Cassazione Penale, Sez. 4, 23 novembre 2022, n. 44559 - Caduta di un fascio di nervato sul piede del lavoratore. Reato non previsto come presupposto dell'illecito dell'ente dall'art. 25-septies d.lgs. n. 231/01


 

 

Presidente: FERRANTI DONATELLA Relatore: FERRANTI DONATELLA
Data Udienza: 09/11/2022
 

Fatto

 

1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Venezia ha parzialmente riformato la pronuncia emessa dal Tribunale di Vicenza nei confronti di F.P., imputato del reato di cui all'art. 590, commi 1, 2 e 3 cod. pen., e della società Acciaierie Valbruna S.p.a., incolpata dell'illecito di cui all'art. 25-septies d.lgs. n. 231/2001.
In particolare, mentre il primo giudice ha condannato il F.P. per il reato di lesioni colpose, escludendo tuttavia la contestata aggravante dell'esser derivato dal fatto l'indebolimento permanente dell'organo della deambulazione, alla pena ritenuta equa, condizionalmente sospesa, ed ha dichiarato l'ente responsabile dell'illecito contestatogli, condannandolo al pagamento di una somma di denaro, la Corte di appello ha dichiarato non doversi procedere nei confronti del F.P. per essere il reato in parola ascritto per prescrizione, nel contempo confermando le statuizioni relative alla persona giuridica.
La vicenda che ha dato luogo al procedimento che qui occupa attiene all'infortunio occorso al lavoratore R.F.. Il 22 aprile 2008 questi doveva pesare su una bilancia, il cui piano era lungo tre metri, alcuni fasci di nervato, ovvero tondini in acciaio ciascuno del peso di circa 20 quintali, della lunghezza di oltre 12 metri e di diametro di circa 20-25 cm.
Per eseguire l'operazione in precedenza era stato realizzato dalla stessa impresa un telaio con la funzione di evitare che l'estremità dei fasci toccassero terra; non essendo disponibile in reparto tale telaio il R.F. aveva posizionato sulla bilancia un dispositivo provvisorio fatto da due barre d'acciaio lunghe una decina di metri, sulle quali, trasversalmente, aveva posto altre due barre d'acciaio più corte. Tuttavia, avendo realizzato tale dispositivo con barre tonde, non essendo disponibili elementi quadrati, dopo la pesatura di 4, 5 fasci, uno di questi cadde dall'impalcatura e colpì il lavoratore al piede. Nell'occorso il R.F. riportò la frattura di tibia, perone e malleoli, impiegando cinque mesi per guarire.

2. La Società Acciaierie Valbruna s.p.a. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza di secondo grado a mezzo due distinti atti, l'uno a firma dell'avv. Fabio Marzio Palazzo e l'altro a firma dell'avv. Nadia Germanà Tascona.
2.1. Nell'atto a firma dell'avv. Palazzo vengono articolati quattro motivi.
2.1.1. Il primo attiene alla violazione dell'articolo 5, comma 1 d.lgs. n. 231/01 e al vizio della motivazione. Si sostiene che la Corte territoriale abbia ritenuto che il F.P. commise il fatto nell'interesse dell'ente, costituito da un risparmio di spesa pari al costo di acquisto di una bilancia, indicata in quella che venne rinvenuta e documentata fotograficamente da operatori dello Spisal l'undici novembre 2010, e quindi oltre due anni e mezzo dopo l'infortunio. L'assunto difensivo è che tale bilancia venne acquistata dalla società diverso tempo dopo l'infortunio e non per essere utilizzata nel reparto in cui si era verificato il sinistro ma per costituire parte terminale di un nuovo impianto. L'affermazione della Corte di appello si pone a replica del motivo di gravame con il quale era stata contestata l'argomentazione del Tribunale, per la quale la società aveva predisposto un'attrezzatura idonea alla sporadica pesatura di fasci di nervato più lunghi - è pacifico che al tempo dell'infortunio l'operazione veniva eseguita 3 o quattro volte l'anno - ma tale attrezzatura era stata spostata in altro reparto e quindi non era concretamente disponibile al lavoratore, sicché la prosecuzione delle operazioni nonostante l'assenza di una idonea attrezzatura era stata determinata dall'obiettivo di un incremento della produttività conseguente al minor tempo di lavorazione.
Per contro, la Corte di appello, secondo l'assunto difensivo, aveva delineato un diverso percorso argomentativo ritenendo che la condotta colposa avesse procurato un risparmio di spesa, costituito appunto dal costo di una bilancia: quella che una decina di giorni dopo l'infortunio venne rinvenuta in azienda (del costo di circa diecimila euro). Tale affermazione sarebbe frutto, secondo la prospettazione della difesa, di un travisamento della prova rappresentata dalle fotografie 10 ed 11 scattate dal teste V., dello Spisal, e della dichiarazione di questi, dalla quale si evince che l'attrezzatura ivi ritratta non fu quella che sarebbe stata rinvenuta una decina di giorni dopo l'infortunio nel reparto ma altra, acquistata dalla società molto tempo dopo l'infortunio nell'ambito della installazione di un nuovo impianto. Anche il test C., alla cui testimonianza aveva fatto riferimento la Corte di appello, avrebbe detto cose diverse da quelle assunte dal giudice di secondo grado; egli non ha fatto riferimento alla bilancia di cui alle foto 10 ed 11 ma proprio a quell'attrezzatura - a costo zero - originariamente predisposta e messa a disposizione dei lavoratori per le episodiche operazioni di pesatura, che risultava però spostata in altro reparto e non disponibile al momento dell'operazione da cui era derivato l'infortunio. Proprio per tale motivo si sostiene che è manifestamente illogico affermare che il F.P. non pose a disposizione dei lavoratori un'attrezzatura idonea per perseguire un profitto per l'azienda. L'attrezzatura ritenuta idonea dal Tribunale era stata predisposta e il relativo costo era stato pressoché nullo. Per l'esponente ciò determina anche l'erronea interpretazione dell'articolo 5, comma 1 d.lgs. 231/2001. Anche a porsi nella prospettiva di addebitare al F.P. di non avere effettivamente garantito la disponibilità continuativa del telaio, il presunto risparmio di spesa è del tutto insussistente o al più irrisorio e, quindi, secondo l'interpretazione offerta dalla Suprema Corte, secondo la quale il vantaggio non può consistere in un importo irrisorio, deve concludersi che non ricorre il nesso di imputazione della condotta della persona fisica all'ente. Ed invero, secondo tale interpretazione non assumerebbero rilievo le condotte derivanti dalla mera sottovalutazione del rischio o dalla imperfetta esecuzione delle misure antinfortunistiche da adottare, dovendosi invece rilevare la presenza di una consapevole intenzione di conseguire un'utilità per la persona giuridica. Ne deriva che la condotta del datore di lavoro che non si fosse adeguatamente assicurato che nel reparto si facesse concretamente uso del detto strumento potrebbe al più integrare mera superficialità, insipienza, sottovalutazione del rischio in un contesto di generale osservanza delle disposizioni antinfortunistiche e quindi non può costituire indice di una scelta finalisticamente orientata a risparmiare sui costi di impresa.
Peraltro, neppure vi è prova della consapevolezza da parte della persona fisica del mancato utilizzo da parte degli operai dell'idoneo telaio, anche tenendo conto di quanto riferito dal R.F. in ordine al fatto che lo strumento non era più presente in reparto da un paio d'anni, dato che le operazioni di pesatura di quello specifico prodotto si verificavano solo tre o quattro volte all'anno. E' poi apodittica l'asserzione della Corte d'appello per la quale il sistema di pesatura che faceva perdere tempo era stato di imposto dall'impresa; si tratta infatti di un modus operandi che, lungi dal permettere un risparmio di tempo, era invece inefficiente, farraginoso, lento ed antieconomico. D'altra parte, l'attrezzatura a suo tempo predisposta era stata spostata temporaneamente in diverso reparto per una mera contingenza e non per una valutazione o scelta dell'impresa fondata su un calcolo costi-benefici.
Sotto altro profilo si evidenzia che la Corte di appello non ha replicato ai rilievi che erano stati esposti nella memoria difensiva depositata in appello, nella quale erà stato evidenziato che nessuna spesa era stata affrontata successivamente all'evento lesivo per far fronte all'asserita mancanza di attrezzatura fino al momento in cui, avendo l'azienda deciso di andare incontro alle esigenze del mercato e di produrre fasci lunghi 12-13 metri, non era stato realizzato un impianto di produzione ad hoc per quei fasci. Dal che si desume che non era ipotizzabile un vantaggio da parte della società.
2.1.2. Con il secondo motivo si contesta l'incidentale affermazione di sussistenza del reato presupposto. La Corte di appello non avrebbe considerato che un'attrezzatura idonea, come tale valutata dallo stesso Tribunale, era a disposizione dei lavoratori all'epoca dei fatti; circostanza che la Corte di appello nega con argomenti manifestamente illogici. Tale è la motivazione in merito alla ritenuta inattendibilità dei testi L. Florio e C. Alessandro, dedotta da un'asserita confusione nei quali i due testi sarebbero incorsi a riguardo dell'attrezzatura successivamente ai fatti rinvenuta in azienda.
Diversamente, è chiaro che i due testi hanno fatto riferimento al telaio che era stato predisposto in azienda e ritenuto idoneo dal Tribunale, posto che l'attrezzatura estemporaneamente realizzata dagli operai, costituita da un castello di tondi e quadri, non avrebbe mai potuto essere rinvenuta fuori dal reparto nel quale si era verificato il sinistro ed evidentemente fu solo il tempo trascorso dal sinistro a rendere materialmente impossibile mostrare allo Spisal lo strumento presente in azienda due anni e mezzo prima. D'altro canto, le dichiarazioni dei due testi sono state confermate anche dalla dichiarazione del C..
Dall'intero compendio probatorio emergerebbe che il telaio che era stato inizialmente predisposto e solo spostato in altro reparto; esso venne ritrovato immediatamente dopo l'infortunio all'interno dei locali aziendali a riprova del fatto che esso era prontamente disponibile ai lavoratori, nelle rarissime occasioni nelle quali all'epoca procedevano alla specifica operazione.
2.1.3. Con un terzo motivo si lamenta l'errata interpretazione dell'art. 71, comma 1 d.lgs. n. 81/08, perché la Corte di appello ha ritenuto che la trasgressione a tale disposizione possa essere integrata, oltre che dalla mancata messa a disposizione dei lavoratori di un'attrezzatura di lavoro idonea, condotta contestata al F.P. sub capo a, anche dalla mancata sorveglianza sull'attività del singolo lavoratore. Tale obbligo non è prescritto dalla norma contestata. E' erronea anche l'interpretazione secondo la quale graverebbe sul datore di lavoro un obbligo di vigilanza anche in relazione ad attività di lavoro rare ed eccezionali, nel contesto di una società gerarchicamente complessa e articolata in plurime aree e reparti. Dal che discende anche la violazione dell'art. 27 Cost. nonché degli articoli 40 cpv., 42 e 43 cod. pen. ed il vizio della motivazione in relazione al mancato esame del profilo dell'esigibilità in concreto da parte del datore di lavoro di una condotta alternativa rispetto a quella tenuta, anche alla luce dell'imprevedibilità del comportamento imprudente tenuto dal lavoratore R.F. in occasione dell'infortunio.
2.1.4. Con il quarto motivo si lamenta l'erronea applicazione dell'art. 6, comma 1 lettera c) del d.lgs. n. 231/01 perché, mentre la Corte di appello ha affermato che deve essere escluso che il F.P. abbia commesso il reato eludendo fraudolentemente il modello organizzativo adottato dalla società, va ritenuto che in relazione all'art. 25-septies non è richiesta la prova liberatoria incentrata sulla elusione del modello fraudolento. Ciò si afferma rilevando che tale requisito non può essere stato pensato dal legislatore con riferimento alle fattispecie colpose, incompatibili con una deliberata elusione dei meccanismi di controllo posti dal modello organizzativo. In tal senso si è espressa anche la giurisprudenza di legittimità.
2.1.5. Con un quinto motivo si deduce l'erronea applicazione dell'art. 6, comma 1, lett. a) d.lgs. n. 231/01 ed il vizio della motivazione in relazione alla ritenuta inidoneità ed inefficace attuazione del modello organizzativo adottato dall'azienda.
La motivazione resa sul punto dalla Corte di appello è meramente apodittica essendosi essa limitata ad affermare l'inidoneità del modello organizzativo in ragione di un'asserita genericità dello stesso nell'individuazione delle aree di rischio relative alla commissione di reati in materia antinfortunistica.
Tale affermazione viene contestata evidenziando quali fossero i contenuti del modello adottato dalla società. Altrettanto immotivata si ritiene la statuizione del giudice di merito con riferimento alla inefficace attuazione del modello, che sarebbe dimostrata dalle risultanze di causa, senza che sia stato esplicato a che cosa si alluda con tale locuzione. In sostanza la Corte d'appello ha omesso ogni motivazione su anche su questo punto nonostante fossero state documentate le attività compiute per la verifica dell'efficace attuazione del modello.
2.2. Con l'atto a firma dell'avv. Germanà Tascona vengono articolati tre motivi.
2.2.1. Un primo attiene alla violazione di legge ed al vizio della motivazione rinvenibili nella sentenza impugnata laddove la Corte di appello hanno ritenuto che la trasgressione cautelare fosse stata commessa dal F.P. allo scopo di far conseguire alla società un risparmio di spesa pari al costo del telaio che sarebbe stato successivamente acquistato. L'articolazione del motivo si incentra sulla rilevazione, analisi e valutazione dei dati di fatto e della loro lettura ad opera della Corte di appello che sostengono quello analogo formulato dall'avv. Palazzo, con una maggior sottolineatura della autonoma e colposa condotta del R.F..
2.2.2. Un secondo attiene alla violazione di legge e al vizio motivazionale in relazione all'art. 5 d.lgs. n. 231/01, per aver la Corte di appello affermato che la condotta del F.P. era stata tenuta nell'interesse dell'ente. La previsione normativa implica che la violazione delle norme antinfortunistiche deve essere cosciente e volontaria, cioè intenzionale; mentre dalla sentenza non emerge tale dato ed anzi in senso diverso depone l'intenzione dell'azienda di costruire e predisporre un apposito telaio per le operazioni di pesatura analoghe a quelle del sinistro. L'esponente rimarca il diverso giudizio dei giudici di merito in ordine al contenuto dell'interesse dell'ente e come, implicitamente accogliendo le censure dell'appellante, la Corte di appello abbia ritenuto in modo manifestamente illogico l'esistenza di un interesse al mancato utilizzo di un'attrezzatura predisposta ed idonea all'uso. Anche in tale contesto argomentativo si rileva la errata lettura delle dichiarazioni del C..
2.2.3. Con il terzo motivo si deduce la violazione dell'art. 6 d.lgs. n. 231/01 e il vizio della motivazione, in relazione alla apodittica affermazione di inidoneità del modello organizzativo adottato dall'ente e alla contraddittoria affermazione per la quale l'elusione fraudolenta del modello avrebbe escluso la punibilità dell'ente: ciò significa che il modello adottato era idoneo. Si evidenzia, anche in tale contesto argomentativo, che si tratta di un requisito non riferibile ai reati presupposto di matrice colposa.
3. Con memoria sottoscritta il 21.10.2022 l'avv. Germanà Tascona ha illustrato le ragioni per le quali sollecita questa Corte a sollevare questione di legittimità costituzionale dell'art. 22 d.lgs. n. 231/01 nella parte in cui prevede che la contestazione dell'illecito amministrativo a norma dell'art. 59 determini la sospensione della prescrizione sino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio. In tal modo si determina una imprescrittibilità di fatto dell'illecito dell'ente che contrasta con gli artt. 3, 24, 25, 27, 111 e 117 Cost.
L'esponente osserva che la compatibilità della evocata disciplina con gli artt. 3, 24 e 111 Cost., sinora ritenuta dalla giurisprudenza di legittimità, non può più essere affermata, alla luce della assimilabilità della responsabilità dell'ente alla 'materia penale', per come il concetto è delineato in primo luogo dalla giurisprudenza convenzionale, che prende il sopravvento sulla formalistica interpretazione che la riconduce ad un tertium genus. Tale assunto di fondo è quindi sviluppato in rapporto ai parametri costituzionali enunciati.

 

Diritto

 


1. La sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio nei confronti della ricorrente perché il fatto non è previsto dalla legge come illecito dell'ente.

2. Appare pregiudiziale esplicitare che il ricorso non è inammissibile. Per quanto la ricostruzione della disciplina giuridica pertinente al caso che occupa dalla quale muove la ricorrente non risulti corretta, è da escludere che si tratti di ricostruzione manifestamente infondata, almeno in parte con riferimento alla variegata interpretazione offerta dalla giurisprudenza di legittimità (si allude, per indicare una parte per il tutto, al ruolo che l'interesse e il vantaggio assumono nell'ambito applicativo dell'art. 25-septies d.lgs. n. 231/01, sia rispetto alla fattispecie costitutiva che nella loro interna relazione).
Ne consegue che neppure si pone la questione della rilevabilità ex officio da parte di questa Corte, ove l'impugnazione sia inammissibile, della mancanza radicale del presupposto del giudizio di responsabilità, ovvero della sussumibilità del fatto, per come descritto dai giudici di merito, nella fattispecie 'incriminatrice' ("In presenza di una causa estintiva del reato il giudice del gravame è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione "ex" art. 129, comma secondo, cod. proc. pen. soltanto se la prova dell'insussistenza del fatto, della sua irrilevanza penale o della non commissione del medesimo da parte dell'imputato risulti evidente sulla base degli stessi elementi e delle medesime valutazioni posti a fondamento della sentenza impugnata, senza necessità di nuove indagini e di ulteriori accertamenti, che sarebbero incompatibili con il principio dell'immediata operatività della causa estintiva: Sez. 4, n. 33309 del 08/07/2008, Rv. 241961).

3. L'art. 25-septies, dopo aver previsto la punibilità dell'ente per il reato di cui all'art. 589 cod. pen. commesso con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza, stabilendo una variazione sanzionatoria a secondo che si tratti della violazione dell'articolo 55, comma 2, del decreto legislativo attuativo della delega di cui alla legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di salute e sicurezza sul lavoro (comma 1) o di altre norme (comma 2), al terzo comma dispone: "In relazione al delitto di cui all'articolo 590, terzo comma, del codice penale, commesso con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, si applica una sanzione pecuniaria in misura non superiore a 250 quote. Nel caso di condanna per il delitto di cui al precedente periodo si applicano le sanzioni interdittive di cui all'articolo 9, comma 2, per una durata non superiore a sei mesi".
L'interpretazione unanime della disposizione è nel senso che la responsabilità della persona giuridica derivante dal terzo comma sia limitata alle lesioni colpose gravi o gravissime, dal momento che tale è l'oggetto della disposizione di cui al terzo comma dell'art. 590 cod. pen.
Ciò posto, nel caso di specie la contestazione originaria ascriveva al F.P. di aver cagionato al R.F. lesioni personali "con prognosi di guarigione in giorni 40 s.c. ma con esiti invalidanti permanenti alla deambulazione quantificati nella misura del 9%". Una locuzione plausibilmente interpretabile come alludente ad una sola delle ipotesi che danno luogo alla lesione grave ai sensi dell'art. 583, co. 1 n. 2) cod. pen., ovvero l'indebolimento permanente di un organo, non essendo esposto nell'imputazione che dal fatto era derivata una malattia o un'incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore ai quaranta giorni.
Il Tribunale ha svolto affermazioni che confermano tale interpretazione perché, pur dando atto che le fratture riportate dal R.F. erano guarite in cinque mesi, ha escluso l'aggravante contestata all'imputato avendo ritenuto non provato l'indebolimento permanente di un organo. Conseguentemente la pena è stata determinata in un mese di reclusione, misura che risulta corretta se raffrontata alla cornice edittale prevista per le lesioni non aggravate ma che è illegale (in bonam partem) se considerato il minimo edittale previsto per lesioni gravi aggravate dalla violazione di norme prevenzionistiche. Né vi è stato concorso di circostanze eterogenee.
Ne discende che, non avendo la Corte di appello portato alcuna modifica a tale statuizione, neppure solo per una corretta qualificazione giuridica del fatto, ritenendolo pur sempre aggravato in ragione della durata della malattia, si è consolidato, stante la mancata impugnazione della pubblica accusa, l'accertamento della sussistenza di un reato di lesioni personali non aggravate ai sensi dell'art. 590, comma 3 cod. pen., attribuibile al F.P..
Ne consegue che la condanna dell'ente ricorrente trova causa in un reato non previsto come presupposto dell'illecito dell'ente dall'art. 25-septies d.lgs. n. 231/01.
 

P.Q.M.


Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti della Società Acciaierie Valbruna s.p.a. perché il fatto non è previsto dalla legge come illecito della persona giuridica.
Così deciso il 9.11.2022