Cassazione Civile, Sez. Lav., 25 luglio 2022, n. 23195 - Adenocarcinoma del lavoratore. Insussistenza di un rapporto di derivazione causale tra ambiente lavorativo e malattia 


 

 

Presidente: MANNA ANTONIO
Relatore: SPENA FRANCESCA
Data pubblicazione: 25/07/2022
 

 

Rilevato che

1. Con sentenza del 14 aprile 2016 la Corte d'appello di L'Aquila confermava la sentenza del Tribunale di Pescara, che aveva respinto la domanda proposta da A.M.P., F.A. ed A.A., eredi di P. A., per l'accertamento della responsabilità, ai sensi degli articoli 2087 codice civile e 652 cod.proc.pen., della REGIONE ABRUZZO e del C.I.A.P.I.- CENTRO INTERAZIENDALE DI ADDESTRAMENTO PROFESSIONALE INDUSTRIA CHIETI-PESCARA (in prosieguo: C.I.A.P.I.) per la morte del loro congiunto e per la condanna delle parti convenute, in solido, al risarcimento dei danni subiti iure proprio e iure hereditario.
2. La corte territoriale respingeva il motivo di appello con il quale gli eredi censuravano la dichiarazione nel primo grado della carenza di legittimazione passiva della REGIONE ABRUZZO.
3. Osservava che il difetto di legittimazione passiva era rilevabile anche d’ufficio, sicché non era preclusiva della sua dichiarazione la tardività della costituzione in giudizio della REGIONE ABRUZZO. Nel merito, condivideva la decisione impugnata, tenuto conto del fatto che il rapporto di lavoro di A. PASQUALE era intercorso con il C.I.A.P.I., unico obbligato all'adozione delle misure di sicurezza e di tutela della salute dei lavoratori e che non rilevava il fatto che quest'ultimo ente fosse soggetto a poteri di indirizzo ed al sostegno finanziario della Regione Abruzzo.
4. Confermava il rigetto della domanda di risarcimento del danno.
5. Osservava che non poteva riconoscersi autorità al giudicato formatosi nel giudizio previdenziale in relazione alle prestazioni INAIL, al quale il C.I.A.P.I. non aveva partecipato; invece il giudicato formatosi nel giudizio promosso― anche nei confronti del C.I.A.P.I. ― da P.A. ed altri per il riconoscimento dei benefici previdenziali ai sensi dell'articolo 13, comma otto, L. nr 257/1992, aveva respinto la domanda dei lavoratori. Quanto al giudicato penale di assoluzione, la sua autorità nel giudizio civile andava limitata ai fatti, con esclusione di tutte le questioni giuridiche.

6. Il giudice dell’appello premetteva che sia qualificando la domanda in termini di responsabilità contrattuale (azione iure hereditario) che in termini di responsabilità ex articolo 2043 cod.civ. (azione iure proprio) gravava comunque sull’attore l'onere di provare l'esistenza del danno alla salute, la nocività dell'ambiente di lavoro, la connessione tra l'uno e l'altra.
7. Dalla documentazione, si ricavava: che la patologia che aveva causato il decesso (adenocarcinoma sinistro, aggravato da carcinoma renale e metastatizzazione linfonodale diffusa) era correlabile all'attività lavorativa svolta presso il C.I.A.P.I. solo in termini di possibilità; che negli ambienti di lavoro erano presenti soltanto piccole quantità di amianto di tipo crisotilo e di tipo crocidolite; che presso il C.I.A.P.I. non venivano effettuate lavorazioni che prevedessero l'utilizzo di amianto; che era risultata improbabile una diffusione ambientale delle fibre di amianto presenti nei pavimenti vinilici; che la minima presenza di amianto era stata rilevata al momento della bonifica ma non era certo riferibile all'intero periodo lavorativo, essendo derivata da un'usura progressiva del pavimento; che i lavori di bonifica erano stati effettuati con modalità tali da proteggere le zone non interessate dagli interventi; che nei laboratori non vi era mai stata alcuna presenza di amianto; che le rilevazioni effettuate avevano sostanzialmente dimostrato l'assenza di fibre aerodisperse negli ambienti di lavoro e di una concentrazione di amianto nell'aria superiore alla soglia minima di cui all'articolo 2 D.Lgs. nr. 277/1991, salvo singoli episodi.
8. In tale contesto non poteva addebitarsi al datore di lavoro di non aver predisposto ogni possibile cautela al fine di neutralizzare i rischi, che non risultavano adeguatamente provati.
9. Gli appellanti non avevano né allegato né fornito la prova, il cui onere era a loro carico, di specifiche omissioni datoriali nella predisposizione di quelle misure di sicurezza suggerite dalla particolarità del lavoro, dall'esperienza e dalla tecnica necessarie ad evitare il danno che fossero in concreto esigibili.
10. Hanno proposto ricorso per la cassazione della sentenza A.M.P., F.A. E A.A., affidato a tre motivi di censura ed illustrato con memoria, cui ha opposto difese con controricorso la REGIONE ABRUZZO; il C.I.A.P.I. è rimasto intimato.

 

Considerato che


1. Con il primo motivo le parti ricorrenti hanno denunciato― ai sensi dell’articolo 360 nr. 3 cod.proc.civ.― la violazione e falsa applicazione dell’articolo 100 cod.proc.civ., in riferimento alla statuizione del difetto di legittimazione passiva della REGIONE ABRUZZO.
2. Si deduce che la legittimazione passiva della REGIONE ABRUZZO era stata dichiarata nel giudizio per il riconoscimento dei benefici previdenziali legati all’amianto ex lege nr. 257/1992 (sentenza del Tribunale di Chieti nr. 1582/2002, divenuta definitiva) e che ulteriore risconto era dato dal giudizio penale, nel quale la Regione e il C.I.A.P.I., citati come responsabili civili, si erano costituiti senza sollevare eccezioni.
3. Si assume, da ultimo, che la legittimazione passiva della Regione Abruzzo risultava dai documenti di causa (nota di Giunta regionale nr. 3068/1997; perizia di cui al documento nr. 4) .

4. Il motivo è infondato.
5. Si rileva preliminarmente che la parte non può giovarsi della dichiarazione della legittimazione passiva della Regione Abruzzo compiuta nel giudizio per il conseguimento di prestazioni relative al rapporto previdenziale, che va distinto dal rapporto di lavoro. Neppure rileva la posizione assunta dalla Regione nel giudizio penale a seguito della sua citazione come responsabile civile.
6. Nel merito, la statuizione è immune dalle censure che le sono state mosse.
7. Giova premettere che i Centri interaziendali di addestramento professionale per l’Industria sono stati costituiti su iniziativa della Cassa per il mezzogiorno con compiti strumentali alle sue finalità istituzionali, come associazioni di diritto privato senza fini di lucro, pur beneficiando di erogazioni e contributi pubblici; alla Cassa per il Mezzogiorno sono poi subentrate le Regioni ai sensi dell’articolo 4 L. 6 ottobre 1971 nr. 853, senza che ne venisse trasformata la natura originaria (Cass. SU 12 settembre 1983 nr. 5537 che da tale assetto ha desunto la natura privatistica del rapporto di lavoro dei dipendenti; conf. Cass. SU 23 novembre 1993 nr. 11541).
8. Questa Corte ha altresì affermato (Cass. SU 9 ottobre 1990 nr. 9919 e giurisprudenza ivi citata)― in relazione alla configurabilità di un rapporto di garanzia della Regione, in quanto subentrata nei compiti della Cassa per il Mezzogiorno, per il finanziamento dell’ attività sociale ed educativa gestita da altri enti ― che: 1) gli enti gestori di tali attività sono i soli tenuti all'adempimento dell'obbligazione retributiva nei confronti dei propri dipendenti, senza che tale diretta responsabilità possa estendersi all'ente, stante l'assoluta eterogeneità di tale obbligazione, avente natura contrattuale, rispetto a quella di finanziamento, nascente «ex lege»; 2) nelle suddette ipotesi di finanziamento manca ogni collegamento del preteso rapporto di garanzia con quello principale dedotto in giudizio; 3) nessun'altra incombenza è devoluta alla Regione oltre a quella della prosecuzione del finanziamento, già inizialmente fornito dalla Cassa per il Mezzogiorno; 4) non è configurabile un collegamento, nemmeno indiretto, fra le due obbligazioni, rispettivamente, della Regione e dell'ente gestore dell'attività culturale e sociale, la prima attenendo esclusivamente al finanziamento e la seconda avendo natura contrattuale e trovando la sua ragion d'essere nell'instaurato rapporto di lavoro subordinato.
9. Nella fattispecie di causa, l’inadempimento dedotto concerne l’omessa predisposizione delle cautele inerenti alla protezione della salute del lavoratore, obbligazione che attiene al rapporto di lavoro e, dunque, fa capo unicamente al C.I.A.P.I.

10. Con la seconda critica viene dedotta la violazione e falsa applicazione ― ai sensi dell’articolo 360 nr. 3 cod.proc.civ.― degli articoli 2087 e 2043 cod. civ. in relazione alla statuizione resa sul difetto del nesso di causalità tra la malattia e l’attività lavorativa.
11. Si assume essere certa la presenza di amianto nel luogo di lavoro, in quanto risultante dalla sentenza del Tribunale di Chieti nr. 1582/2002 per il riconoscimento dei benefici previdenziali legati all’amianto ex lege nr. 257/1992, dalla motivazione della sentenza resa dal Tribunale di Chieti nel giudizio penale (sentenza nr. 1132/2011)― passata in giudicato ed opponibile ai convenuti per aver partecipato al giudizio quali responsabili civili― dalla sentenza del Tribunale di Pescara (nr. 1711/2005) e della Corte d’Appello di L’Aquila nel giudizio per il riconoscimento delle prestazioni dell’INAIL, dal parere CONTARP.

12. Il motivo è inammissibile.
13. Il giudice dell’appello, con giudizio di fatto, ha escluso la prova della derivazione della malattia dall’ambiente lavorativo. Rispetto a tale accertamento non vi era alcun vincolo di giudicato, essendo pacificamente intervenuta l’assoluzione degli imputati nel giudizio penale; tale assoluzione ha efficacia di giudicato nel giudizio civile di danno, ai sensi dell’articolo 652 cod.proc.pen., limitatamente all’accertamento che il fatto non sussiste ovvero che l’imputato non lo ha commesso.
14. Non è conferente la deduzione della violazione degli articoli 2087 e 2043 cod.civ.
15. Come ripetutamente affermato da questa Corte, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di una erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, mentre la allegazione, come prospettata nella specie da parte del ricorrente, di una erronea ricognizione della fattispecie concreta, a mezzo delle risultanze di causa, è esterna alla esatta interpretazione delle norme di legge ed impinge nella tipica valutazione del giudice del merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l'aspetto del vizio di motivazione. Il discrimine tra l'una e l'altra ipotesi― violazione di legge in senso proprio a causa della erronea ricognizione della astratta fattispecie normativa, ovvero erronea ricostruzione della fattispecie concreta― è segnato, in modo evidente, dal fatto che quest’ultima censura e non anche la prima è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (in termini, Cass. 5 giugno 2007, nr. 13066, Cass. 20 novembre 2006, nr. 24607; Cass. 11 agosto 2004, nr. 15499).

16. Il terzo mezzo è proposto ― ai sensi dell’ articolo 360 nr. 3 cod.proc.civ.― per violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2087 e 2043 cod. civ., per avere la Corte territoriale posto a carico del lavoratore l’onere di allegare e provare la mancata adozione da parte degli enti convenuti di rimedi adeguati a tutela della integrità psicofisica del lavoratore ex art. 2087 cod. civ., e/o idonei ad evitare un danno ingiusto ex art. 2043 cod. civ., errando nella ripartizione dell'onere della prova.
17. Il motivo è inammissibile per difetto di interesse delle parti ricorrenti alla censura.
18. Invero, l’accertamento della insussistenza di un rapporto di derivazione causale tra l’ambiente lavorativo e la malattia è autonomamente decisivo ad escludere la responsabilità del datore di lavoro, tanto ai sensi dell’articolo 2087 cod.civ. che in relazione all’articolo 2043 cod.civ.
19. L’ulteriore statuizione inerente agli oneri di allegazione e prova delle misure di protezione specifiche violate ― benché obbligatorie ex lege o sulla base delle conoscenze dell’epoca― costituisce una ratio decidendi autonoma e concorrente, sicché l’eventuale accoglimento della censura non potrebbe comunque condurre alla cassazione della sentenza.

20. Il ricorso deve essere nel complesso respinto.
21. Le spese di causa, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
22. Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto- ai sensi dell’art.1 co 17 L. 228/2012 (che ha aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 DPR 115/2002) - della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la impugnazione integralmente rigettata, se dovuto (Cass. SU 20 febbraio 2020 n. 4315).
 

P.Q.M.
 

La Corte rigetta il ricorso.
Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese, che liquida in € 4.000 per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 co. 1-quater del DPR 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella adunanza camerale del 27 aprile 2022