Cassazione Civile, Sez. 6, 06 ottobre 2022, n. 29083 - Rendita ai superstiti
Presidente: ESPOSITO LUCIA
Relatore: AMENDOLA FABRIZIO
Data pubblicazione: 06/10/2022
RILEVATO CHE
1. la Corte d’Appello di Napoli, con la sentenza impugnata, ha confermato la pronuncia di primo grado con cui era stata respinta la domanda proposta da A.C., nella sua qualità di amministratore di sostegno di L.C., “volta a conseguire la rendita ai superstiti ex art. 85 T.U. n. 1124 del 1965, di cui era stata beneficiaria la madre deceduta il 28 settembre 2015, in conseguenza del decesso per infortunio del proprio coniuge”;
2. la Corte territoriale, premesso che L.C. aveva goduto della redita quale figlio superstite sino al compimento del 18° anno di età e che, successivamente a tale data, “l’affermato diritto alla rendita ai superstiti si fonda […] sullo stato di inabilità del C.”, ha ritenuto che, “come già rilevato dal primo giudice, non vi è alcun elemento per ritenere che L.C. fosse inabile al lavoro all'epoca del decesso del proprio padre”;
3. “in ogni caso - secondo la Corte - il diritto fatto valere a distanza di oltre sei anni dalla cessazione della rendita è anche prescritto essendo applicabile alla fattispecie concreta il termine triennale di prescrizione, ex art. 112 T.U., interamente trascorso al momento della domanda amministrativa di ottobre 2015, come eccepito dall'Inail”;
4. per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso il C., n.q., con 2 motivi; ha resistito con controricorso l’INAIL;
5. la proposta del relatore ex art. 380 bis c.p.c. è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza camerale; parte ricorrente ha depositato memoria;
CONSIDERATO CHE
1. con il primo motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 85 T.U. n. 1124 del 1965, deducendo che il C., in quanto titolare dell’indennità di frequenza quando era minorenne era da considerare “inabile al lavoro” al momento del raggiungimento della maggiore età; si contesta che, ai fini del diritto alla rendita ai superstiti del figlio inabile, quest’ultimo debba trovarsi “in condizioni di inabilità assoluta al lavoro”, sostenendo che la disposizione richiamata “fa riferimento al concetto di inabilità, senza alcuna indicazione quantitativa del requisito sanitario”;
2. il motivo è infondato, atteso che la sentenza impugnata ha deciso la questione in modo conforme a precedenti di questa Corte con i quali il ricorrente neanche si confronta;
invero, in tema di rendita da infortunio sul lavoro prevista dall'art. 85 del T.U. n. 1124 del 1965 (sull'Assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali) in favore dei figli ultradiciottenni superstiti, il requisito della "inabilità", cui è subordinato dalla norma citata il relativo diritto dei figli superstiti, deve intendersi come incapacità totale ed assoluta del soggetto, per le sue condizioni biopsichiche, di esercitare un lavoro economicamente remunerativo, atteso che il legislatore quando ha voluto prendere in considerazione l'inabilità meramente ridotta, sia pure per graduare proporzionalmente l'indennità al danno subito, ha avuto sempre cura di specificarne il grado (Cass. n. 361 del 1989; Cass. n. 5890 del 1983; Cass. n. 6387 del 1981);
3. poiché la sentenza impugnata regge il suo decisum sulla base della descritta autonoma ratio decidendi, diviene inammissibile l’altro motivo di ricorso che censura l’affermazione dell’intervenuta prescrizione;
secondo questa Corte, qualora la sentenza impugnata sia basata su una motivazione strutturata in una pluralità di ordini di ragioni, convergenti o alternativi, autonomi l'uno dallo altro, e ciascuno, di per sè solo, idoneo a supportare il relativo dictum, la resistenza di una di queste rationes agli appunti mossigli con l'impugnazione comporta che la decisione deve essere tenuta ferma sulla base del profilo della sua ratio non, o mal, censurato privando in tal modo l'impugnazione dell'idoneità al raggiungimento del suo obiettivo funzionale, rappresentato dalla rimozione della pronuncia contestata (Cfr., in merito, ex multis, Cass. n. 4349 del 2001, Cass. n. 4424 del 2001; Cass. n. 24540 del 2009);
4. conclusivamente il ricorso deve essere respinto; non vi è luogo a provvedere per la rifusione delle spese in presenza della dichiarazione ex art. 152 disp. att. c.p.c.;
occorre invece dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020);
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 14 giugno 2022.