Cassazione Civile, Sez. 6, 06 ottobre 2022, n. 29090 - Malattia professionale e infortunio sul lavoro. Unificazione della rendita 


 

 

Presidente: ESPOSITO LUCIA
Relatore: PONTERIO CARLA Data pubblicazione: 06/10/2022
 

Rilevato che:
1. La Corte d'Appello di Napoli ha respinto l’appello di L.P., confermando la pronuncia di primo grado, con cui era stata respinta, per intervenuta prescrizione, la domanda di maggiorazione della percentuale di rendita per malattia professionale con quella da infortunio sul lavoro, nella misura del 21% o, comunque, pari o superiore al 20%, con condanna dell’Inail a costituire la rendita unitaria.
2. La Corte territoriale ha preliminarmente stralciato le note di trattazione depositate dall’appellante per l’udienza del 14.12.2020 ai sensi dell’art. 221 della legge 24 aprile 2020 n.27 (recante modifiche all’ art.83 del d.l. 17 marzo 2020 n.18, convertito in legge 24 aprile 2020 n.27) in quanto non autorizzate.
3. Inquadrata la fattispecie oggetto di causa nella previsione dell'art. 80, 2° comma, D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, il Collegio di merito ha accertato come l’appellante fosse titolare di rendita nella misura del 13% e che il giudizio definito con la sentenza n. 3842/2010 pronunciata in data 26.07.2010 dalla Corte di Appello di Napoli avesse avuto quale conseguenza unicamente il riconoscimento di un aggravamento nella misura del 19%; che al verificarsi del secondo infortunio (in data 25.07.2006), l’assicurato avrebbe dovuto presentare l’istanza in via amministrativa per il riconoscimento della rendita unitaria, nulla ostandovi e, conseguentemente, è dalla predetta data che dovesse farsi decorrere il termine triennale di prescrizione, nel caso di specie pacificamente trascorso (l’istanza di riunificazione è stata presentata il 30.5.2011).
4. Avverso tale sentenza L.P. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, illustrati da successiva memoria. L’Inail ha resistito con controricorso.
5. La proposta del relatore è stata comunicata alla parte, unitamente al decreto di fissazione dell'udienza, ai sensi dell'art. 380 bis cod. proc. civ.
 

Considerato che:
6. Con il primo motivo di ricorso è dedotta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, per avere la sentenza d’appello da un lato affermato che l’Inail avrebbe dovuto procedere d’ufficio alla ricostituzione della rendita tenendo conto “di tutte le preesistenze” e, dall’altro, che “l’istante avrebbe dovuto presentare l’istanza in via amministrativa per il riconoscimento della rendita unitaria”.
7. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta violazione ed errata applicazione degli artt. 80, 111 D.P.R. n. 1124 del 1965.
8. Si sostiene che la Corte di merito abbia errato nell’individuare quale dies a quo del termine triennale di prescrizione del diritto al riconoscimento della rendita unica di cui all'art. 112 del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, la data dall'evento infortunistico (25.7.2006) e non quella del provvedimento di unificazione o di rigetto dell’unificazione cui l’Inail deve procedere d’ufficio (21.3.2011), con sospensione fino a questo momento del termine di prescrizione (v. Cass., S.U. n. 11928 del 2019).
9. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia la violazione di norme imperative di livello costituzionale (diritto di difesa) per avere la Corte d’appello espulso dal giudizio le difese proposte nell’interesse dell’appellante con le note di trattazione depositate per l’udienza del 14.12.2020.
10. Il primo motivo non può trovare accoglimento nella parte in cui denuncia un vizio di motivazione insufficiente in ragione dell’applicabilità del nuovo testo dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. (sentenza d’appello del 5.9.13) che limita il sindacato di legittimità sulla motivazione al minimo costituzionale, con la conseguenza che l'anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all'esistenza della motivazione in sé, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di qualsiasi rilievo del difetto di "sufficienza", nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili", nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile" (Cass., S.U., n. 8053 del 2014). Nel caso in esame la motivazione non solo esiste ma risulta priva di intrinseche illogicità o di affermazioni inconciliabili, fondandosi sul principio per cui l’obbligo dell’Istituto di valutare d’ufficio eventuali preesistenze deve conciliarsi con il regime della prescrizione.
11. Il secondo motivo è infondato.
12. Occorre premettere che, come rilevato dall’Inail nel controricorso, nel caso di specie non era possibile alcuna unificazione della rendita poiché la malattia professionale ricadeva sotto il regime del D.P.R. n. 1124 del 1965 mentre l'infortunio era disciplinato dall'art. 13 del decreto legislativo n. 38 del 2000.
13. Questa Corte ha chiarito che “In tema di tutela Inail, ove l'assicurato, dopo l'entrata in vigore dell'art. 13 del d.lgs. n. 38 del 2000, subisca un infortunio o sia affetto da una malattia professionale che aggravi una menomazione preesistente, determinata da uno o più eventi lesivi già indennizzati in rendita o in capitale secondo la previgente disciplina, il nuovo grado di menomazione andrà valutato, secondo il principio di non unificazione dei postumi che ispira il comma 6, seconda parte, del citato art. 13, senza tener conto delle preesistenze, né del fatto che il nuovo danno sia concorrente, coesistente o riguardi lo stesso apparato inciso dalla precedente menomazione, con conseguente erogazione di due autonome prestazioni” (Cass. n. 6048 del 2018; n. 12629 del 2015; v. anche Corte Cost. sentenza n. 426 del 2006).
14. La parte ricorrente nella memoria depositata cita il primo periodo dell’art. 13, comma 6 cit., che concerne le “menomazioni preesistenti […] non indennizzati in rendita”, mentre la fattispecie oggetto di causa ricade nel secondo periodo della citata disposizione ai sensi del quale “Quando per le conseguenze degli infortuni e delle malattie professionali verificatisi o denunciate prima della data di entrata in vigore del decreto ministeriale di cui al comma 3 l'assicurato percepisce una rendita […], il grado di menomazione conseguente al nuovo infortunio o alla nuova malattia professionale viene valutato senza tenere conto delle preesistenze”.
15. La censura è, comunque, infondata atteso che la Corte di merito si è uniformata alla giurisprudenza di legittimità secondo cui “in materia di infortuni sul lavoro e malattie professionali, qualora il titolare di una rendita per infortunio sul lavoro proponga domanda giudiziale volta ad ottenere una rendita unificata che tenga conto di un ulteriore evento infortunistico, il termine triennale di prescrizione del diritto al riconoscimento della rendita unica di cui all'art. 112 del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, inizia a decorrere dall'evento infortunistico e non dall'accertamento giudiziale dell'indennizzabilità dei postumi, atteso che il processo, salvi casi eccezionali predeterminati dalla legge, può essere utilizzato solo come fondamento del diritto fatto valere in giudizio e non per perseguire ulteriori effetti, soltanto possibili e futuri, non essendo proponibili azioni autonome di mero accertamento di fatti giuridicamente rilevanti, che costituiscano elementi frazionistici della fattispecie costitutiva di un diritto, che può costituire oggetto di accertamento giudiziario solo nella funzione genetica del diritto azionato” (v. Cass. n. 27691 del 2011).
16. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile in quanto non censura la ratio decidendi della sentenza impugnata sulla assenza di autorizzazione al deposito delle note e sulla conseguente violazione del principio del contraddittorio. La censura è peraltro generica in quanto non specifica in che modo e per quali aspetti, non potuti sottoporre al giudice, debba ritenersi violato il diritto di difesa.
17. Le considerazioni svolte conducono al rigetto del ricorso.
18. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
19. Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui all’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della L. 24 dicembre 2012 n. 228.

 

P.Q.M.


La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 3.000,00 per compensi professionali, in euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nell’adunanza camerale del 14.6.2022