Cassazione Civile, Sez. Lav., 20 ottobre 2022, n. 30977 - Patologia derivante dai lavori di realizzazione linee elettriche e posa dei pali
Presidente: RAIMONDI GUIDO
Relatore: CINQUE GUGLIELMO
Data pubblicazione: 20/10/2022
Fatto
1. Con sentenza n. 990/2018 la Corte di appello di Palermo, in riforma della decisione del Tribunale, ha condannato E-Distribuzione spa a pagare a R.F. la complessiva somma di euro 22.421,00 a titolo di risarcimento del danno (differenziale) conseguente alla invalidità permanente pari al 15% accertata quale conseguenza della prestazione di lavoro.
2. La Corte territoriale ha, preliminarmente, ritenuto non rilevante, ai fini della domanda, la intervenuta transazione tra le parti con contenuta rinuncia da parte del lavoratore, trattandosi di accordo precedente al momento in cui il lavoratore si era avveduto della malattia di origine professionale oggetto dell'attuale giudizio; ha, altresì, ritenuto non prescritta la pretesa applicandosi il termine decennale di prescrizione del credito ed essendo intervenuti vari atti interruttivi. Il giudice di appello, nel merito della pretesa, ha valutato sussistente la responsabilità datoriale nella determinazione della patologia di origine professionale, trattandosi di attività di lavoro che avrebbe richiesto l'esercizio dell'attività di sorveglianza sanitaria nonché la adozione di misure di prevenzione, quale l'avvicendamento tra differenti lavoratori nell'espletamento delle mansioni assegnate realizzazione linee elettriche e posa dei pali anche in zone impervie. Su tali presupposti accertativi della responsabilità datoriale, la Corte palermitana ha riconosciuto l'esistenza del danno a carico della società, quale differenziale tra il danno riconosciuto dall'Inail e quello invece liquidabile al lavoratore attraverso l'applicazione delle c.d. Tabelle milanesi di determinazione del danno.
3. Avverso detta decisione, E-Distribuzione (già ENEL Distribuzione spa) ha proposto ricorso affidati a otto motivi, anche coltivati con successiva memoria, cui resisteva con controricorso e successiva memoria il lavoratore.
4. Il Procuratore Generale ha rassegnato conclusioni scritte concludendo per il rigetto del ricorso.
5. La ricorrente ha depositato memoria.
Diritto
6. I motivi possono essere così sintetizzati.
7. Con il primo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2113, 1362, 1363 e 1365 c.c. in relazione alla dichiarazione di rinunzia e transazione rilasciata dal R.F. in data 14.1.2008, ai sensi dell'art. 360 co.l n.3 c.p.c.). Assume la società che era intervenuto tra le parti un accordo con il quale il dipendente aveva rinunciato a qualsivoglia rivendicazione retributiva legata al rapporto di lavoro intercorso, compresi risarcimenti a qualunque titolo. Da ciò la società faceva derivare l'erroneità della valutazione della Corte di merito circa la non interferenza del detto accordo sulla pretesa avanzata.
8. Il motivo è infondato.
9. Si osserva che l'accordo transattivo e la rinuncia ivi contenuta deve essere tale da esprimere con chiarezza l'effettiva sussistenza di una volontà dispositiva della parte rinunciante; a tal fine deve altresì essere evidente che la rinuncia sia stata rilasciata con la consapevolezza di diritti determinati od obiettivamente determinabili e con il cosciente intento di abdicarvi o di transigere sui medesimi (in tal senso Cass. n. 18321/2016; Cass. n. 18405/2011).
10. Deve da ciò desumersi che può avere validità ed efficacia la transazione e rinuncia nell'ipotesi che si tratti di diritti noti e di cui il rinunciante abbia piena consapevolezza.
11. Nel caso in esame, con un accertamento di merito non sindacabile in questa sede perché adeguatamente motivato, siffatte circostanze non sono state ritenute sussistenti in quanto effettivamente non possono considerarsi noti, determinati o determinabili, diritti sorti successivamente alla rinuncia a seguito dell'accertamento della patologia di origine professionale.
12. Si tratta evidentemente di situazione di fatto subentrata nel tempo da cui sorgono diritti che non esistevano all'epoca della rinuncia e in quanto tali non riferibili ad essa.
13. Con il secondo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione dell'art. 2943 cc anche in relazione al curriculum dell'ex dipendente ed alla lettera dell'avv. Ivella del 14.12.2009, ai sensi dell'art. 360 n. 3 cpc, nonché l'omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell'art. 360 co.1 n. 5 c.p.c. La società rileva la intervenuta prescrizione dei diritti, dovendosi ritenere generica la lettera del 2009 e, quindi, non utile ai fini della interruzione della prescrizione. Deduce, inoltre, come la Corte di appello abbia errato nell'individuare il momento iniziale di decorrenza del termine prescrizionale collegandolo al momento di cessazione del rapporto di lavoro quando, invece, non vi era prova che il R.F. avesse svolto le mansioni asseritamente usuranti fino alla fine del rapporto lavorativo.
14. Il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.
15. La prescrizione del diritto al risarcimento del danno conseguente a una malattia causata al dipendente, nell'espletamento del lavoro, dal comportamento colposo del datore di lavoro decorre dal momento in cui il danno si è manifestato e l'origine professionale della malattia può ritenersi conoscibile dal danneggiato (Cass. n. 24586/2019; Cass. n. 7272/2011; Cass. n. 17985/2007) a meno che, però, non si tratti di ipotesi in cui la condotta si protragga nel tempo: in tal caso si verte in ipotesi di illecito permanente e il termine prescrizionale inizia a decorrere al momento della definitiva cessazione della condotta inadempiente.
16. Nella fattispecie, la Corte distrettuale si è attenuta correttamente ai principi di legittimità sopra esposti escludendo, con un accertamento di merito adeguatamente motivato, l'intervenuta decorrenza del termine prescrizionale decennale. Quanto, poi, alla citata lettera del 2009, deve rilevarsi che la stessa non è stata riprodotta nel corpo della censura, in tal modo rendendo la stessa inammissibile anche per carenza di specificazione.
17. La terza censura ha ad oggetto la violazione e falsa applicazione dell'art. 10 dpr n. 1124/1965, ai sensi dell'art. 360 co.1 n. 3 c.p.c., per avere la Corte distrettuale ritenuto applicabile detta norma pur in assenza di accertamento di danno conseguente da fatto reato.
18. Il motivo non è meritevole di accoglimento.
19. La pronuncia resa dalla Corte distrettuale, infatti, accerta la responsabilità del datore con criteri di tipo civilistico, conformemente all'orientamento consolidato espresso da questa Suprema Corte (Cass. n. 9166/2017; Cass. n. 27699/2017; Cass. n. 12041/2020; Cass. n. 17655/2020).
20. Già con la sentenza n. 9817/2008, cui sono seguite pronunce di analogo tenore, si è affermato che "il riparto degli oneri probatori nella domanda di danno differenzia/e da infortunio sul lavoro si pone negli stessi termini che nell'art. 1218 c.c. sull'inadempimento delle obbligazioni ... ne consegue che il lavoratore deve allegare e provare l'esistenza dell'obbligazione lavorativa, del danno ed il nesso causale di questo con la prestazione, mentre il datore di lavoro deve provare che il danno è dipeso da causa a lui non imputabile e cioè di avere adempiuto al suo obbligo di sicurezza, apprestando tutte le misure per evitare il danno". Da una panoramica complessiva del sistema normativo vigente e della giurisprudenza costituzionale sul tema dei rapporti tra giudizio civile e penale emerge come l'attuale sistema si caratterizzi per la pressoché completa autonomia e separazione tra i due giudizi, per cui il giudizio civile inizia e procede senza essere condizionato da quello penale. Invero, le numerose pronunce del Giudice delle leggi che si sono susseguite nel corso degli ultimi anni hanno esteso la responsabilità del datore di lavoro, prima limitata agli eventi derivati da fatto imputabile ai soli incaricati della direzione o della sorveglianza dei lavoratori, anche a quelli commessi da qualunque altro dipendente di cui dovesse rispondere ex art. 2049 c.c. (sentenza n. 22 del 1967); hanno dichiarato l'incostituzionalità del quinto comma dell'art. 10, nella parte in cui consentiva al giudice civile di accertare incidentalmente il fatto-reato soltanto nell'ipotesi di estinzione dell'azione penale per morte dell'imputato e per amnistia, e non anche per prescrizione del reato. Con successive pronunce, unitamente a modifiche normative, si è sostanzialmente decretata la fine della pregiudizialità penale. Con la sentenza n. 102 del 1981 la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del comma quinto dell'art. 10 cit., "nella parte in cui non consente che, ai fini dell'esercizio del diritto di regresso dell'INAIL, l'accertamento del fatto reato possa essere compiuto dal giudice civile anche nei casi in cui il procedimento penale nei confronti del datore di lavoro o di un suo dipendente si sia concluso con proscioglimento in sede istruttoria o vi sia provvedimento di archiviazione"; inoltre ha dichiarato illegittime le norme impugnate, "nella parte in cui precludono al giudice civile di valutare i fatti dinanzi a lui dedotti in maniera diversa da quella ritenuta in sede penale, anche nei confronti del datore di lavoro che non sia stato posto in condizioni di partecipare al relativo procedimento". La sentenza n. 118 del 1986 ha esteso la declaratoria di illegittimità in favore dell'infortunato nel caso in cui il procedimento penale, nei confronti del datore di lavoro o di un suo dipendente, si sia concluso con un provvedimento di archiviazione o proscioglimento in sede istruttoria. Con la sentenza n. 372 del 1988 la Corte costituzionale ha, poi, chiarito che pure il diritto di regresso dell'INAIL prescinde "dalla sorte contingente del procedimento penale" ed anche in sede di legittimità è pacifico che l'Istituto non debba necessariamente attendere l'instaurazione o l'esito del giudizio penale (Cass. n. 9601 del 2001; Cass. n. 5578 del 2003). Questo progressivo percorso di autonomizzazione del giudizio civile da quello penale è culminato con l'adozione del nuovo codice di procedura penale, che ha abbandonato il principio di unità della giurisdizione e di prevalenza del giudizio penale, in favore di quello della parità dei diversi ordini giurisdizionali e della loro reciproca indipendenza, soprattutto a seguito della modifica dell'art. 295 cod. proc. civ., che ha limitato casi di sospensione necessaria alle ipotesi previste dall'art. 75, co. 3, cod. proc. pen. da interpretarsi restrittivamente, stante il favore per la separazione dei giudizi con implicita accettazione del rischio di giudicati difformi. A seguito di questi mutamenti l'esonero non costituisce più una regola, bensì un elemento tendenzialmente recessivo rispetto all'esigenza prioritaria di assicurare alla vittima dell'infortunio, per i profili non coperti da indennizzo, una integrale riparazione del danno alla persona. Pertanto, la "condanna penale", che risulta ancora presente nella formulazione del secondo comma dell'art. 10 del D.P.R. n. 1124 del 1965, ha perduto del tutto la sua valenza prescrittiva, non solo perché sostituita dall'accertamento, in sede civile, del fatto che costituisce reato, ma anche perché non assolve più all'originaria funzione per cui era stata concepita, che era quella di disciplinare i rapporti di un pregiudiziale e prevalente procedimento penale rispetto ad un eventuale giudizio civile. In questo ambito la disciplina di cui agli artt. 10 ss. del d.P.R. 1124/1965 deve essere interpretata nel senso che l'accertamento incidentale in sede civile del fatto che costituisce reato deve essere condotto secondo le regole comuni della responsabilità contrattuale, anche in relazione all'elemento soggettivo della colpa e al nesso causale fra fatto ed evento dannoso. Dall'allegazione fornita dal lavoratore in ordine alla sussistenza di gravi infortuni o patologie professionali e alla presenza di condizioni di lavoro incompatibili con lo stato di salute, la Corte territoriale ha affermato la responsabilità datoriale per violazione quantomeno dell'art 2087 c.c. (posto che il lavoratore non deve essere mai posto ad operare in condizioni di lavoro nocive). Ciò vale ad integrare, ad un tempo, sia l'illiceità penale del fatto ex art.10 TU, sia l'esistenza dei requisiti occorrenti tanto per la liquidazione del danno differenziale. Infatti, laddove vi sia la violazione dell'art. 2087 c.c. è sempre astrattamente configurabile un fatto di reato.
21. Con il quarto motivo è dedotta la violazione dell'art. 2087 e 2697 c.c. (art. 360 co. l n. 3 c.p.c.); la violazione del dpr n. 164/56; la violazione art. 37 CCNL ENEL 1973; la violazione degli artt. 4, 24, 33, 34 e della Tabella dpr 303/1956, ai sensi dell'art. 360 n. 3 cpc; la violazione degli artt. 4, 16, 21, 22 D.lgs. n. 626 del 1994;, anche in relazione al DVR Enel 1996 nonché l'omesso esame di un fatto decisivo. Parte ricorrente assume che tutte le disposizioni di legge e/o della contrattazione collettiva richiamate dalla Corte territoriale e oggetto della censura non fossero applicabili al lavoratore. In particolare, rileva che l'art. 37 CCNL citato non conteneva tra le attività particolarmente gravose quella in cui era occupato il dipendente; che comunque la norma prevedeva al più solo una turnazione nello svolgimento delle mansioni con ciò risultando solo norma programmatica. Espone ancora che l'art. 33 d.p.r. n. 303/56 (relativo ad agenti nocivi) non era applicabile alla attività svolta e neppure l'art. 24 del d.p.r. citato, relativo alle esposizioni dei lavoratori a vibrazioni, scuotimenti o rumori dannosi. Deduce inoltre l'inapplicabilità del regime di sorveglianza sanitaria in quanto prevista solo per talune attività estranee a quelle svolte da E-Distribuzione spa. Conclude, infine, rilevando che l'assenza di specifici obblighi di legge escludeva che si potesse ravvisare una inosservanza degli stessi con ciò determinandosi la inapplicabilità della responsabilità sancita dall'art. 2087 cc.
22. Il motivo non merita accoglimento.
23. Dallo storico di lite della sentenza impugnata si evince che il R.F. quale fonte della responsabilità datoriale aveva dedotto: a) la omessa sorveglianza obbligatoria ex d.P.R. n. 303/1956 prevista annualmente per i rischi tabellati (movimentazione manuale dei carichi, sovraccarico biomeccanico degli arti, vibrazioni meccaniche al braccio intero e al rachide, microclima sfavorevole); b) la omessa sorveglianza sanitaria obbligatoria ex d.lgs. n. 626/1994 a fronte di siffatte attività; c) la omessa valutazione rischi prevista sia dal d.P.R. n 303/1956; d) l'omessa informazione e formazione dei lavoratori ai sensi degli artt. 21 e 22 del d.lgs. n. 626/1994.
24. La Corte di merito ha ritenuto accertato lo svolgimento delle attività fonte degli obblighi datoriali come sopra dedotti (v. sentenza, pag. 5 e ss.) sulla base delle prove raccolte nel giudizio intentato dal lavoratore nei confronti dell'INAIL.
25. Tale accertamento non è validamente censurato dalla odierna ricorrente e non vi è spazio per ritenere il vizio di sussunzione sostanzialmente denunziato dalla società ricorrente, in relazione alle attività svolte dal dipendente in quanto questi ha subito una esposizione a molteplici fattori morbigeni susseguitisi tra loro senza soluzione di continuità, in quanto presenti in ciascuna fase lavorativa propedeutica e conseguenziale alla elettrificazione, senza che la società apprestasse sufficienti ed adeguate misure idonee ad evitare o a contenere i predetti rischi; quanto al documento di valutazione dei rischi il relativo apprezzamento sotto il profilo della completezza ed effettività della valutazione delle lavorazioni appartiene al merito ed è insindacabile con il ricorso per cassazione.
26. La Corte distrettuale ha accertato, con apprezzamento insindacabile in questa sede perché adeguatamente motivato, che le mansioni cui era adibito il lavoratore rientrassero nell'ipotesi prevista dalla lettera i) dell'art. 37 CCNL ENEL ("personale che presta la propria opera in condizione di particolare gravosità e disagio") e, quindi, il datore di lavoro fosse tenuto ad adottare delle tutele ulteriori e diversificate: in particolare, l'avvicendamento tra i lavoratori che prestassero la loro opera nelle predette condizioni e la loro sottoposizione a controlli medici necessari a prevenire il verificarsi di conseguenze dannose per la loro integrità.
27. L'esame delle concrete mansioni svolte dal lavoratore, così come l'ambiente in cui egli si trovava a prestare la propria attività hanno condotto i Giudici di seconde cure a ritenere che ricorressero i presupposti operativi richiesti dalla normativa speciale, che prevede degli obblighi di sorveglianza gravanti sul datore, aggiuntivi e ulteriori rispetto a quelli previsti in via generale, stante la natura particolarmente gravosa delle mansioni svolte.
Pertanto, non è ravvisabile il vizio di sussunzione invocata dalla ricorrente. ' o
Gli ulteriori profili di censura attengono altresì al merito e aspirano ad ottenere una nuova valutazione delle risultanze istruttorie, già ampiamente esaminate dalla Corte territoriale. I Giudici di seconde cure, infatti, si sono conformati al consolidato orientamento di questa Suprema Corte che ha specificato che grava sul lavoratore l'onere di provare di aver subito un danno a causa dell'attività svolta, nonché il nesso di causalità tra l'uno e l'altra, mentre incombe sul datore l'onere di dimostrare di aver adottato tutte le cautele necessarie al fine di evitare il danno, ricomprendendosi in questa categoria anche quelle misure di sicurezza c.d. innominate, intendendosi quelle non espressamente contemplate dalla legge, ma comunque fondate su conoscenze tecnico-scientifiche o su altre fonti analoghe (Cass. 10319/2017; Cass. 29879/2019; Cass. n. 12041/2020).
28. Con il quinto motivo è censurata la violazione dell'art. 10 dpr n. 1124 /65, degli artt. 1223, 2087, 2697 c.c. in relazione al profilo di omessa sorveglianza sanitaria, ai sensi dell'art. 360 n. 3 cpc. La società lamenta la ritenuta conseguenza tra danno verificato e l'omessa sorveglianza sanitaria.
29. Il motivo è inammissibile.
30. Invero, con il motivo in esame parte ricorrente pur formalmente denunziando violazione e falsa applicazione di norma di diritto contesta in realtà il concreto accertamento della esistenza del nesso di causalità tra condotta datoriale (v. pag. 5 e ss.), che costituisce un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito ed incrinabile solo ai sensi dell'art. 360, comma 1 n. 5 cod. proc. civ. solo dalla deduzione di omesso esame di un fatto decisivo e controverso neppure prospettata dall'odierna ricorrente.
1. Con il sesto motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 4 d.lgs. n. 626/1994, 2087 cc e 11 Disp. sulla legge in generale (cd. Preleggi), in relazione al profilo dell'omessa considerazione della movimentazione manuale dei carichi da parte del DVR ENEL, ai sensi dell'art. 360 n. 3 cpc.; sostiene che erroneamente la Corte territoriale aveva imputato ad essa società un onere di valutazione di rischi specifici per attività non considerate dalle norme all'epoca vigenti.
2. Tale censura non è meritevole di accoglimento per le medesime
ragioni di inammissibilità e di infondatezza delle doglianze, esplicitate relativamente ai motivi sub 4) e sub 5) ( con particolare riguardo al riferimento operato in relazione all'art. 37 CCNL ENEL) che qui devono ritenersi integralmente riportate e trascritte.
31. La settima censura riguarda la violazione e falsa applicazione degli artt. 10 dpr n. 1124/65 e artt. 1123, 1226, 2056, 2059 cc, per la mancata rivalutazione della somma liquidata dall'INAIL, da rapportare alle somme derivanti dalla applicazione delle tabelle milanesi sulla liquidazione del danno.
32. Con ultima censura parte ricorrente si duole della mancata considerazione di quanto già liquidato dall'Inail, influente ai sensi dell'art. 1 co. 1.126 della legge n. 145/2018 che aveva introdotto rilevanti modifiche ai commi 6, 7 e 8 dell'art. 10 TU n. 1124/1965.
33. Le ragioni poste possono essere trattate congiuntamente per la loro interferenza.
34. Entrambi i motivi risultano genericamente posti.
35. Questa Corte ha statuito che "In tema di danno cd. differenziale, la diversità strutturale e funzionale tra l'erogazione Inail ex art. 13 del d.lgs. n. 38 del 2000 ed il risarcimento del danno secondo i criteri civilistici non consente di ritenere che le somme versate dall'istituto assicuratore possano considerarsi integralmente satisfattive del pregiudizio subito dal soggetto infortunato o ammalato, con la conseguenza che il giudice di merito, dopo aver liquidato il danno civilistico, deve procedere alla comparazione di tale danno con l'indennizzo erogato dall'Inail secondo il criterio delle poste omogenee, tenendo presente che detto indennizzo ristora unicamente il danno biologico permanente e non gli altri pregiudizi che compongono la nozione pur unitaria di danno non patrimoniale; pertanto, occorre dapprima distinguere il danno non patrimoniale dal danno patrimoniale, comparando quest'ultimo alla quota Inail rapportata alla retribuzione e alla capacità lavorativa specifica dell'assicurato; successivamente, con riferimento al danno non patrimoniale, dall'importo liquidato titolo di danno civilistico vanno espunte le voci escluse dalla copertura assicurativa ( danno morale e danno biologico temporaneo) per poi detrarre dall'importo così ricavato il valore capitale della sola quota della rendita !naif destinata a ristorare il danno biologico permanente" (Cass. n. 9112/2019).
36. Il principio evidenzia la necessaria specificazione che la domanda (o eccezione o doglianza) deve contenere con riguardo alle diverse componenti del danno, al fine di ben identificare esattamente quali siano le voci (di danno) non liquidate ed al cui ristoro è tenuto il datore di lavoro. La richiesta esatta identificazione non è contenuta nelle censure in esame, nelle quali non sono contenute le indicazioni dei titoli risarcitori già liquidati e neppure di quanto gli stessi siano stati erroneamente valutati nella loro entità.
37. I motivi risultano, pertanto, afflitti da inammissibile genericità e ciò a prescindere dal fatto che le modifiche dell'art. 10 del d. P.R. n. 1124 del 1965, introdotte dalla l. n. 145 del 2018, di natura innovativa e non meramente interpretativa, non si applicano agli infortuni sul lavoro verificatisi ed alle malattie professionali denunciate prima del primo gennaio 2019 (cfr. Cass. n. 8580/2019).
38. Il ricorso, per tutte le ragioni esposte, deve essere rigettato.
39. Le spese seguono il principio della soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo, con distrazione.
40. Si dà atto, ai sensi dell'art. 13 comma quater del d.p.r. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente dell'ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, ove dovuto.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00 e agli accessori di legge, con distrazione in favore dei Difensori del controricorrente, dichiaratisi antistatari. Ai sensi dell'art. 13 comma quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente dell'ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, 1'8 giugno 2022