Cassazione Civile, Sez. Lav., 24 agosto 2022, n. 25288 - Risarcimento del danno da infortunio sul lavoro con una macchina impastatrice 


 

Presidente: RAIMONDI GUIDO
Relatore: LEONE MARGHERITA MARIA
Data pubblicazione: 24/08/2022
 

Fatto


La Corte di appello di Firenze con la sentenza n. 361/2020, resa a seguito di rinvio del giudice di legittimità ( ordinanza n. 24741/2018), aveva accolto la domanda di F.R. diretta ad ottenere la condanna della datrice di lavoro, La Taverna di B.C. e C., al risarcimento integrale del danno subito a seguito di infortunio sul lavoro occorso il 19 aprile 2000.
Premetteva la sentenza che sia il Tribunale di Perugia che la Corte di appello di Perugia avevano respinto la predetta domanda ritenendo non provata la responsabilità datoriale quanto all'infortunio, consistito nelle lesioni procurate alla lavoratrice dalla macchina impastatrice che la stessa stava adoperando e che, pur a seguito della apertura del coperchio, aveva continuato a funzionare così determinando la lesione al braccio della F.R.. La Corte di legittimità in sede di rinvio , aveva valutato la mancata osservanza dei principi in tema di oneri probatori ai sensi del disposto dell'art. 2087 C.c. e, in concreto , rispetto a circostanze pacifiche circa la modalità dell'infortunio, la mancata osservanza dei principi che impongono al datore di lavoro di fornire la prova di aver fatto tutto il possibile per evitare e prevenire il danno, adempiendo agli obblighi di sicurezza ( soprattutto in relazione alle eccezioni sollevate dalla lavoratrice in merito al modello della macchina utilizzata, non corrispondente a quello che avrebbe dovuto essere in dotazione con meccanismi di blocco della stessa in caso di apertura del coperchio).
La Corte di Firenze, in ragione dei principi posti dal Giudice di legittimità, accertava la responsabilità datoriale nella determinazione dell'evento e del danno e, trattandosi di infortunio antecedente all'entrata in vigore del D.lvo n 38/2000, liquidava, utilizzando le "tabelle milanesi", il danno biologico permanente, il danno biologico temporaneo e il danno morale, per la complessiva somma di E. 150.655,44, già rivalutata.
Avverso detta statuizione La Taverna S.a.s di B.C. in liquidazione e B.C. proponevano ricorso affidato a 12 motivi, cui resisteva F.R. con controricorso.
Entrambe le parti depositavano successiva memoria.
 

Diritto




1-2-3-)I primi tre motivi, sotto profili diversi , (Nullità del procedimento di rinvio e della sentenza in relazione all'art. 360 co.1 n. 4 c.p.c.; violazione e falsa applicazione dell'art. 47 e 141 e 392 c.p.c. in relazione all'art. 360 co.1 n. 3 c.p.c.) - ( Illegittimità costituzionale dell'art. 392, co.2 c.p.c. per contrasto con gli artt. 3,24 e 111 Cost.) - ( Nullità della sentenza in relazione all'art. 360 co.1 n. 4 c.p.c. con riguardo agli artt. 171,299,300,305,307,392,393 c.p.c. artt. 2323 e 2495 c.c.) hanno ad oggetto la decisione della corte fiorentina circa la validità della notifica del ricorso in riassunzione. La valutazione era stata espressa dalla corte di merito con l'ordinanza del 26.11.2019 nella quale erano esplicitati i motivi della decisione, ma tale ordinanza non è inserita nei motivi di ricorso in violazione al principio di specificità.
Questa Corte ha precisato a riguardo che "l'onere della indicazione specifica dei motivi di impugnazione, imposto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall'art. 366, comma 1, n. 4 c.p.c., qualunque sia il tipo di errore ("in procedendo" o "in iudicando") per cui è proposto, non può essere assolto "per relationem" con il generico rinvio ad atti del giudizio di appello, senza la esplicazione del loro contenuto, essendovi il preciso onere di indicare, in modo puntuale, gli atti processuali ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, nonché le circostanze di fatto che potevano condurre, se adeguatamente considerate, ad una diversa decisione e dovendo il ricorso medesimo contenere, in sé, tutti gli elementi che diano al giudice di legittimità la possibilità di provvedere al diretto controllo della decisività dei punti controversi e della correttezza e sufficienza della motivazione della decisione impugnata. ( Cass.n. 342/2021). Tale carenza, comune ai tre motivi di censura, costituisce motivo di inammissibilità. I ricorrenti inoltre si dolgono, anche sollevando questione di illegittimità della norma, della notifica dell'atto di riassunzione avvenuta ai sensi dell'art. 392 c.p.c. personalmente alla parte e non al domicilio eletto presso il difensore costituito e domiciliatario.
Risulta pacifica la circostanza che la notifica dell'atto di riassunzione sia stata effettuata presso la parte personalmente. Tale modalità è assolutamente coerente con il disposto del secondo comma dell'art. 392 c.p.c.
A riguardo questa Corte ha anche precisato che "la riassunzione del giudizio davanti al giudice del rinvio è nulla se eseguita con notificazione presso il domiciliatario ovvero al difensore costituito nelle pregresse fasi di merito anziché alla parte personalmente" ( Cass.29032/2017; Cass.n. 27094/2013).
Non rilevanti risultano pertanto le doglianze dei ricorrenti, attesa la ritualità della notifica in questione e l'assenza di indicazioni circa eventuali pregiudizi subiti.
Altresì priva di fondamento, se non inammissibile, l'ulteriore profilo di censura sollevato rispetto alla chiamata in giudizio della società in liquidazione, rispetto alla quale i ricorrenti ne assumono la estinzione, con conseguente necessità di proposizione della domanda nei confronti dei soci. Il motivo si basa su una errata sovrapposizione e confusione tra estinzione della società, che segue solo alla cancellazione ( Cass.n. 9110/12; Cass.n.8596/13; Cass.n.19580/17) con la cessazione dell'attività e liquidazione.
Questa Corte, peraltro, ha precisato che "la cancellazione della società dal registro delle imprese priva la stessa, a partire dal momento in cui si verifica l'estinzione della società cancellata, della capacità di stare in giudizio. Tuttavia, ove l'evento estintivo si verifichi nel corso del giudizio di secondo grado, prima che la causa sia trattenuta per la decisione e senza che lo stesso sia stato dichiarato, né notificato, dal procuratore della società medesima, ai sensi dell'art. 300 cod. proc. civ., per il principio dell'ultrattività del mandato", il suddetto difensore continua a rappresentare la parte come se l'evento non si fosse verificato, sicché il ricorso per cassazione notificato alla (pur estinta) società contribuente, presso il difensore costituito nei gradi di merito, risulta ritualmente proposto" (Cass.n. 26495/2014 conf. Cass. n. 20964/2018).
Pertanto, sia in ipotesi di avvenuta cancellazione della società nelle condizioni sopra riferite, che nella ipotesi della sola cessazione dell'attività e liquidazione ( ricorrente nel caso di specie), la notifica del ricorso in cassazione fatta alla società resta validamente effettuata.
I motivi, per tali plurime ragioni sono da ritenersi infondati.
4) Con il quarto motivo è dedotta la violazione di legge con riguardo all'art. 414 c.p.c. in riferimento al ricorso originario del 2003 ( introduttivo della lite) ed al riferimento generico in esso contenuto alla responsabilità datoriale, privo di indicazioni circa le norme violate dal datore di lavoro.
5) Il quinto motivo riguarda la violazione di legge con riferimento agli oneri probatori , asseritamente violati dalla corte fiorentina.
I motivi, da trattare congiuntamente, sono inammissibili: in via preliminare il mancato inserimento dell'atto richiamato espone la censura al già richiamato difetto di specificazione ( Cass.n. 342/2021). Priva di rilievo risulta inoltre la censura relativa all'atto introduttivo rispetto alla successiva evoluzione del giudizio, ai poteri interpretativi ed istruttori del giudice, ed infine alle prescrizioni contenute nell'ordinanza di rinvio alla cui osservanza la corte territoriale è tenuta .
6) Il motivo denuncia la violazione e falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 2087,1218,2697,2735,2730 c.c. e art. 213 c.p.c., nonché l'omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia. Le censure, sebbene richiamino la violazione di legge, in realtà mirano ad un nuovo esame del materiale probatorio, peraltro non in riferimento ad un singolo fatto storico ma all'insieme degli elementi prova esaminati dalla corte di merito. Il motivo è inammissibile.
7) Anche con il settimo e ottavo motivo, censurando la violazione di legge e l'omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, quale il comportamento della lavoratrice ai fini della interruzione del nesso causale tra evento e responsabilità datoriale, si mira, inammissibilimente, ad una ri­ valutazione delle circostanze di merito non consentita in sede di legittimità.
9) Il nono motivo rileva la violazione dell'art. 384 c.p.c. e 2697 c.c. ( art. 360 co.l n. 4 c.p.c.) con riguardo al mancato accertamento circa la sufficienza degli elementi probatori acquisiti. La censura è genericamente proposta poiché non indica quali sarebbero le circostanze da accertare ed è dunque inammissibile.
10) La censura proposta con il decimo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1223 e 2056 c.c., per non aver, la corte territoriale acquisito dall'Inail i dati sulla rendita mensile percepita dalla lavoratrice a seguito dell'infortunio, al fine di detrarla dall'importo liquidato. La doglianza , non emergente dalla sentenza impugnata, risulta nuova, e dunque inammissibile, anche perchè non contiene le indicazioni su come e dove sia stata in precedenza proposta in sede di merito. Peraltro, trattandosi di sinistro assoggettato, ratione temporis, alle disposizioni del DPR n. 1124/1965, nell'indennizzo considerato dall'Inail non era ricompreso il danno non patrimoniale , oggetto dell'attuale controversia.
11) L'undicesimo motivo deduce la violazione dell'art.2059 c.c. e 185 c.p.c., dell'art. 10 DPR 1124/1965 e art. 2697 c.c. , nonché dell'art. 414 c.p.c. circa la liquidazione del danno morale in assenza di reato.
In proposito questa Corte ha chiarito che (Cass.n.20620/2012) "In tema di risarcimento dei danni da infortuni sul lavoro e malattie professionali, l'accertamento di un danno all'integrità fisica del lavoratore, addebitabile all'insufficiente predisposizione di strumenti di sicurezza in violazione di un obbligo di legge (e, quindi, l'attribuibilità al datore di lavoro di tale condotta omissiva), costituisce implicita valutazione della ricorrenza dei presupposti astrattamente contemplati per la fattispecie penale del reato di lesioni quantomeno colpose". Il principio richiamato è stato anche di recente confermato allorchè si è statuito che "La responsabilità dell'imprenditore ex art. 2087 c.c., pur non configurando un'ipotesi di responsabilità oggettiva, sorge non soltanto in caso di violazione di regole di esperienza o di regole tecniche già conosciute e preesistenti, ma sanziona anche la omessa predisposizione, da parte del datore di lavoro, di tutte le misure e cautele idonee a preservare l'integrità psico-fisica del lavoratore in relazione alla specifica situazione di pericolosità, inclusa la mancata adozione di direttive inibitorie nei confronti del lavoratore medesimo" (Cass. 15112/20, 1509/21).
Il motivo deve essere disatteso.
12) Infine, da ultimo, la censura proposta con il dodicesimo motivo relativa alla violazione di legge in riferimento agli artt. art 91 e 92 c.p.c., art 24 Cost. e 132 c.p .c., con la quale parte ricorrente si duole della condanna alle spese, risulta assorbito dal rigetto di tutti i precedenti motivi e dalla conferma della impugnata sentenza.
Il ricorso deve essere complessivamente rigettato.
13) Con istanza del 1.4.2022 F.R. , premesso che nelle more del giudizio di legittimità era stata avanzata da B.C. e la Taverna sas di B.C. & C.in liquidazione, dinanzi alla corte di appello di Firenze, istanza di sospensione della esecuzione della sentenza emessa dalla corte fiorentina, oggetto dell'attuale giudizio di legittimità, e che la corte di merito aveva rigettato l'istanza ( ordinanza 13.4.2021), anche disponendo che la liquidazione delle spese del procedimento incidentale di sospensione spettasse alla corte di legittimità, tutto ciò premesso, la F.R. chiedeva disporsi la condanna alle spese in questione.
Questa Corte ha chiarito che "La liquidazione delle spese della procedura incidentale di sospensione dell'esecuzione della sentenza, prevista dall'art. 373 cod. proc. civ., spetta al giudice di legittimità e non al giudice di appello" ( Cass.n. 16121/2011); ha altresì specificato che "la richiesta di pronuncia, in sede di legittimità, sull'istanza di rimborso delle spese processuali affrontate dalla parte per resistere vittoriosamente all'istanza di sospensione dell'efficacia esecutiva della sentenza di merito impugnata, può essere esaminata alla condizione che l'istanza, e i relativi documenti da produrre, siano stati notificati alla controparte, ovvero che il contraddittorio con la medesima sia stato comunque rispettato in ragione della sua presenza all'udienza, così da permetterle di interloquire sul punto" (Cass.n. 18079/2020; 36646/2021).
Nel caso in esame è in atti la copia della ricevuta di avvenuta consegna della notifica telematica dell'istanza di liquidazione al procuratore degli attuali ricorrenti. In ragione dei principi affermati deve pertanto disporsi, come da dispositivo, la liquidazione delle spese relative al procedimento di sospensione della esecuzione della sentenza attualmente impugnata, in favore di F.R..
Le spese del giudizio di legittimità seguono il principio di soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell'art. 13 comma quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, in solido, dell'ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, ove dovuto.
 

P.Q.M.


La Corte rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali relative al giudizio di legittimità liquidate in E. 6.000,00 per compensi ed E. 200,00 per spese oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge e condanna i medesimi, in solido, al pagamento delle spese relative al procedimento di sospensione dell'esecuzione, liquidate in complessivi E. 3.000,00 per compensi ed E. E. 200,00 per spese oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13 comma quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, in solido, dell'ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma il 21 aprile 2022.