Consiglio di Stato, Sez. 2, 20 settembre 2022, n. 8106 - Trasferimento della sede lavorativa e diritto di accesso




 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda) ha pronunciato la presente

SENTENZA




sul ricorso numero di registro generale 3779 del 2022, proposto da
Ra. Br., rappresentato e difeso dall'avvocato Luigi Azzena, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;


contro


Ministero dell'Interno, Questura di Sassari, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;


per la riforma


della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna (Sezione Prima) n. 00053/2022, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno e di Questura di Sassari;
Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 21 giugno 2022 il Cons. Oberdan Forlenza e uditi per le parti gli avvocati Luigi Azzena, Avv. dello Stato Liborio Coaccioli;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


 

Fatto



1. Con l'appello in esame, il sig. Ra. Br., vicequestore della Polizia di Stato impugna la sentenza 27 gennaio 2022 n. 53, con la quale il TAR per la Sardegna, sez. I, ha rigettato la sua istanza di accesso proposta nel corso della causa istaurata con il ricorso avverso gli atti con i quali è stato disposto il suo trasferimento dalla Questura di Sassari alla Questura di Nuoro.


Presentata istanza di accesso alle relazioni del Vice Questore vicario e del Questore p.t. di Sassari, in esito all'ispezione compiuta nei mesi di maggio-luglio 2020 presso il Commissariato di Porto Cervo- Arzachena, al quale il ricorrente era preposto come dirigente (a dire del ricorrente atti costituenti il presupposto del suo trasferimento), le stesse gli venivano ostese solo in data 6 febbraio 2021, con numerosi omissis.


Tale accesso limitato da omissis - si legge in sentenza - veniva motivato dall'amministrazione con riferimento alla presenza di dati sensibili di terzi, anche alla stregua del Reg. UE n. 679/2016, del d. lgs. n. 196/2003 e del d. lgs. n. 51/2018, nonché delle limitazioni di cui all'art. 4, co. 1, lett. i) D.M. n. 415/1994, in quanto documenti risultanti da inchieste, ispezioni e verifiche amministrative.


Le predette relazioni sono state comunque impugnate dall'attuale appellante con ricorso per motivi aggiunti "in quanto egli ha argomentato che, comunque, dal loro contenuto, pure oscurato, era possibile individuare alcune ragioni poste a sostegno della tesi ....(relativa) alla natura del trasferimento operato nei suoi confronti".


La sentenza impugnata afferma in particolare:


- l'amministrazione ha "fatto buon governo del potere di bilanciamento tra esigenze di conoscenza dell'interessato e di tutela della riservatezza, connessa alla posizione lavorativa, dei terzi che abbiano reso dichiarazioni in sede di ispezione";


- l'esigenza di tutela della riservatezza non è superata dall'essere il ricorrente già stato trasferito ad altra sede, poiché "non solo potrebbe essere assegnato nuovamente alla precedente sede, ma anche che sono gli stessi dichiaranti che potrebbero in futuro essere trasferiti in altra sede nella quale presta servizio anche il ricorrente, quale loro superiore gerarchico, sussistendo perciò pienamente le esigenze di tutela dei dichiaranti, al fine di prevenire future possibili pressioni o ritorsioni ai danni di questi ultimi";


- "le esigenze di riservatezza dei dichiaranti sussistono anche ai fini del buon andamento dell'attività dell'amministrazione e, dunque, anche nell'ulteriore direzione del rapporto intercorrente tra il Ministero, quale datore di lavoro, e il ricorrente, quale dipendente di esso";

- né è fondato il motivo con il quale si afferma che l'amministrazione avrebbe potuto limitarsi ad oscurare i nomi dei dichiaranti, non anche parte di quanto da essi dichiarato, poiché "l'amministrazione ha oscurato tutti gli elementi che avrebbero potuto portare all'identificazione dei dichiaranti (in quanto l'oscuramento) non può essere limitato meccanicamente alle sole generalità
dei lavoratori, ma deve riguardare tutti gli elementi fattuali sulla cui base sarebbe possibile identificare i dichiaranti stessi"; né il ricorrente "ha argomentato circa la decisività proprio di tali elementi a fini difensivi".


Avverso tale decisione - dopo esposizione delle ragioni di sussistenza dell'interesse all'accesso (pagg. 8-10 app.) - vengono proposti i seguenti motivi di appello:


a) error in iudicando; lesione del diritto di difesa ed erronea tutela dell'anonimato; omessa o errata applicazione Reg. UE 679/2016, art. 43, co. 2, l. n. 675/1996; d. lgs. n. 196/2003, d. lgs. n. 51/2018, l. n. 241/1990; art. 4, co. 1, lett. i), D.M. 10 maggio 1994 n. 415; contraddittorietà con le direttive del Ministero dell'Interno, contenute nella circ. 9 marzo 1999 n. 24, prot. M/2107/A e con la direttiva Comm. accesso 3 novembre 1997; contraddittorietà ed illogicità della motivazione; ciò in quanto le ragioni difensive che motivano l'accesso sono state illustrate e consistono nell'appurare le ragioni del trasferimento. In particolare, benché l'art. 4, co. 1, lett. i) D.M. n. 415/1994 sottragga all'accesso la "documentazione attinente ad inchieste ispettive sommarie e formali nonché a verifiche ispettive ordinarie e straordinarie", nondimeno sia l'art. 24, co. 7, l. n. 241/1990, sia il medesimo art. 4 precisano che l'accesso deve essere garantito a chi ne abbia necessità per la tutela di un proprio interesse giuridico (con prevalenza sul diritto alla riservatezza);


b) error in iudicando; errata o mancata applicazione art. 4, co. 1, d. lgs. n. 196/2003, nonché dell'art. 24, co. 6, lett. d) l. n. 241/1990, in correlazione al Reg. UE n. 679/2016, al d. lgs. n. 196/2003 e al d. lgs. n. 51/2018; violazione del diritto di difesa; motivazione illogica e contraddittoria; poiché "le dichiarazioni rese da dipendenti di PS durante l'attività ispettiva non costituiscono in alcun modo
dati personali sensibili";


c) error in iudicando e in procedendo; sentenza ipotetica; poiché non è "corretto motivare la decisione (qualsiasi decisione) in base a fatti non sussistenti nell'attualità e mai verificatisi in passato", così come avvenuto nella sentenza impugnata laddove si afferma che sussistono le esigenze di tutela dei dichiaranti "al fine di prevenire future e possibili pressioni o ritorsioni" ai loro danni;


d) error in iudicando e in procedendo; omessa pronuncia su un motivo di impugnazione; mancata valutazione dell'obbligo di cui all'art. 46 c.p.a.; poiché l'amministrazione non ha depositato atti che pure avevano formato oggetto di impugnazione.


Si sono costituiti in giudizio il Ministero dell'Interno e la Questura di Sassari.

All'udienza di trattazione in camera di consiglio la causa è stata riservata in decisione.


 

Diritto
 



2. L'appello è fondato e deve essere, pertanto, accolto.


3.1. Giova ricordare che l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con le proprie sentenze 25 settembre 2020 nn. 19, 20 e 21 e 16 marzo 2021 n. 4, ha ribadito sia che il diritto di accesso difensivo, ai sensi dell'art. 24, comma 7, l. n. 241/1990, deve essere "comunque" garantito al richiedente "per difendere i propri interessi giuridici", sia che tale diritto trova possibili limiti posti su un duplice livello:


- il primo, costituito dal livello dei dati sensibili (art. 9 Regolamento n. 2016/679/UE), dei dati giudiziari (art. 10) e quello dei dati supersensibili (art. 60 d. lgs. n. 196/2003);


- il secondo, costituito dal livello, per così dire "generico", dei limiti relativi al diritto di accesso in generale, che è in linea di massima escluso nei casi di cui ai commi 1, 2, 3, 5 e 6 dell'art. 24 (art. 22, co. 3).


Tali limiti - più incisivi nel primo livello, meno nel secondo - non sono comunque mai preclusivi in assoluto del diritto di accesso difensivo, richiedendosi invece, a seconda dei casi, una valutazione più o meno stringente da parte dapprima dell'amministrazione che valuta l'istanza e poi da parte del Giudice, chiamato a giudicare della fondatezza (o meno) del diniego opposto all'accesso (esplicitamente o per silentium).


Nel caso in cui si tratti di valutare semplicemente la prevalenza tra diritto di accesso difensivo e generico diritto alla riservatezza, la giurisprudenza amministrativa accorda, pacificamente, prevalenza al primo.


In ambedue le ipotesi, come affermato dall'Adunanza Plenaria (sent. n. 4/2021), soltanto attraverso l'esame della motivazione del diniego è possibile comprendere se il collegamento tra situazione legittimante e documento "esista effettivamente e se l'esigenza di difesa rappresentata dall'istante prevalga o meno sul contrario interesse alla riservatezza nel delicato bilanciamento tra i valori in gioco".


3.2. In ogni caso, il legislatore non ha inteso sottrarre "ex se" all'accesso i dati identificativi dei pubblici ufficiali: per un verso, nulla è previsto in tal senso; per altro verso, non è configurabile una

sorta di "diritto all'anonimato" del pubblico dipendente o di chi comunque svolge funzioni pubbliche, in relazione agli atti compiuti in tale esercizio.


Infatti, il diniego di fornire le generalità del pubblico ufficiale che ha posto in essere un atto pubblico o che ha comunque svolto attività amministrativa si risolverebbe in un inammissibile privilegio per la Pubblica Amministrazione, non costituzionalmente previsto e tutelato, ed anzi in un possibile contrasto con gli artt. 24 e 28 Cost., poiché il diniego di accesso inciderebbe sul pieno esercizio del diritto alla tutela giurisdizionale, garantito dall'art. 24 Cost., da esercitarsi nei confronti di dipendenti pubblici, non esenti dal regime di responsabilità, come affermato dall'art. 28 Cost..


D'altra parte, la stessa sottrazione all'accesso della segnalazione di condotte illecite, disposta dall'art. 54-bis d. lgs. 30 marzo 2001 n. 165, non è assoluta, consentendosene, nei limiti ivi previsti, la conoscenza da parte dell'interessato.


3.3. Quanto alla necessità dell'atto al quale si riferisce l'istanza di accesso al fine di esigenze difensive, l'amministrazione può valutare esclusivamente il collegamento "in astratto" tra documento ed esigenze difensive rappresentate (nel senso della non estraneità del documento al caso oggetto di esercizio del diritto di difesa), non potendo essa invece considerare l'ammissibilità (o meno) dell'azione o la rilevanza del documento ai fini di tutela giurisdizionale.


4. Nel caso di specie, i documenti ai quali l'appellante intende accedere (ed ai quali non è stato concesso accesso integrale) sono costituiti da relazioni ispettive sulle quali il medesimo ritiene che si fondi il trasferimento disposto nei suoi confronti (al punto di impugnare tali atti innanzi al giudice amministrativo, ritenendoli presupposto del provvedimento di trasferimento).


Orbene, come si è già detto, non può essere negato, in linea generale, l'accesso a documenti che riguardano espressamente la posizione giuridica dell'istante e che possono essere da questi utilizzati a fini di tutela giurisdizionale (ed in questo caso gli atti sono per di più oggetto di impugnazione).


Né le dichiarazioni rese da dipendenti pubblici nell'ambito di una ispezione (come nel caso di specie) rientrano tra i "dati sensibili", come normativamente definiti, e, in ogni caso, la esigenza di riservatezza non può essere ragionevolmente considerata prevalente sull'esercizio del diritto di difesa, costituzionalmente garantito.


Da ciò consegue che non può essere accordata prevalenza ad una supposta "tutela della riservatezza, connessa alla posizione lavorativa, dei terzi che abbiano reso dichiarazioni in sede di ispezione" (come non condivisibilmente affermato in sentenza).

Né può assumere rilievo, in sede di accesso, un profilo di inerenza della tutela della riservatezza "ai fini del buon andamento dell'attività dell'amministrazione e, dunque, anche nell'ulteriore direzione del rapporto intercorrente tra il Ministero, quale datore di lavoro, e il ricorrente, quale dipendente di esso" (come pure affermato in sentenza)


Per un verso, tale elemento della "riservatezza" (come finalizzato al buon andamento amministrativo) risulta estraneo alla ratio della tutela della riservatezza, eminentemente soggettiva; per altro verso, risulta confliggente proprio con la finalità del diritto di accesso, che l'art. 22 l. n. 241/1990 vuole volto ad assicurare la trasparenza e l'imparzialità dell'azione amministrativa.


Infine, non può assumere rilievo (sempre al fine di accordare prevalenza alla tutela della riservatezza), il timore di futuri "contrasti" tra dipendenti della medesima amministrazione, sia in quanto (come dedotto dall'appellante) si tratta di una mera ipotesi, sia in quanto ciò attiene ad aspetti organizzativi del rapporto di lavoro che non possono incidere in senso limitativo sul diritto di accesso; sia in quanto, ove "contrasti" in futuro vi fossero, l'ordinamento appresta i dovuti strumenti di tutela (non ultimo, quanto previsto dall'art. 54-bis d. lgs. n. 165/2001).


5. Occorre ancora osservare che l'accesso ai documenti amministrativi richiesti non è impedito dal
D.M. Interno 10 maggio 1994 n. 415 (Regolamento per la disciplina delle categorie di documenti sottratti al diritto di accesso), il quale:


- se all'art. 4, co. 1, lett. i), esclude dall'accesso la "documentazione attinente ad inchieste ispettive sommarie e formali, nonché a verifiche ispettive ordinarie e straordinarie";


- nondimeno al medesimo art. 4, co. 1, alinea, afferma come occorra comunque garantire "la visione degli atti relativi ai procedimenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere ...interessi giuridici".


6. Alla luce di tutte le considerazioni esposte, non può essere negato l'accesso "integrale" alle predette relazioni, ivi compreso il testo delle dichiarazioni rese nel corso dell'ispezione e i dati identificativi dei dichiaranti.


L'appello deve essere, pertanto, accolto, in relazione ai motivi di impugnazione, riportati sub lettere a), b) e c) dell'esposizione in fatto (il che rende superfluo l'esame dell'ultimo motivo proposto) e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, occorre ordinare al Ministero dell'Interno l'ostensione dei documenti richiesti in forma integrale, entro il termine di trenta giorni decorrente dalla notificazione della presente sentenza, ovvero dalla sua comunicazione, se anteriore.

Stante la natura delle questioni trattate, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti spese ed onorari del presente grado di giudizio.

 


P.Q.M.
 



Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda),


definitivamente pronunciando sull'appello proposto da Br. Ra. (n. 3779/2022 r.g.), lo accoglie e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, ordina al Ministero dell'Interno di consentire l'accesso ai documenti richiesti, nei modi e termini precisati in motivazione.


Compensa tra le parti spese ed onorari del presente grado di giudizio.


Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 giugno 2022 con l'intervento dei magistrati:


Oberdan Forlenza, Presidente FF, Estensore


Antonella Manzione, Consigliere


Carla Ciuffetti, Consigliere


Giancarlo Carmelo Pezzuto, Consigliere


Fabrizio D'Alessandri, Consigliere


DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 20 SET. 2022.