Cassazione Civile, Sez. Lav., 11 novembre 2022, n. 33423 - Risarcimento del danno da malattia professionale


 

 

Presidente: TRIA LUCIA
Relatore: BOGHETICH ELENA Data pubblicazione: 11/11/2022
 

 

RILEVATO CHE
con sentenza n. 502 pubblicata in data 31.1.2019, la Corte d'Appello di Lecce confermava la sentenza del Tribunale di Taranto, che aveva respinto la domanda proposta dai ricorrenti indicati in epigrafe, in qualità di eredi di A.C., nei confronti della NUOVA SIET s.p.a. (datrice di lavoro del dante causa), per il risarcimento del danno, iure proprio e iure hereditatis, derivato da malattia professionale che aveva determinato il decesso (carcinoma);
a fondamento della decisione la Corte territoriale riteneva, preliminarmente, di declinare la domanda di risarcimento del danno iure proprio a favore della “competenza” del giudice civile (essendo erroneo invocare l’applicazione degli artt. 38 e 428 c.p.c. che attengono alla diversa ipotesi della pendenza di una sola domanda), e, con riguardo al danno iure hereditatis, di ravvisare l’insussistenza di un profilo di danno biologico in conseguenza della tutela accordata dall’art. 13 del d.lgs. n. 38 del 2000 e della tardiva presentazione della denuncia all’Inail (domanda ritenuta requisito pregiudiziale alla richiesta di danno differenziale al datore di lavoro), con esclusione di un ulteriore profilo di danno morale ed estetico per carenza di prova;
avverso la sentenza ha proposto ricorso il lavoratore, articolato in due motivi, cui ha opposto difese la società NUOVA SIET S.p.A. con controricorso; entrambe le parti hanno depositato memoria;
 


CONSIDERATO CHE

1. con il primo motivo di ricorso si denunzia - ai sensi dell'art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, c.p.c. - violazione degli artt. 38, 415, 427, 428 nonché 112 c.p.c., avendo, la Corte territoriale, errato nel confermare il provvedimento del giudice di prime cure che aveva declinato – solamente all’esito dell’istruttoria - la competenza sulla domanda di risarcimento del danno degli eredi iure proprio, avendo esorbitato dai limiti temporali che impongono di sollevare la questione non oltre la prima udienza di trattazione;

2. con il secondo motivo si deduce violazione dell’art. 10 del T.U. n. 1124 del 1965 e dell’art. 13 del d.lgs. n. 38 del 2000 - ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. – avendo, la Corte territoriale, erroneamente previsto una pregiudizialità necessaria tra richiesta di liquidazione dell’indennità all’INAIL e domanda di risarcimento del danno differenziale al datore di lavoro;

3. il primo motivo di ricorso è inammissibile;
3.1. preliminarmente, va evidenziato che la Corte di appello ha confermato il provvedimento della Sezione lavoro del Tribunale di Taranto che ha declinato la “competenza” in ordine alla domanda di risarcimento del danno iure proprio a favore della Sezione ordinaria dello stesso Tribunale;
3.2. il rinvio ad una diversa Sezione dello stesso Tribunale dimostra che non si tratta, tecnicamente, di una questione di competenza (per le quali vanno correttamente richiamati gli artt. 38 e 428 c.p.c.) bensì di mera distribuzione degli affari all’interno del medesimo ufficio giudiziario (riparto degli affari tra giudice ordinario e giudice del lavoro; cfr. Cass. n. 537 del 1984, Cass. n. 649 del 1999);
3.3. ebbene, posto che l'error in procedendo rileva nei limiti in cui determini la nullità della sentenza a mente dell'art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., per cui, secondo giurisprudenza costante di questa Corte, l'inesattezza del rito non determina di per sé la nullità della sentenza (Cass. 13 giugno 2016, n. 12094), la violazione della disciplina sul rito assume rilevanza invalidante soltanto nell'ipotesi in cui, in sede di impugnazione, la parte indichi lo specifico pregiudizio processuale concretamente derivatole dalla mancata adozione del rito diverso, quali una precisa e apprezzabile lesione del diritto di difesa, del contraddittorio e, in generale, delle prerogative processuali protette della parte (Cass. n. 19942 del 2008; Cass. SS.UU. n. 3758 del 2009; Cass. n. 22325 del 2014; Cass. 2015, n. 1448); sicché, per la rilevanza invalidante della violazione, occorre che la parte, che se ne dolga in sede di impugnazione, indichi il suo fondato interesse alla rimozione di uno specifico pregiudizio processuale da essa concretamente subito per effetto della mancata adozione del rito diverso; ciò perché l'individuazione del rito non deve essere considerata fine a sé stessa, ma soltanto nella sua idoneità ad incidere apprezzabilmente sul diritto di difesa, sul contraddittorio e, in generale, sulle prerogative processuali della parte;
3.4. nel motivo in esame parte ricorrente non indica il pregiudizio processuale che avrebbe determinato l'adozione del rito ordinario (per la domanda iure proprio) rispetto a quello speciale;
4. il secondo motivo di ricorso è fondato;
4.1. questa Corte ha affermato che l'esonero del datore di lavoro dalla responsabilità civile per gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, non opera quando ricorre il meccanismo previsto dall'art. 10 del d.P.R. n. 1124 del 1965, allorquando venga accertato che i fatti da cui deriva l'infortunio o la malattia "costituiscano reato sotto il profilo dell'elemento soggettivo e oggettivo" (così Corte Cost. n. 102 del 1981), per cui la responsabilità permane "per la parte che eccede le indennità liquidate" dall'INAIL ed il risarcimento "è dovuto" dal datore di lavoro: di qui la nozione di danno cd. "differenziale", inteso come quella parte di risarcimento che eccede l'importo dell'indennizzo coperto dall'assicurazione obbligatoria e che resta a carico del datore di lavoro ove il fatto sia riconducibile ad un reato perseguibile d'ufficio (Cass. n. 12041 del 2020); parallelamente, ex art. 11 del d.P.R. n. 1124 del 1965, nella ricorrenza del medesimo presupposto, l'INAIL può agire in sede di regresso nei confronti del datore di lavoro "per le somme pagate a titolo di indennità" (cfr. Cass. n. 9166 del 2017);
4.2. è escluso "che le prestazioni eventualmente erogate dall'INAIL esauriscano di per sè e a priori il ristoro del danno patito dal lavoratore infortunato od ammalato" (principio affermato a partire da Cass. n. 777 del 2015, con molte successive conformi, tra cui: Cass. n. 13689 del 2015; Cass. n. 3074 del 2016; Cass. n. 9112 del 2019);
4.3. con la conseguenza che il lavoratore potrà richiedere al datore di lavoro il risarcimento del danno cd. "differenziale", allegando in fatto circostanze che possano integrare gli estremi di un reato perseguibile d'ufficio, ed il giudice, accertata in via incidentale autonoma l'illecito di rilievo penale, potrà liquidare la somma dovuta dal datore, detraendo dal complessivo valore monetario del danno civilistico, calcolato secondo i criteri comuni, quanto indennizzabile dall'INAIL, con una operazione di scomputo che deve essere effettuata ex officio ed anche se l'Istituto non abbia in concreto provveduto all'indennizzo (Cass. n. 9166 del 2017; successive conformi: Cass. n. 13819 del 2017; Cass. n. 20932 del 2018);
4.4. il giudice di merito, dopo aver calcolato il danno civilistico, deve procedere alla comparazione di tale danno con l'indennizzo erogato dall'INAIL secondo il criterio delle “poste omogenee”, tenendo presente che detto indennizzo, oltre al danno patrimoniale, ristora unicamente il danno biologico permanente e non gli altri pregiudizi che compongono la nozione pur unitaria di danno non patrimoniale (Cass. n. 1322 del 2015; Cass. n. 20807 del 2016): pertanto, occorre dapprima distinguere il danno non patrimoniale dal danno patrimoniale, comparando quest'ultimo alla quota Inail rapportata alla retribuzione e alla capacità lavorativa specifica dell'assicurato; successivamente, con riferimento al danno non patrimoniale, dall'importo liquidato a titolo di danno civilistico vanno espunte le voci escluse dalla copertura assicurativa (danno morale e danno biologico temporaneo) per poi detrarre dall'importo così ricavato il valore capitale della sola quota della rendita INAIL destinata a ristorare il danno biologico permanente (Cass. n. 9112 del 2019; v. pure Cass. n. 8580 del 2019, secondo cui le modifiche del d.P.R. n. 1124 del 1965, art. 10, introdotte dalla L. n. 145 del 2018, art. 1, comma 1126, non possono trovare applicazione in riferimento agli infortuni sul lavoro verificatisi e alle malattie professionali denunciate prima dell'1.1.2019, data di entrata in vigore della citata legge finanziaria);
5. in conclusione, va accolto il secondo motivo di ricorso, inammissibile il primo, la sentenza impugnata va cassata e rinviata alla Corte di appello di Lecce, in diversa composizione, che provvederà altresì a regolare le spese del presente giudizio di legittimità;
 

P. Q. M.
 

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, inammissibile il primo; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Lecce, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale della Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, addì 18 ottobre 2022.