Cassazione Penale, Sez. 4, 08 novembre 2022, n. 42024 - Infortunio mortale nel reparto "anime" della fonderia. Necessari approfondimenti istruttori
Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA
Relatore: CENCI DANIELE Data Udienza: 04/10/2022
Fatto
1. La Corte di appello di Torino il 9 luglio 2021, in riforma integrale della sentenza, appellata dal Pubblico Ministero, con cui il G.u.p. del Tribunale di Asti l'11 luglio 2018, all'esito del giudizio abbreviato (condizionato), ha assolto N.F. e DB.A. dal reato di omicidio colposo, con violazione della disciplina antinfortunistica, con la formula perché il fatto non sussiste, invece ha riconosciuto entrambi gli imputati responsabili, in conseguenza condannando ciascuno, con le attenuanti generiche (stimate equivalenti quanto al primo e prevalenti quanto al secondo), alla pena di giustizia, sospesa condizionalmente per il solo DB.A., oltre al risarcimento dei danni, in forma generica, alla sola parte civile sindacato FIOMM, essendo stati già risarciti i congiunti della vittima.
2. I fatti, in sintesi, come concordemente ricostruiti dai Giudici di merito.
Il 4 dicembre 2015 si è verificato un infortunio mortale sul lavoro all'interno di una fonderia. Quel giorno A.M., operaio da venti anni alle dipendenze della s.p.a. "O/Cava Meccanica", addetto al reparto "anime" della fonderia, ha preso servizio alle 20.30 e dopo un'ora circa ha constatato che la macchina emetteva un fischio. Poiché il prodotto che usciva era di soddisfacente qualità, non sono stati avvertiti gli addetti alla manutenzione, che erano presenti anche durante il turno di notte. Dopo avere avviato il ciclo automatico, A.M. (forse per controllare la causa del fischio, così si legge alla p. 2 della sentenza di primo grado) si è avviato verso la zona pericolosa, nella parte alta del complesso meccanismo, senza avvertire il collega di turno, il quale dopo un po' ha sentito un urlo ed ha trovato il malcapitato morto, schiacciato dalle colonne in acciaio e dalle traverse meccaniche del movimento verticale del macchinario.
È stato contestato agli imputati N.F., in qualità di amministratore delegato, direttore generale e datore di lavoro delegato della s.p.a. "O/Cava meccanica", e DB.A., in veste di responsabile, delegato dal primo, in materia di sicurezza sul lavoro, di avere messo a disposizione dei lavoratori un macchinario non conforme ai requisiti di sicurezza, in quanto gli organi in movimento pericolosi che erano presenti sulla parte superiore del macchinario non erano adeguatamente protetti in modo da evitare rischio di contatti.
2.1. Differenti,, come si è accennato, le valutazioni sulla responsabilità degli imputati.
Il Tribunale, che ha anche disposto di ufficio perizia, ha ritenuto non sufficientemente provato il nesso di causalità tra condotta degli imputati ed evento.
Ha accertato in punto di fatto che l'accesso, particolarmente disagevole, tanto da essere efficacemente definito dallo stesso P.M. un «percorso di guerra» (p. 6 della sentenza del Tribunale), alla parte superiore, ove è accaduto l'infortunio, non è previsto in condizioni normali di lavorazione, perché «non sussiste nessun motivo operativo per andare nella zona in cui è accaduto l'infortunio» (così alla p. 10 della decisione di primo grado), ma è riservato ai soli addetti alla manutenzione o alla pulizia, questi ultimi impiegati di una ditta esterna e soggetti a specifiche norme di sicurezza.
Ha osservato il Giudice di primo grado che, pur non essendo previsto un cancelletto che costituisca ostacolo materiale all'accesso a quella zona, a differenza di tutto il restante perimetro della macchina, reso inaccessibile, ma solo un divieto di accesso (cfr. pp. 7-14, spec. p. 14 della sentenza del Tribunale), la salita, che comportava un complicato percorso (scendere un gradino, scavalcare una canalina, piegarsi per passare sotto il tubo di aerazione, posto a 95 centimetri dal suolo, salire sopra una scala a pioli, infine giungendo alla parte alta, "piattaforma di sbarco" sprovvista di pavimentazione ma provvista di un grigliato metallico composto da travature e altre strutture metalliche: pp. 6 e 17 della sentenza del Tribunale), costituisce, alla stregua di tutta l'istruttoria svolta, un comportamento «non [ ... ] previsto, né giustificato o altrimenti comprensibile» (così alla p. l3 della sentenza di primo grado), «ed anzi, non rientrando nelle mansioni del lavoratore alcuna attività correlata a quella zona della macchina (sulla cui conformità ai requisiti di sicurezza non è stato mosso alcun rilievo dagli inquirenti né dal perito» (così alla p. 17 delle sentenza di primo grado).
Si è, in conclusione, ritenuto che la vittima, recandosi, forse per eccesso di sicurezza, comunque senza nessun motivo in una zona notoriamente pericolosa e di difficile accesso, ove non aveva da compiere nessuna operazione connessa alle sue mansione, abbia tenuto una condotta anomala ed esorbitante, costituente comportamento abnorme ovvero auto-esposizione al rischio, tale comunque, per la sua imprevedibilità, da escludere profili di rimproverabilità al datore di lavoro (pp. 17-18 della sentenza impugnata).
2.2. La Corte di appello, rinnovata l'istruttoria (esame di perito e consulente e di quattro testi), è giunta a conclusioni opposte.
Ha valorizzato la circostanza che l'apposizione della scala a pioli, non prevista nel macchinario come originariamente configurato, è un'innovazione successiva che è consistita in pratica nella «introduzione di una stabile e facile via di accesso alla parte superiore della macchina» (così alla p. 16 della sentenza impugnata), mentre la zona inferiore risultava completamente segregata (p. 15 delle decisione), ed ha ritenuto che tale apposizione successiva della scala non è stata accompagnata da un'adeguata valutazione del nuovo rischio che è stato così introdotto, peraltro nemmeno menzionato nel documento di valutazione del rischio (acronimo: d.v.r.), mentre la apposta protezione della parte superiore della scala tramite parapetto è indice che è stato concretamente preso in considerazione il rischio di caduta dalla scala.
Inoltre, si è sottolineato come i pericolosi cilindri in movimento non sono stati resi del tutto inaccessibili con cancelli o ripari né strutturati in modo tale da fermarsi automaticamente ove taluno faccia accesso alla zona di pericolo.
Si è preso atto che tra le mansioni dell'infortunato vi era anche quella di provvedere a piccoli malfunzionamenti della macchina e di segnalare agli addetti alla manutenzione il verificarsi di guasti richiedenti l'intervento di personale specializzato: in conseguenza, si è ritenuto di ricostruire l'origine dell'accaduto nel senso che A.M., lavoratore anziano ed esperto, avendo udito un fischio proveniente dalla macchina, (ragionevolmente, p. 17 delle decisione impugnata) si sia attivato per individuare la provenienza dello stesso, ritenendo suo dovere ricercare la fonte del rumore, e, dunque, sia salito per effettuare una specie di sopralluogo in una zona indubbiamente di difficile accesso,. benché non impossibile, alla quale non era formalmente vietato accedere ed in cui non era installato un meccanismo di blocco automatico dei cilindri alla presenza di persone. In tale senso, non può ritenersi - hanno stimato i Giudici di appello - abnorme né esorbitante l'agire della vittima, forse connota da eccesso di zelo e di sicurezza ma comunque non eccentrica rispetto alle funzioni alla stessa attribuite (pp. 17 18 della sentenza impugnata). Ha, dunque, ritenuto penalmente responsabili gli imputati.
3. Tanto premesso, ricorrono per la cassazione della sentenza gli imputati, tramite impugnazione curata dal comune Difensore di fiducia, affidandosi a quattro motivi, con,i quali denunziano violazione di legge (tutti i motivi) e vizio di motivazione (i primi due motivi).
3.1. Con il primo motivo lamentano violazione degli artt. 589 cod. pen., 546 cod. proc. pen., 71 del d. lgs. 9 aprile 2008, n. 81, e 2087 cod. civ., manifesta illogicità della motivazione e travisamento del!a prova (con specifico riferimento alla deposizione del perito M. alla p. 7 delle trascrizioni dell'udienza del 19 maggio 2021, materialmente allegata al ricorso).
Sarebbe infatti del tutto sfornita di prova la circostanza della apposizione successiva della scala (da cui il ragionamento della Corte di merito in tema di introduzione da parte datoriale di un rischio nuovo, non adeguatamente valutato nella sua portata) ad un macchinario che in origine non la prevedeva: gli operai, infatti, nulla di preciso al riguardo hanno riferito, come si legge, appunto, alla p. 7 della deposizione del perito ing. Murè nel corso dell'udienza del 19 maggio 2021 e persino alla p. 6 dell'appello, mentre l'unica verifica del perito è condensata nel seguente, insoddisfacente, passaggio: «noi abbiamo recepito un manuale d'uso e manutenzione della macchina e... se ricordo bene non risultava corredata da questa scala, e abbiamo anche chiesto nelle interviste ai lavoratori se ricordavano la presenza di questa scala però non abbiamo ricevuto risposte sufficienti» (così la risposta del perito alla p. 7 della deposizione del perito all'udienza del 19 maggio 2021, riferita testualmente alle pp. 2-3 del ricorso).
La situazione appare riconducibile al travisamento dì prova decisiva poiché si utilizza come rilevante una circostanza che si dà per certa mentre essa è incerta.
Altro profilo di manifesta infondatezza della motivazione discende dalla emersa circostanza che per la pulizia della tramoggia, collocata a 2,50 metri di altezza da terra, pulizia da effettuarsi quotidianamente, era necessario accedere alla parte alta del macchinario, sicchè la presenza - originaria - della scala appare funzionale a tale necessaria attività.
3.2. Con il secondo motivo censurano ulteriore violazione degli artt. 589 cod. pen., 546 cod. proc. pen., 71 del d. lgs. n. 81 del 2008 e 2087 cod. civ., manifesta illogicità ,della motivazione quanto a due temi: tempi e modalità delle pulizie nella zona dell'infortunio; ed accertamento se il punto ove si è verificato il fatto fosse o meno zona di lavoro.
Quanto al primo aspetto, assumono i ricorrenti essere pacificamente emerso dall'istruttoria che nella zona in cui è avvenuto l'incidente mortale ditta esterna appositamente incaricata effettuava le pulizie una sola volta o due volte l'anno senza neppure accedere alla piattaforma in questione ma per lo più tramite "lance" stando l'operatore in piedi sulla scaletta.
Quanto al secondo aspetto, si sottolinea che le emerse estreme difficoltà su cui conviene anche il P.M., che ha usato l'espressione "percorso di guerra" - del tragitto necessario per raggiungere la parte alta del macchinario sarebbero tali da doversi escludere che il luogo ove è accaduto l'incidente sia un "luogo di lavoro".
Richiamati, infatti, giurisprudenza e dottrina, si ritiene essere «del tutto evidente che un luogo privo di pavimento, attraversato da grossi tubi che impongono contorsioni a 90° per poterli superare (transitando in spazi non superiori a 75 cm di altezza) senza che vi sia possibilità di appoggio a mancorrenti o altre strutture appositamente costruite, camminando in condizioni pericolose (a 2,5 m. di altezza) su traversoni distanziati tra loro in modo cospicuo (oltre un metro), non possa essere considerato luogo di lavoro. Nessuna postazione di lavoro vi era sulle località: nessun lavoratore aveva necessità di accedere alla località predetta ; ci si affacciava sulla medesima esclusivamente per le pulizie con la lancia meccanica di cui si è detto» (così alla p. 10 del ricorso).
3.3. Oggetto del terzo motivo è violazione di legge ed erronea applicazione degli artt. 589 cod. pen., 546 cod. proc. pen., 70 e 71 del d. lgs. n. 81 del 2008, n. 81, 2087 cod. civ. e 68 del d.P.R. 27 aprile 1955, n. 547.
La condizione fisica del luogo ove è avvenuto l'incidente, descritta nel motivo di ricorso precedente, costituirebbe di per sé, ad avviso dei ricorrenti, un "dispositivo ostacolante" cioè un ostacolo fisico dalle caratteristiche tali da costituire di fatto una ostruzione al libero accesso e perciò costituirebbe presidio di sicurezza, sicché il complessivo macchinario sarebbe da ritenere conforme a quanto prescritto dagli arrtt. 70 e 71 del d. lgs. n. 81 del 2008.
Ancora, la sostanziale conformità alle norme di sicurezza di cui all'art. 68 del d.P.R. n. 547 del 1955 (necessità di segregazione) e all'allegato n. 5, 6.1, al d. lgs. n. 81 del 2008 (necessità di protezione) emergerebbe dalla stessa relazione del 20 luglio 2016 degli Ispettori Spresal acronimo di Servizio prevenzione e sicurezza degli ambienti di lavoro), ove, alla p. 9, si legge testualmente che «per accedere alla zona in cui è successo l'infortunio occorre abbassarsi e transitare (due volte) sotto il tubo di aspirazione scavalcando una canalina alta 15 cm e quindi passare attraverso una "apertura" di circa 75 cm. La tubazione citata costituisce quindi un ostacolo al passaggio verso la zona della macchina pericolosa dove è stato rinvenuto il corpo del lavoratore» (così alle pp. 14-15 del ricorso).
Si sottolinea che, quindi, non esisteva nessun rischio di contatto accidentale tra i cilindri in movimento e qualsiasi lavoratore che operasse sulla macchina.
3.4. Infine, con l'ultimo motivo si denunzia violazione di legge ed erronea applicazione degli artt. 589 cod. pen., 546 cod. proc. pen., 20, 70 e 71 del d. lgs. n. 81 del 2008, n. 81 e 2087 cod. civ.
Il comportamento del lavoratore che non ha rispettato il dovere di precauzione e di auto ed etero-protezione posto dall'art. 20 del d. lgs. n. 81 del 2008 sarebbe causa esclusiva di quanto accaduto: posto che il manutentore in quel momento in servizio, S.B. (la cui deposizione si allega materialmente al ricorso), il cui ufficio dista non più di 20 metri dalla postazione della vittima, ha riferito di non essere stato avvisato di nulla da M., emerge provato come «A.M. era un lavoratore che nello stabilimento aveva maturato una esperienza pluridecennale e che, da anni, operava sulla macchina per cui è causa. Allo stesso non poteva dunque sfuggire la pericolosità della condotta che, del tutto inutilmente, ha posto in essere [ .. ] la ditta aveva messo a disposizione dei lavoratori un servizio continuo di manutentori che potevano intervenire a semplice chiamate di uno qualsiasi dei lavoratori presenti nella fabbrica. Inimmaginabile è la ragione per la quale il A.M., anziché allertare il manutentore, abbia posto in essere la manovra sconsiderata che lo ha portato alla morte. Apprestate le tutele del caso, sussisteva in capo ai ricorrenti nella loro qualità di imprenditore e dirigente dello stabilimento, il legittimo affidamento a chè il lavoratore, quale soggetto attivo della sicurezza, ai sensi del succitato art. 20, mantenesse una corretta condotta e, all'occorrente, chiedesse l'aiuto tecnico necessario al manutentore che si trovava a poche decine di metri dalla sua posizione. L'affidamento nel corretto comportamento del lavoratore, adeguatamente assistito, esclude la responsabilità dei due imputati» (cosi alle pp. 17-19 del ricorso).
Si chiede, dunque, da parte dei riorrenti l'annullamento della sentenza impugnata.
4. La Difesa degli imputati il 1° settembre ha domandato la trattazione orale dei ricorsi.
5. Il P.G. della Corte di cassazione nella requisitoria scritta del 13 settembre 2022 - da valere come memoria - ha chiesto dichiararsi inammissibili i ricorsi.
Diritto
1. Premesso che il reato non è prescritto (589 cod. pen. con violazione della disciplina antinfortunistica: fatto del 4 dicembre 2015 + 15 anni = 4 dicembre 2030 + sospensioni indicate alla p, 1 della sentenza impugnata = 6 giugno 2031), il ricorso è fondato, nei limiti e per le ragioni di cui appresso .
2. Infondati sono il secondo ed il quarto motivo di impugnazione, mentre risultano fondati il primo ed il terzo.
Partendo dal secondo motivo, è destituito di fondamento l'assunto secondo il quale il punto ove è avvenuto l'infortunio non sarebbe luogo di lavoro, in ragione della sua disagevole accessibilità e della non necessità per i dipendenti di recarvisi, in quanto ciò contrasta con la consolidata nozione al riguardo. Infatti:
«Nella nozione di "luogo di lavoro", rilevante ai fini della sussistenza dell'obbligo di attuare le misure antinfortunistiche, rientra ogni luogo in cui venga svolta e gestita una qualsiasi attività implicante prestazioni di lavoro, indipendentemente dalle finalità della struttura in cui essa si esplichi e dell'accesso ad essa da parte di terzi estranei all'attività lavorativa. (Fattispecie in cui Corte ha ritenuto contigurabile la contravvenzione di cui agli artt. 16 e 55, comma 5, del d.lgs n. 81 del 2008, per mancata adozione delle misure per prevenire gli incendi, nei confronti del legale rappresentante di una ditta proprietaria di impianto di distribuzione di Gpl, con connesso serbatoio interrato, installato in un'area di un condominio privato, al servizio del condominio medesimo)» (Sez. F, n. 45316 del 27/08/2019, Giorni, Rv. 27729.2);
«In tema di infortuni sul lavoro, nella nozione di "luogo di lavoro", rilevante ai fini della sussistenza dell'obbligo di attuare le misure antinfortunistiche, rientra ogni luogo in cui viene svolta e gestita una qualsiasi attività implicante prestazioni di lavoro e in cui il lavoratore deve o può recarsi per provvedere ad incombenze di qualsiasi natura in relazione alla propria attività» (Sez. 4, n. 43840 del 16/05/2018, C., Rv. 274265);
«Nella nozione di "luogo di lavoro", rilevante ai fini della sussistenza de/l'obbligo di attuare le misure antinfortunistiche, rientra ogni luogo in cui viene svolta e gestita una qualsiasi attività implicante prestazioni di lavoro, indipendentemente dalle finalità - sportive, ludiche, artistiche, di addestramento o altro - della struttura in cui essa si svolge e dell'accesso ad essa da parte di terzi estranei all'attività lavorativa. (Fattispecie relativa ad un vano tecnico posto sul controsoffitto di un'aula scolastica ed il cui crollo, a causa anche del sovraccarico del materiale ivi depositato, aveva determinato il decesso di uno studente)» (Sez. 4, n. 12223 del 03/02/2015, dep. 2016, Delmastro e altri, Rv. 266385; in termini, v. già Sez. 4, n. 2343 del 27/11/2013, dep. 2014, S.G. ed altro, Rv. 258435).'
3. Infondato appare anche il motivo incentrato sulla pretesa abnormità del comportamento del lavoratore: infatti, entrambe le sentenze di merito, sia pure con sfumature diverse, di cui si è dato atto (v. punti nn. 2.1 e 2.2 del "ritenuto in fatto"), individuano il probabile primum movens che ha i dotto la vittima a salire nella zona pericolosa nella intenzione di individuare l'origine di un fischio anomalo che emetteva il macchinario: ebbene, stando così le cose, l'essersi attivato, sia pure ipoteticamente per eccesso di zelo, per individuare, appunto, la provenienza della fonte del rumore anomalo consente di escludere la esorbitanza dell'azione rispetto alle mansioni del lavoratore, come correttamente affermato nella sentenza impugnata (alle pp. 17-18, in relazione al contenuto delle pp. 7-8 del rapporto del 20 luglio 2016 degli Ispettori della A.S.L., con richiamo da parte della Corte territoriale di pertinente giurisprudenza di legittimità ossia Sez. 4, n. 27871 del 20703/2019, Simeone, Rv. 276242.: nello stesso senso, v. Sez. 4, n. 7364 del 14/01/2014, Scarselli, Rv. 259321; Sez. 4, n. 37986 del 27/06/2012, Battafarano, Rv. 254365; Sez. 4, n. 47146 del 29/09/2005, Riccio, Rv. 233186).
4. Vanno necessariamente trattati insieme il prime ed il terzo dei motivi.
Gli argomenti tramite essi svolti pongono, in buona sostanza, il tema della presenza o meno, di motivazione rafforzata nella sentenza che, in riforma integrale dell'assoluzione, ha affermato la penale responsabilità dei ricorrenti.
Al riguardo, appare utile prendere le mosse da quanto, anche di recente, puntualizzato dalla S.C.: «In tema di giudizio di appello, la motivazione rafforzata, richiesta nel caso di riforma della sentenza assolutoria o di condanna di primo grado, consiste nella compiuta indicazione delle ragioni per cui una determinata prova assume una valenza dimostrativa completamente diversa rispetto a quella ritenuta dal giudice d1 primo grado, nonché in un apparato giustificativo che dia conto degli specifici passaggi logici relativi alla disamina degli istituti di diritto sostanziale o processuale, in modo da conferire alla decisione una forza persuasiva superiore. (In motivazione, la Corte ha precisato che l'obbligo di motivazione rafforzata prescinde dalla rinnovazione dell'istruttoria, prevista dall'art. 603, comma 3-bìs, cod. proc. pen., in quanto trova fondamento nella mera necessità di dare una spiegazione diversa rispetto a quella cui era pervenuta la sentenza di primo grado)» (Sez. 6, n. 51898 del 11/07/2019, Pintus, Rv. 278056; cfr., piu diffusamente, la parte motiva della decisione sub n. 2 del "considerato in diritto", pp. 2· 3).
Prescindendo, dunque, dall'obbligo di rinnovazione istruttoria, che è stato puntualmente adempiuto dalla Corte di appello di Torino, gli argomenti svolti nei due richiamati motivi di impugnazione sottendono il quesito se nel caso di specie sia stato rispettato o meno l'obbligo di motivazione rafforzata, cioè dotata di "forza persuasiva superiore" a quella riformata, come in numerose occasioni affermato dalla Corte di legittimità (cfr., ex plurimis, Sez. 5, n. 54300 del 1 -/09/2017, Banchero, Rv. 272082; Sez. 3, n. 6817 del 27/11/2014, dep. 2015, S., Rv. 262524; Sez. 1, n. 12273 del 05/12/2013, dep. 2014, Ciaramella ed altro, Rv. 262261; Sez. 6, n. 49755 del 21/11/2012, G., Rv. 253909), e, poiché, appunto, assistita da forza persuasiva superiore, di cui è indice l'impiego di «un'attenzione valutativa e di una prudenza deliberativa per così dire maggiorate nella disamina di quel dato istituto di diritto sostanziale o processale, ovvero per quel determinato aspetto della vicenda giuridica. (così, efficacemente, la motivazione della richiamata decisione di Sez. 6, n. 51898 del 11/07/2019, Pintus, p. 3), tale da far venire meno ogni "ragionevole dubbio".
Al quesito occorre offrire risposta negativa, per le seguenti ragioni.
In primo luogo, si osserva come la sentenza impugnata non sia immune da una contraddizione: da un lato, infatti, afferma che il percorso in concreto seguito dalla vittima costituirebbe una «facile via d'accesso alla parte superiore della macchina, ove è presente una zona in cui sono collocati pericolosi organi lavoratori in movimento non segregati» (così alla p. 16 della sentenza impugnata, v. anche p. 17; dall'altro, invece, ritiene pacifica la ricostruzione dei fatti operata nella sentenza di primo grado secondo cui l'accesso è, invece, difficile, costituendo un "percorso di guerra" in cui occorre scendere un gradino, scavalcare una canalina, passare sotto il tubo di aerazione collocato a 95 cm da terra, salire la scala e giungere a una zona priva di pavimento (pp. 3-5 della decisione gravata). Descrizione - quest'ultima - che appare in linea con il contenuto del rapporto del 20 luglio 2016 degli Ispettori della A.S.L. (richiamato espressamente nel terzo motivo di ricorso, pp. 14-15) che, alla p. 9, così descrive la situazione: «Per accedere alla zona in cui è successo l'infortunio occorre abbassarsi e transitare (due volte) sotto un tubo di aspirazione scavalcando una canalina alta 15 cm e quindi passare attraverso una "apertura" di circa 75 cm. La tubazione citata costituisce quindi un ostacolo al passaggio verso la zona della macchina pericolosa dove è stato rinvenuto il corpo del lavoratore, questo ostacolo non impedisce però l'accesso».
Ferma la riferita descrizione della esistenza di un oggettivo ostacolo non impediente in assoluto, però, l'accesso alla zona pericolosa, la sentenza appare connotata del mancato approfondimento di tre aspetti di fatto potenzialmente decisivi.
4.1. In primo luogo, appare molto significativo il tema della esistenza o meno, anche solo di fatto, nell'unità produttiva di un divieto di accesso alla zona pericolosa: infatti, mentre dalla lettura della pp. 7-14 della sentenza di primo grado, emessa all'esito del giudizio abbreviato, quindi vendo la piena disponibilità di tutti gli atti delle indagini, sembra comprendersi che esistesse, nei fatti, un divieto di accesso alla zona sovrastante, fatta eccezione per gli addetti alle pulizie ed alla manutenzione, categorie alle quali l'infortunato non apparteneva, e pur dandosi atto nello stesso appello del P.M. della riferita conoscenza da parte dei lavoratori intervistati di un, pur generico, divieto di accesso alla zona dell'infortunio (p. 10 della sentenza impugnata e p. 8 dell'impugnazione di merito), tale aspetto non viene adeguatamente affrontato nella sentenza impugnata.
4.2. Sotto ulteriore - non meno rilevante - profilo, è stato puntualmente osservato nel primo motivo di ricorso come l'affermazione, che si rinviene alla p. 15 della sentenza impugnata, circa la introduzione di un nuovo e non valutato rischio derivante dalla apposizione postuma della scaletta esterna su un macchinario che ne era all'origine privo (quale che ne fosse lo scopo, ad esempio l'accesso alla tramoggia per pulirla) poggi su basi malferme. Infatti, le risposte fornite sul punto dai dipendenti intervistati dall'ing. Murè appaiono non dirimenti. come si legge nello stesso appello del P.M (alla p. 6), mentre il ricordo del perito su un aspetto di tale importanza appare incerto (nel verbale dell'udienza del 19 maggio 2021, p. 7, allegato al ricorso si legge: «noi abbiamo recepito un manuale d'uso e manutenzione della macchina che se ricordo bene non risultava corredata da questa scala, e abbiamo anche chiesto nelle interviste ai lavoratori se ricordavano la presenza di questa scala però non abbiamo ricevuto risposte sufficienti»); né risulta essere stata avanzata una richiesta alla ditta costruttrice ovvero effettuata una verifica tecnica, dagli esiti potenzialmente decisivi, circa la presenza o meno sin dall'origine delle scaletta concretamente adoperata per salire nella zona pericolosa.
4.3. Infine, la possibilità tecnica di prevedere un meccanismo di blocco automatico, non previsto sin dall'origine, all'avvicinarsi di una persona alla zona di maggiore rischio del macchinario collocato nella fonderia appare data per scontata (alla p. 18 della sentenza impugnata) senza adeguata giustificazione.
4.4. Gli aspetti indicati appaiono suscettibili di approfondimenti istruttori dagli esiti potenzialmente decisivi nel senso della riforma ovvero della conferma della decisione di primo grado. In tal senso non può dirsi che la sentenza impugnata sia assistita da motivazione rafforzata, cioè dotata di "forza persuasiva superiore" e tale da far venire meno ogni "ragionevole dubbio".
5. Discende dalle considerazioni svolte la decisione in dispositivo.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte d'appello di Torino cui demanda anche la regolamentazione fra le parti delle spese di questo giudizio di legittimità.
Così deciso il 04/10/2022.