Infortunio ad una macchina in un'azienda di grandi dimensioni: l'identificazione della persona responsabile non può farsi con esclusivo riferimento al vertice aziendale, ma deve essere individuata con riferimento ai compiti attribuiti e alle mansioni svolte in concreto;
Giurisprudenza collegata: Cass. pen. 26122/2005 ;
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dai Signori:
Dott. Giuseppe Viola Presidente
1. Dott. Fabio Mazza Consigliere
2. Dott. Vito Savino Consigliere
3. Dott. Ruggero Gabbiati Consigliere
4. Dott.ssa Luisa Bianchi rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Sul ricorso proposto da , n. a Como il 14-1-41 e , n. a Cles il 5.9.44
avverso la sentenza in data 15-12-98 della Corte di Appello di Milano
Visti gli atti, la sentenza denunziata ed il ricorso;
Udita la relazione fatta dal Consigliere Luisa Bianchi;
Udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale, Avv. Gen. Umberto Toscani che ha concluso per ann. Senza rinvio per la contravvenzione, rigetto nel resto.
Udito il difensore avv.to Carlo Noseda per
Fatto
Con sentenza della Corte di Appello di Milano è stata confermata la condanna di , legale rappresentante della spa e di , responsabile per la sicurezza dello stabilimento di Grandate, per il delitto di cui all'art. 590 co. 3, cod. pen. e per la contravvenzione, di cui all'art. 132 e 389 lett. A) dpr 547-55 in relazione all'incidente sul lavoro avvenuto in data 18.10.1994 ai danni di che subiva lo schiacciamento della mano destra con abrasione dei polpastrelli di tre dita, cui conseguiva una malattia superiore a 40 gg. e l'indebolimento permanente dell'organo della prensione. Secondo quanto risulta dalla sentenza di appello, l'incidente si verificava allorché il tentava di togliere un filo dalla pezza di seta in lavorazione con la macchina in movimento; macchina costituita da una vecchia "calandra carta" priva di presidi idonei ad evitare il trascinamento della mano nella zona dei cilindri in movimento.
Entrambi gli imputati propongono ricorso per cassazione, per mezzo dei rispettivi difensori.
deduce i seguenti vizi: 1) mancata assunzione di una prova decisiva in relazione alla mancata ammissione da parte del Pretore dei testi (esperto in materia antifortunistica) e (responsabile USL) sulla esistenza nella calandra di tutti i dispositivi di sicurezza all'epoca previsti dalla normativa antinfortunistica e sulla assenza di contestazioni da parte della USL nei sopralluoghi effettuati o, in alternativa, in relazione alla mancata effettuazione di consulenza tecnica; 2) illogicità della motivazione per la credibilità invece attribuita alla testimonianza , ispettore dell'Inail, contenente valutazioni, per di più erronee; 3) mancata effettuazione di consulenza tecnica di ufficio per accertare l'esatta dinamica del sinistro, e l'idoneità della barra tonda ad evitare la presa ed il trascinamento delle mani del lavoratore; si insiste nella tesi secondo cui il non si sarebbe schiacciato le mani dentro la calandra, ma contro la barra di protezione; si assume che, essendo incerto il punto in cui è avvenuto lo schiacciamento delle dita, si sarebbe dovuta effettuare una perizia e che, se tale accertamento non era più possibile perché la macchina era stata smontata, ciò non può addebitarsi all'imputato, che andava assolto; 4) violazione dell'art. 132 dpr 547-55 in quanto la macchina era fornita di tutti i dispositivi idonei a rendere inaccessibile la zona di imbocco e a determinare l'arresto immediato del macchinario, come prescritto dagli artt. 132 e 133 dpr cit. ; 5) carenza di un accertato rapporto di causalità tra l'omissione e l'evento: l'incidente si è verificato per la manovra assolutamente pericolosa dell'operaio che ha inserito le dita nell'interstizio tra barra di protezione e tessuto, manovra che nemmeno la presenza di una barra triangolare o di cellule fotoelettriche avrebbe potuto evitare; 6) mancanza e manifesta illogicità della motivazione per aver riconosciuto la responsabilità nonostante che tanto la sentenza di primo grado che quella di appello avessero riconosciuto che la macchina era dotata di tutti i mezzi di prevenzione previsti dal secondo comma dell'art. 132 (filo teso davanti all'imbocco dei cilindri, interruttori a forma di fungo predisposti a consentire l'immediato arresto della macchina e barra a sezione rotonda) e avessero riconosciuto che all'epoca dei fatti (18 ottobre 94) la barra a sezione triangolare e le cellule fotoelettriche non erano imposte da alcuna norma di legge; 7) mancanza di motivazione sulla richiesta di applicazione delle attenuanti generiche con giudizio di prevalenza; 8) violazione dell'art. 523 cod. proc. pen. per avere il Pretore illegittimamente disposto il rinvio dell'udienza dibattimentale per la discussione finale; 9) violazione di legge in relazione alla ritenuta ritualità della costituzione di parte civile, priva della sottoscrizione del difensore, essendo stata la firma di quest'ultimo apposto solo per autentica di quella della parte.
Per , richiamati innanzitutto i motivi addotti dal in quanto non personali, viene formulata la censura di mancanza e manifesta illogicità della motivazione sotto i seguenti profili: 1) per aver fondato la responsabilità degli imputati sul fatto che la barra predisposta per impedire che le mani del lavoratore venissero a contatto con i rulli era di sezione quadrata anziché triangolare, nonostante che si sia riconosciuto che la macchina era dotata di tutti gli ulteriori presidi e che la barra non arrotondata è stata imposta normativamente solo nel 1997, cioè dopo i fatti; 2) per aver ritenuto responsabile il Consigliere Delegato, trascurando di considerare che le notevoli dimensione dell'impresa e l'articolata organizzazione aziendale giustificavano l'assunzione di una responsabilità diretta quantomeno in capo al responsabile di ciascun stabilimento, indipendentemente dalla esistenza di una delega formale; in aziende di tale tipo la giurisprudenza riconosce che l'imprenditore non può essere ritenuto responsabile di ogni minima infrazione e una volta riconosciuto che dell'infrazione in questione (mancata previsione che una barra a sezione triangolare sarebbe stata più sicura di una a sezione cilindrica) era responsabile l'addetto alla sicurezza del lavoro dello stabilimento, la responsabilità avrebbe dovuto fermarsi in capo a quest'ultimo e non venire trasferita, a puro titolo di responsabilità oggettiva, all'imprenditore; il motivo è stato ulteriormente illustrato con una memoria; 3) per aver escluso la sussistenza di una valida delega, desumendola dalla mancanza di sottoscrizione, di delibera del consiglio di amministrazione e dal contenuto stesso del documento; 4) contraddittorietà per aver ritenuto responsabili entrambi gli imputati.
Diritto
Rileva preliminarmente il Collegio che in relazione alla contravvenzione di cui agli artt. 132 e 389 dpr 547-55, commessa il 18.10.1994, risulta decorso il termine massimo di prescrizione previsto dagli artt. 157 e 160 cod. pen. e pertanto, non sussistendo cause di proscioglimento più favorevoli, si deve dichiarare non doversi procedere nei confronti dell'imputato per estinzione del reato ed eliminare la relativa pena.
Passando ad esaminare il ricorso del , i numerosi motivi dallo stesso enucleati risultano infondati ed esso deve pertanto essere rigettato.
Al riguardo, con riferimento alle doglianze attinenti la ricostruzione del fatto e la sussistenza del nesso di causalità, si osserva innanzitutto che la ricostruzione del fatto, nel senso che la mano del venne in contatto con gli organi motori della calandra, risulta compiutamente e correttamente effettuata da entrambi i giudici di merito, essendosi in particolare il giudice di appello basato sulle dichiarazioni rese, anche in confronto con il , dalla parte lesa secondo le quali la sua mano fu trascinata all'interno della macchina ed entrò nei rulli in movimento, potendo essere estratta solo quando egli riuscì a bloccare il movimento attraverso l'interruttore laterale, dichiarazioni confermate dalla natura e gravità delle lesioni riportate, qualificate nella cartella clinica come "trauma da schiacciamento". Il convincimento dei giudici di merito è correttamente fondato e logicamente motivato anche per quanto attiene alla inidoneità della barra cilindrica di ridotto diametro a costituire valido ostacolo alle mani dell'operatore, desunta - oltre che dalla dinamica dell'incidente quale riferita dall'infortunato - dalle testimonianze rese dai testi , ispettore Inail e , di modo che le censure mosse al riguardo dall'imputato sconfinano nella inammissibilità, e cioè nella prospettazione, non consentita in questa sede, di una propria ricostruzione della vicenda, ovviamente più favorevole all'imputato, alternativa a quella accertata dalla due sentenze sopra richiamate. Nè sarebbe stato utile disporre una perizia, atteso che, come rilevato dall'impugnata sentenza, la macchina era stata smontata subito dopo l'incidente. Quanto poi alle caratteristiche della calandra, ed in particolare alla circostanza, che essa era dotata dei necessari dispositivi di sicurezza, osserva il Collegio che è pacifico che la calandra era in regola con la normativa antinfortunistica all'epoca vigente; del tutto irrilevante, come correttamente rilevato dal giudice di appello, era pertanto l'assunzione di testimonianze su tale profilo. La colpa è stata ravvisata nel non aver fornito la macchina di più moderni dispositivi che, sia pure resi obbligatori solo da disposizioni normative intervenute successivamente ai fatti, erano però presenti nelle macchine di più recente fabbricazione, ed in particolare in alcune macchine presenti in fabbrica. La questione è dunque se il datore di lavoro debba adeguare i dispositivi di sicurezza all'evoluzione della tecnica ancor prima che vi sia un obbligo normativamente imposto. Pienamente condivisibile è la decisione sul punto dei giudici di merito, conforme al principio di diritto da questa sezione già espresso (Cass. 29.4.94 n.10164, Kuster m.u. 200158) secondo il quale "Il datore di lavoro deve ispirare la sua condotta alle acquisizioni della migliore scienza ed esperienza per fare in modo che il lavoratore sia posto nelle condizioni di operare con assoluta sicurezza. Pertanto, non è sufficiente che una macchina sia munita degli accorgimenti previsti dalla legge in un certo momento storico, se il processo tecnologico cresce in modo tale da suggerire ulteriori e più sofisticati presidi per rendere la stessa sempre più sicura. L'art. 2087 cod. civ., infatti, nell'affermare che l'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa misure che, secondo le particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale del lavoratore, stimola obbligatoriamente il datore di lavoro ad aprirsi alle nuove acquisizioni tecnologiche". Nè efficacia esimente può attribuirsi alla circostanza che in occasione di visite ispettive non sia stato effettuato alcun rilievo, essendo anche in. proposito già stato affermato, e dal Collegio condiviso, che "la punibilità dei reati colposi non è esclusa da un qualsiasi errore sul fatto che costituisce reato, ma, ai sensi dell'art. 47 codice penale, solo dall'errore non determinato da colpa. Ne consegue che la circostanza che in occasione di visite ispettive non siano stati mossi rilievi in ordine alla sicurezza di una macchina, o alla regolarità di impianti, non può essere invocata per escludere la responsabilità del datore di lavoro; ciò perché la normativa antinfortunistica pone direttamente a carico dell'imprenditore l'obbligo di attuare le misure previste e di accertarsi della loro esistenza, sicché il destinatario di tale obbligo non può eluderlo trincerandosi dietro sempre possibili, carenze o superficialità di osservazione verificatosi nel corso di ispezioni, oppure dietro pareri sommariamente o informativamente espressi" (Cass. 7.4.89 n. 8355, Sgarigli m.u. 181538; Cass. 15.12.94, n. 8588 Rosaspina m.u.199223).
Infondate sono le censure sub 7 ed 8. La prima in quanto la richiesta di concessione delle attenuanti generiche è intervenuta solo con le conclusioni, senza la formulazione di alcuna specifica deduzione al riguardo, e pertanto il relativo rigetto non abbisognava di motivazione particolare. In ordine alla seconda, può richiamarsi quanto già osservato dal giudice di appello, e cioè che il rinvio è stato fatto per disporre del tempo che la complessità del caso richiedeva; può anche aggiungersi che, pur essendo auspicabile che la discussione finale segua immediatamente l'attività di assunzione delle prove, il rinvio dell'udienza non è comunque causa di nullità, non essendo una tale sanzione prevista da nessuna disposizione di legge.
Infondata è altresì la censura attinente alla validità della costituzione di parte civile, atteso che la costituzione porta la firma sia della parte che del difensore, quest'ultimo unicamente quale rappresentante processuale, al quale la procura speciale era stata regolarmente conferita in calce all'atto di costituzione ai sensi dell'art. 100, comma 2, cpp con sottoscrizione autenticata dallo stesso difensore come espressamente consentito dalla norma citata.
Merita invece accoglimento il ricorso del relativamente al secondo motivo, risultando assorbiti gli altri.
Rileva il Collegio che. il problema della individuazione dei soggetti responsabili della sicurezza del lavoro nell'ambito di imprese di grandi dimensioni, la cui attività si esplichi in distinti stabilimenti produttivi (e la spa occupava più di 1000 dipendenti, distribuiti in quattro stabilimenti) è sicuramente connotato da profili particolari che derivano dalla dimensione stessa della struttura e dalla complessità della sua organizzazione. In tali situazioni la "distanza" del "datore di lavoro", soggetto istituzionalmente responsabile ai sensi dell'art 4 del dpr 547-55 , e nella specie del legale rappresentante, dalla concreta situazione in cui si verifica l'incidente ha fatto spesso dubitare dello stesso fondamento della responsabilità, dovendosi escludere alla luce del principio fondamentale dettato dall'art. 27 cost., ogni forma di responsabilità oggettiva e quindi la configurazione in capo all'imprenditore di una responsabilità "di posizione". Si è pertanto riconosciuta la legittimità della delega da parte del datore di lavoro ad altro soggetto, ancorando la validità della stessa a precisi requisiti, che, non venendo nella specie in contestazione, non è necessario ricordare.
Nel caso che qui interessa, la difesa del aveva prodotto in giudizio una lettera, recante la data del 30 giugno 1994, indirizzata dall'ing. al medesimo , con la quale il primo dichiarava di accettare il mandato ricevuto nello stesso giorno, lettera di cui riportava il testo, del seguente tenore: "con riferimento alle intese intercorse, nella mia qualità di Consigliere Delegato, Le conferisco il seguente incarico e mandato: nella sua qualità di Responsabile sicurezza ed Energy man con la qualifica di dirigente, a provvedere con autonoma decisone ed anche con l'ausilio degli addetti alla manutenzione, alla realizzazione di quanto previsto dalla vigente legislazione in relazione a immobili, impianti,. macchinari e attrezzature aziendali tutte oltre alle relative condizioni di lavoro degli addetti; tutto ciò nel rispetto delle disposizioni in materia di prevenzione degli 'infortuni sul lavoro, di tutela della salute e della sicurezza sia dei lavoratori che dei terzi, nonché di misure contro gli inquinamenti, sia in tema di prevenzione e protezione che di sorveglianza sanitaria, di uso delle attrezzature di lavoro, di protezione da agenti cancerogeni e da agenti biologici ed in genere per tutto ciò che concerne le prescrizioni di sicurezza e di salute per i luoghi di lavoro ed il rispetto delle misure antinquinamento; a tali fini gli viene conferita, con il presente atto, formale delega munita dei necessari poteri di amministrazione nei limiti degli adempimenti relativi all'ambiente di lavoro sovraindicati, con assunzione a carico della sua persona in via totale ed esclusiva delle correlative responsabilità sia in sede civile ed amministrativa che penale".
Sia il Tribunale che la Corte di Appello hanno giudicato tale atto non sufficiente a fornire la prova dell'effettivo trasferimento di funzioni, rilevando in particolare il giudice di appello la mancanza di sottoscrizione da parte dell'imputato preteso delegante e di data certa, in difetto di riferimento alla occorrente delibera autorizzativa del consiglio di amministrazione; ha rilevato ancora il giudice di appello che dal testo in questione non emerge il conferimento di poteri decisionali ed autonomi di spesa, non potendosi attribuire rilevanza decisiva alla deposizione dello stesso e della teste attestanti una facoltà di spesa entro limiti di un confacente "budget" annuale.
Ad avviso del Collegio tale giudizio non è condivisibile in quanto volto a privilegiare l'aspetto formale relativo ai requisiti dell'atto di conferimento della delega, trascurando di valutare gli elementi dai quali poteva evincersi l'esistenza di una situazione di effettiva ripartizione di compiti. Ed invero, proprio la particolare realtà della situazione delle imprese di grandi dimensione, come sopra evidenziata, impone che sia fatto il massimo sforzo per accertare la effettiva situazione di responsabilità all'interno delle posizioni di vertice, per individuare i soggetti responsabili in coloro cui i compiti di prevenzione sono concretamente affidati con la predisposizione e l'attribuzione dei correlativi, necessari, poteri per adempierli. Come da più parti è stato osservato, la ripartizione delle mansioni all'interno degli organismi complessi rappresenta una necessità oggettiva imposta dalla stessa organizzazione aziendale, che non può essere negata per la difficoltà, spesso esistente, di ricostruire la situazione esistente e individuare così il soggetto responsabile; il principio di personalità della responsabilità penale impone all'interprete di compiere ogni sforzo per adeguare la realtà di fatto a quella normativa, evitando ovviamente di pervenire a soluzioni che, considerando legittima ogni delega, svuotino di contenuto l'obbligo di prevenzione normativamente imposto. Peraltro già da tempo la giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente ritenuto che nell'ambito delle imprese organizzate e particolarmente nelle società di capitali l'identificazione della persona responsabile non può farsi con esclusivo riferimento al vertice aziendale, ma deve essere individuata con riferimento ai compiti attribuiti e alle mansioni svolte in concreto (v. Cass.2.2.76, n. 12335 Lebole m.u.134855; Cass. 23.4.81, n. 6353 m.u. 149570; Cass. 17.1.86, n. 1390 Marafelli m.u. 171889).
Nella specie, le sentenze di merito hanno dato atto della esistenza di numerosi elementi che depongono per la sussistenza di una effettiva delega di funzioni da parte del al ; innanzitutto la anzidetta lettera, da cui risulta un articolato conferimento di poteri a quest'ultimo, dal medesimo accettati, il cui contenuto è confermato dalla sentenza di primo grado laddove individua con precisione i poteri del responsabile della sicurezza, ing. , secondo quanto appresso riportato "L'ing. opera secondo un piano di lavoro discusso e concordato periodicamente con la direzione generale; deve presentare un preventivo di spesa; ha poteri di spesa entro certi limiti; non ha poteri di firma di assegni; non ha il potere di acquistare macchinari ma solo attrezzature per la sicurezza". Poteri, come si è visto, riconosciuti anche dal giudice di appello, che tuttavia non vi attribuisce rilevanza mancando il "formale" riconoscimento di un autonomo potere. Ma, per quanto sopra detto, gli aspetti formali non possono condurre a risultati confliggenti con la realtà effettiva, che è risultata quella secondo cui il era a capo di uno dei quattro stabilimenti della , ed in tale posizione operava con sufficiente indipendenza sia per quanto riguarda la gestione produttiva che la capacità di spesa.
Deve pertanto escludersi la responsabilità del predetto per l'infortunio occorso al , atteso che l'intervento di adeguamento del macchinario, individuato dall'impugnata sentenza nella sostituzione di una barra a sezione triangolare rispetto a quella a sezione tonda, rientrava certamente nei poteri decisionali e di spesa del delegato . Nessun'altro profilo di colpa essendo stato addebitato al , la sentenza impugnata va conseguentemente annullata senza rinvio per non avere il ricorrente commesso il fatto.
P.Q.M.
La Corte:
annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di in ordine ai reati ascrittigli per non aver commesso il fatto. Annulla senza rinvio la sentenza stessa nei confronti di limitatamente alla contravvenzione ascrittagli perché estinta per intervenuta prescrizione e per l'effetto elimina la pena relativa di lire 1.000.000 di ammenda. Rigetta nel resto il ricorso del .
Così deciso in Roma il 26.4.2000
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 24 GIU. 2000