Responsabilità di un Coordinatore per la sicurezza e la progettazione, nonchè direttore esecutivo dei lavori (Co.Sa.), dell'appaltatore (C.S.) e della redattrice della progettazione strutturale (D.M.V) per aver cagionato la morte del lavoratore C.A. e lesioni personali gravi a L.A. comportanti pericolo di vita e malattia di durata superiore a 40 giorni, entrambi dipendenti del C.S.; con specifici profili di colpa così individuati per C.S.: nell'aver consentito, nella sua qualità di titolare dell'impresa e datore di lavoro, la totale rimozione del tetto e la realizzazione dello scavo lungo l'intera base perimetrale dell'edificio, scavo comportante, anche in base alla comune esperienza nel settore delle costruzioni, un fortissimo e prevedibile rischio di collasso delle pareti e di pregiudizio per i lavoratori presenti in cantiere, senza la preventiva verifica delle condizioni di conservazione e stabilità della struttura, senza far procedere alla scavo con metodo "cuci e scuci", e nell'aver consentito l'effettuazione dell'intero scavo senza la realizzazione di alcuna opera di rafforzamento e puntellamelo necessaria ad evitare il verificarsi di crolli, in violazione del D.P.R. n. 164 del 1956, art. 71; nell'avere quindi disatteso le prescrizioni del piano di sicurezza e coordinamento, violando il disposto della L. n. 494 del 1996, art. 12, comma 3; nell'aver omesso di far predisporre da persona competente e di far eseguire i lavori di demolizione sotto la sorveglianza di una persona competente, violando il disposto della L. n. 494 del 1996, art. 9, comma 1, lett. a), in relazione all'allegato 4' sezione 2' 2.1.

Assolto solo D.M.V., vengono condannati sia il Coordinatore per la sicurezza, sia l'appaltatore/datore di lavoro.

La Corte territoriale dava conto del proprio convincimento richiamando innanzi tutto il percorso motivazionale tracciato nella sentenza di primo grado - che la Corte stessa riteneva particolarmente accurato ed esaustivo, nonchè rigorosamente ancorato al compendio probatorio acquisito - e svolgendo ulteriori considerazioni che possono così riassumersi:
A) risultava accertata in punto di fatto la piena corrispondenza della dinamica dell'infortunio a quella ipotizzata nel capo di imputazione;
B) dovevano quindi ritenersi verificate anche le violazioni di legge addebitate, ed in particolare, per un verso, le modalità del taglio del muro, e, per altro verso, la precarietà e l'inadeguatezza della puntellatura predisposta;
C) non poteva riconoscersi all'appaltatore C.S. il ruolo di mero esecutore passivo di quanto stabilito nel piano di coordinamento e sicurezza, e delle disposizioni impartite dal direttore dei lavori;
D) lo stesso C.S. non si era comportato come un mero esecutore di direttive altrui, avendo operato scelte dirette ed avendo formulato una formale "riserva scritta" alle direttive impartitegli dal Co.;
E) la gravità delle modalità del fatto e l'assenza di un positivo comportamento processuale ostavano ad un giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche sull'aggravante contestata.

L'appaltatore/datore di lavoro ricorre in Cassazione - Inammissibile.

La Corte, nel confermare la legittimità della sentenza impugnata, si limita ad aggiungere che "vi fu una concreta ingerenza del C., circa le modalità di esecuzione dei lavori, posto che lo stesso avvertì l'esigenza di formulare una riserva scritta a fronte delle direttive impartitegli dal Co., operando scelte dirette (come, ad esempio, la rimozione delle puntellature), così dimostrando di non ritenersi "un mero esecutore"."
"Per quel che concerne le disposizioni di legge, bisogna tener presente quanto previsto dalla
L. n. 494 del 1996, art. 12, comma 5, secondo cui "l'impresa che si aggiudica i lavori può presentare al coordinatore per l'esecuzione proposte di integrazione al piano di sicurezza e di coordinamento, ove ritenga di poter meglio garantire la sicurezza nel cantiere sulla base della propria esperienza": disposizione, questa, che da fondamento anche giuridico ad una elementare regola cautelare e di buon senso, in materia antinfortunistica, richiamata anche nella sentenza di primo grado (sulla scorta delle indicazioni fornite dal perito) laddove si legge che "nessun piano di sicurezza scritto in base ad una norma inerente alla sicurezza del cantiere può giustificare una serie di lavorazioni eseguite in totale spregio delle più elementari e scontate norme di sicurezza e del buon senso"".


 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCALI Piero - Presidente

Dott. ROMIS Vincenzo - rel. Consigliere

Dott. BIANCHI Luisa - Consigliere

Dott. MAISANO Giulio - Consigliere

Dott. PICCIALLI Patrizia - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza



sul ricorso proposto da:

1) C.S. N. IL (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 2793/2006 CORTE APPELLO di CATANIA, del 16/10/2007;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 06/11/2009 la relazione fatta dal Consigliere Dott. VINCENZO ROMIS;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Vincenzo Geraci, che ha concluso per il rigetto del ricorso.


Fatto



Co.Sa., C.S. e D.M.V. venivano tratti a giudizio, per rispondere del reato di cui all'art. 589 c.p., perchè per colpa, consistita in negligenza, imperizia ed imprudenza, nonchè inosservanza delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro - agendo il primo quale Coordinatore per la sicurezza e la progettazione nonchè direttore esecutivo dei lavori, il secondo quale appaltatore, la terza quale redattrice della progettazione strutturale - avevano cagionato la morte del lavoratore C.A. e lesioni personali gravi a L.A. comportanti pericolo di vita e malattia di durata superiore a 40 giorni, entrambi dipendenti del C.S.; con specifici profili di colpa così individuati per C.S.: nell'aver consentito, nella sua qualità di titolare dell'impresa e datore di lavoro, la totale rimozione del tetto e la realizzazione dello scavo lungo l'intera base perimetrale dell'edificio, scavo comportante, anche in base alla comune esperienza nel settore delle costruzioni, un fortissimo e prevedibile rischio di collasso delle pareti e di pregiudizio per i lavoratori presenti in cantiere, senza la preventiva verifica delle condizioni di conservazione e stabilità della struttura, senza far procedere alla scavo con metodo "cuci e scuci", e nell'aver consentito l'effettuazione dell'intero scavo senza la realizzazione di alcuna opera di rafforzamento e puntellamelo necessaria ad evitare il verificarsi di crolli, in violazione del D.P.R. n. 164 del 1956, art. 71; nell'avere quindi disatteso le prescrizioni del piano di sicurezza e coordinamento, violando il disposto della L. n. 494 del 1996, art. 12, comma 3; nell'aver omesso di far predisporre da persona competente e di far eseguire i lavori di demolizione sotto la sorveglianza di una persona competente, violando il disposto della L. n. 494 del 1996, art. 9, comma 1, lett. a), in relazione all'allegato 4' sezione 2' 2.1; fatto accaduto in (OMISSIS).

All'esito del dibattimento, il Tribunale di Siracusa, per la parte che in questa sede rileva, assolveva la D.M. e condannava il Co. ed il C.S. alle rispettive pene ritenute di giustizia, previa concessione delle attenuanti generiche valutate equivalenti all'aggravante contestata.

A seguito di gravame ritualmente proposto nell'interesse del Co. e del C., la Corte d'Appello di Catania confermava l'affermazione di colpevolezza, rideterminando la pena in mesi nove di reclusione per ciascuno dei due appellanti, in conseguenza della declaratoria di prescrizione dei reati contravvenzionali contestati per la violazione delle norme antinfortunistiche.
Per la parte che in questa sede rileva, e con specifico riferimento alla posizione del C.S., la Corte territoriale dava conto del proprio convincimento richiamando innanzi tutto il percorso motivazionale tracciato nella sentenza di primo grado - che la Corte stessa riteneva particolarmente accurato ed esaustivo, nonchè rigorosamente ancorato al compendio probatorio acquisito - e svolgendo ulteriori considerazioni che possono così riassumersi:

A) risultava accertata in punto di fatto la piena corrispondenza della dinamica dell'infortunio a quella ipotizzata nel capo di imputazione;

B) dovevano quindi ritenersi verificate anche le violazioni di legge addebitate, ed in particolare, per un verso, le modalità del taglio del muro, e, per altro verso, la precarietà e l'inadeguatezza della puntellatura predisposta;

C) non poteva riconoscersi all'appaltatore C.S. il ruolo di mero esecutore passivo di quanto stabilito nel piano di coordinamento e sicurezza, e delle disposizioni impartite dal direttore dei lavori;

D) lo stesso C.S. non si era comportato come un mero esecutore di direttive altrui, avendo operato scelte dirette ed avendo formulato una formale "riserva scritta" alle direttive impartitegli dal Co.;

E) la gravità delle modalità del fatto e l'assenza di un positivo comportamento processuale ostavano ad un giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche sull'aggravante contestata.

Ricorre per Cassazione il C. svolgendo argomentazioni, sotto il duplice profilo della violazione di legge e del vizio motivazionale relativamente alla ritenuta colpevolezza, sostanzialmente reiterando le tesi già sottoposte al vaglio del giudice dell'appello quanto all'asserito ruolo di mero esecutore delle direttive indicate nel piano di coordinamento e sicurezza ed impartite dal direttore dei lavori, in relazione al D.L. n. 494 del 1996,, antecedente all'entrata in vigore del D.Lgs. n. 528 del 1999; il ricorrente denuncia altresì vizio di motivazione in ordine al diniego del giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche.

Diritto



Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per la manifesta infondatezza delle doglianze dedotte.

Mette conto sottolineare, preliminarmente, che il C.S. con il ricorso ha sostanzialmente riproposto le tesi difensive già sostenute in sede di merito e disattese dal Tribunale prima e dalla Corte d'appello poi. Al riguardo giova ricordare che nella giurisprudenza di questa Corte è stato enunciato, e più volte ribadito, il condivisibile principio di diritto secondo cui "è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, invero, dev'essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell'art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), all'inammissibilità" (in termini, Sez. 4', n. 5191 del 29/03/2000 Ud. - dep. 03/05/2000 - Rv. 216473; CONF: Sez. 5', n. 11933 del 27/01/2005, dep. 25/03/2005, Rv. 231708).

E va altresì evidenziato che il primo giudice ha affrontato e risolto le questioni sollevate dall'imputato C. seguendo un percorso motivazionale che si distingue per la completezza argomentativa e la puntualità dei riferimenti normativi rilevanti ai fini dell'esame della posizione del C. stesso; di tal che, trattandosi di conferma della sentenza di primo grado, i giudici di seconda istanza legittimamente hanno richiamato la diffusa ed articolata motivazione addotta dal Tribunale a fondamento del convincimento espresso, senza peraltro limitarsi ad un semplice richiamo meramente ricettizio a detta motivazione, non avendo mancato di fornire autonome valutazioni ed indicare specifiche risultanze processuali a fronte delle deduzioni dell'appellante: è principio pacifico in giurisprudenza quello secondo cui, nel caso di doppia conforme, le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione ("ex plurimis", Sez. 3', n. 4700 del 14/02/1994 Ud. - dep. 23/04/1994 - Rv. 197497).

Nella concreta fattispecie la decisione impugnata si presenta dunque formalmente e sostanzialmente legittima ed i suoi contenuti motivazionali - quali sopra riportati (nella parte relativa al "fatto") e da intendersi qui integralmente richiamati onde evitare superflue ripetizioni - forniscono, con argomentazioni basate su una corretta utilizzazione e valutazione delle risultanze probatorie, esauriente e persuasiva risposta ai quesiti concernenti l'infortunio oggetto del processo: la Corte distrettuale, dopo aver analizzato tutti gli aspetti della vicenda (dinamica dell'infortunio e posizione di garanzia del C.) ha spiegato le ragioni per le quali ha ritenuto sussistente la penale responsabilità del C..
Per completezza argomentativa si impongono solo talune ulteriori precisazioni in relazione alla tesi difensiva prospettata dal ricorrente, tesi la cui manifesta infondatezza appare evidente, sia dal punto di vista fattuale che dal punto di vista normativo.
Per quel che riguarda il primo aspetto, è sufficiente ribadire che - come opportunamente sottolineato dai giudici di merito - vi fu una concreta ingerenza del C., circa le modalità di esecuzione dei lavori, posto che lo stesso avvertì l'esigenza di formulare una riserva scritta a fronte delle direttive impartitegli dal Co., operando scelte dirette (come, ad esempio, la rimozione delle puntellature), così dimostrando di non ritenersi "un mero esecutore" (pag. 9 della sentenza d'appello). Per quel che concerne le disposizioni di legge, bisogna tener presente quanto previsto dalla L. n. 494 del 1996, art. 12, comma 5, secondo cui "l'impresa che si aggiudica i lavori può presentare al coordinatore per l'esecuzione proposte di integrazione al piano di sicurezza e di coordinamento, ove ritenga di poter meglio garantire la sicurezza nel cantiere sulla base della propria esperienza": disposizione, questa, che da fondamento anche giuridico ad una elementare regola cautelare e di buon senso, in materia antinfortunistica, richiamata anche nella sentenza di primo grado (sulla scorta delle indicazioni fornite dal perito) laddove si legge che "nessun piano di sicurezza scritto in base ad una norma inerente alla sicurezza del cantiere può giustificare una serie di lavorazioni eseguite in totale spregio delle più elementari e scontate norme di sicurezza e del buon senso" (pag. 18 della sentenza di primo grado).

Manifestamente infondata, nonchè relativa ad apprezzamenti di merito immuni da censura, è la doglianza relativa al diniego del giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche sull'aggravante della violazione della normativa antinfortunistica, posto che la Corte distrettuale ha dato adeguatamente conto del proprio convincimento in proposito sottolineando la gravità delle modalità del fatto e l'assenza di un positivo comportamento processuale da parte del C..

Alla declaratoria di inammissibilità segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè (trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, della ricorrente: cfr. Corte Costituzionale, sent. n. 186 del 7 - 13 giugno 2000) al versamento a favore della Cassa delle Ammende di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 1.000,00, (mille).


P.Q.M.



Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 6 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 11 dicembre 2009