Cassazione Penale, Sez. 4, 17 ottobre 2022, n. 39016 - Ribaltamento mortale con la betoniera: mancanza di patente e veicolo in cattivo stato di manutenzione
- Dispositivo di Protezione Individuale
- Lavoratore e Comportamento Abnorme
- Macchina ed Attrezzatura di Lavoro
Presidente: FERRANTI DONATELLA Relatore: PEZZELLA VINCENZO
Data Udienza: 27/09/2022
Fatto
1. La Corte di Appello di Napoli, pronunciando nei confronti dell'odierno ricorrente D.S., con sentenza del 22/10/2021 confermava la sentenza emessa in data 8/2/2018 dal Tribunale di Napoli che lo aveva condannato alla pena condizionalmente sospesa di anni due di reclusione, con condanna al risarcimento a favore della parte civile e provvisionale di 15.000 euro per il reato di cui all'art. 589 co.1 e 2 cod. pen in relazione agli artt. 36, 37, 70, 71, 73 D.Lvo n. 81/2008 perché, in qualità di legale rappresentante della ditta SICAT Edilizia e Trasporti s.r.l. con sede in Napoli via Ben Hur n. 11, per imprudenza, negligenza ed imperizia e per inosservanza delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro cagionava la morte di V.U.. Ed invero il D.S. adibiva il V.U., dipendente della Sicat Edilizia e Trasporti s,r.l. avente la qualifica di manovale edile, allo svolgimento di mansioni di autista incaricandolo di guidare il veicolo Betoniera Autocaricante DB260SL targata AHD968, marca Fiori s.p.a. nonostante il V.U. fosse sprovvisto di patente di guida idonea alla tipologia di veicolo e privo di specifica formazione tecnico professionale. Il veicolo risultava privo della porta di accesso alla cabina di guida, del vetro parabrezza nonché del vetro lunotto posteriore.
Il V.U. procedeva senza avere allacciato la cintura di sicurezza in via Pietra bianca - direzione via Pisani - ed affrontava una curva a destra in discesa, quando perdeva il controllo della macchina operatrice che si ribaltava sul lato destro. Il V.U. veniva quindi proiettato al di fuori dell'abitacolo e perdeva la vita schiacciato dal mezzo.
Nelle qualità di cui sopra il D.S. determinava l'evento con la condotta colposa caratterizzata dalla violazione delle vigenti norme in materia di sicurezza sui lavoro, stabilite dal D.Ivo n. 81/2008. In particolare, il V.U., adibito alle generiche mansioni di autista, veniva incaricato dal datore di lavoro della conduzione su strada del veicolo predetto, nonostante la vittima non fosse abilitata alla guida di macchine operatrici con massa superiore a 3500 Kg.
L'autobetoniera data in uso al V.U., attesa la mancanza della porta di accesso alla cabina di guida, del parabrezza e del lunotto posteriore, non risultava conforme ai requisiti dì sicurezza richiamati nel D.Ivo n.81/2008 e riportati specificamente nel Manuale di uso e manutenzione del veicolo, che espressamente prescriveva di "non modificare, riparare o rimuovere la struttura protettiva dell'operatore. La protezione offerta dalla cabina/tettuccio ne risulterebbe compromessa, creando un rischio che potrebbe provocare la morte ".
Inoltre, presso la Sicat Edilizia e Trasporti s.r.l. non veniva rinvenuta alcuna documentazione relativa alla formazione di V.U. per le mansioni di autista di autobetoniere, né risultava espletata alcuna attività formativa specifica, come l'illustrazione al conducente delle prescrizioni contenute nel Manuale di uso e manutenzione del veicolo, che prevedeva che "la macchina è dotata di cabina di sicurezza ROPS. Nel caso di ribaltamento è necessario però che l'operatore sia allacciato con la cintura di sicurezza, altrimenti verrà proiettato all'esterno e correrà il rischio di rimanere schiacciato da! mezzo".
In Quarto il 26 ottobre 2012
2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, D.S., deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att., cod. proe, pen.:
Con un primo motivo il ricorrente lamenta manifesta illogicità della motivazione quanto alle risposte che la Corte territoriale avrebbe dovuto fornire in relazione alle numerose doglianze avanzate in sede di gravame del merito avverso la sentenza di primo grado.
Secondo il ricorrente i giudici di appello non avrebbero tenuto conto delle indicazioni quanto ai criteri di valutazione del materiale probatorio confluito in atti, in quanto il rapporto di garanzia che si instaura tra datore di lavoro-garante e lavoratore, non determina, al verificarsi di un sinistro, l'automatico addebito di responsabilità colposa a carico del garante (il richiamo, ex multis, è a Sez. 4 n. 3786/2015).
Secondo quanto si legge in ricorso affermare, come fanno i giudici di appello, che sussiste la responsabilità per colpa del datore di lavoro avendo affidato al V.U. la guida della betoniera, a pieno carico, sebbene non avesse conseguito la patente C avrebbe natura meramente assertiva di siffatta affermazione, senza che vi sia a sostegno alcun iter argomentativo, in quanto si sarebbero dovute specificare le ragioni in virtù delle quali attribuisce la responsabilità penale dell'imputato sulla circostanza dell'affidamento del veicolo in capo ad un soggetto sprovvisto del relativo titolo abilitativo.
Con un secondo motivo si lamenta il travisamento di una prova - peraltro tecnica - affetta da errore revocatorio per omissione. Nel caso specifico la difformità cadrebbe sui significato del documento e non sul significato del documentato.
In particolare, il giudice di appello incorrerebbe nell'identico errore commesso dal giudice di primo grado in ordina al totale travisamento della prova - dichiarativa e documentale - di natura tecnica, introdotta dall'imputato.
Ci si duole che la difformità di giudizio e di valutazione nelle consulenze agli atti del processo - peraltro inspiegabile data il difforme contenuto tecnico certamente a favore del consulente difensivo - avrebbe indotto anche il giudice di secondo grado a ritenere che "semplici illazioni poste a fondamento di un programma software non consentono di ritenere cause diverse dall'incidente che possono escludere la responsabilità per colpa del D.S., per cui va rigettato il motivo di appello in oggetto".
Si tratta, per il ricorrente, di una motivazione - del tutto insufficiente - che traviserebbe il dato tecnico incidendo in maniera inequivocabile sulla formazione del giudizio finale. Il software cui fa riferimento la sentenza, di una notevole complessità, ha, invero, accertato - sulla base di tutti i dati reali ed emersi nel corso delle indagini preliminari - che la causa dei decesso è riconducibile alla condotta incauta avuta dalla persona offesa dal reato in relazione ad una circostanza - ossia l'allacciamento della cintura di sicurezza - che rientra nella sfera di conoscibilità di chiunque abbia conseguito un titolo abilitante alla guida e che prescinde dalle categorie della patente di guida.
Con un terzo motivo si lamenta mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine ai diniego delle circostanze attenuanti generiche e della circostanza di cui all'art. 62 n. 5 cod. pen.
Anche a questo riguardo, si duole il ricorrente, c'è un'adesione totale e puntuale della Corte territoriale alle argomentazioni sostenute dal giudice di primo grado.
Ricorda il ricorrente che, in tema di attenuanti generiche, al giudice viene riconosciuta la facoltà di cogliere nei motivi che hanno determinato il fatto-reato, nelle circostanze che lo hanno caratterizzato ovvero nel danno effettivo dallo stesso cagionato, quegli elementi di disvalore che possono giustificare il rifiuto delle suddette diminuenti. Tuttavia, secondo l'orientamento prevalente nella giurisprudenza di legittimità, questi elementi devono presentare delle connotazioni tanto peculiari e di tale rilevante peso, da incidere in modo assai significativo ed esclusivo sulla quantità", oggettiva e soggettiva, del reato. al punto da permettere di escludere l'applicazione concreta delle circostanze dì cui all'art. 62 bis cod. pen. Orbene, nulla di tutto questo sarebbe rinvenibile in motivazione della sentenza impugnata, che, sul punto, oltre a! rapido richiamo ad una generica gravità del fatto, non si è soffermata ulteriormente.
Viene ricordato che, con la sentenza 10 giugno 2011, n. 183 la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 62-bis, secondo comma, del codice penale, come sostituito dall'art. 1 co.. 1, della legge 5 dicembre 2005, n. 251, nella parte in cui è previsto che, ai fini dell'applicazione del primo comma dello stesso articolo, non si possa tenere conto della condotta del reo, susseguente al reato. E tra i motivi d'illegittimità costituzionale della norma ;allevati dal giudice rimettente, vi era la denunzia di incongruenza della stessa, in quanto finalizzata a «privilegiare in astratto solo uno dei parametri valutativi della capacità a delinquere, disconoscendo a priori la possibilità di individuare parametri ugualmente o maggiormente idonei a lumeggiare quella capacità ed a fonda1·e una diminuzione di pena, in termini conformi al dettato costituzionale».
Il giudice d'appello - ci di duole- nel negare la concessione delle circostanze attenuanti generiche considera tutti gli elementi sfavorevoli all'imputato senza tener conto della circostanza documentalmente dimostrata del totale risarcimento del danno - peraltro economicamente consistente - da parte dello stesso.
Chiede, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata.
3. Nei termini di legge ha rassegnato le proprie conclusioni scritte per l'udienza senza discussione orale (art. 23 ca. 8 d.l. 137/2020 conv. dalla I. n. 176/2020, come prorogato ex art. 16 d.l. 228/21 conv. con modif. dalla 1.15/22), il P.G., che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
Diritto
1. I motivi sopra illustrati sono manifestamente infondati e, pertanto, il proposto ricorso va dichiarato inammissibile.
Le censure proposte dal ricorrente si sostanziano nella riproposizione delle medesime doglianze già sollevate in appello (senza un adeguato confronto, nel ricorso, con le argomentazioni svolte dalla Corte di Appello in merito alle dette doglianze). Per contro, l'impianto argomentativo del provvedimento impugnato appare puntuale, coerente, privo di discrasie logiche, del tutto idoneo a rendere intelligibile l'iter logico-giuridico seguito dal giudice e perciò a superare lo scrutinio di legittimità, avendo i giudici di secondo grado preso in esame le deduzioni difensive ed essendo pervenuti alle loro conclusioni attraverso un itinerario logico-giuridico in nessun modo censurabile, sotto il profilo della razionalità, e sulla base di apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in sede di legittimità.
2. Tuttavia, come si evince a pag. 3 della sentenza impugnata e come trova conferma ex actis, all'udienza del 22 ottobre 2021 il difensore dell'imputato ha depositato l'atto di transazione stipulato con le parti civili, che essendo state risarcite, hanno dichiarato di rinunciare all'azione e della rinuncia della parte. E della rinuncia della parte civile si dà atto anche a pag. 9 della sentenza impugnata.
Erra, tuttavia, il giudice del gravame nel merito nel ritenere che nulla andasse disposto sul punto.
Essendoci stata in primo grado condanna dell'imputato al risarcimento del danno in favore della parte civile, con una provvisionale a favore della stessa, in presenza di una rinuncia della parte civile e dell'avvenuto risarcimento delle stesse, andavano annullata tali statuizioni.
Ciò non essendo stato fatto, pur in difetto di un motivo di ricorso sul punto, a ciò dovrà provvedere questa Corte di legittimità pur in assenza di uno specifico motivo di ricorso sul punto in quanto la rinuncia alla costituzione di parte civile, determinando l'estinzione del rapporto processuale civile inserito nel processo penale, impedisce al giudice penale di mantenere ferme le statuizioni civili relative ad un rapporto processuale ormai estinto.
Costituisce, infatti, ius receptum, l'affermazione che la Cassazione, investita di un ricorso proposto dall'imputato e relativo alla responsabilità penale, deve - preso atto della sopravvenuta revoca della costituzione di parte civile - annullare senza rinvio la sentenza in ordine alle statuizioni civili in essa contenute (cfr. Sez. 4, n. 31320 del 15/4/2004, Di Tria ed altro, Rv. 228839; conf. Sez. 6, n. 12447 del 15/5/1990, Rv. 185345). E, ancora recentemente, nel ribadire il principio di diritto, si è precisato che ciò deve avvenire anche di ufficio (così Sez. 2, 43311 del 8/10/2015, Vismara, Rv. 265250 che ha annullato le statuizioni civili della sentenza di condanna pur avendo dichiarato inammissibile il ricorso proposto dall'imputato; vedasi anche Sez. 2, n. 25673 del 19/5/2009, Rv 244169 qualora la revoca intervenga nel corso del giudizio di appello).
L'affermazione che a tale deliberazione debba pervenirsi anche di ufficio, appare, peraltro, conclusione coerente con il dato normativo, posto che in caso di revoca della costituzione di parte civile cessano gli effetti di tale costituzione (art.76, co. 2, cod. proc. pen.), con conseguente caducazione della condanna risarcitoria sottesa all'iniziativa processuale della parte offesa.
Diversamente opinando, infatti, la sentenza di condanna al pagamento di somme, divenendo titolo esecutivo, legittimerebbe l'esecuzione pur in difetto di una condizione dell'azione civile (l'interesse ad agire).
3. La vicenda processuale trae origine dalla morte della persona offesa. V.U., a seguito delle lesioni personali gravissime occorse in data 26 ottobre 2012, in via Pietrabianca di Quarto conseguenza del sinistro stradale avvenuto intorno alle ore 17,15 che vedeva la betoniera condotta dalla vittima ribaltarsi ed il conducente rimanere incastrato sotto la cabina guida, in modo tale da risultare impossibile tirarlo fuori per cui lo stesso spirava poco dopo l'intervento dei Vigili del Fuoco, sopraggiunti sul posto.
Il personale del 118, intervenuto immediatamente, aveva redatto una scheda datata 26 ottobre 2012 in cui, accertato il decesso del V.U., indicava quale causa la morte per schiacciamento, causa che trova conferma nella relazione del medico legale Ivana Cataldi, nominata consulente tecnico dal PM, ove il decesso è stato ricondotto ad un gravissimo trauma da schiacciamento del tronco con plurime lesioni ossee e degli organi interni addominali, e conseguente shock traumatico.
Il consulente tecnico, ing. Ciarleglìo, sulla base degli atti esaminati e della ricognizione operata sul campo del sinistro, ha ritenuto altamente probabile che il V.U., che procedeva alla guida della autobetoniera su via Pietrabianca di Quarto con direzione di marcia via Pisani, dopo avere superato l'intersezione con via Fleming, nel percorrere una curva a destra avesse perso il controllo del veicolo determinandone il ribaltamento sul fianco destro, e che, in considerazione della assenza dello sportello di chiusura della cabina di guida e del mancato uso della cintura di sicurezza, fosse rimasto, nella caduta, con il carpo incastrato al di sotto del montante lato posteriore destro, decedendo in conseguenza delle ferite riportate.
I giudici di merito, alla luce delle risultanze istruttorie, hanno ritenuto altamente verosimile che V.U. nell'affrontare la curva a destra, successiva ad un tratto curvilineo a sinistra, non avesse adeguatamente moderato la velocità, ed avesse perso il controllo del veicolo nel tentativo di riportarlo in una posizione di stabilità, determinandone così il ribaltamento sul fianco destro.
Dall'istruttoria dibattimentale svolta - come ricorda la sentenza impugnata- è emerso, in maniera incontrovertibile, e neanche posta in discussione dall'appellante, che: 1) la Sicat Edilizia e Trasporti s.r.l, era la proprietaria della betoniera e D.S., quale titolare della ditta, veniva identificato quale datore di lavoro di V.U.; 2) dalla busta paga è emerso che il V.U. lavorava per la Sicat dal 2012 ed era stato assunto con qualifica di manovale edile addetto, tra l'altro, allo svolgimento di mansioni di autista; 3) V.U., non era abilitato a condurre un veicolo come quello in esame non essendo titolare di patente C.
Così come ricostruiti i fatti, per la Corte territoriale non può che concludersi come motivato nella sentenza impugnata a pagina 9 e seguenti, ovvero della sussistenza di responsabilità per colpa specifica a carico del D.S. , avendo affidato al V.U. la guida della betoniera, a pieno carico, sebbene non avesse conseguito la patente C e non fosse stato a tal fine formato, non essendosi neanche premurato di mettere a disposizione del lavoratore un veicolo idoneamente manutenuto e avergli fornito attrezzatura adatta. Ciò in quanto la macchina operatrice risultava peraltro in un cattivo stato di manutenzione, data l'assenza di protezione sul lato anteriore e posteriore della cabina a causa della mancanza del parabrezza e del lunotto, oltre che priva di assicurazione per la responsabilità civile, circostanza questa del pari indicativa di una sostanziale insensibilità al tema della sicurezza.
La sentenza impugnata si colloca, pertanto, nel solco della costante giurisprudenza di questa Corte di legittimità secondo cui la sola messa a disposizione di un mezzo alla cui guida il lavoratore non era abilitato integra la colpa (cfr., Sez. 4, n. 9208 del 09/03/2020, Rv. 278908: "colui che consenta, a soggetto che non abbia conseguito la patente di guida, di condurre un veicolo nella propria disponibilità, risponde, in caso di morte cagionata dalla condotta di guida imprudente del conducente, di omicidio colposo, versando in colpa specifica per l'inosservanza della norma di cui all'art. 116, co. 14, cod. strada, volta ad evitare il rischio non solo della condotta imperita, ma anche di quella imprudente, del conducente privo di abilitazione").
4. Con motivazione priva di aporie logiche la Corte partenopea ha argomentatamente confutato le deduzioni difensive, ribadite in questa sede, secondo cui l'unico dato certo del processo, trascurato dal giudice di primo grado, è la circostanza che il V.U. non indossava le cinture di sicurezza, per cui il corpo della vittima sarebbe stato proiettato fuori dall'abitacolo solo per tale causa.
I giudici napoletani rilevano, in primo luogo, che nella sentenza impugnata tale circostanza non era stata "ignorata", ma era stata affrontata e risolta con la motivazione riportata a pagina 10, che il Collegio condivide. Inoltre, ribadiscono che il lavoratore era stato adibito ad una mansione per cui non solo non aveva "titoli" ma non era stato formato, per cui il funzionamento in sicurezza dell'apparecchiatura non poteva essere condizionato esclusivamente da uno specifico obbligo di attivarsi da parte dello stesso.
La Corte partenopea ha correttamente ritenuto che il comportamento tenuto dal V.U. nel non allacciare la cintura, o nello slacciarla al momento del ribalta mento, non può essere considerato abnorme e idoneo a interrompere il nesso causale fra la condotta contestata all'imputato e l'evento lesivo, in quanto le norme dettate in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro perseguono il fine di tutelare il lavoratore persino in ordine ad incidenti derivati anche da sua negligenza, imprudenza ed imperizia.
Per i giudici partenopei non può con figurarsi come abnorme il comportamento del V.U. perché l'operaio, in tale frangente, non solo era impegnato a svolgere compiti propri delle mansioni allo stesso affidate ma anche perché, qualora volesse accedersi all'ipotesi di un comportamento negligente ciò è frutto dell'assenza di corsi di formazione sul punto nonchè dell'omessa vigilanza sulla manutenzione e messa in sicurezza del veicolo betoniera da parte del datore di lavoro.
La sentenza impugnata opera, pertanto, un corretto governo della costante giurisprudenza di questa Corte di legittimità secondo cui, in tema di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro, in quanto titolare dì una posizione di garanzia in ordine all'incolumità fisica dei lavoratori, ha il dovere di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici vigilando sulla sussistenza e persistenza delle condizioni di sicurezza ed esigendo dagli stessi lavoratori l'osservanza delle regole di cautela, sicché la sua responsabilità può essere esclusa, per causa sopravvenuta, solo in virtù di un comportamento del lavoratore avente i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità e, comunque, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle precise direttive organizzative ricevute, connotandosi come del tutto imprevedibile o inopinabile (così, ex multis, questa Sez. 4 n. 37986 del 27/6/2012, Battafarano, Rv. 254365, che, in applicazione del principio di cui in massima la S.C. ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito ha affermato la responsabilità - in ordine al reato di cui all'art. 590, comma terzo, cod. pen. - dell'imputato, legale rappresentante di una s.a.s., per non avere adeguatamente informato il lavoratore, il quale aveva ingerito del detersivo contenuto in una bottiglia non contrassegnata, ritenendo trattarsi di acqua minerale; conf. Sez. 4, n. 3787 del 17/10/2014 dep. 2015, Bonelli Rv. 261946 in un caso in cui l a Corte ha ritenuto non abnorme il comportamento del lavoratore che, per l'esecuzione di lavori di verniciatura, aveva impiegato una scala doppia invece di approntare un trabattello pur esistente in cantiere).
Inoltre, è altrettanto pacifico che non vale a escludere la responsabilità del datore di lavoro il comportamento negligente del lavoratore infortunato che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondurre comunque all'insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio derivante dal richiamato comportamento imprudente (così questa Sez. 4, n. 7364 del 14/1/2014, Scarselli, Rv. 259321 relativamente ad una fattispecie relativa alle lesioni "da caduta" riportate da un lavoratore nel corso di lavorazioni in alta quota, in relazione alla quale la Corte ha ritenuto configurabile la responsabilità del datore di lavoro che non aveva predisposto un'idonea impalcatura - "trabattello" - nonostante il lavoratore avesse concorso all'evento, non facendo uso dei tiranti di sicurezza).
La sentenza oggi impugnata si colloca nel solco di tale consolidata giurisprudenza e anche del recente arresto di questa Corte secondo cui non è configurabile la responsabilità ovvero la corresponsabilità del lavoratore per l'infortunio occorsogli allorquando il sistema della sicurezza approntato dal datore di lavoro presenti delle evidenti criticità, atteso che le disposizioni antinfortunistiche perseguono il fine di tutelare il lavoratore anche dagli infortuni derivanti da sua colpa, dovendo il datore di lavoro dominare ed evitare l'instaurarsi da parte degli stessi destinatari delle direttive di sicurezza di prassi di lavoro non corrette e, per tale ragione, foriere di pericoli (Sez. 4, n. 22813 del 21/4/2015, Palazzolo, Rv. 263497).
In definitiva, va riaffermato il principio che in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il datore di lavoro quale responsabile della sicurezza gravato non solo dell'obbligo di predisporre le misure antinfortunistiche, ma anche di sorvegliare continuamente la loro adozione da parte degli eventuali preposti e dei lavoratori, in quanto, in virtù della generale disposizione di cui all'art. 2087 cod civ., egli è costituito garante dell'incolumità fisica dei prestatori di lavoro" (vedasi anche questa Sez. 4, n. 4361 del 21/10/2014 dep. il 2015, Rv. 263200). E che, qualora sussista la possibilità di ricorrere a plurime misure di prevenzione di eventi dannosi, il datore di lavoro è tenuto ad adottare il sistema antinfortunistico sul cui utilizzo incida meno la scelta discrezionale del lavoratore, al fine di garantire il maggior livello di sicurezza possibile Sez. 4, n. 4325 del 27/10/2015 dep. il 2016, Zappalà ed altro, Rv. 265942).
5. Sul tema oggi riproposto quale travisamento della prova relativo alla ricostruzione della dinamica dell'incidente fornita dal consulente di parte Lamanna, la Corte partenopea, a fronte di motivi di appello del tutto generici ed aspecifici sul punto, richiama adesivamente quanto ampiamente motivato a seguito di un'attenta valutazione della relazione dallo stesso depositata, a pagina 6 e seguenti della sentenza impugnata. E ribadisce che non è stato acquisito, all'esito dei sopralluoghi fatti sia dalla Polizia Municipale, intervenuta sul posto lo stesso 26 ottobre 2012, che dal consulente ing. Ciarleglio , che il manto stradale ove è avvenuto l'incidente fosse interessato da alcun cedimento, inoltre non è stato accertato alcun difetto di fabbrica del sistema di sospensioni dell'autobetoniera, secondo quanto riferito dal teste S.A., ovvero del venditore dove la Sica edilizia e Trasporti s.r.l. aveva acquistato il veicolo nel 2008. Aggiunge, inoltre, che semplici illazioni poste a fondamento di un programma software non consentono di ritenere accertate cause diverse dell'incidente che possano escludere la responsabilità per colpa del D.S., per cui va rigettato il motivo di appello in oggetto.
Va peraltro ricordato che, questa Corte, con orientamento che il Collegio con divide e ribadisce, ritiene che, in presenza di una c.d. "doppia conforme", ovvero di una doppia pronuncia di eguale segno (nel caso di specie, 1·iguardante l'affermazione di responsabilità), il vizio di travisamento della prova può essere rilevato in sede di legittimità solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica deduzione) che l'argomento probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado (ctr. Sez. 4, n. 19710/2009, Rv . 243636 secondo cui, sebbene in tema di giudizio di Cassazione, in forza del!a novella dell'art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. e), introdotta dalla L. n. 46 del 2006, è ora sindacabile il vizio di travisamento della prova, che si ha quando nella motivazione si fa uso di un'informazione rilevante che non esiste nel processo, o quando si omette la valutazione di una prova decisiva, esso può essere fatto valere nell'ipotesi in cui l'impugnata decisione abbia riformato quella di primo grado, non potendo, nel caso di c. d. doppia conforme, superarsi il limite del "devolutum" con recuperi in sede di legittimità, salvo il caso in cui il giudice d'appello, per rispondere alla critiche dei motivi di gravame, abbia richiamato atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice; conf. Sez. 2, n. 47035 del 3/10/2013, Giugliano, Rv. 257499; Sez. 4, n. 5615 del 13/11/2013 dep. 2014, Nicoli, Rv. 25843.2; Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013 dep. 2014, Capuzzi ed alt ro , Rv. 258438; S1:!z. 2, n. 7986 del 18/11/2016 dep. 2017, La Gumina ed altro, Rv. 269217).
Nel caso dì specie, al contrario, la Corte di appello ha riesaminato e valorizzato lo stesso compendio probatorio già sottoposto al vaglio del tribunale e, dopo avere preso atto delle censure degli appellanti, è giunta alla medesima conclusione in termini di sussistenza della responsabilità dell'imputato che, in concreto, si limita a reiterare le doglianze già incensurabilmente disattese dalla Corte di appello e riproporre la propria diversa lettura" delle risultanze probatorie acquisite, fondata su mere ed indimostrate congetture, senza documentare nei modi di rito eventuali travisamenti degli elementi probatori valorizzati.
6. Manifestamente infondato è anche il terzo motivo di ricorso che, ancorché rubricato anche con riferimento al diniego della circostanza attenuante di cui all'art. 61 n. 5 cod. pen. (richiesta ritenuta irricevibile dal giudizio del merito perché presuppone la sussistenza del fatto doloso della persona offesa) in realtà non sviluppa alcuna considerazione in ordine a questo, ma solo in punto di diniego delle circostanze attenuanti generiche.
Ebbene, queste ultime sono state negate dalla Corte territoriale, con motivazione logica e congrua, stante la ritenuta assenza di alcun elemento favorevole che possa far accedere ad un giudizio di "meritevolezza" , non potendosi, per espressa volontà del legislatore, tener conto solo dell'incensuratezza del reo.
La superficialità e negligenza dimostrate con le condotte illustrate, lette anche alla luce della attività svolta dal D.S. che è titolare di un'azienda che fa dell'uso delle betoniere e del trasporto del calcestruzzi la parte essenziale del proprio lavoro, non possono inoltre, secondo i giudici partenopei, che far concludere per un completo disinteresse delle nonne che sopraintendono alla salute ed alla sicurezza dell'ambiente di lavoro, cui consegue un'assenza di resipiscenza che porta ad escludere la concessione delle circostanze ex art. 62 bis cod. pen .
Il provvedimento impugnato appare collocarsi nell'alveo del costante dictum di questa Corte di legittimità, che ha più volte chiarito che, ai fini dell'assolvimento dell'obbligo della motivazione in ordine al diniego della concessione delle attenuanti generiche, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (così Sez. 3, n. 23055 del 23/4/2013, Banic e altro, Rv. 256172, fattispecie in cui la Corte ha ritenuto giustificato il diniego delle attenuanti generiche motivato con esclusivo riferimento agli specifici e reiterati precedenti dell'imputato, nonché al suo negativo comportamento processuale).
In caso di diniego, soprattutto dopo la specifica modifica dell'articolo 62bis c.p. operata con il d.l. 23.5.2008 n. 2002 convertito con modif. dalla I. 24.7.2008 n. 125 che ha sancito essere l'incensuratezza dell'imputato non più idonea da sola a giustificarne la concessione va ribadito che è assolutamente sufficiente che il giudice si limiti a dare conto in motivazione di avere ritenuto l'assenza di elementi o circostanze positive a tale fine. In tema di attenuanti generiche, infatti, posto che la ragion d'essere della relativa previsione normativa è quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso più favorevole all'imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che di esso si è reso responsabile, la meritevolezza di eletto adeguamento non può mai essere data per scontata o per presunta, sì da dar luogo all'obbligo, per il giudice, ove questi ritenga invece di escluderla, di giustificarne sotto ogni possibile profilo, l'affermata insussistenza. Al contrario, secondo una giurisprudenza univoca di questa Corte Suprema, è la suindicata meritevolezza che necessita essa stessa, quando se ne affermi l'esistenza, di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio; trattamento la cui esclusione risulta, per converso, adeguatamente motivata alla sola condizione che il giudice, a fronte di specifica richiesta dell' imputato volta all'ottenimento delle attenuanti in questione, indichi delle plausibili ragioni a sostegno del rigetto di detta richiesta, senza che ciò comporti tuttavia la stretta necessità della contestazione o della invalidazione degli elementi sui quali la richiesta stessa si fonda (così, ex plurimis, Sez. 1, n. 29679 del 13/6/2011, Chiofalo ed altri, Rv. 219891; Sez. 1, n. 11361 del 19/10/1992, Gennuso, Rv. 192381; Sez . 1 n. 12496 del 21/9/1999, Guglielmi ed altri, Rv. 214570; Sez. 6, n. 13048 del 20/6/2000, Occhipinti ed altri, Rv. 217882).
7. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13. 6. 2000 ), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al le confermate statuizioni civili che revoca.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 27 settembre 2022