Cassazione Penale, Sez. 6, 15 settembre 2022, n. 34273 - Sequestro preventivo dello studio dentistico al professionista no-vax



Presidente Petruzzellis – Relatore Silvestri

 

Fatto


1. Il Tribunale di Forlì ha confermato il decreto di sequestro preventivo impeditivo dello studio dentistico nei riguardi di B.M. , indagato per il reato previsto dall'art. 348 c.p..

A seguito di un controllo dello studio dentistico, sarebbe stato accertato che B. esercitava la propria attività nonostante fosse stato sospeso con delibera dell'Ordine dei medici e degli odontoiatri di (omissis) dell'[…], a seguito dell'accertata inosservanza non giustificata dell'obbligo vaccinale contro l'infezione da Sars.

2. Ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell'indagato articolando tre motivi.

2.1. Con il primo si deduce vizio di motivazione; a fronte di una serie di temi introdotti dalla difesa, il Tribunale avrebbe adottato una motivazione apparente con particolare riguardo all'art. 4 del D.L. n. 1 aprile 2021, n. 44, convertito nella L. 28 maggio 2021, n. 76, che avrebbe delineato un iter procedimentale all'esito solo del quale il sanitario sarebbe considerato inadempiente all'obbligo vaccinale; l'accertamento avrebbe natura dichiarativa e non disciplinare e determinerebbe l'immediata sospensione dall'esercizio delle professioni sanitarie.

Prima dell'accertamento dell'inadempimento e dunque della sospensione conseguente non sarebbe possibile infliggere nessuna sanzione e il Tribunale avrebbe omesso di motivare in ordine al principio di specialità e al concorso tra fattispecie penale e amministrativa.

2.2. Con il secondo motivo si deduce violazione dell'art. 4 ter del D.L. n. 44 del 2021, secondo cui lo svolgimento dell'attività lavorativa in violazione dell'obbligo vaccinale di cui al comma 1 della norma in questione è punito con la sanzione di cui al comma 6 il quale, a sua volta, prevede che la violazione delle disposizioni di cui al comma 1 è sanzionata ai sensi del D.L. n.20 del 25 maggio 2020, art. 4, commi 1, 3, 5, e 9, convertito con modifiche nella L. 22 maggio 2020, n. 35.

L'art. 4, commi 1, 3, 5, 9 del D.L. n. indicato prevede che, salvo che il fatto costituisca reato, il mancato rispetto delle misure di contenimento di cui all'art. 1, comma 2, individuate ed applicate con i provvedimenti adottati ai sensi dell'art. 2, commi

12, ovvero dell'art. 3 è punito con una sanzione amministrativa e non si applicano le sanzioni contravvenzionali previste dall'art. 650 c.p. o da ogni altra legge attributiva di poteri per ragioni di sanità; aggiunge la norma in questione che, per quanto non stabilito, si applicano le disposizioni previste dalle sezioni I e II del capo I della L. n. 681 del 1981, in quanto compatibili.

Si sottolinea che il comma 5 richiama gli artt. 4- 4 bis, che regolamentano l'obbligo vaccinale per il personale sanitario (art. 4) ed amministrativo sanitario (4 bis), e prevede che "lo svolgimento dell'attività lavorativa in violazione dell'obbligo vaccinale di cui al comma 1 è punito con la sanzione di cui al comma 6 e restano ferme le conseguenze disciplinari secondo i rispettivi ordinamenti di competenza.

Sulla base del quadro di riferimento indicato sì assume che le conseguenze previste dal comma 5 siano di natura esclusivamente amministrativa.

2.3. Con il terzo motivo si lamenta violazione dell'art. 15 c.p. e L. n. 689 del 1981 art. 9.

Sostiene il ricorrente che, pur volendo ipotizzare un concorso di sanzioni concorrenti-una penale ed una amministrativa- in applicazione del principio di specialità e del favor rei dovrebbe prevalere quella amministrativa.
 

 

Diritto



1. Il ricorso, i cui motivi possono essere valutati congiuntamente, è inammissibile.

2. L'intero ricorso è fondato su un unico assunto costitutivo e cioè che l'accertata violazione da parte del sanitario dell'obbligo vaccinale comporta la sospensione dell'esercizio delle professioni sanitarie e che lo svolgimento dell'attività lavorativa in violazione del suddetto obbligo sarebbe sanzionato solo sul piano amministrativo.

Pur volendo ipotizzare, si aggiunge, l'eventuale concorso su uno stesso fatto di una sanzione penale e di una sanzione amministrativa, il conflitto apparente dovrebbe essere risolto, ai sensi dell'art. 9 della L. n. 689 del 1981, con la applicazione della sanzione amministrativa.

3. Si tratta di un assunto manifestamente infondato.

3.1. L'art. 4 ter, comma 5, del D.L. n. 44 del 2021 prevede:

Lo svolgimento dell'attività lavorativa in violazione dell'obbligo vaccinale di cui al comma 1 è punito con la sanzione di cui al comma 6 e restano ferme le conseguenze disciplinari secondo i rispettivi ordinamenti di appartenenza. Le disposizioni di cui al primo periodo si applicano anche in caso di esercizio della professione o di svolgimento dell'attività lavorativa in violazione degli obblighi vaccinali di cui agli artt. 4 e 4-bis.

Il comma 6 dell'articolo in esame a sua voltar prevede:

" La violazione delle disposizioni di cui al comma 2 è sanzionata ai sensi del D.L. n. 19 del 25 marzo 2020, art. 4, commi 1, 3, 5 e 9, convertito, con modificazioni, dalla L. 22 maggio 2020, n. 35. Resta fermo quanto previsto dall'art. 2, comma 2 bis, del D.L. n. 16 maggio 2020, n. 33, convertito, con modificazioni, dalla L. 14 luglio 2020, n. 74. La sanzione è irrogata dal prefetto e si applicano, per quanto non stabilito dal presente comma, le disposizioni delle sezioni I e II del capo I della L. 24 novembre 1981, n. 689, in quanto compatibili. Per le violazioni di cui al comma 5, la sanzione amministrativa prevista dal comma 1 del citato art. 4 del D.L. n. 19 del 2020 è stabilita nel pagamento di una somma da Euro 600 a Euro 1.500".

3.2. In tale quadro di riferimento, i motivi di ricorso rivelano la loro strutturale inammissibilità perché il fatto per cui si procede è diverso da quello disciplinato e sanzionato ai sensi dell'art. 4 ter, comma 5, cit.

La norma in questione ha infatti come presupposto lo svolgimento di un'attività lavorativa compiuta in violazione dell'obbligo vaccinale prima che, in ragione dell'accertamento della violazione, il soggetto sia sospeso dall'albo professionale.

Nel caso di specie, la condotta posta a fondamento del reato e del titolo cautelare reale per cui si procede è invece quella compiuta temporalmente dopo la sospensione dall'ordine dei medici - chirurghi e degli odontoiatri, quando, cioè, l'indagato non poteva più svolgere l'attività professionale.

Dunque, nella specie, non si è in presenza nè di un unico fatto, nè, tantomeno, di un medesimo fatto, nè di un concorso apparente di norme; si tratta di fatti autonomi e distinti disciplinati da norme diverse.

3. All'inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro 3000.

 

P.Q.M.
 


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.