni (cfr. sez. 5 n. 7984 del 24/9/2012, dep. 2013, Jovanovic, Rv. 2 i4648). Tali principi sono coerenti con quelli costituzionali racchiusi nella norma di cui al novellato art. 111 Costituzione, ma anche con l'art. 6 della Convenzione E.D.U., siccome interpretato, in
base alla sua competenza esclusiva, dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, a partire dalla nota pronuncia Drassich c. Italia (cfr. CEDU 2 sez. 11 dicembre 2007); ma anche, più di recente, con la pronuncia del 22 febbraio 2018, Drassich c. Italia (n.2), con la quale la Corte di Strasburgo ha escluso la violazione dell'art. 6 cit. nel caso in cui l'interessato abbia avuto una possibilità di preparare adeguata mente la propria difesa e di discutere in contraddittorio sull'accusa alla fine formulata nei suoi confronti.
Nel caso in esame, difetta per l'appunto una lesione del diritto di difesa (che la stessa Corte territoriale infatti non indica), alla cui salvaguardia il principio di correlazione è direttamente funzionale, non apprezzandosi un rapporto di eterogeneità del fatto ritenuto rispetto a quello contestato (sez. 6, n. 10140 del 18/2/2015, Bossi, Rv. 262802): le ulteriori omissioni colpose individuate dal Tribunale, all'esito di una istruttoria partecipata e sviluppatasi nel pieno contraddittorio delle parti, non costituiscono, infatti, inediti profili di accusa, quanto piuttosto sviluppo di quelli espressamente evocati nell'editto accusatorio, rappresentando semmai ulteriori addebiti, strettamente correlati alla qualità incontestata del C.F., di gestore del rischio aziendale inerente all'utilizzo di macchine semoventi da parte di lavoratori che dovevano ricevere un'idonea formazione, informazioni sui connessi rischi e un addestramento pratico al loro utilizzo.
Sotto altro aspetto, va poi ribadita la fondamentale distinzione tra fatto "nuovo" e fatto "diverso", ai fini di una corretta lettura dell'art. 521 comma 2, cod. proc. pen.: per "fatto nuovo" si intende un fatto ulteriore ed autonomo rispetto a quello contestato, ossia un episodio storico che non si sostituisce ad esso, ma che eventualmente vi si aggiunge, affiancandolo quale autonomo thema decidendum, trattandosi di un accadimento naturalisticamente e giuridicamente autonomo; per "fatto diverso", invece, deve intendersi non solo un fatto che integri una imputazione diversa, restando esso invariato, ma anche un fatto che presenti connotati materiali difformi da quelli descritti nella contestazione originaria, rendendo necessaria una puntualizzazione nella ricostruzione degli elementi essenziali del reato (sez. 6, n. 26284 del 26/3/2013, Tonietti, Rv. 256861).
Pertanto, in tema di reati colposi, non sussiste la violazione del principio di correlazione tra l'accusa e la sentenza di condanna se la contestazione concerne globalmente la condotta addebitata come colposa, essendo, consentito al giudice di aggiungere agli elementi di fatto contestati altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, emergenti dagli atti processuali e, come tali, non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa (sez. 4, n. 35943 del 7/3/2014, Denaro, Rv. 260161, proprio in una fattispecie sovrapponibile a quella all'esame, in cui è stata riconosciuta la responsabilità degli imputati per lesioni colpose conseguenti ad infortunio sul lavoro non solo per la contestata mancata dotazione di scarpe, caschi ed imbracature di protezione ma anche per l'omessa adeguata informazione e formazione dei lavoratori; n. 7940 del 25/11/2020, dep. 2021, Chiappalone, Rv. 280950, in un caso in cui la Corte ha escluso la violazione dell'art. 521 cod. proc. pen. in relazione alla affermazione di responsabilità di un medico per il reato di omicidio colposo per la condotta, non contestata, consistita nel non aver sottoposto il paziente ad un nuovo intervento chirurgico, finalizzato all'eliminazione di una sacca formatasi nell'addome a seguito di precedente intervento, attività prevista dai protocolli medici per quel tipo di patologie e da ritenersi pertanto elemento noto, in quanto acquisito al processo sin dalla sua origine, rispetto al quale l'imputato aveva avuto la concreta possibilità di prendere posizione e difendersi, anche sotto il profilo delle linee guida in concreto da seguire; n. 53455 del 15/11/2018, Galdini De Lima, RV. 274500, in fattispecie in cui la Corte ha escluso che fosse configurabile una modificazione del fatte in un caso, relativo al decesso di un uomo a seguito dell'intervento di tre carabinieri che lo avevano bloccato a terra in posizione prona e con le mani dietro la schiena, in cui gli imputati, a fronte della originaria imputazione di colpa specifica, erano stati condannati per colpa generica, per non essersi resi conto che la prolungata immobilizzazione della persona offesa in tale posizione avrebbe potuto contribuire a causare l'evento mortale).
7. Pur essendo necessario, alla luce dell'errore ci diritto denunciato dai ricorrenti, operare la rettifica di cui sopra, va al contempo rilevato che la Corte d'appello ha esaminato l'ulteriore addebito colposo, concludendo per la sua inesistenza. Tale disamina, tuttavia, non supera il vaglio di legittimità quanto a congruità e idoneità della motivazione a sorreggere il ribaltamento della sentenza di condanna.
Il caso all'esame ci pone di fronte al tema generale della difformità delle sentenze di merito, nello specifico in senso favorevole all'imputato, e impone pertanto una doverosa premessa mediante il richiamo ai principi che questa Corte ha già da tempo elaborato in tema di motivazione rafforzata, al fine di procedere al controllo di legittimità della pronuncia impugnata, tenuto conto della diversità delle situazioni prospettabili.
8. In linea generale, quando le decisioni dei giudici di primo e di secondo grado sono concordanti, la motivazione della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complesso corpo argomentativo, mentre nel caso in cui, per diversità di apprezzamenti, per l'apporto critico delle parti e/o per le nuove eventuali acquisizioni probatorie, il giudice di appello ritenga di pervenire a conclusioni diverse da quelle accolte dal giudice di primo grado, non può 1-isolvere il problema della motivazione della sua decisione inserendo nella struttura argomentativa di quella di primo grado - genericamente richiamata - delle notazioni critiche di dissenso, in una sorta di ideale montaggio di valutazioni ed argomentazioni fr21 loro dissonanti, essendo invece necessario che egli riesamini, sia pure in sintesi, il materiale probatorio vagliato dal giudice di primo grado, consideri quello eventualmente sfuggito alla sua delibazione e quello ulteriormente acquisito, per dare, riguardo alle parti della prima sentenza non condivise, una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia ragione delle difformi conclusioni (Sez. U, n. 6682 del 04/02/1992, Musumeci, Rv. 191229).
Tali principi sono stati anche successivamente approfonditi, essendosi affermato che, in caso di totale riforma della decisione di primo grado, il giudice dell'appello ha l'obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato (Sez. U, n. 33748 del 12/7/2005, Mannino, Rv. 231679), mettendo alla luce carenze e aporie di quella decisione sulla base di uno sviluppo argomentativo che si confronti con le ragioni addotte a sostegno del decisum impugnato (cfr. sez. 2 n. 50643 del 18/11/2014, Fu, Rv. 261327), dando alla decisione, pertanto, una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia ragione delle difformi conclusioni (sez. 6 n. 1253 del 28/11/2013, dep. 2014, Ricotta, Rv. 258005; n. 46742 del 8/10/2013, Rv. 257332; sez. 4 n. 3922 del 11/7/2012, Rv. 254617.
Il controllo di legittimità nel caso in cui il ribaltamento del primo verdetto sia favorevole all'imputato, dunque, va condotto non già alla stregua del canone del "ragionevole dubbio", evidentemente estraneo alla fattispecie, bensì dei principi sopra richiamati che hanno trovato implementazione anche in successive pronunce di legittimità.
In maniera condivisibile, si è così affermato che il giudice d'appello, in caso di riforma, in senso assolutorio, della sentenza di condanna di primo grado, sulla base di una diversa valutazione del medesimo compendio probatorio, non è obbligato alla rinnovazione della istruttoria dibattimentale, ma è tenuto a strutturare la motivazione della propria decisione in maniera rafforzata, dando puntuale ragione delle difformi conclusioni assunte (sez. 4, n. 4222 del 20/12/2016, dep. 2017, Mangano, Rv. 268948, in fattispecie in cui la S.C., accogliendo il ricorso proposto dalle sole parti civili, ha annullato agli effetti civili la sentenza di assoluzione di secondo grado che, nel ribaltare la precedente decisione di condanna, aveva genericamente affermato l'esistenza di un ragionevole dubbio in merito agli addebiti di colpa degli imputati, senza approfondire adeguatamente la plausibilità tecnica della ricostruzione alternativa dei fatti, prospettata dalla difesa); sez. 3 n. 6880 del 26/10/2016, dep. 2017, DL,. Rv. 269523, in cui si è precisato che il dovere di motivazione rafforzata consiste nell'obbligo di offrire un autonomo ragionamento che non si limiti a una valutazione soltanto numerica degli elementi di prova contrapposti, ma ne consideri anche il peso, inteso come capacità dimostrativa di essi).
Tali principi sono stati da ultimo ulteriormente calibrati dal S.C. di questa corte (Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Troise, Rv. 27243), che ha definitivamente precisato che il giudice d'appello che riformi in senso assolutorio la sentenza di condanna di primo grado non ha l'obbligo di rinnovare l'istruzione dibattimentale mediante l'esame dei soggetti che hanno reso dichiarazioni ritenute decisive, ma deve offrire una motivazione puntuale e adeguata, che fornisca una razionale giustificazione della difforme conclusione adottata, anche riassumendo, se necessario, la prova dichiarativa decisiva.
9. Le censure dei ricorrenti sul punto specifico sono fondate, proprio alla stregua dei sopra richiamati principi. La pronuncia di secondo grado ha ribaltato quella di condanna, ritenendo peraltro erroneamente violato il principio di correlazione tra accusa e sentenza, senza fornire una motivazione puntuale adeguata delle proprie difformi conclusioni, incorrendo nel denunciato vizio di manifesta illogicità dedotto dalla difesa della parte civile, sussistendo parimenti la violazione di legge evidenziata con entrambi i ricorsi con riferimento al canone di valutazione del compendio indiziario disponibile.
Quanto al primo aspetto, infatti, non può non rilevarsi come il giudice d'appello abbia contrapposto una propria difforme valutazione in ordine alla sussistenza degli ulteriori addebiti colposi semplicemente ritenendo dirimenti le allegazioni difensive e le dichiarazioni del teste B., consulente aziendale. Tuttavia, ha omesso ogni riferimento, anche solo per svalutarli motivatamente e per superarne la conducenza, agli argomenti sui quali il Tribunale aveva basato le proprie difformi conclusioni al § 3.3.3 della sentenza appellata, previa analisi critica proprio della documentazione allegata a difesa e del contenuto dello stesso DVR redatto dal datore di lavoro. Il primo giudice, peraltro, aveva svalutato le dichiarazioni del B. e spiegato in senso difforme quelle di C., entrambe invece valorizzate dalla Corte d'appello, senza alcun riferimento alle valutazioni operate dal Tribunale e senza dar conto delle critiche mosse a quel ragionamento probatorio e delle relative ragioni giustificatrici.
Ora, è ben vero che la lettura degli elementi probatori è appannaggio della valutazione discrezionale del giudice di merito, ma di essa quel giudice deve fornire una spiegazione razionale che dia conto del percorso seguito. E se il sindacato sulla correttezza del procedimento probatorio non può consistere nella rivalutazione della prova, in quanto ciò comporterebbe inevitabilmente apprezzamenti riservati al giudice di merito, esso però deve tradursi nel controllo logico e giuridico della struttura della motivazione, al fine di verificare la correttezza del ragionamento che sostiene la decisione e la coerente applicazione delle regole della logica nell'interpretazione dei risultati probatori.
10. Per i motivi che precedono, la sentenza deve dunque essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Palermo per un rinnovato giudizio che faccia applicazione dei principi suindicati.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Palermo, cui rimette anche la regolamentazione tra le parti delle spese di questo giudizio di legittimità.
Deciso il 11 maggio 2022